>>>> editoriale
La chiacchiera di opposizione
Èopinione comune tra gli osservatori delle cose politiche
che l’andamento del dibattito tra maggioranza e opposizione,
all’incirca da un anno a questa parte, sia strepitosamente
favorevole all’attuale maggioranza e sfavorevole
all’opposizione. Si tratta di un fenomeno non abituale nella
storia recente del nostro paese e di cui è importante cercare
una spiegazione. Ma prima di questo sarà forse bene fermarsi
a esaminare quali siano le forme prevalenti della polemica
politica che finisce col risultare così sfavorevole alla sinistra.
L’opinione che qui si vorrebbe sostenere è molto semplice: se
l’oggetto della discussione e delle polemiche è privo d’interesse
per la gran parte dell’elettorato, questo finisce per alimentare
le motivazioni di quella che è stata chiamata l’“antipolitica”.
E quindi favorisce oggettivamente, e senza gran
bisogno d’altro, quelle forze politiche che si sono venute
affermando proprio sulle motivazioni dell’antipolitica stessa.
Quello che viene chiamato “antipolitica” è, in sostanza, un
atteggiamento di sfiducia e di discredito nei confronti non
della politica in quanto tale - che è funzione sociale insopprimibile
- quanto piuttosto dei “professionisti” della politica, di
quella che è stata chiamata recentemente anche “casta” politica,
insomma di coloro che - come si dice sprezzantemente
- non hanno mai fatto e non conoscono altri mestieri; il che si
traduce in ricerca e apprezzamento di persone nuove, che
abbiano fatto e con successo altri mestieri e che dimostrino
senso pratico e prontezza nell’affrontare decisioni che sono
comunque da prendere: uomini di fatti insomma, e non di
parole.
Tutto questo significa anche -si badi bene- che non è tanto un
preponderante apparire sui mass media a portare il successo,
quanto l’evidenziare con insistenza nei mass media cose che
abbiano piuttosto l’aspetto di “fatti” che non di parole. Non
basta: questo non significa affatto che l’avversario politico
venga tagliato fuori dai mass media; al contrario di quel che
alle volte si pensa, dell’avversario politico non si esclude la
presenza, anzi la si valorizza negativamente, sottolineandone
l’inconsistenza parolaia e la mera veemenza polemica. Da tutto
ciò si può concludere che la sinistra dovrebbe tendere sia a
correggere la propria immagine politica che a modificare il
rapporto con il proprio elettorato.
Prima di affrontare questi argomenti conclusivi sarà bene fare
un esempio emblematico dell’inconsistenza di taluni battibecchi
con cui la polemica politica viene usualmente presentata
agli italiani. Prendiamo ad esempio la recente disputa
scatenata in occasione della festa del 25 aprile, quando Berlusconi,
con mossa abile e disinvolta si è dichiarato pienamente
partecipe di questa festività, tradizionalmente di sinistra,
ed ha proposto di denominarla “festa della Libertà”. Da
sinistra si è voluta inventare una disputa fondata sulla maggiore
pregnanza dell’appellativo “festa della Liberazione”
piuttosto che “festa della Libertà”. Raramente si è sentito
qualcosa di più stucchevole nonché di più sbagliato. Ciò vale
soprattutto per chi ha memoria di quel momento storico.
Coloro che vissero la Liberazione, la vissero appunto come
l’arrivo delle forze americane che restituivano la libertà. Il
sentimento, il valore di chi partecipava della Resistenza era la
libertà: appare assurdo, quindi, sostenere il contrario. Pure,
fortunatamente solo per qualche giorno, ci si è accaniti in una
futile polemica contraria.
Di esempi di questo genere è intessuta tutta la polemica politica
di questo primo anno di governo del centrodestra e di
opposizione del centrosinistra.
Si tratta dunque di risalire la corrente dominata dall’antipolitica.
Non è un compito facile. Lo stile politico gestito da Silvio
Berlusconi è stato chiamato “populismo”. La parola a
molti non piace, ma sostanzialmente sta a significare un modo
di leadership che tende a scavalcare, appunto, istituzioni, partiti,
classe politica, per strizzare direttamente l’occhio al
popolo elettore. Il simbolo positivo più appariscente di questo
atteggiamento è stato un “fatto”, clamorosamente fatto: l’eliminazione
delle immondizie dalle strade di Napoli, vera o
apparente che fosse, ma comunque visibile e massmediatizzata.
