Dal sito di Mondoperaio
I socialisti, Veltroni e le ragioni del cuore
di Danilo Di Matteo
Come noto, Palmiro Togliatti definì il PRI un piccolo partito di massa (in effetti assai radicato in alcune aree del Paese). A maggior ragione forza politica di massa era il PSI. Troppe volte, invece, ci dimentichiamo di ciò, attribuendo tale caratteristica solo alla DC e al PCI. Se torno per un istante alla mia infanzia, trovo tante figure di socialisti: l’insegnante, l’artigiano, il libero professionista, il sindacalista, l’agricoltore, l’operaio e altre. Tutte hanno lasciato in me un’impronta indelebile; tutte lontane mille miglia da Tangentopoli e anzi da me vissute come esempi di rigore e dirittura morale, pronte a denunciare e combattere il malcostume. E ora che contatto alcuni di loro per promuovere mondoperaio riscopro un mondo formidabile, che solo in parte si è chiuso nel proprio particulare: un mondo fatto di relazioni, amicizie, nuovi slanci e aperture. E i più, fra coloro che conosco, continuano a sentirsi di sinistra e a collocarsi a sinistra, pur con tutto il disagio e la difficoltà di considerarsi a casa nelle forze politiche di oggi. Fra l’altro, soprattutto, forse, a livello locale, molto devono i soggetti attuali del centrosinistra e i cosiddetti corpi intermedi alla presenza dei socialisti. Il loro contributo, cioè, non è solo ideale o di analisi ed elaborazione programmatica: è un contributo vivo.
Il centrosinistra ora, nondimeno, soffre per la marginalità dei socialisti, per la loro subalternità rispetto alle nomenclature dominanti. Insomma: buona parte di quel senso di vuoto politico che i più vivono è legata all’uscita di scena del PSI. Così le dichiarazioni di Walter Veltroni, relative non solo a Bettino Craxi statista, ma soprattutto al Craxi leader della sinistra e leader riformista, non rappresentano, a parer mio, solo l’ennesimo tentativo, tardivo, di includerlo nel pantheon del Partito democratico o di estendere su di lui i tentacoli dell’egemonia post-comunista. No: esprimono anche, a modo loro, la percezione di quel vuoto.
Vuoto che, mi piace sottolinearlo, è soprattutto umano. Non solo in chiave amarcord, naturalmente; bensì nel senso di una rete di rapporti, di una presenza sana nel territorio, di una capacità di essere nel ceto medio e di interloquire con esso. Talora, magari, anche nella forma di piccolo notabilato delle professioni. Ecco perché la distanza fra gli apparati di partito e i cittadini è cresciuta con il venir meno del PSI; ecco perché le forze politiche attuali sembrano non avere il polso della situazione e appaiono come corpi estranei rispetto al tessuto vivo del Paese.
Insomma: accanto alle ragioni della politologia, vi sono quelle del cuore, e il fenomeno andrebbe forse letto e indagato meglio in termini psicosociologici.
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