sabato 31 ottobre 2015

Franco Astengo: Anticorpi

ANTICORPI TRA QUESTIONE POLITICA E QUESTIONE MORALE di Franco Astengo Adesso sono diventati di moda gli “anticorpi” usati per distinguere tra “Capitale morale” e “Capitale corrotta” (mai Cancogni è stato tanto citato in tempi recenti, a proposito e a sproposito). Ma non passa giorno che la notizia del mattino sia di un arresto, di una retata o una nutrita serie di perquisizioni: Nord e Sud, destra e sinistra, pubblico e privato. La sensazione molto concreta è quella di un paese marcio nel profondo, coinvolgendo in questo giudizio amministratori pubblici, funzionari dello Stato e degli Enti Locali, imprenditori, manager. Un quadro sconsolante che, assieme ad altri fenomeni ben presenti, alimenta un quadro di distacco tra la realtà del lavoro quotidiano e le dinamiche del potere, economico e politico. I risultati sono quelli di una fragilità, di un’incapacità nell’affrontare i grandi temi dello sviluppo, di una diffusa frustrazione sociale alla quale si cerca di rispondere attraverso una propaganda sbruffona e mistificatrice, capace soltanto di nascondere la polvere sotto il tappeto. In passato c’è capitato di analizzare, in molteplici occasioni, il collegamento – costante nel tempo- tra questione politica e questione morale, cercando di segnalare gli elementi di cambiamento che, via, via si presentavano nel dimostrarsi di questo negativo fenomeno che ha informato larghe parti della vita del sistema politico italiano. In principio, almeno dall'affermarsi del primo centrosinistra agli albori degli anni'60, i punti di principali da osservare erano due: quello del cosiddetto “stato duale”, dell'intreccio, cioè, tra poteri dello stato compresi quelli militari oggi apparentemente usciti del tutto di scena, istituzioni e poteri occulti (pensiamo al “caso Solo”, o al “Golpe Borghese” e successivamente alle deviazioni della massoneria, con il fenomeno P2 certificato dal lavoro della Commissione Anselmi e le deviazioni dei servizi in ordine alla “strategia della tensione”); quello delle “tangenti” innescate, in grande stile, da due operazioni concernenti la questione energetica (l'ENI di Mattei e la nazionalizzazione dell'energia elettrica, al riguardo della quale s’innestarono, come conseguenza ovviamente limitata a questo campo di indagine, operazioni rivolte prevalentemente all'industria chimica tali da causare una logica di scambio tra potere politico e potere economico tale da far fallire l'intero comparto: pensiamo ai casi Cefis e Rovelli, poi Gardini, ecc.). Ovviamente erano anche i tempi del finanziamento ai partiti attraverso canali esteri legati alla logica dei grandi blocchi internazionali. Successivamente il quadro dello scambio tra economia e politica si è allargato anche a livello e locale, allo scopo di costruire veri e propri sistemi di potere: pensiamo ai casi Biffi Gentili, a Torino e Teardo, in Liguria, che se analizzati opportunamente a tempo debito avrebbero consentito, probabilmente, di scoperchiare “Tangentopoli” con quindici anni di anticipo. “Tangentopoli”, ovviamente rappresenta il culmine del meccanismo del “rubare per il partito”, cui si era cercato di ovviare con il finanziamento pubblico (1974, promotore Ugo La Malfa, occasione: il primo scandalo dei petroli, tirato fuori da Brusco, Almerighi e Sansa genovesi “pretori d'assalto”). Lo stringersi del consociativismo, l'ingresso in campo della necessità di ricorrere ai grandi mezzi di comunicazione di massa (poniamo ancora una volta in rilievo il ruolo avuto dall'ingresso della televisione privata all'interno di questo meccanismo e del relativo affermarsi della pubblicità in quell'ambito, come maggior fonte di guadagno e di possibilità d'uso per il riciclaggio) rappresentarono le cause principali dell'estrinsecarsi di un fenomeno alla fine rivelatosi del tutto insopportabile. Il rimedio a quello stato di cose si è rivelato peggiore del male: la crescita del tasso di personalizzazione della politica, lo sfrangiamento dei partiti, il fenomeno della globalizzazione crescente in economia (andiamo di corsa, anche se si tratta di fenomeni che meriterebbero ben altri livelli di analisi) hanno portato la logica di scambio tra politica ed economia a livelli di esasperazione mai raggiunti (si vedano, a questo proposito, le statistiche internazionali, in particolare quelle di Trasparency International) e nel clima da “basso impero” affermatosi strada facendo, hanno trasformato il meccanismo della tangente da “rubare per il partito”a “rubare per il singolo politico”; in un Paese dove il contrasto alla criminalità organizzata, nel Sud, si è via, via affievolito, fino a far sì che intere zone siano appannaggio della malavita, ovviamente capace di accostarsi alla politica, eleggere propri deputati, sindaci, consiglieri comunali, regionali e provinciali come si legge dalle cronache di tutti i giorni (ecco un altro aspetto dello “stato duale” che non è preso, a nostro giudizio, nella giusta considerazione: mentre l'altro livello dello “stato occulto” quello del rapporto tra politico e poteri riservati è andato avanti con grande forza: dagli attentati del '92 in avanti. Quello che conta di più è il peso che il livello del rapporto tra istituzioni, potere politico, economia ha avuto nel momento della “grande crisi” determinando assetti, logiche di intervento, dinamiche di impresa, scegliendo collocazioni, esternalizzazioni, scelte determinanti a livello di modello di sviluppo). Adesso ci troviamo già in un terzo stadio. La nuova forma nell'intreccio tra questione morale e questione politica, che lo rende più insidioso, meno visibile e più difficilmente affrontabile risiede nell'insediamento stabile, a tutti i livelli, del “conflitto di interessi”. Fenomeno molto più esteso e complesso di come è stato indicato nel periodo del cosiddetto “ventennio berlusconiano”. Tentiamo ,allora, un’interpretazione possibile, anche se parziale, di questo nuovo sviluppo del tema, partendo dall'allargamento dei termini nelle incompatibilità, a tutti i livelli. Fino a qualche anno fa la possibilità di candidarsi era limitata dalla legge in una certa dimensione: adesso è praticamente saltato tutto, e sono possibili situazioni del tutto impensabili. Ministri che fanno l'assessore, Sindaci che fanno i deputati, Consiglieri Regionali che occupano seggi in Parlamento per mesi prima di sciogliere il nodo dell'opzione; ma è nel rapporto tra pubblico e privato che si notano i fenomeni di maggior peso, in particolare rispetto alle presenze nei consigli di Amministrazione creati dal regime privatistico assunto dalle ex-municipalizzate e soggetti limitrofi. Inoltre sembrano molto vaghe le indicazioni di professionalità richieste per ricoprire incarichi pubblici, di nomina ministeriale ad esempio su indicazione regionale, e sono sempre più frequenti i casi di evidente “familismo amorale”(per dirla con Banfield). “Mafia capitale” nasce utilizzando i varchi che questo tipo di situazione ha aperto: ma è soltanto un esempio, facile da farsi, anche perché adesso il fenomeno si sta evolvendo in una vera e propria farsa dal punto di vista istituzionale. Tornando però al filo più diretto del ragionamento. Nella sostanza ravvisiamo quattro aspetti : quello del rapporto tra politico e istituzionale (abbiamo casi a nostro giudizio di incompatibilità oggettiva, anche ad alto livello sul piano nazionale); quello del rapporto tra istituzionale e settore pubblico dell'economia ( eletti nelle istituzioni che siedono in consigli d'amministrazione di svariato tipo, in particolare di quelli -appunto – dell'ex-settore pubblico, oppure del sistema bancario a controllo e finalità pubblica); quello del rapporto tra istituzionale e settore privato dell'economia (anche qui si tratta di consigli d'amministrazione); quello del rapporto tra settore economico pubblico e settore economico privato (questi casi sono molto numerosi, in particolare in sede locale se pensiamo ad esempio al sistema bancario). Un fenomeno di conflitto d’interessi così ampio e diffuso che diventa una corruzione che si smaterializza, e risulta impalpabile. Perché nelle decisioni prese in conflitto d'interesse non c'è più uno scambio visibile tra corrotto e corruttore, non ci sono più tangenti che passano di tasca in tasca. E' come se corrotto e corruttore coincidessero nella medesima persona, dunque non è necessario alcun passaggio di denaro tra i due..”. In questo modo appare evidente il contributo della corruzione diffusa all’allargamento delle diseguaglianze sociali, all’affossamento dello Stato sociale, all’impossibilità di governare il territorio fuori dall’ambito speculativo. Proprio perché è l’ambito meramente speculativo insito nella logica di un conflitto d’interessi teso esclusivamente all’accaparramento da parte dei gruppi di potere quello nel quale la corruzione sviluppa il suo massimo impatto. Il quadro complessivo rimane comunque quello dello stato “duale” e del rapporto fra questo e l’imprenditoria “privata”: il tema è quello dei poteri occulti, della massoneria (denunciato senza risposta da De Bortoli nel momento del suo addio al “Corriere”) delle cordate P2, P3, fuori e dentro il Parlamento, fuori e dentro i consigli d’amministrazione (ritorna a questo punto il già più volte citato sistema bancario quasi funzionasse da anello di congiunzione). Affrontare di nuovo il rapporto tra questione politica e questione morale quale fondamento di una ridefinizione di modelli di comportamento, di costume, di limitazione del perimetro possibile d’intervento della corruzione, favorendo una rigida e severa distinzione di ruoli e una ripresa d’iniziativa pubblica sui temi dell’economia, potrebbe rappresentare una prima traccia di lavoro per la definizione di un progetto di alternativa. A questo quadro si intreccia anche quello riguardante la necessità di opporsi ai progetti di riforma elettorale e costituzionale dal cui malefico intreccio sortirà una repubblica presidenziale “de facto”posta in una condizione di eterna campagna elettorale attraverso la costruzione di cordate e “cerchi magici” facilmente infiltrabili dal malaffare arrivistico, come sempre avviene nei casi di esplicitazione governistica della personalizzazione delle politica, in assenza di soggetti politici collettivi operanti in una quadro realisticamente democratico. Quadro democratico ormai in via di totale estinzione. Non ci si può però arrendersi al considerare come esaustivo dell’opposizione il ruolo di supplenza spesso esercitato dalla Magistratura (sottoposta nel frattempo ad un furibondo attacco da parte di chi detiene poteri statuali in una concezione vieppiù totalitaristica). C’è molto da monitorare e da studiare sull’evoluzione dell’insieme dei rapporti politici, economici e sociali per far uscire, prima di tutto, la società italiana dalla spirale dell’individualismo consumistico e recuperare appieno un senso concretamente “morale” del collettivo, con la coscienza piena di comprendere la realtà drammatica dell’approfondirsi delle dinamiche di diseguaglianza intese come vera e propria “catastrofe sociale”,

venerdì 30 ottobre 2015

Europe’s Politics Of Dystopia

Europe’s Politics Of Dystopia

Turning The Tables: Poland's New Government And Europe

Turning The Tables: Poland's New Government And Europe

Vocidallestero » AEP: Il Portogallo ribelle rovina i piani politici dell’eurozona

Vocidallestero » AEP: Il Portogallo ribelle rovina i piani politici dell’eurozona

Poland’s choice: the day after | European Council on Foreign Relations

Poland’s choice: the day after | European Council on Foreign Relations

Socialist Economic Bulletin: Tories have no answer for slowdown. Corbynomics does.

Socialist Economic Bulletin: Tories have no answer for slowdown. Corbynomics does.

Su rifugiati e Europa, la Svizzera si scopre meno elvetica - Limes

Su rifugiati e Europa, la Svizzera si scopre meno elvetica - Limes

Policy Network - The left needs a better conversation on national sovereignty

Policy Network - The left needs a better conversation on national sovereignty

Intervista a Pierluigi Bersani | Pandora Pandora

Intervista a Pierluigi Bersani | Pandora Pandora

Cade il Muro di Berlino a Lisbona | Pandora Pandora

Cade il Muro di Berlino a Lisbona | Pandora Pandora

Gallino: “Abbiamo perso. Ha vinto l’ideologia neoliberale” - micromega-online - micromega

Gallino: “Abbiamo perso. Ha vinto l’ideologia neoliberale” - micromega-online - micromega

Perché’ in Italia non c’è Podemos?

