Vendola: «Sinistra incapace di capire Berlusconi»Condividi
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Pubblicato il 28 Luglio 2009 su Il Riformista
«L’abbiamo trattato da parvenu e invece ha conquistato l’immaginario. E’ finita l’epoca dei sogni e incubi collettivi, ora prevale il privato e lui lo interpreta in maniera maschilista e patetica. Mentre la sinistra si è fatta mangiare l’anima dal neoliberismo». Riportiamo l’intervista a Nichi Vendola pubblicata da Il Riformista di martedì 28 agosto.
È una battaglia che li accomuna solo in apparenza: Nichi Vendola respinge ogni “fratellanza” con l’opposizione della Lega alle missioni militari all’estero. E in questa lunga intervista al Riformista, il governatore della Puglia fornisce un’interpretazione più ampia del fenomeno sociale del partito di Bossi. E condivide molti passaggi dell’intervista di Toni Negri a questo giornale. Compresi quelli sulla morte della sinistra e sulla sua colpevole sottovalutazione dell’egemonia berlusconiana.
Governatore, condivide la richiesta della Lega di ritirare i soldati italiani dall’Afghanistan, dalla Libia e dai Balcani?
In un mondo nuovamente multipolare la Lega si ritaglia uno spazio per l’esercizio della propria identità. Ma è il capovolgimento regressivo di un processo di universalizzazione della democrazia che ha animato i recenti conflitti della “guerra infinita”. È un ritorno al principio di non ingerenza cui non mi sento affatto affratellato. Certamente va fatto un bilancio approfondito delle avventure belliche che erano nate per esorcizzare il fantasma del fondamentalismo islamico e va riattualizzata l’aspirazione alla pace e al disarmo. Ma non mi piace la chiusura in logiche tribali che animano questo tipo di contrarietà alle missioni militari all’estero.
In un’intervista apparsa domenica su questo giornale, Toni Negri fa un parallelismo interessante tra la vecchia, onnipotente Democrazia cristiana in Veneto e la Lega. E interpreta il Carroccio come una forza “interclassista, profondamente radicata sul territorio” che ha cementato il consenso attraverso la demagogia. Ma che non fa gli interessi dei lavoratori.
Mi è piaciuta molto quell’intervista. Io penso questo: se la sinistra non illumina le crepe della società, se non offre un’interpretazione convincente degli smottamenti dell’identità collettiva, vince il primo che offre un rifugio rispetto a queste crisi. La Lega lo ha fatto, si è adeguata come una panciera all’Italia del bassoventre, ha proposto un rimedio allo spappolamento della società e alla morte della comunità. Ma è un rimedio che decreta la fine della politica come ricerca di soluzioni generali: è la vittoria del localismo.
Perché la sinistra non è riuscita a intercettare questi cambiamenti e a fornirne una lettura convincente? Negri dice che è la sinistra morta, che la destra non ha più avversari.
La sinistra sembra ormai esiliata dentro la propria malinconia. Chi ha detto che chi sta in basso, nella scala sociale, è di per sé un ribelle? Toni Negri ha perfettamente ragione a ricordarci che ciò che lo rende ribelle è la coscienza, non è un dato culturale. La società è regredita complessivamente: una volta i confronti politici avvenivano sui saggi o sulle provocazioni di Pasolini. Adesso siamo al predominio del trash televisivo, che ha surrogato la cattedra scolastica. E abbiamo anche il coraggio di prendercela con gli operai.
Ma tu non fai parte di quelli che avrebbero dovuto contribuire a formare questa coscienza critica collettiva?
Anche qui concordo con Negri. Quando, 15 anni fa, è nato il fenomeno Berlusconi, noi della sinistra abbiamo reagito come si fa con un fenomeno estetico. Lo abbiamo trattato come un vulnus rispetto al galateo politico, come un parvenue. E non abbiamo capito che era una sintesi e un moltiplicatore dei processi di trasformazione della società. Dalla prospettiva odierna è evidente che quella di Berlusconi è l’autobiografia di una nazione. Ha ricomposto la frammentazione della società attorno alla passività di massa. Ha trasformato il discorso politico in pubblicitario. Il problema, ormai, non è Berlusconi, ma il berlusconismo. Quello è penetrato a fondo nel luogo dove si costruisce l’egemonia: l’immaginario. E adesso Berlusconi può impunemente rispondere a una precaria che gli espone il suo dramma che deve sposarsi un uomo ricco.
Una risposta superficiale e offensiva, rivolta oltretutto una donna, che riguarda un dramma collettivo.
Sì, ma vede, è anche vero che è finita l’epoca nostra, dei sogni e degli incubi collettivi. Adesso prevale il sogno e l’incubo privato. E lui l’ha capito e lo interpreta in quella sua maniera maschilista e un po’ patetica. Il berlusconismo è ormai entrato nelle vene della società italiana. Ma in quelle vene ha anche iniettato due veleni pericolosi. Il primo è una visione avventuristica della crisi economica in atto. Tremonti affronta la recessione con formule esorcistiche, pericolose. Che coprono l’essenziale: una colossale redistribuzione delle risorse al Nord, a scapito di quelle destinate al Sud. Poi, vedo una crepa tra il berlusconismo e l’anima cattolica del paese. E non c’è lifting che possa occultarla. Ed ha un potenziale critico spaventoso. Rischiamo di vedere capovolti 50 anni di storia. A questo rischia di portare l’ossessiva esibizione berlusconiana del maschilismo, la sua fissità autistica, la sua ostentazione di virilità, sempre bisognosa di palcoscenici.
Ma non pensa che manchi all’appello anche una lettura univoca da parte della sinistra della recessione, unanimemente considerata la prima crisi seria del modello neoliberista che si è imposto in Occidente dal ‘79?
Ma certo, doveva essere questo il centro della contesa del congresso del Pd di ottobre. Faccio un esempio: il Papa, con l’enciclica Caritas in veritate, pur con mille cautele e con passaggi molto metodologici, ha fornito un’interpretazione della crisi. Ed ha parlato della precarietà come di una crepa che riesce a minare la vita delle persone. La sinistra, che si è fatta mangiare l’anima dal neoliberismo, si è giocata la propria differenza rispetto alla destra sui distinguo lessicali. Un errore che sta pagando caro.
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