sabato 18 luglio 2009

Nicola Atalmi: Giù al Nord

Da Aprile

Giù al Nord
Nicola Atalmi*, 07 luglio 2009, 11:59

L'intervento Sulla questione settentrionale vista da sinistra: un pezzo del Paese, il Veneto e la Lombardia che rappresentano la parte economicamente più dinamica e perennemente in trasformazione sul piano sociale, vede ormai una debordante marea neroverde conquistare elezione dopo elezione maggiori consensi. In Veneto cadono roccaforti come la Provincia di Venezia, in Lombardia vengono cancellate le anomalie come quella di Penati. Ed è proprio il modello di sviluppo post-fordista che caratterizza il nordest ad allargarsi, lentamente ma inesorabilmente, scendendo verso il centro Italia conquistando consensi e rappresentanza in Emilia, in Toscana, giù fino in Umbria



"Può un centrosinistra, che nel lombardoveneto è ormai marginale, pensare di poter governare il Paese?" Questa domanda la pone e se la pone da tempo Massimo Cacciari, il sindaco filosofo inascoltato presunto leader democratico. E non è una domanda da poco.
Un pezzo del Paese, il Veneto e la Lombardia che rappresentano la parte economicamente più dinamica e perennemente in trasformazione sul piano sociale, vede ormai una debordante marea neroverde conquistare elezione dopo elezione maggiori consensi. In Veneto cadono roccaforti come la Provincia di Venezia, in Lombardia vengono cancellate le anomalie come quella di Penati.
Ed è proprio il modello di sviluppo post-fordista che caratterizza il nordest ad allargarsi, lentamente ma inesorabilmente, scendendo verso il centro Italia conquistando consensi e rappresentanza in Emilia, in Toscana, giù fino in Umbria.
Lo hanno studiato in molti da Bonomi a Bagnasco, da Negri a Rullani.

In particolare l'emergere del sistema sociale ed economico del Nordest viene descritto come l'avvento della società del rischio, prima da Ulrich Beck, sociologo dell'università di Monaco, poi da Enzo Rullani dell'Università di Venezia secondo il quale "(...) il rischio veniva messo sotto il tappeto dalle capacità di previsione e controllo dell'ordine fordista, quando il rischio era ridotto dal potere di programmazione-controllo, dalla stabilità delle posizioni e dagli interventi contro le devianze. I lavoratori erano esentati dal rischio dal contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. In mancanza di rischio, il potere diventava un esercizio funzionale del coordinamento. Con la fine del fordismo il rischio è tornato a distribuirsi sulle persone e sui territori. Le imprese si propongono di intercettarlo e di svolgere questa funzione specializzata a vantaggio degli altri soggetti sociali. Ma ci riescono solo in parte. (...) L'impresa diventa dunque l'imprenditorialità, un atteggiamento antropologico e un meccanismo istituzionale insieme."

Il modello del nordest è essenzialmente questo ed è ridicolo stupirsi ora per come i lavoratori, compresi quei lavoratori autonomi e parasubordinati così diffusi in questo modello, scelgono per rappresentare i propri interessi la Lega ed il centrodestra più in generale. Lo stesso Rullani in una intervista concessa ad una rivista della Cgil nel 2006 ne fa una analisi impietosa: "La sinistra non ha ancora cominciato a definire se stessa in un mondo postfordista. Fondamentalmente le sue idee sono ancora inscritte in un universo di rapporti produttivi centrati sullo stato fordista, sulle grandi corporation, sull'organizzazione delle grandi rappresentanze di lavoro standardizzato, di lavoro di massa mentre il mondo pian piano è cambiato, non è più così. Di conseguenza i nuovi soggetti che emergono si fanno rappresentare, nel bene e nel male, in altri modi, magari anche un po' improvvisati. Il leghismo, per esempio, è frutto anche di un vuoto."

E il modello del nordest è ormai ampiamente nazionale.
"L'Italia la precarietà ce l'ha nel suo Dna perché quando un paese ha quattro milioni di imprese vuol dire che, contando tre persone a famiglia, ha dodici milioni di cittadini che rischiano, che alla fine del mese se hanno fatto bene guadagnano, se hanno fatto male perdono. Sono pochissime le posizioni sicure: l'impiego pubblico, che non per niente vota tutto per il centrosinistra; i pensionati, che votano per il centrosinistra, e forse gli operai delle ultimissime grandi fabbriche, quelle sicure, quelle dei servizi. Tutti gli altri sono precari perché il mercato li ha resi tali."
Trasformazioni sociali ed economiche hanno costruito un modello dove perde terreno la difesa collettiva dei diritti perché in una società del rischio ognuno cerca di salvare sé stesso.
E' un dibattito che si è infiammato in relazione agli esiti della recente crisi e che è stato analizzato nel marzo di quest'anno a Verona nel convegno "la questione settentrionale si fa nera" organizzato dal nostro Partito: "se il profondo nord era incattivito ed incazzato quando l'economia tirava, come diventerà in una fase di crisi e di recessione?"
La risposta è venuta dalle urne con il segnale inequivocabile che di fonte alla crisi è sempre pronta una uscita a destra dove il razzismo, l'egoismo sociale le politiche securitarie sono l'ansiolitico di maggior successo.