Perché’ in Italia non c’è Podemos?

Polonia, chi è Beata Szydlo

Polonia, chi è Beata Szydlo

Portogallo, la sinistra unita ha i numeri per governare, il presidente incarica il centrodestra | Left

Portogallo, la sinistra unita ha i numeri per governare, il presidente incarica il centrodestra | Left

Appello per una manifestazione globale per la libertà e la ricostruzione di Kobane | Global Project

Appello per una manifestazione globale per la libertà e la ricostruzione di Kobane | Global Project

Fabian Society » Why Labour must embrace a new revisionism

Fabian Society » Why Labour must embrace a new revisionism

Il bluff sulla flessibilità degli investimenti | Claudio Virno

Il bluff sulla flessibilità degli investimenti | Claudio Virno

giovedì 29 ottobre 2015

Intervista a Felice Besostri sui ricorsi contro l'Italicum (27.10.2015)

Intervista a Felice Besostri sui ricorsi contro l'Italicum (27.10.2015)

Keynes Never Left Canada, And Intends To Stay

Keynes Never Left Canada, And Intends To Stay

Franco Astengo: Fiducia

OTTIMISMO, SPERANZA, FIDUCIA di Franco Astengo Ottimismo, speranza, fiducia: tre categorie dello spirito (addirittura la speranza virtù teologale della dottrina cattolica) sparse a piene mani dalla macchina di propaganda del Regime sul capo della massa dei diseredati della terra che popolano le nostre periferie e le nostre metropoli. L’illusione (si tornerà su questo termine) è quella del “vivere nel migliore dei mondi possibili”, accettando le cifre artefatte delle percentuali del PIL e dello spread come fenomeni politici in luogo del realismo che offrono le miserie quotidiane. Intanto ex-governanti (presi a modello) dichiarano di aver sbagliato a mandare al macello milioni di persone e di aver provocato attraverso l’espressione dell’atto più insensato che il genere umano possa concepire, la guerra, una crisi epocale i cui risvolti concreti verifichiamo oggi con l’incolonnarsi biblico di file interminabili di donne, uomini, bambini in fuga dalle loro case, erranti per le strade di un mondo che non conoscono e che li circonda di ostilità e di odio. Per restringerci alla nostra dimensione il dato della qualità infima della propaganda lo rileviamo allorquando un alto magistrato in cerca di ulteriori incarichi nell’ambito della nuova élite mandata dalla Provvidenza (che nessuno, tra l’altro, ha mai chiamato) si permette di fornire giudizi morali sulle Città, sulla vita dei loro cittadini: cosa ne sa Cantone dei sacrifici immani di milioni di romani come di milanesi, come di persone in genere; sacrifici compiuti ogni giorno, in ogni ora, per tirare avanti la baracca di vite davvero difficili? Questo uso di categorie dello spirito per distorcere la verità è veramente pericoloso, inaccettabile: deve essere respinto da chi conserva la lucidità di verificare in ogni momento il gran mare dell’ingiustizia, dell’indifferenza, delle diseguaglianze di classe nelle quali ci si trova a navigare affrontando i marosi dello sfruttamento e della sopraffazione. E’ necessario, ancora una volta, squarciare il “Velo di Maya” dell’illusione per esprimere la categoria indicata dal pessimismo di Schopenhauer: la volontà. La volontà non può che indicare l’obiettivo della lotta sociale e politica, una lotta senza quartiere provvista nel suo intento da quella dose necessaria di pessimismo che sempre va accompagnato all’idea delle “magnifiche sorti e progressive” per combattere l’odio che i padroni dell’economia e della politica esercitano ogni giorno al fine di esprimere il proprio incontrastato dominio. Un odio mascherato proprio dalla propaganda che si ammanta di ottimismo, speranza, fiducia: una propaganda che accende le luci brillanti delle vetrine della comunicazione per portare avanti la colossale mistificazione dentro la quale ci costringono a vivere. Poi ci sarà sempre un Renzi pronto a magnificare fascisticamente i “fari di civiltà” e un “maestro” Tony Blair a pentirsi davanti alle telecamere. Ma cosa accade davvero nella coscienza profonda di un mondo così efferatamente ingiusto? Oppure l’ingiustizia è necessaria, come nell’apologo di Mandeville,a mandare avanti la Storia? Ma quale Storia e in favore di chi? Domande rimaste ancora senza risposte.

La questione sociale, la questione democratica. Documento dell'assemblea socialista del 24 ottobre

Assemblea Socialista Roma 24 Ottobre 2015 La questione sociale, la questione democratica Documento Obiettivo dell’Assemblea socialista del 24 ottobre, e degli incontri che proseguiranno a livello locale e nazionale, è quello di dar vita ad una “area socialista“ nuova e larga nella convinzione che la questione socialista non sia giunta al suo esaurimento; ma anzi, mai come in questo momento, si ripropone con forza concretamente nei fatti per far fronte alla degenerazione economica, sociale e democratica in cui versa il paese. Mai come in questo momento la questione socialista è fondamentale per la ricostruzione di una vera e autentica sinistra democratica, una sinistra che condiziona le proprie proposte ad un sistema di valori democratici e non alle logiche del potere e dei più banali interessi elettorali. Viviamo in un paese in cui la sinistra non c’è più soprattutto per responsabilità del suo partito maggiore. Dalla fase della sua invocata “autosuffi cienza” ad oggi quel partito si é identificato ormai con un modello di potere estraneo alla cultura e alla tradizione del socialismo italiano. Anche per questo occorre ricostruire una sinistra di governo dentro un sistema istituzionale e politico democratico che oggi è messo chiaramente in pericolo. I socialisti non possono separarsi dai valori fondanti il loro pensiero e la loro cultura incentrati sulla difesa e sullo sviluppo della libertà, della democrazia, della giustizia sociale. Non possono rinunciare alla propria storia e alla propria memoria, e non possono rinunciare ad avere una prospettiva politica solida, per associarsi a un disegno di “restaurazione e ordine” che preclude loro ogni possibilità di rilancio della loro funzione autonoma nella politica italiana. Non possono rinunciare a riscoprire il socialismo, e alla sua presenza nella società. I socialisti vecchi e nuovi possono ritrovare u n loro protagonismo, nell’unità, riscoprendo i loro tratti originari che soprattutto negli anni ottanta seppero esprimere con grande dignità. Cambiare, allora come oggi, una certa cultura della sinistra italiana voleva dire e vuol dire riaffermare un istinto di classe, difendere la sovranità nazionale, difendere l’autonomia della politica dall’economia, dalla tecnocrazia e dalla giustizia. Recuperare oggi la continuità con quel messaggio significa ricostruire un’area socialista, aperta, che voglia influire nel quadro politico nazionale, rivolgendosi a tutti coloro che sentono l’appartenenza a questo perimetro politico, a tutti coloro che vogliono un’Italia diversa, offrendo loro l’opportunità di una casa comune. Una casa non sommatoria di sigle e dirigenti ma luogo di partecipazione in cui ci si riconosce per la volontà di costruire idee comuni. Una casa aperta alle nuove generazio ni e a chi vuole contribuire, condividendo valori, idee e metodi per riformare radicalmente il paese. Per questo “area socialista” propone di aprire un confronto con tutti coloro che, pur partendo da convinzioni e sensibilità diverse, decidono di riunirsi e di riconoscersi in questa iniziativa, creando contemporaneamente le condizioni perché all’esterno come nel PSI ci sia un radicale cambio di linea politica e si avvii un nuovo corso che si batta per la riaffermazione dei valori del socialismo e per lo sviluppo delle libertà. C’è una sinistra socialista, democratica nel sociale che, particolarmente fra i giovani, non ha patria ed è apolide. Compito anche del PSI è quello di costruire una prospettiva politica nuova per l’intera sinistra. Obiettivi immediati di “area socialista” sono la costituzione di Comitati socialisti per il No alla riforma costituzionale recentemente appro vata dal Parlamento, la partecipazione ai comitati per l'abrogazione dell'Italicum e quello di tornare a sottoporsi al giudizio degli elettori attraverso la partecipazione piena dei nostri simboli in occasione delle prossime elezioni politiche.

mercoledì 28 ottobre 2015

Una prima valutazione sul DDL Stabilità per il 2016 | CER – Centro Europa Ricerche

Una prima valutazione sul DDL Stabilità per il 2016 | CER – Centro Europa Ricerche