Più di recente è poi venuto il grande attivismo berlusconiano
nella vicenda del terremoto d’Abruzzo, culminata nella
>>>> Luciano Cafagna
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editoriale / / / / mondoperaio 3/2009
decisione di trasferire in quell’area la sede dell’evento internazionale
del G8: in tal modo, si può notare, che quell’evento,
in cui il protagonismo del leader rischiava di apparire
magari piuttosto distante, verrà invece straordinariamente
ravvicinato alla visione populista.
Stando così le cose, il problema diventa, come si è detto,
quello di recuperare uno stile di rapporto fra la politica e una
parte maggioritaria dell’elettorato. Occorre ripristinare un’attenzione
preminente verso grandi e realistiche scelte, quelle
dalle quali la sorte del paese e dei suoi abitanti dipende veramente.
Così che si possa allontanare progressivamente la
morbosa opinione che tutto dipenda da abili mosse del leader
o da abili decisioni. Far ciò non è facile perché si tratta di correggere
un processo diseducativo. Teoricamente parlando
sarebbe più facile che gli eventi stessi, una volta o l’altra, travolgessero
le fortune del leader: questo però non solo non è
preventivabile, ma non è neanche augurabile perché, nella
storia, quando ciò accada, si accompagna di solito a un coinvolgimento
sgradevole del “popolo” stesso; come sarebbe, ad
esempio, se Berlusconi dovesse essere travolto dal perdurare
ed approfondirsi -che certamente, come si è detto, non è da
auspicare- dell’attuale crisi economica.
Come si può ricondurre l’attenzione della gente sui temi veri
della politica? Abbiamo davanti a noi la circostanza di una
consultazione elettorale per il rinnovo del parlamento europeo.
Non è certo facilissimo, ma non dovrebbe essere neppure
impossibile avviare con pacatezza una discussione con gli
elettori che tenda ad interessarli al senso reale del loro imminente
voto intrattenendoli senza annoiarli sul ruolo e le scelte
dell’Europa in questo difficile momento storico e sul ruolo
effettivo che parlamentari europei di buona volontà possono
avere nei processi decisionali delle istituzioni europee.
L’Europa comunitaria ha fatto grandi cose, quando le ha fatte,
e manca grandi cose, quando le manca. Nel primo caso
l’Europa ci ha dato una moneta relativamente stabile che ci ha
salvato finora da scivolosi slittamenti valutari continui e da
un’inflazione interna che, con la vecchia lira, sarebbe stato
difficile frenare; per contro il non essere stati partecipi sulle
conseguenze di una troppo rapida apertura di frontiere a Est
ha creato, ad esempio, seri problemi nella gestione delle
migrazioni e tutto questo interessa la vita quotidiana dei cittadini
certamente più di quisquiglie come il nome da dare alla
festa del 25 aprile o altre sciocchezze dello stesso tipo. Se
oggi appare che l’Europa sia stata alquanto inerte nel fronteggiare
la crisi finanziaria, questo è da considerare in parte,
forse, come effetto dei timori che suscita il futuro di una ripresa
nella quale, la carenza energetica dovrà essere affrontata
con una moneta forte e non logorata da grandi scoperti finanziari
generati per fronteggiare la crisi.
Sono problemi -questi e altri- che hanno anche aspetti che
possono apparire solo “tecnici” a gran parte dei cittadini. Ma
il problema dei politici è appunto quello di sciogliere pazientemente
i tecnicismi in un dialogo scorrevole che coinvolga
estesi gruppi di militanti attivi, e non lasciato nelle mani di
maliziosi professionisti dell’informazione che tendono non a
chiarire i problemi ma ad evidenziare la lite e lo scontro in
quanto tali. Questi ultimi mirano assai spesso infatti, ad
appiattire la presentazione dei politici e delle loro opinioni
dentro gli schemi del battibecco più superficiale, delle battute
più provocatorie e semplificatrici: quelle che alimentano
nel cittadino in definitiva la pura e semplice antipolitica.
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