L'utilizzo politico della crisi ha sdoganato parole d'ordine come "prima il lavoro agli italiani (o padani o veneti)" che erano patrimonio solo dell'estrema destra razzista. E' cresciuta una categoria di "leghisti rossi" nella quale anche il sottoscritto, assieme a buona parte della Cgil veneta, è stato frettolosamente arruolato, quando si è cominciato a criticare la gestione liberista dei fenomeni migratori che non fermava le quote di nuovi ingressi (regolari) nemmeno di fronte al fenomeno, nuovo da queste parti, dell'allungarsi delle file della mobilità e della disoccupazione di lavoratori veneti ed immigrati.

Gli imprenditori politici della paura, leghisti e non solo, hanno incassato valanghe di voti promettendo sicurezza mentre l'Unione di Prodi e la sinistra in generale non era in grado di proporre nulla a parte generiche e fastidiose minimizzazioni sul fatto che l'insicurezza era solo un problema di percezione. Le urne hanno dimostrato che se io mi percepisco insicuro sono insicuro e quindi voto per chi a parole la sicurezza dice di volerla garantire.
Gianfranco Bettin, sociologo e scrittore, prima ancora che leader dei Verdi, ha appena pubblicato un libro prezioso per indagare questo fenomeno. Si intitola "Gorgo in fondo alla paura" e partendo dal duplice terribile omicidio di due anziani coniugi a Gorgo al Monticano ad opera di tre immigrati ci racconta il nordest. "(...) è irrequieto da tempo il Nordest italiano. Perché eccitato, ma anche preoccupato dalla globalizzazione. Perché arrabbiato per il peso fiscale che sopporta, reputato un sopruso di Roma. Perché ispirato dal sogno federalista. Perché, ora, è dentro la crisi, come tutti, come tutto.

E nella crisi ancora una volta emerge che il nordest non è una società a-conflittuale come la vecchia democrazia cristiana transitata in massa con i berluscones, ha sempre tentato di far credere. Nel nordest il conflitto c'è ma è orizzontale invece che verticale. E' una specie di sindacalismo territoriale per il quale i lavoratori ed i ceti più deboli si sentono rappresentati politicamente sulla base di una appartenenza comunitaria piuttosto che sulla base delle loro reali condizioni di classe. Mescolando rivendicazioni locali ad egoismo sociale, producendo paura e razzismo.
In un sistema magmatico e parcellizzato, come è il mondo del lavoro e della piccola impresa, il lavoratore si percepisce sulla stessa barca con l'imprenditore. Perché quell'imprenditore non è il figlio di una dinastia, ma è anch'esso un ex dipendente che si è messo in proprio.
E così possono accomunarli la lotta contro la pressione fiscale che erode e determina il reddito all'uno come all'altro, direttamente o indirettamente.
Per questo il Ministro Leghista Zaia può affermare, con una qualche ragionevolezza, che la Lega è il partito laburista del nord.

E la sinistra non dice nulla nemmeno alla nuova generazione di lavoratori parasubordinati, agli imprenditori di sé stessi, alle migliaia di partite Iva che surfano ogni giorno sulla cresta della competizione e della insicurezza.
Solo a partire da questa analisi del nordest, che ci parla di come sta cambiando tutto il Paese, possiamo interrogarci sul ruolo odierno della sinistra.
Serve una sinistra nuova capace di recuperare insediamento e rappresentanza nel mondo dei lavori, di innervarsi sulla rete delle resistenze sociali e popolari al neoliberismo, anche quelle ora presidiate dal leghismo.
Perché è dalle contraddizioni che nascono da un modello che ha imprendotrializzato il territorio e la società, riverticalizzando il conflitto, che possiamo ricostruire una sinistra della quale venga percepita l'utilità sociale.
Serve un nuovo inizio che parta dal basso non solo nel senso del radicamento nei territori e nella valorizzazione della militanza, ma anche con una elaborazione originale ed autonoma di un rilanciato processo unitario a sinistra.

*consigliere regionale veneto dei Comunisti Italiani e membro dell'ufficio politico nazionale
questo articolo sarà pubblicato sul prossimo numero di Rinascita

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