Renzo Penna: Le crisi del capitalismo e dell'ecologia

Le crisi del Capitalismo e dell’Ecologia Renzo PENNA L’ultimo libro del professor Luciano Gallino (Il denaro, il debito e la doppia crisi - Einaudi 2015), una sorta di testamento politico-sociale rivolto ai giovani (i nipoti), analizza la doppia crisi del capitalismo e del sistema ecologico. Fra di loro strettamente collegate, con la seconda dipendente dalla prima. Una doppia crisi che è stata, dagli anni ’80 in poi, la causa fondamentale della sconfitta teorica e pratica dell’idea di uguaglianza. Idea, soprattutto politica, che si è affermata con la Rivoluzione francese ed ha avuto nel corso di due secoli una marcia faticosa e incerta, ma che nel complesso ha registrato risultati straordinari. La facoltà di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento; la formazione di sindacati liberi; la graduale estensione del voto a tutti i cittadini; la tassazione progressiva; l’ingresso del diritto nei luoghi di lavoro; l’istruzione libera e gratuita per tutti sino all’università; la realizzazione dello stato sociale; i limiti posti alle attività speculative della finanza. I periodi più favorevoli per l’affermazione di tale principio sono stati gli anni trenta con la presidenza Roosevelt negli Stati Uniti e i primi trent’anni dopo la Seconda guerra mondiale, in quasi tutti gli Stati europei, compresa l’Italia. Una marcia che sul finire degli anni ’70 si è arrestata perché - secondo il professore di Torino - chi l’aveva subita, una ristretta classe di personaggi super-potenti e super-ricchi che controlla la finanza, la politica e i media, iniziò un feroce e sistematico attacco a qualsiasi cosa avesse attinenza con l’uguaglianza. Si tratta dell’1 per cento della popolazione mondiale, criticato nei moti di piazza anti Wall Street, che le recenti statistiche sulla concentrazione della ricchezza confermano. Iniziarono i governi Reagan e Thatcher con lo smantellare i sindacati; in Francia Francois Mitterand liberalizzò senza limiti i movimenti di capitale e le attività speculative delle banche (una delle radici della crisi attuale); in Germania Gerhard Schroder, tradendo lo spirito e la pratica della socialdemocrazia, assestò, con le leggi note come Agenda 2010, un duro colpo ai salari, ai sussidi di disoccupazione, alle condizioni di lavoro nelle fabbriche, alla sanità e alle pensioni. In Italia ci hanno pensato le leggi Treu del ’97, Maroni-Sacconi del 2003, Monti-Fornero del 2012, Renzi del 2014-’15, ad accrescere il precariato, a ridurre con l’eliminazione dei diritti la dignità dei lavoratori e a mettere in discussione il ruolo dei sindacati. Nello stesso arco di tempo i governi hanno operato drastiche riduzioni all’istruzione, all’università, alle pensioni, alla sanità, in base al racconto - del tutto falso - che tutti si era vissuti al di sopra dei nostri mezzi. Tornando alla doppia crisi, Gallino sostiene che la stessa crisi del capitalismo abbia diversi aspetti: l’incapacità di vendere tutto quello che produce; la riduzione drastica dei produttori dei beni e servizi che abbiano un reale valore d’uso; lo sviluppo senza controlli e regole del sistema finanziario, divenuto il vero dominus di ogni aspetto della vita sociale. Alle quali si reagisce aumentando lo sfruttamento irresponsabile dei sistemi che sostengono la vita e ostacolando in diversi modi gli interventi che sarebbero necessari per preservare il sistema ecologico della terra, prima che sia troppo tardi. Il tutto applicato con il sostegno di una ferrea teoria ideologica, quella del neoliberismo, che riduce tutto e tutti a mere macchine contabili. Ma le contraddizioni di questo modello stanno raggiungendo punti di criticità sempre più evidenti e si stanno scontrando con la crisi irreversibile del sistema ecologico. Da un lato l’economia capitalistica consuma molte più risorse biologiche di quante la Terra non produca o riesca a produrre, mentre le riserve fossili sono in via di esaurimento. Dall’altro lato i guasti inferti al clima, non solo sotto forma di riscaldamento globale dell’atmosfera, stanno per raggiungere un punto oltre il quale i danni alle condizioni di esistenza di gran parte dell’umanità potrebbero diventare irreversibili. Alcuni dati testimoniano ciò in modo inequivocabile. Alla fine del primo decennio del nuovo secolo l’impronta ecologica dell’umanità era stimata in 1,5. Una cifra che significa un consumo delle risorse biologiche e delle capacità di rigenerazione dei terreni, dei mari, dei boschi, da parte della popolazione mondiale, che necessita di una Terra una volta e mezza più grande. E questo avviene perché l’80 per cento dei consumi è dovuto solamente al 20 per cento della popolazione. Se i consumi della parte restante del pianeta - come sarebbe giusto - dovessero avvicinarsi a quelli dei paesi più ricchi, di Terre ne servirebbero quattro o cinque. Per quanto riguarda le risorse fossili (carbone, petrolio, minerali) queste rappresentano una grandezza finita, mentre il sistema capitalistico opera come fosse infinita. Da qui deriva, con l’obiettivo dichiarato di superare l’attuale crisi economico-finanziaria, la continua riproposizione e invocazione della crescita dei consumi per sostenere la crescita dei prodotti e delle produzioni, come fosse possibile ripetere, nei paesi sviluppati - Europa e Stati Uniti - uno sviluppo basato sulle quantità e analogo a quello registrato nei primi tre decenni dell’ultimo dopoguerra. Ancora più preoccupante, e con fenomeni evidenti in forte aumento, è la crisi climatica, dovuta sostanzialmente al riscaldamento dell’atmosfera prodotto dalle attività umane. Sin qui le denunce concordi del 97 per cento degli scienziati che studiano il clima sono rimaste del tutto inascoltate. E ciò nonostante che gli effetti del riscaldamento del pianeta si ripetano ormai ogni giorno e riguardino eventi pluviali o nevosi di portata catastrofica e localizzazioni mai prima verificate. La generazione di questi fenomeni è ormai conosciuta e, tutto sommato, semplice. L’aumento delle temperature dei mari e dei ghiacciai perenni dell’Artide, dell’Antartide, della Groenlandia ha fatto si che miliardi di metri cubi di acqua si trasformino in vapore aggiunto per ripiombare, nelle forme violente che abbiamo imparato a conoscere, sulla Terra. Così come viene dato per certo un aumento del livello dei mari che potrebbe allagare diverse zone costiere, comprese le città rivierasche che le popolano. Inoltre la maggioranza degli studiosi del clima ritiene che potremmo essere vicini a punti di non ritorno che procurerebbero alle condizioni di vita di ampie zone dell’umanità danni gravissimi e irreversibili. Causando lo spostamento, per motivi ambientali, di intere popolazioni che si aggiungerebbe agli attuali esodi dovuti alle guerre e alla fame. A conclusione di questa parte del racconto, accanto al timore per ciò che potrebbe accadere, viene proposta dall’autore una considerazione morale. Quasi quaranta anni fa il filosofo Hans Jonas pubblicava l’opera Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, che risulta oggi ancor più valida di allora. L’uomo, in forza dello sviluppo della tecnologia, ha conseguito un potere senza precedenti sul destino del pianeta e con esso dell’intera umanità. Simile potere dovrebbe aver trasmesso ai principali decisori economico-sociali una consapevole responsabilità. D'altronde già nei primi anni ’70 il rapporto del Club di Roma di Aurelio Peccei si era incaricato di dimostrare che, essendo le risorse della Terra non infinite, dovevano essere posti per tempo dei limiti alla crescita. In conclusione non sta accadendo qualcosa a cui noi assistiamo come semplici spettatori, ma siamo noi gli attori primi del destino che stiamo preparando a noi stessi e ai nostri discendenti. Non tra decenni, come pensa chi, egoisticamente, si comporta e decide in maniera irresponsabile, ma in un futuro prossimo valutabile in pochi decenni. Come afferma, insieme ad altri, un autorevole rapporto dell’Onu di fine 2014. Di conseguenza occorre pensare ad una svolta radicale del modo di organizzare e indirizzare l’economia e cambiare l’attuale modello di crescita. Sapendo che non sarà un’impresa facile. I governi e le istituzioni europee, nonostante i disastri che hanno combinato negli ultimi decenni con le politiche di austerità, continuano acriticamente a mantenere nelle dottrine e nelle politiche neoliberali i riferimenti fondamentali per le loro decisioni. Le vie per uscirne non sono molte e non tutte auspicabili, specie se dovesse continuare ad essere perseguita una crescita dissennata dei consumi e delle diseguaglianze in spregio, non solo del presente, ma del futuro dell’umanità. Luciano Gallino dedica l’ultimo capitolo del suo volume alla ricerca di valide alternative in grado di sottoporre il capitalismo ad un grado ragionevole di controllo democratico. Ve lo consiglio insieme al libro che è tutto da leggere. Alessandria, 25 ottobre 2015

L’ETICA DELLE INTENZIONI E L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ PER IL FUTURO DI MILANO | Beppe Merlo | ArcipelagoMilano

L’ETICA DELLE INTENZIONI E L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ PER IL FUTURO DI MILANO | Beppe Merlo | ArcipelagoMilano

DOPO EXPO: NON INCIAMPARE SUBITO | Marco Vitale | ArcipelagoMilano

DOPO EXPO: NON INCIAMPARE SUBITO | Marco Vitale | ArcipelagoMilano

IL PRESIDENTE MATTARELLA SCRIVE A MILANO: LODI MA ANCHE SPRONE | Stefano Rolando | ArcipelagoMilano

IL PRESIDENTE MATTARELLA SCRIVE A MILANO: LODI MA ANCHE SPRONE | Stefano Rolando | ArcipelagoMilano

IL CIVISMO METROPOLITANO E IL SUO OMBELICO | Luca Beltrami Gadola | ArcipelagoMilano

IL CIVISMO METROPOLITANO E IL SUO OMBELICO | Luca Beltrami Gadola | ArcipelagoMilano

martedì 27 ottobre 2015

La questione sociale e la questione democratica - Assemblea Nazionale Socialista (24.10.2015)

La questione sociale e la questione democratica - Assemblea Nazionale Socialista (24.10.2015)

Poland's Dangerous Seismic Shift To The Hard Right

Poland's Dangerous Seismic Shift To The Hard Right

What Really Caused The Financial Crisis And What To Do About It

What Really Caused The Financial Crisis And What To Do About It

In Defence Of Slovak Social Democracy

In Defence Of Slovak Social Democracy

www.nens.it/_public-file/VISCO.Corsera.27.10.15.pdf

www.nens.it/_public-file/VISCO.Corsera.27.10.15.pdf

Francesco Somaini: Uso e abuso della storia

Uso e abuso della storia. Che Amin Al-Husseini, Gran Muftì di Gerusalemme dal 1921 al 1974, fosse una canaglia è a mio parere fuori discussione. Che molta parte del cosiddetto nazionalismo arabo fiorito dopo il crollo dell’Impero Ottomano avesse maturato violenti sentimenti antigiudaici (ovviamente anche in relazione all’arrivo crescente di coloni sionisti in Palestina) é altrettanto evidente. L’anti-sionismo viscerale divenne ben presto anti-ebraismo tout court e questo portò tutto questo mondo (con il muftì in testa) a simpatizzare fortissimamente con il nazismo ed a stringere con esso legami e rapporti. È probabile (ed è anzi provato) che il muftì fosse assolutamente a favore della “soluzione finaleˮ e dello sterminio di tutti gli ebrei. Nel 1943 egli contribuì all’arruolamento della divisione SS Anskar: la divisione delle SS musulmane. Si può altresì ritenere, con buon fondamento, che quando nel novembre del 1941 il muftì venne ricevuto a Berlino da Hitler egli dovette più che verosimilmente approvare e magari anche sollecitare la messa in atto delle decisioni più drastiche riguardo agli ebrei (è chiaro del resto che il muftì non doveva vedere con favore l’eventualità di milioni di profughi ebrei che, cacciati dall’Europa “nazistificataˮ, finissero magari per approdare in Palestina, e quindi si augurava che gli ebrei venissero semplicemente sterminati). Tutto questo è chiaro ed è anche noto. Ed è altresì noto che echi di queste posizioni ancora si ritrovano nel .mondo palestinese di oggi (la cui ostilità verso Israele si nutre spesso anche di argomenti che discendono direttamente dalla peggiore propaganda anti-semita europea). Basti dire, ad esempio, che la carta costitutiva di Hamas ancora menziona come documenti autentici un testo quale i famigerati Protocolli dei Savi di Sion (il noto falso antisemita messo in giro dalla polizia segreta zarista ai primi del '900 e che i nazisti rilanciarono come la presunta prova del famoso complotto giudaico per il dominio del mondo). Con tutto questo però è chiaro dove Netanyahu volesse andare a parare col suo recente discorso su un Hitler propenso alla mera deportazione degli ebrei e viceversa convinto proprio dal Gran Muftì a mettere mano alla "soluzione finale". Il senso di quel messaggio del premier israeliano è infatti fin troppo chiaro, ed è che i Palestinesi (raffigurati di fatto come gli eredi diretti del Gran Muftì) sono peggio dei nazisti. Questo non è soltanto un giudizio storico piuttosto grossolano e incautamente revisionista (si finisce quasi per dire che Hitler non era poi nemmeno cosi cattivo), ma è chiaramente una mossa politica grave, volutamente contraria ad ogni possibile discorso di pace tra Israeliani e Palestinesi. Netanyahu se ne esce con queste sparate a un tanto al kilo non certo per fare chiarezza sul passato, ma con il solo obiettivo di gettare benzina sul fuoco della situazione attuale. Non cogliere questo dato o minimizzare le sue parole e derubricarle ad un mero errore storiografico, come se stessimo parlando di un’inesattezza pronunciata a un convegno di filologia, mi pare molto sbagliato. Chi ha veramente a cuore Israele dovrebbe, io credo, prendere con più nettezza le distanze dalla sconsideratezza del suo attuale governo.

Franco Astengo: Presentati i ricorsi avverso l'Italikum

PRESENTATI I RICORSI AVVERSO L’ITALIKUM: UNA AZIONE POLITICA GIUSTA DA SOSTENERE SENZA RISERVE di Franco Astengo - Raffica di ricorsi contro l'Italicum. La nuova legge elettorale è stata impugnata con una serie di ricorsi analoghi, depositati in contemporanea in una quindicina di Corti d'appello, tra cui Roma, Milano, Napoli. Nel mirino, tra le altre questioni, premio di maggioranza e ballottaggio. Ora spetta ai giudici valutare se accogliere le istanze. Si tratta di un’azione politica giusta da sostenere senza riserve sul territorio. E’ necessario il massimo sostegno da parte di forze politiche, comitati per la Costituzione, associazioni. La legge elettorale, denominata per volere dello stesso Presidente del Consiglio “Italicum” e pensata anche addirittura come modello a livello europeo, era stata approvata qualche mese fa in via definitiva dalla Camera dei Deputati. Le modalità con le quali quest’approvazione era avvenuta sono ben note: la sola maggioranza (anzi una parte di essa) ha votato Sì, hanno espresso voto contrario un numero limitato ma importante di esponenti della minoranza del PD, sono rimasti fuori dall’aula i deputati rappresentanti delle minoranze, sia di destra, sia di sinistra, sia di collocazione indefinita come nel caso del M5S. Un esito che ha contraddetto i principi fondamentali sui quali dovrebbe basarsi l’approvazione parlamentare di una legge elettorale: quello della larga condivisione e quello della “visione sistemica” che una legge elettorale dovrebbe contenere in sé. Siamo alla terza legge elettorale politica in 22 anni (senza contare i vari mutamenti avvenuti nelle leggi elettorali regionali e amministrative): veramente un po’ troppo frequenti. Una legge elettorale che poggia su tre cardini: la logica premiale, la logica proporzionale di lista, la logica oligarchica. Si presentano così grossi problemi tutti racchiusi all’interno di una questione di fondo: quella relativa al superamento del modello di Repubblica Parlamentare disegnato dalla Costituzione del’48. In maniera surrettizia e anche truffaldina si entra, infatti, in un regime di premierato o cancellierato, tramite una fittizia elezione diretta (perché di questo si tratterà nell’eventuale ballottaggio). Un dato di gravità assoluta rispetto alla caduta di qualità che la già debole democrazia italiana ha già fatto registrare nel corso del ventennio contrassegnato dal passaggio tra il sistema proporzionale a quello maggioritario e dall’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Regione (quest’ultima una vera sciagura, causa tra le altre ma assai importante delle degenerazione politico- istituzionale compiuta nel corso degli anni dall’Ente Regione: un vero disastro!) Questo indebolimento sostanziale si verifica soprattutto perché assistiamo all’affievolimento dei contrappesi istituzionali che portano di conseguenza a un’eccessiva concentrazione di potere che, considerata nell’attualità la natura dei partiti, si tramuta oggettivamente in concentrazione di potere personale. Il premio di maggioranza non esiste, del resto, in nessuna democrazia matura e costituisce una vera e propria forzatura rispetto a un impianto proporzionale che, nelle condizioni date, finirà per generare un sistema fondato su di un solo partito “pivotale” schierato al centro del sistema e fondativo di quella concentrazione di potere personale appena richiamato e un certo numero di cespugli intorno, di diversa ma non eccessiva dimensione. Il tutto presuppone uno scenario che, alla fine, in occasione dell’inevitabile ballottaggio vedrà protagonisti due soggetti , PD e o M5S o Forza Italia, entrambi allineati nel populismo della cosiddetta antipolitica, pronti a esercitare la funzione di governo in una dimensione di tipo sala zarista. Si tratterebbe di un tragico esito del tentativo di forzatura bipartitica del sistema che era già stato tentato, nel 2008, attraverso l’espressione dal parte del PD della cosiddetta “vocazione maggioritaria” e da parte del centro-destra dalla formazione di un PDL che poi non avrebbe retto comunque la prova del governo. Va ricordato ancora come Forza Italia abbia storicamente rappresentato un soggetto di concentrazione del potere personale e insieme di espressione di una destra di tipo populistico, assolutamente minoritaria nel Resto d’Europa, in alleanza costante con l’espressione razzista della Lega Nord. Il quadro complessivo, rafforzato dalla modifica nel metodo d’elezione e nella composizione del Senato sviluppatasi anch’essa in senso di negazione della democrazia, sarà quello del definitivo superamento dell’impianto istituzionale fondato sulla rappresentatività politica disegnato dalla Costituzione Repubblicana. Un affossamento dei principi fondamentali della stessa democrazia liberale al quale opporsi senza esitazioni.

Jeremy Rifkin, The Third Industrial Revolution: How Lateral Power Is Transforming Energy, the Economy, and the World

Jeremy Rifkin, The Third Industrial Revolution: How Lateral Power Is Transforming Energy, the Economy, and the World L'economia globale sta rallentando, la produttività è in declino in ogni area del pianeta, e la disoccupazione resta ostinatamente elevata in ciascun Paese. Allo stesso tempo l'ineguaglianza economica fra ricchi e poveri ha raggiunto il punto più alto nella storia dell'umanità. Nel 2010 la ricchezza accumulata dalle 388 persone più ricche del pianeta ha eguagliato quella della metà più povera del genere umano. Nel 2014 la ricchezza degli 80 (80!) individui più ricchi del mondo ha eguagliato quella della metà più povera del genere umano. Questa tragica realtà economica viene oggi ulteriormente aggravata dalla rapida accelerazione dei mutamenti climatici cagionata dall'aumento delle emissioni dei gas prodotti dall'industria, responsabili del riscaldamento globale. I climatologi sostengono che la concentrazione globale del carbonio nell'atmosfera, che negli ultimi 650 mila anni è andata dalle 180 alle 300 parti per milione, è salita dalle 280 ppm immediatamente precedenti all'alba dell'era industriale alle 400 ppm del 2013. Le concentrazioni di metano e monossido d'azoto nell'atmosfera, cioè gli altri due gas che surriscaldano il pianeta, mostrano traiettorie altrettanto ripide. Al summit globale sul clima di Copenhagen del dicembre 2009 l'Unione europea propose che le nazioni del mondo ponessero un limite all'incremento della temperatura terrestre fino a 3,5 gradi Fahrenheit (2 gradi Celsius). Ma anche un incremento di soldi 3,5 gradi finirebbe per riportarci alla temperatura del pianeta Terra di molti milioni d'anni fa, cioè all'epoca del Pliocene, con conseguenze devastanti per gli ecosistemi e la vita umana. La proposta dell'Ue venne ignorata. Oggi, sei anni più tardi, l'impennata nell'uso dei combustibili a base di carbonio ha aumentato i livelli del diossido di carbonio atmosferico ad una velocità di gran lunga superiore alle proiezioni precedenti, rendendo probabile una fuga della temperatura terrestre oltre l'obiettivo dei 3,5 gradi, per raggiungere il traguardo degli 8,6 gradi Fahrenheit (4,8 gradi Celsius) entro il 2100 - temperature che sulla Terra non si erano viste da milioni di anni a questa parte. (Ricordate, gli esseri umani anatomicamente moderni - la specie più giovane - hanno abitato il pianeta solo per gli ultimi 195 mila anni circa). A rendere tanto terrificanti questi picchi della temperatura terrestre, c'è il fatto che l'aumento della temperatura vada ad alterare drasticamente il ciclo idrologico planetario. Il nostro è un pianeta acquatico. I diversi ecosistemi terrestri si sono evoluti nel corso delle epoche geologiche in modo strettamente connesso all'andamento delle precipitazioni. Ogni volta che la temperatura sale di un grado Celsius significa un aumento del 7 per cento nella capacità dell'atmosfera di trattenere l'umidità. Questo porta a un drastico cambiamento nella distribuzione dell'acqua, con precipitazioni più violente, ma una riduzione nella loro durata e nella loro frequenza. Le conseguenze già si avvertono negli ecosistemi planetari. Stiamo vivendo nevicate invernali più dure, tempeste e inondazioni primaverili di portata più drammatica, siccità estive più prolungate, un numero superiore d'incendi boschivi, uragani più intensi (di categoria 3, 4 e 5), lo scioglimento dei ghiacci sulle alte vette e l'innalzamento del livello del mare. Gli ecosistemi terrestri non sono in grado di riadattarsi a un cambiamento talmente drastico del ciclo dell'acqua del pianeta in un lasso di tempo tanto breve, e vengono perciò sottoposti a uno stress sempre più intenso, tanto che alcuni di essi si ritrovano sull'orlo del collasso. Oggi la destabilizzazione delle dinamiche dell'ecosistema in tutto mondo ha portato la biosfera al sesto evento di livello estintivo degli ultimi 450 milioni di anni della vita sulla Terra. In ciascuna delle cinque precedenti estinzioni il clima terrestre aveva raggiunto un punto critico, spingendo l'ecosistema in un circolo vizioso che ha cagionato la veloce distruzione della biodiversità del pianeta. In media, ci sono voluti fino a dieci milioni di anni per recuperare la biodiversità perduta. I biologi ci dicono che potremmo assistere all'estinzione della metà delle specie terrestri entro la fine di questo secolo, inaugurando una nuova epoca desolata che potrebbe durare milioni di anni. James Hansen, ex capo dell'Istituto Goddard per gli Studi Spaziali della Nasa, prevede un'ascesa della temperatura terrestre di 4 gradi Celsius fra oggi e la fine del secolo - e con essa, la fine della civiltà umana così come la conosciamo. L'unica speranza, secondo Hansen, è quella di ridurre l'attuale concentrazione di carbonio nell'atmosfera dalle 400 ppm alle 350 ppm, più o meno.

PostCapitalism: The Economy Of The Future?

PostCapitalism: The Economy Of The Future?

domenica 25 ottobre 2015

Franco Astengo: Ideologismi

IDEOLOGISMI Vale proprio la pena di riprendere, sia pure in forma estremamente succinta, la critica che Alessandro Penati sviluppa oggi, 25 Ottobre, sulle colonne di “Repubblica” alla Legge di Stabilità . Nel testo, infatti, sotto il titolo di prima pagina “La manovra dell’ideologia” si sostiene come il raffazzonato documento che sarà sottoposto nei prossimi giorni all’esame di Bruxelles e poi del Parlamento italiano, non sia altro che un impasto ideologico di bassa lega. Attenzione però l’impasto ideologico non è rivolto all’acquiescenza verso il cosiddetto neo – liberismo, la cui ideologia imperante, esercitata all’insegna proprio della “morte delle ideologie”, ha sviluppato per almeno 3 decenni un’egemonia pressoché incontrastata sui temi economico – sociali (e di conseguenza politici, abbinandovi, infatti, lo slogan dell’economia come primato sulla politica). La legge di Stabilità varata dal governo Renzi si muove, invece, nel solco della pura e semplice propaganda: un coacervo di mistificazioni, tipiche dell’agire politico di questi soggetti e in particolare del PD, che tendono a occuparsi “de minimis” puntando semplicemente all’ accumulazione di un consenso al riguardo del quale non ci si aspetta, poi, neppure un minimo di verifica pubblica (tanto a livello parlamentare su ogni passaggio controverso si tratterà di porre la questione di fiducia). Nel suo articolo Penati fa tre esempi: quello dei 3.000 euro buttati lì sapendo benissimo che, comunque, non arriverà alcuno stimolo per la crescita dei consumi. E’ solo marketing politico si sostiene nel testo.. Del tutto ideologica viene considerata anche (a ragione N.d.R.) l’abolizione della tassa sulla prima casa, alla quale si perviene dopo che sembra essere stata abbandonata la strada di una riforma del catasto della quale si parla ormai da più di trent’anni. Anche lo spauracchio di Bruxelles è usato strumentalmente per catturare simpatie nel vasto movimento anti-europeo che si sta allargando non solo in Italia e insidiare il patrimonio elettorale di Lega Nord, M5S e Forza Italia. Insomma la Legge di Stabilità è usata per costruire/ricostruire un consenso che occhieggia alle parti più basse dell’individualismo consumistico, agli impulsi più negativi dell’istinto “compradoro” ed egoistico di quella che un tempo poteva definirsi piccola borghesia. Restano totalmente fuori i grandi tempi del rapporto con L’Europa dei banchieri, della mancanza di politica industriale, della corruzione dilagante, delle difficoltà degli Enti Locali, del fallimento delle Regioni, della capacità di affrontare i grandi drammi dell’epoca primo fra tutti quello della guerra e delle sue tragiche conseguenze. L’opposizione su questi terreni non esiste e non potrebbe esistere semplicemente perché ha accettato in pieno l’ideologia dominante: quella della propaganda fine a se stessa, dell’esaltazione dei personaggi più o meno televisivi, dell’indifferenza verso i “casi” di malcostume che quotidianamente vengono scoperti a tutti i livelli. Un vecchio discorso quello della politica ridotta all’apparenza: fenomeno fatto passare come modernità al posto dei ferri vecchi delle contraddizioni sociali, del riferimento allo scontro di classe, alla realtà dei drammi quotidiani di milioni di persone. Un discorso però che rimane di grande attualità da affrontare proprio sul piano di ritrovare espressioni sul piano ideologico. Intendendo il piano ideologico quello che permette di capire subito “da che parte stare”, quali sono i discrimini, la barricata giusta. In questo modo invece si esalta una sorta di “ marmellata sociale”, di politica fatta di verbalismi pieni soltanto di se stessi (l’incredibile “Il mondo ha fame d’Italia”) utilizzati, è bene chiarirlo, per un fine questo sì’ tutto ideologico: porre i potenti di sempre al riparo da qualsiasi possibilità di vedere incrinato il proprio dominio, la propria capacità di sopraffazione. L’ideologia del governo Renzi è facile da individuare: tra massoneria e grande finanza preservare il dominio degli eterni “padroni del vapore”.

Intervista a Franco Monaco

la repubblica 25 ottobre L’intervista. di Renzi. “Se nasce una forza con consensi a due cifre può costringere il premier a modificare l’Italicum” Monaco rompe il tabù “Scissione amichevole basta liti su tutto nel Pd” ROBERTO RHO Il senatore prodiano attacca il “centrismo” MILANO . Franco Monaco, ex presidente di Azione cattolica, prodiano del Pd, ha partecipato alla “cena dei ribelli” ed è uno dei pochissimi a pronunciare la parola impronunciabile. Scissione. Però accompagnata da un aggettivo, «amichevole» che sembra una sfida, anzi un azzardo, in una famiglia dove si litiga su tutto. Può spiegare la sua proposta, onorevole Monaco? «Più che una proposta la definirei una provocazione audace. Parte dalla constatazione quotidiana della sofferenza di tanti colleghi parlamentari del Pd, a disagio con il profilo neocentrista del segretario Renzi. Sofferenza che causa discussioni continue e una ormai reiterata distinzione su tutti i temi del dibattito politico». Adesso anche sulla legge di Stabilità. «Appunto. Fino a che si divaricano le posizioni sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali si può capire, ma se ci si divide anche sull’azione di governo, sul lavoro, sulla scuola, sulla Rai, sulla concorrenza… allora la situazione diventa insostenibile e indifendibile in un partito degno di questo nome». Come se ne esce? «Sedendosi a un tavolo, prendendo atto delle differenze non componibili e separandosi da buoni amici, senza reciproci anatemi. Se ve ne saranno le condizioni, domani ci si potrà nuovamente alleare tra un centro renziano e una sinistra di governo sulla base di un programma condiviso ». Buoni amici? Nel Pd? «Ho detto, la mia è una provocazione audace. So bene che Bersani ha il mito, figlio del vecchio Pci, dell’unità del partito e che proprio in virtù di questo nell’attuale congiuntura politica si accontenta di esercitare il ruolo dell’azionista di minoranza. Ma so anche che Renzi è poco incline a una gestione partecipata e consociativa del partito ». Un po’ poco per immaginare che «l’audace provocazione» diventi un ordine del giorno, non trova? «Vediamo. Alla lunga bisognerà trarre le conseguenze di queste divisioni continue, su tutte le questioni che contano, incuranti di un vincolo politico prima ancora che disciplinare. Se riuscissimo a mettere insieme la prospettiva di una forza capace di raccogliere consensi a due cifre, allora anche Renzi potrebbe essere indotto ad affrontare la revisione della legge elettorale nel senso del premio alla coalizione piuttosto che alla lista vincente». E se la sua provocazione cade nel vuoto che fa, lascia il Pd? «No guardi, io non lascio il Pd se non per un’operazione politica maiuscola. Le fuoriuscite individuali sono liberatorie per il travaglio personale dei singoli, e come tali le capisco, ma politicamente ininfluenti ». Eppure a sinistra del Pd c’è movimento. Vendola, Civati, Fassina... «Ci sono soggetti più personali che collettivi, un ginepraio dal quale non sortirà granché: faranno una fatica enorme a mettersi insieme e, alla fine, passerà il messaggio di una sostanziale annessione a Sel. Io, vecchio prodiano e ulivista, assisto con disagio alla torsione centrista del Pd, ma sono disponibile solo a manovre politicamente utili alla costruzione di un centro-sinistra alternativo al centrodestra e ai populismi privi di vocazione e di cultura di governo». Centro-sinistra? Torniamo a discutere del trattino? «I trattini mi appassionano poco, quello che intendo è un’alleanza al modo del centro-sinistra storico, imperniato sull’asse Dc-Psi. Del resto, questo Pd renziano ormai si configura come un partito di centro moderato, in tutto diverso da quel partito di centrosinistra, nel solco dell’Ulivo, che avevamo pensato. Non è una cosa brutta, semplicemente diversa. Bisogna prenderne atto». ©RIPRODUZIONE RISERVATA NO INDIVIDUALISMI Serve un’operazione politica vera, inutili le uscite individuali SENZA ANATEMI Diamoci atto delle incompatibilità e addio senza anatemi “ ” DEPUTATO ED EX PRESIDENTE DELL’AZIONE CATTOLICA Franco Monaco con Pierluigi Bersani. Il deputato dice dell’ex segretario: “Ha il mito dell’unità stile-Pci, lui non parteciperà mai a una scissione”

sabato 24 ottobre 2015

Franco Astengo: Spazi politici

SPAZI POLITICI di Franco Astengo Una nota firmata da Paolo Franchi e apparsa sul Corriere della Sera del 22 Ottobre affronta il tema del riallineamento in atto nel sistema politico italiano. I punti di fondo sostenuti in questo testo possono essere così sommariamente riassunti: prima di tutto si nota che, dal punto di vista politico, si può parlare nella situazione italiana di una fuoriuscita dal bipolarismo malato che ha resistito negli ultimi 20 anni. Ciò significa, almeno dal nostro punto di vista, che viene recitato il “de profundis” del centro – sinistra, definendo diversamente il ruolo del PD nel contesto dell’intero sistema e mandando in crisi i tentativi di giudicare caso per caso la prospettiva delle elezioni amministrative di primavera nel tentativo di resuscitare, come intenderebbe fare SeL, quel tipo di schieramento in alcune delle principali Città dove si voterà nella primavera del 2016. Sempre secondo Franchi (ed è questo il secondo punto di riferimento sostenuto nell’articolo) il confronto è ormai, auspice anche la prospettiva dell’Italikum con il ballottaggio di lista, tra il “populismo dall’alto” praticato dal PD o meglio dal “clan” di arrampicatori sociali che dirige quel partito, e il “populismo dal basso” gestito attraverso il web dal M5S. Il tutto realizzato attraverso l’esposizione di contenuti virtuali di tipo trasversale rispetto alla destra e alla sinistra tradizionale. Uno scenario del tutto plausibile quello disegnato da Franchi, se lo valutiamo rispetto alle stime correnti dell’opinione prevalente a livello di larghe masse, influenzate soprattutto dalla televisione (l’opinione politica dei cittadini si forma ancora all’80% attraverso quel mezzo di comunicazione). Uno scenario che, appunto, prevede nella trasversalità delle espressioni da parte dei contendenti la messa da parte, dal punto di vista della rappresentanza politica di tutti coloro che non lo condividono per ragioni di carattere ideologico, culturale, politico, di collocazione sociale. I fattori dell’ideologia, dell’appartenenza politica, dell’espressione culturale, della collocazione sociale appaiono ormai del tutto trascurati: anzi si pensa che i cittadini liberati da tutto questo ciarpame, da laccia lacciuoli sapranno esprimersi al meglio soprattutto nella capacità di interpretare il ruolo di ritorno di sudditi assolutamente consenzienti. Se questo è l’orientamento dei principali contendenti politici (trascurato completamente lo scenario internazionale che pare non interessare più di tanto entrambi, se non per essere utilizzato come fattore di propaganda, in particolare di tipo nazionalista – bellicista da parte del PD) appare evidente che le sacche complessive di disaffezione si allargheranno e che la conseguente “esclusione” dalla politica corrisponderà a un’esclusione di tipo sociale: a ciò si punta, da parte del potere trasversale ormai costituito in Regime, attraverso l’allargamento delle diseguaglianze (fattore escludente di per sé) e la resa impervia, quasi impossibile, dell’accesso alle principali forme d’inclusione sociale e culturale: scuola, sanità, ruolo delle comunità locali. Si evidenzia in questo modo l’esistenza di un vasto spazio a sinistra: un giudizio che si può esprimere senz’alcun ottimismo di facciata, considerando invece con attenzione le difficoltà che derivano nell’occupazione di questo spazio prima di tutto dall’assoluta marginalizzazione per tutti quelli che risultano “fuori dal coro” rispetto alla possibilità d’uso dei grandi mezzi di comunicazione di massa. Questa difficoltà però può essere affrontata (non certo automaticamente superata, ma almeno affrontata) cercando di rovesciare l’impostazione dominante dell’agire politico: si tratterebbe di ritornare a forme d’iniziativa politica radicate nella società, espressione di bisogni reali e di riconoscimento della condizione sociale dei diversi ceti da organizzarsi in un soggetto politico da dotare prima di tutto del gramsciano “senso della storia” e, assieme, di un’adeguata struttura organizzativa non fossilizzata sul recupero di gerarchie obsolete, ma forte di una capacità d’innovazione pur legata alla storia del movimento operaio. Si tratta di prendere i capisaldi del nuovo populismo, quello dall’alto e quello dal basso, e rovesciarli in una serie di punti progettuali legati assieme da un’idea fondativa di nuovo rapporto tra politica e destino, nella ricerca – sempre – di un orientamento di fondo, di una finalità decisiva non limitata all’oggi e alla governabilità spicciola da esercitarsi in maniera intercambiabile tra compari interni allo stesso sistema (che poi altro non è che quello che giudica la sopraffazione capitalistica ineludibile ed eterna). Ne deriverebbe un’originale qualità della “rappresentanza politica”. Perché è proprio l’abolizione del concetto di rappresentanza politica, e la sua sostituzione definitiva con le espressioni dell’individualismo di massa (altro punto davvero comune tra PD e M5S), l’obiettivo di questi sostenitori del definitivo superamento della finalità storica dell’agire politico. Può essere dunque lo spazio della rappresentanza l’area di intervento di una nuova sinistra, al riguardo della costruzione della quale andrebbe intrapresa la difficile strada di una ricostruzione (e non di una rifondazione) prima di tutto posta sul piano teorico. Si tratta di affrontare preparando un progetto organico quella che appare proprio essere la “società del caos”. Senza trascurare, ovviamente, l’iniziativa politica immediata: quella dell’opposizione all’aquila bicipite della conservazione capitalista.

Socialist International - Progressive Politics For A Fairer World

Socialist International - Progressive Politics For A Fairer World

venerdì 23 ottobre 2015

A Left Without Labels

A Left Without Labels

Sette anni di crisi: un bilancio / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Sette anni di crisi: un bilancio / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Finanziaria, cui prodest? / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Finanziaria, cui prodest? / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Risorgimento Socialista | Socialismo largo, insieme per la Democrazia e il Lavoro

Risorgimento Socialista | Socialismo largo, insieme per la Democrazia e il Lavoro

La ripresa italiana è tutta da verificare | Associazione Paolo Sylos Labini

La ripresa italiana è tutta da verificare | Associazione Paolo Sylos Labini

Keynes Comes to Canada - The New York Times##

Keynes Comes to Canada - The New York Times##

Il manifesto della sinistra Pd, quasi ex Democrack. Minoranza dem discute un documento di  Carlo Galli | Libertà e Giustizia

Il manifesto della sinistra Pd, quasi ex Democrack. Minoranza dem discute un documento di  Carlo Galli | Libertà e Giustizia

Le certezze di Draghi e le incertezze dell’economia - Il Sole 24 ORE

Le certezze di Draghi e le incertezze dell’economia - Il Sole 24 ORE

Da São Paulo - Il Ponte

Da São Paulo - Il Ponte

Non solo austerità: la confusione renziana che uccide la ripresa | Gustavo Piga

Non solo austerità: la confusione renziana che uccide la ripresa | Gustavo Piga

Euro sì, euro no. Economisti a confronto - Caratteri Liberi

Euro sì, euro no. Economisti a confronto - Caratteri Liberi

giovedì 22 ottobre 2015

André Gorz, "Ecologia e libertà": quarant'anni dopo - Eddyburg.it

André Gorz, "Ecologia e libertà": quarant'anni dopo - Eddyburg.it

Why Leftists Should Also Be Democrats | Dissent Magazine

Why Leftists Should Also Be Democrats | Dissent Magazine

Which Way to Labour’s Radical Future? | Compass

Which Way to Labour’s Radical Future? | Compass

La Svizzera che va a destra, ma…

La Svizzera che va a destra, ma… Da Zurigo un segnale di lotta al populismo Dall'Avvenire dei lavoratori Il panorama della democrazia svizzera, sempre più subalterna alle sirene xenofobe della destra populista, appare come terremotata dal voto di domenica scorsa che ha sancito una notevole avanzata elettorale delle destre. Ma non ogni speranza è perduta. Domenica scorsa l’elettorato zurighese ha votato in controtendenza rispetto al resto di una Confederazione che appare invece sempre più ansimante e strozzata nella logica chiusa delle piccole patrie di rito alemanno. In libera uscita dal trend attuale, gli zurighesi già al primo turno hanno attribuito uno dei due seggi di rappresentanza cantonale al Consiglio degli Stati (il senato svizzero delle regioni) eleggendo il candidato socialista Daniel Jositsch, professore ordinario di diritto penale e parlamentare da due legislature, che ha superato la maggioranza assoluta con 182’776 preferenze. I suoi concorrenti si contenderanno il secondo posto al ballottaggio, in calendario per fine novembre. Nella Città sulla Limmat non si vedeva più un senatore socialista dai tempi della “cooperatrice” Emilie Lieberherr, eletta allo Stöckli bernese nel 1978. Trionfatore a Zurigo - Daniel Jositsch qui agli inizi della sua carriera parlamentare, insieme alle esponenti socialiste Galladé e Thanei, nel 2009. Non meno rilevante il successo dell’ex ambasciatore elvetico a Berlino, Tim Guldimann, eletto con 102’756 preferenze dopo che era stato candidato a sorpresa candidato dalla “Sezione internazionale” Partito Socialista Svizzero, di cui fa parte anche il “cooperatore” Felice Besostri. All’indomani dell’elezione l’ex diplomatico ha voluto festeggiare il successo al Coopi con un gruppo di collaboratori. La presenza di Guldimann nello storico locale degli antifascisti italiani sottolinea emblematicamente l’intento di riprendere le epiche battaglie contro la xenofobia condotte dal “cooperatore” Ezio Canonica, il grande leader politico e sindacale ticinese, scomparso nel 1978. Sotto i riflettori – Tim Guldimann, ex ambasciatore a Berlino e ora neo-parlamentare a Berna, durante un’intervista a margine della cena al Cooperativo di Zurigo lunedì scorso. Quasi quarant’anni dopo, la Svizzera sembra tornata al punto di partenza. Ma Tim Guldimann, che si autodefinisce “il primo consigliere internazionale eletto al Consiglio Nazionale di Berna”, intende la propria discesa in campo come un contributo al contrasto politicamente efficace delle destre xenofobe svizzere che “con i loro slogan populisti stanno affossando il futuro di questo Paese.” Sul Cooperativo stesso, di cui lunedì scorso era ospite, il neo-parlamentare ha rilasciato una dichiarazione. “In questo 110° anno di attività del Coopi dobbiamo richiamare alla memoria una tradizione dimenticata del nostro socialismo, un socialismo aperto all'Europa e al mondo. Nella lotta contro il nazi-fascismo e, poi, nella battaglia contro la xenofobia degli anni Settanta l'emigrazione italiana ha lavorato con noi in piena solidarietà insieme alla sinistra svizzera di lingua italiana”, ha detto l’ex ambasciatore. “Oggi però il Canton Ticino si chiude sempre più all'Italia in una logica di ostilità ispirata dalle destre populiste. E nella Svizzera tedesca ci stiamo dimostrando incapaci di comprendere come forza politica la maggiore comunità immigrata del nostro Paese, gli italiani”, denuncia Tim Guldimann. E conclude con queste parole: “Eppure proprio gli italiani di prima e seconda generazione potrebbero aiutarci a superare la limitatezza mentale della nostra politica. Noi dobbiamo riprendere coscienza dell'italianità nella nostra identità politica, per rimanere europei”.

martedì 20 ottobre 2015

Francesco Somaini: Sul caso De Luca

L'articolo 21 della Costituzione (la bistrattata Costituzione) sancisce il principio della libertà di espressione. Esso traduce in norma la nota massima, attribuita impropriamente a Voltaire, del "non condivido una parola di quello che dici, ma sono pronto a dare la vita perchè tu lo possa dire". D'altro canto l'articolo 414 del Codice Penale prevede, al comma 1, il reato di apologia di reato (o meglio di apologia di delitto), mentre al comma 2 prevede il reato di istigazione a delinquere. Nel caso De Luca si è evidentemente ritenuto che non vi fossero gli estremi per l'istigazione a delinquere. L'istigazione a delinquere si ha infatti quando uno induce (o addirittura determina) un comportamento delittuoso da parte di un terzo. Se durante una rissa, ad esempio, io incito uno dei partecipanti a colpire un altro ("Colpiscilo! Ammazzalo! Fallo secco!"), commetto istigazione a delinquere. Se in un comizio sobillo la folla a compiere un reato ("Andate dagli zingari e bruciate il campo nomadi!)", commetto istigazione a delinquere. E devo risponderne penalmente. Erri De Luca non avrebbe compiuto istigazione a delinquere (e io sono d'accordo), ma pare difficile sostenere che egli non abbia commesso apologia di reato. De Luca stesso ha infatti rivendicato, anche nel processo, il suo diritto di contestare radicalmente la TAV e di incitare e predicare il sabotaggio dei cantieri. AI sensi dell'articolo 414 comma 1 De Luca, dunque, secondo me doveva essere condannato. Personalmente io considero in realtà un abominio il concetto stesso di apologia di reato. Esso infatti (così come l'apologia di Fascismo, sancita da un'altra legge) assomiglia molto al reato di opinione. E come tale mi pare contrario alla lettera e allo spirito della Costituzione. La Costituzione è più importante del Codice Penale. Essa garantisce a tutti il diritto di pensare e dire quello che vogliono (per lo meno finché questo non si traduce in comportamenti illegittimi verso terzi, con il che si ricade però nell'istigazione a delinquere, o nel reato di diffamazione o in altre fattispecie delittuose). Uno, insomma, deve poter esprimere il proprio pensiero come meglio crede. Il comma 1 dell'art. 414 sull'apologia di reato cozza con questo principio, e per questo, secondo me, quel comma è incostituzionale. Esso dunque andrebbe abolito. Il punto però è che quella legge (ancorché ingiusta) c'è. E le leggi, finché sono in vigore, vanno applicate. La sentenza De Luca invece, mandando l'imputato assolto, ha di fatto, a mio avviso, disapplicato una legge : una legge, ho già detto, che io considero ingiusta e che andrebbe a mio avviso abrogata perché contraria alla Costituzione. Ma pur sempre una legge. Naturalmente bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza per capire cosa abbia ispirato la decisione dei giudici di Torino, ma se assumiamo questo punto (e cioè che una legge esistente non è stata applicata), non c'è da essere particolarmente fieri di quanto accaduto. Oggi infatti De Luca viene assolto. Ma domani un povero Cristo, magari meno famoso di lui, potrà essere condannato solo per aver espresso le proprie opinioni (per quanto sbagliate, o perfino aberranti, quelle opinioni possano magari apparire ai nostri occhi). Io intravedo in tutto questo il rischio di una democrazia di Pulcinella. E una democrazia di Pulcinella, a me pare, non è una democrazia di cui andare troppo fieri.

Franco Astengo: Ancora tra nazione e popolo

ANCORA TRA NAZIONE E POPOLO di Franco Astengo Era opinione della maggioranza dei ceti intellettuali e politici rappresentativi della “modernità” (almeno dagli anni ’80 del XX secolo) che il processo di globalizzazione dell’economia e della trans-nazionalizzazione dei flussi finanziari avrebbe reso obsoleto il concetto di Nazione, mandando in crisi l’ideologia dello Stato burocratico centralizzato. Oggi il fallimento di tutte le ipotesi di collegamento sovra-nazionale e di trasformazione del potere statuale, in presenza di un forte rallentamento del fenomeno che – appunto – era stato più o meno propriamente definito come di globalizzazione – sta portando il mondo sulle soglie di una guerra globale, mentre si stanno svolgendo fortissime guerre locali e si verificano fatti di grande portata come quello di una migrazione fornita di grandissimi numeri che, in Europa hanno già superato quelli pur imponenti accertati a cavallo della seconda guerra mondiale. Il ruolo dell’ONU appare perlomeno appannato, gli USA come solo “gendarme del mondo” sembrano proprio aver esaurito il loro compito lasciando una scia di conflitti non conclusi e l’emergere di nuovi soggetti sorti come diretta conseguenza come l’IS, l’Unione Europea non è riuscita (oppure non si è voluto che riuscisse) ad assumere una dimensione politica, appare evidente la ripresa di un asse di conflitto tra Est ed Ovest (ripresa di ruolo imperiale della Russia; conflitto all’interno della UE tra i paesi provenienti dallo schieramento occidentale tracciato ad Jalta e quelli assegnati, nella medesima occasione, al blocco orientale); l’area di scambio creata da BRICS è alle prese con la profonda ristrutturazione in atto nell’economia cinese e con le difficoltà evidenti di quella brasiliana. Tutti questi fattori, rinchiusi del resto all’interno di una crescita esponenziale del livello di diseguaglianze ben dimostrato nel lavoro di Piketty sul capitalismo del XXI secolo (restando convinti della fallacia delle teorie di Deaton sulla positività del fenomeno, nonostante l’assegnazione del premio Nobel recentemente avvenuta nei confronti di questo autore), contribuiscono a creare quel “Regno del Caos” descritto in alcuni recentissimi testi, gettando un alone di tragedia sulle prospettive della nuova modernità. Anche il fenomeno d’identificazione neoregionalista appare in declino (lo stesso esito delle recenti elezioni in Catalogna lo dimostra in una qualche maniera) e l’unico elemento politico in sicura crescita è sicuramente quello, almeno al riguardo delle democrazie occidentali ( e delle neo-democrazie orientali), della disaffezione, misurabile ben oltre le percentuali delle astensioni elettorali che comunque si aggirano ormai attorno al 50%, percentuale collocata ben oltre la soglia dell’astensione fisiologica che si vuole inevitabile all’interno delle cosiddette “democrazie mature” ( un fattore che si evidenzia, comunque, anche in quelle considerabili ancora come “acerbe”). Forse sarebbe utile, dal punto di vista della filosofia politica, fare un passo indietro e tornare ad un confronto fra i concetti classici di “nazione” e di “popolo”, da intendersi non necessariamente conflittuali tra di loro. Il sociologo inglese A.D. Smith ha molto insistito, in studi abbastanza recenti, sul potenziamento del progetto politico – costituzionale dello Stato nazionale, al fine di concorrere alla realizzazione della nazione come quadro unitario dell’identità e della cittadinanza. D’altra parte il concetto di popolo, all’interno delle democrazie rappresentative, deve essere inteso come soggetto del potere costituente, dotato della possibilità di esprimersi come società strutturata dalla leggi costituzionali. E’ dal confronto tra il concetto di nazione e quello di popolo, intesi nella dimensione appena accennata, che potrà ricostruirsi un progetto di “ri-costituzionalizzazione” della società e assieme una visione geo – politica dei rapporti internazionali da collegare a progetti di cooperazione e di pace in sedi adeguate (il rilancio dell’ONU, ad esempio, in una visione di nuovi equilibri) con una strutturazione politica che, all’interno della dimensione data, assuma le vesti di un’identità sociale ben precisa posta in relazione a “fratture” concretamente operanti nel concreto della quotidianità. Strutturazioni politiche che, ponendosi in questo modo in relazione a progetti ideologici e politici di trasformazione o (contrapposti) di conservazione, potranno sviluppare in modo nuovo forme di soggettività trans-nazionale. Consentendo così alla sinistra di riassumere il proprio ruolo naturale di portatrice del progetto di cambiamento. Un passo indietro, insomma, rispetto all’acquisizione acritica della crisi della globalizzazione in un concerto internazionale profondamente modificato da quello entrato, ormai, in una fase estremamente pericolosa. L’impianto, così sommariamente proposto attraverso questo intervento, incontra un limite di fondo perché possa svilupparsi in una proposta adeguata: quello dell’assenza di soggettività politiche provviste di un bagaglio ideologico e culturale adeguato, su tutti i versanti. Il rischio, in assenza di un processo di ricostruzione in quel senso, è quello di una fase di guerre e di dittature: dittature più o meno feroci, magari anziché con l’uso delle armi del tipico “Stato di polizia”orchestrate attraverso un uso sapiente della menzogna trasmessa dai mezzi di comunicazione di massa al fine di una cloroformizzazione generale, e comunque rette dal primato dell’ineluttabilità del potere dell’economia su quello della politica. Un rischio che sarebbe necessario impegnarci per evitare.

venerdì 16 ottobre 2015

Catalogne-Espagne : une certitude et trois points d’interrogation - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Catalogne-Espagne : une certitude et trois points d’interrogation - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Dopo le legislative in Portogallo: Sta emergendo una nuova sinistra europea | VoxEurop.eu: notizie europee, vignette e rassegne stampa

Dopo le legislative in Portogallo: Sta emergendo una nuova sinistra europea | VoxEurop.eu: notizie europee, vignette e rassegne stampa

Socialist Economic Bulletin: Corbynomics: winning with policy clarity

Socialist Economic Bulletin: Corbynomics: winning with policy clarity

Se la crescita rimane un auspicio / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Se la crescita rimane un auspicio / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Volkswagen, così fan tutti / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Volkswagen, così fan tutti / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Le prossime sfide di Tsipras / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Le prossime sfide di Tsipras / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Tpp, che cosa è e quali conseguenze avrà / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Tpp, che cosa è e quali conseguenze avrà / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Risorgimento Socialista | Qualche considerazione sulla vicenda Marino

Risorgimento Socialista | Qualche considerazione sulla vicenda Marino

La demolizione del diritto del lavoro | mondoperaiomondoperaio

La demolizione del diritto del lavoro | mondoperaiomondoperaio

Non buttate le regioni

Non buttate le regioni

The winners of the Labour conference

The winners of the Labour conference

Flessibilità o domanda aggregata? L’andamento dell’occupazione in Italia | Economia e Politica

Flessibilità o domanda aggregata? L’andamento dell’occupazione in Italia | Economia e Politica

Franco Astengo: La lama sottile dell'ingiustizia

LA LAMA SOTTILE DELL’INGIUSTIZIA di Franco Astengo E’ soltanto una chiave di lettura non di più, neppure suffragata da una lettura analitica dei dati. Una visione di filosofia politica, per non abbandonarsi semplicemente all’aridità dei numeri e restituire alla nostra capacità di osservare il presente il gusto della complessità dell’analisi. il primo scorcio di visuale buttato lì sul testo del Documento Finanziario del Governo ci indica come questo sia percorso dalla sottile lama dell’ingiustizia. Un’ingiustizia inaccettabile per chi ha sofferto in questi anni la ferocia del governo del ciclo capitalistico e ha visto peggiorare sensibilmente le proprie condizioni materiali di vita. Una lama sottile che penetra nel profondo le carni vive della parte più debole della società italiana allo scopo di perpetuare diseguaglianze, esaltare privilegi atavici, fissare bene la barriera di “status” tra ricchi e poveri, alimentare le già rigide distinzioni di classe, consolidare l’evasione fiscale dei ricchi. Tutto ciò avviene proclamando il contrario di ciò che nel concreto sta avvenendo, esaltando la fine della distinzione destra/sinistra, spargendo a piene mani una mal posta ideologia dell’ottimismo, in un quadro dove “il consumatore” è al centro di una religione dell’individualismo “compratore”. Un documento finanziario che non rappresenta altro che la prosecuzione naturale di provvedimenti come il “job act” e la “buona scuola”: provvedimenti che offrono tranquillamente il destro a chi manovra per intensificare lo sfruttamento e a chi intende consolidare le distinzioni sociali di portare avanti i loro progetti Un documento che parla proprio “la voce del padrone”. Un documento che prefigura una società che si vuole sempre più bloccata nella cristallizzazione dei ruoli prestabiliti dalla divisione in classi negando la possibilità di conquistare con grande fatica attraverso la cultura una sia pur minima possibilità di ascensione sociale. Bastano pochi esempi. L’abolizione della tassa sulla casa in maniera indiscriminata :vogliamo conteggiare quanto sarà tolto ai ricchi proprietari di ville, castelli e case super-lusso rispetto agli altri ceti? Chi pagherà davvero questa manovra propagandistica di pura matrice di destra? E ancora: l’assurdità del part-time pre – pensionamento per chi ha 63 anni: non si tratta d’altro che una ripartizione ulteriore di carico di lavoro su chi è già dentro e non certo di una apertura verso nuove assunzioni? Nuove assunzioni che avvengono utilizzando la tagliola del licenziamento “libero” previsto dal job-act. Tutto si tiene nella logica di questo governo fondato sull’autonomia del politico intrecciata al ruolo dei finanzieri e dei padroni del vapore, secondo il tanto decantato “sistema Marchionne”. Accanto alla lama sottile dell’ingiustizia emergono poi gli elementi della “carità pelosa” , della perdita di dignità dei lavoratori, della mortificazione della democrazia in questo caso strangolando ulteriormente gli enti locali, esercitando una sussidiarietà ambigua. Intanto i partiti approvano rapidamente in parlamento l’introito dei rimborsi elettorali e la “questione morale” sale ancora all’attenzione di tutti mettendo in mostra ciò che avviene nei settori più delicati della vita dei cittadini, a partire dalla tanto martoriata sanità. C’è materiale abbondante per alimentare la ribellione più sacrosanta, che può però trasformarsi in semplice ribellismo in assenza di un’opposizione politica e di una proposta di alternativa. Un governo espressione di un PD che ormai pare aver abbandonato ogni remora e che costruisce veri e propri “muri sociali” presentandosi con il volto nazionalista dell’“’Italia orgogliosa”. Non siamo orgogliosi di questa Italia, così come non lo siamo di questa Europa e di questo concerto internazionale che ci sta portando sull’orlo della guerra globale. Siamo orgogliosi della nostra condizione sociale, siamo orgogliosi dei poveri della terra, siamo orgogliosi dei lavoratori che sanno ancora difendere la propria condizione sociale, al di fuori da ogni confine. Siamo ancora orgogliosi dell’idea che intendiamo continuare a praticare di un impegno collettivo per “cambiare lo stato di cose presenti”. Questo documento finanziario ci inquieta: appare proprio come una pugnalata alle spalle. E’ necessario saper reagire.

giovedì 15 ottobre 2015

Oskar Lafontaine, Lettera alla sinistra italiana: con l’Euro non si va da nessuna parte | cambiailmondo

Oskar Lafontaine, Lettera alla sinistra italiana: con l’Euro non si va da nessuna parte | cambiailmondo

La Turchia sotto attacco e gli interessi occidentali | Aspenia online

La Turchia sotto attacco e gli interessi occidentali | Aspenia online

Le migrazioni come strategia di investimento: verso nuovi approcci | Aspenia online

Le migrazioni come strategia di investimento: verso nuovi approcci | Aspenia online

Numeri e geopolitica delle migrazioni verso l'Europa | Aspenia online

Numeri e geopolitica delle migrazioni verso l'Europa | Aspenia online

Paul Myerscough · Corbyn in the Media · LRB 22 October 2015

Paul Myerscough · Corbyn in the Media · LRB 22 October 2015

Reviving The EU Social Dimension: A Political Choice

Reviving The EU Social Dimension: A Political Choice

mercoledì 14 ottobre 2015

La peggiore riforma - Eddyburg.it

La peggiore riforma - Eddyburg.it

Nichi Vendola: Subito i Comitati per il No

INTERNI L’INTERVISTA/NICHI VENDOLA “Faremo subito i Comitati per il No” GIOVANNA CASADIO ROMA. «Lavoreremo da subito alla costituzione dei comitati per il “no“ al referendum sulla riforma costituzionale». Nichi Vendola, il leader di Sel, annuncia la mobilitazione. Vendola, per lei non è una “bella giornata”, come ha twittato la ministra Boschi? «Sarà una bella giornata per la JP Morgan, la banca tra le principali responsabili della crisi legata alla finanza tossica che in un documento del 2013 attribuisce alle Costituzioni antifasciste del sud d’Europa la responsabilità della crisi stessa, perché quelle Costituzioni producono esecutivi tropo deboli e garantiscono tutele ai lavoratori. Eccola smantellata in Italia. La Costituzione del 1948 porta la firma di Terracini ora quella di Verdini». Ma quale è il suo timore? «Siamo di fronte a un impianto riformatore che è non soltanto uno sgangherato pasticcio, ma muta la forma della democrazia italiana in un presidenzialismo camuffato non mitigato da contrappesi ». Non voleva il superamento del bicameralismo paritario? «Era uno dei punti di approdo del centro per la riforma dello Stato di Ingrao. Ma qui la questione è che si determina un mostro giuridico, in cui l’elezione dei senatori è un rebus assoluto ». Non crede nell’elezione dei senatori-consiglieri regionali da parte dei cittadini? «No perché delegata a leggi regionali e scritta in modo criptico e indeterminato». Però non è uno sfregio non partecipare al voto finale come hanno fatto Sel, Fi e l’Aventino di Lega e 5Stelle? «Quello che è accaduto sotto la voce riforma costituzionale è globalmente indecente. Il governo ha quasi commissariato le commissioni parlamentari, un’invadenza che ha mostrato una incredibile leggerezza reclutando transfughi e protagonisti di una nuova stagione di esibito trasformismo. Dov’è il vincolo di popolo che ispira una Costituzione?». Lo sgarbo nei confronti del presidente emerito Napolitano le opposizioni se lo potevano risparmiare? «Sono allergico agli eccessi di personalizzazione nella lotta politica. Però la riforma ha umiliato il Parlamento innanzitutto » . LEADER DI SEL Nichi Vendola, ex governatore della Puglia, è il leader di Sinistra ecologia e Libertà

Franco Astengo: Sinistra, opposizione, alternativa

SINISTRA, OPPOSIZIONE, ALTERNATIVA di Franco Astengo Oskar Lafontaine, ex ministro nei governi della socialdemocrazia tedesca e fondatore della Linke, ha scritto oggi sulle colonne del “Manifesto” una lettera aperta alla sinistra italiana. “Syriza dimostra l’impossibilità di un governo di alternativa. La sinistra deve unirsi e lavorare a un nuovo sistema monetario”. L’articolo comincia così: “Care compagne, cari compagni la sconfitta del governo greco guidato da Syriza davanti all’Eurogruppo ha portato la sinistra europea a domandarsi quali possibilità abbia un governo guidato da un partito di sinistra, o un governo in cui un partito di sinistra sia coinvolto come partner di minoranza, di portare avanti una politica di miglioramento della condizione sociale di lavoratrici e lavoratori…” E più avanti: “ La risposta è chiara e brutale: non esistono possibilità per una politica tesa al miglioramento della condizione sociale della popolazione, fintanto che la BCE, al di fuori da ogni controllo democratico è in grado di paralizzare il sistema bancario di un paese soggetto ai trattati europei” E ancora: “La sinistra europea non ha trovato alcuna risposta a questa sfida, come dimostra soprattutto l’esempio greco. Attendere la formazione di una maggioranza di sinistra in tutti e 19 gli stati membri è un po’ come aspettare Godot, un autoinganno politico, soprattutto perché i partiti socialdemocratici e socialisti d’Europa hanno preso a modello la politica neoliberista. Infine: “Solo una sinistra sufficientemente forte nei rispettivi Stati Nazionali potrà cambiare la politica europea…vi auguro ogni successo per il processo di costruzione di una nuova sinistra italiana”. Naturalmente nell’intervento di Lafontaine si trovano passaggi molto discutibili (primo fra tutti quello contenente la proposta di un nuovo SME): pur tuttavia è il caso di riprenderne con grande attenzione il senso politico complessivo: in questo momento non esiste, in Europa, lo spazio per un ruolo di governo sia nell’ambito del centro – sinistra, sia di una sinistra d’alternativa interna al sistema offerto dall’applicazione del trattato di Maastricht e seguenti. Senza alcuna velleità di rivendicare primazie di sorta, pare allora il caso di riproporre in quest’occasione il documento preparatorio dell’Assemblea autoconvocata svoltasi a Milano lo scorso 18 Gennaio. La convinzione è quella che vi siano dentro a questo documento elementi di analisi e di proposta politica estremamente validi, sui quali varrebbe la pena di riflettere al meglio e di proporre un’adeguata iniziativa politica tesa prima di tutto a costruire il nuovo soggetto politico della sinistra di opposizione per l’alternativa (esigenza rafforzata ulteriormente dall’analisi riguardate i pericoli di guerra a livello globale e del consolidamento di un regime autoritario in Italia). Un obiettivo, quello della costruzione del nuovo soggetto, al cui perseguimento molti colpevolmente si sono sottratti. Ad essi va chiesto di ripensare il complesso di una posizione politica d’attesa, che finisce con lo sconfinare nella neghittosità. Inoltre è davvero l’ora di finirla con i modelli basati sul mix “movimentismo – governativismo”: sono troppe le esperienze (a partire proprio da quella italiana del 2006 – 2008) che ne dimostrano la vacuità negativa. Una vacuità negativa buona soltanto ad alimentare ambizioni personali e di gruppo, principalmente in sede locale con la rincorsa ad alleanze con il PD a scopo “sistemazione propria”. Ecco di seguito (senza correzioni) il documento preparatorio redatto dal gruppo “Autoconvocati per l’opposizione” nell’occasione dell’Assemblea svoltasi a Milano il 18 Gennaio 2015. AUTOCONVOCATI PER L’OPPOSIZIONE – MILANO 18 GENNAIO 2015 RIEDIFICARE La proposta di autoconvocazione per il 18 Gennaio prossimo a Milano, coltiva l’intenzione di discutere i temi della realtà politica dei comunisti, delle forze anticapitaliste, della sinistra d’opposizione per l’alternativa in questa fase in Italia e in Europa. Intendiamo rappresentare, pur nelle difficoltà del momento, il punto di avvio per riedificare la realtà di una presenza politica. La sinistra italiana posta di fronte a un enorme processo di “rivoluzione passiva” derivante da una gestione capitalistica che punta direttamente a un processo di ulteriore innalzamento del livello di sfruttamento, d’impoverimento generale, di restrizione delle libertà democratica ha smarrito da molti anni una capacità di contrasto e di proposta d’alternativa adeguata al livello concreto dello scontro in atto. Scomparsa da tempo ogni possibilità di presenza a livello parlamentare e incapace di collegare la domanda d’insorgenza sociale che pure, in varie forme, percorre la realtà quotidiana la sinistra italiana è priva di un progetto coerente di sintesi, proposta, aggregazione politica. Ciò che ne è rimasto sul piano dell’organizzazione politica ha assunto i modelli dell’avversario rendendosi così subalterna e residuale. Rifondazione Comunista e il Partito dei Comunisti Italiani hanno esaurito una qualche funzione propositiva e puntano a ipotesi diverse al fine di mascherare l’ormai avanzato processo di estinzione. Altri soggetti che pur hanno cercato di mantenere un dato di coerenza con l’identità di classe e il livello di conflittualità che questa richiede non paiono riuscire a incidere nella grande massa di rifiuto dell’impegno politico diretto che, appunto, la crisi complessiva della sinistra italiana ha contribuito, naturalmente assieme ad altri fattori sociali, politici, culturali, a creare. In questa situazione, descritta in estrema sintesi, la sinistra italiana appare muoversi su linee separate sostanzialmente non in grado di proporre una propria espressione autonoma sul piano teorico , dell’azione e dell’organizzazione politica. Si passa, infatti, da un “sentore socialdemocratico” dei residuali componenti della Lista Italiana per Tsipras che dovranno scontrarsi con lo “scoglio” delle elezioni regionali, alla riproposizione di un fascinoso e strutturalmente rassicurante PCI, fosse anche in forma di “enclave” identitaria. Entrambe queste ipotesi non tengono conto però del complessivo spostamento d’asse avvenuto nel sistema politico italiano sul terreno della formazione di un regime autoritario, quale passaggio di una più complessiva sperimentazione europea. La proposta che sarà avanzata a livello nazionale, con l’autoconvocazione del 18 gennaio 2015 a Milano presenta invece almeno quattro caratteristiche del tutto originali e innovative: 1) Prima di tutto si tratta di un progetto “autonomo” sul piano delle dinamiche politiche: s’intende cioè esprimere una possibilità di aggregazione politica posta in diretta relazione con l’opposizione sociale senza proporsi di muoversi nell’immediato in un’ottica di un sistema di relazioni oggettivamente subalterno. 2) In secondo luogo, pur non trascurando i soggetti politici organizzati presenti all’interno del sistema della sinistra d’alternativa in Italia e anzi cercando di coinvolgerli tutti con il massimo possibile della tensione unitaria, si rivolge prioritariamente a tutti quei soggetti, con riferimento ai giovani e alle istanze di lotta che costituiscono la grande riserva politica accumulatasi in questi anni di difficoltà nella militanza e nella partecipazione politica; 3) Il nostro obiettivo, certamente misurato nel tempo e con la piena consapevolezza dell’asperità della strada da percorrere, non è quello di una qualche banale replica di forme associazionistiche già presenti in gran numero nel nostro panorama politico e sociale. L’obiettivo è quello di un nuovo soggetto politico organizzato della sinistra italiana, comunista, anticapitalista, di opposizione per l’alternativa; 4) Il nostro punto di partenza è quello dell’opposizione: un’opposizione rivolta insieme all’attualità della condizione materiale di lotta nella quale ci troviamo e che è già stata abbondantemente descritta e a un’ipotesi di “alternativa di sistema” condotta all’insegna delle idee di uguaglianza che hanno attraversato il ‘900 con esiti complessi e drammatici ma dai quali intendiamo trarre, attraverso un attento lavoro di ricerca, il meglio di quanto è stato indicato sul piano del riscatto sociale, della critica all’esistente, della prospettiva concreta di una società alternativa da far nascere attraverso il marxiano “abolizione dello stato di cose presenti”. E’ proprio perché stiamo pensando a una nuova soggettività che avviamo la nostra ipotesi di lavoro politico attraverso l’autoconvocazione: una novità sul piano del metodo politico se si pensa che, almeno in Italia, l’autoconvocazione è stata adottata in passato come strumento di riconoscibilità di idee e di aggregazione all’interno di soggetti formati fossero questi partiti o sindacati ma che adesso proponiamo come metodo di partenza per la costruzione -appunto- di una nuova, diversa, autonoma soggettività della sinistra italiana. Attraverso l’autoconvocazione intesa come metodo di partenza cui seguiranno naturalmente proposte di procedura e strutturazione politica sarà possibile sfuggire a quella logica da “intergruppi” che fin qui ha rappresentato il limite più serio per la ricostruzione in Italia di una soggettività politica d’alternativa e di opposizione. L’autoconvocazione per affrontare così in forma collettiva i diversi temi della capacità progettuale, della forma politica e del necessario intreccio da realizzare tra questa e le lotte sociali in atto. L’articolazione del nostro “Che Fare?” nei suoi contenuti e indicazioni programmatiche e di riferimento politico dovrà però essere preceduta da un’operazione molto importante sul piano culturale: l’abbandono di quel “pensiero debole” che ha prodotto la superficialità e il disarmo etico all’interno del quale ci troviamo. Si tratta allora di individuare, prima di tutto, una ripresa del “pensiero forte”: un filone di razionalità concreta e di critico realismo storicista. Occorre sviluppare una concezione dell’agire politico che non nasca da una teoria della dittatura o da una visione meramente contrattualistica della democrazia rappresentativa. Deve essere nuovamente introdotta, nella storia del complesso percorso della sinistra italiana, una concezione della soggettività politica intesa come collettivo e non come somma degli individualismi, puntando alla ricostruzione del “blocco storico” da realizzarsi proprio attraverso una riunificazione delle categorie d’uso della politica. L’obiettivo è quello di riuscire a esprimerci attraverso un processo storico reale inteso quale fondamento per una soluzione non semplicisticamente speculativa del rapporto di implicazione tra economia, politica, storia e realizzando così, attraverso un processo rivoluzionario, un momento di volontà egemonica. Un programma ambizioso il cui livello di difficoltà d’espressione corrisponde alla dinamica dei tempi: occorre esserne all’altezza per quanto possibile. Rinunciarci e scendere al livello del comune politicismo sarebbe scegliere di far mancare la voce dell’opposizione e dell’alternativa verso questo sistema ingiusto, prevaricatore, di sfruttamento condotto dai gestori del capitalismo a un punto di assoluta non sopportabilità.

IL TRAMONTO DI PISAPIA | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

IL TRAMONTO DI PISAPIA | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

martedì 13 ottobre 2015

Italiani si diventa | Sergio Briguglio

Italiani si diventa | Sergio Briguglio

Consumo, salute e benessere: pensieri da Nobel

Consumo, salute e benessere: pensieri da Nobel

Il Nobel per l’economia ad Angus Deaton | Tullio Jappelli

Il Nobel per l’economia ad Angus Deaton | Tullio Jappelli

Franco Astengo: Miseria e nobiltà

MISERIA E NOBILTA’ di Franco Astengo “Il Manifesto” di oggi titola “ La legge costituzionale che il Senato voterà oggi dissolve l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza”. E’ vero: oggi si cancella d’imperio un pezzo di storia d’Italia e soprattutto si segna la resa senza condizioni al nuovo corso del “personalismo autoritario” di quella parte del PD di provenienza dall’asse ereditario PCI PDS -DS. Una resa senza condizioni avvenuta, per ironia della sorte, proprio nei giorni in cui si scatenava un profluvio di parole in memoria di Pietro Ingrao, probabilmente il teorico più attento ai temi della “democrazia progressiva” anche grazie alla forza delle elaborazioni sviluppate dal Centro di Riforma dello Stato. Una lezione, quella arrivata attraverso il CRS, completamente dimenticata se si pensa che, nel corso di questo disgraziato dibattito, a nessuno è venuto in mente che le vere riforme costituzionali da fare erano altre, muovendosi nel senso delle grandi novità intervenute nel tempo cercando di assicurare a tutti il rispetto dei temi della difesa dell’ambiente, la possibilità di usufruire ed esercitare le nuove tecnologie comunicative, l’estensione dei diritti civili derivanti da una importante stagione di mutamento nel costume, di difesa dei consumatori. Una resa senza condizioni che ha dimostrato ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, tutta la fragilità culturale e politica degli esponenti di quell’area come del resto si era ben dimostrata già quasi trent’anni fa nella fase di liquidazione del Partito avvenuta, è bene ricordarlo sempre, al di fuori da un preciso indirizzo di carattere ideologico e politico ma all’insegna di un genericissimo “sblocco del sistema politico” che, in pratica, non significava altro che “liberi tutti” sulla via del tanto agognato approdo alla logica della governabilità. L’assenza di un vero dibattito politico all’interno del PCI che durava ormai da molti anni (almeno dall’XI congresso, il primo celebratosi in assenza di Togliatti) aveva rappresentato la causa prima di questa assenza d’indirizzo politico apparsa in una fase culminante della Storia d’Europa (quasi contemporaneamente si verificarono, infatti, la caduta del Muro di Berlino e la stipula del trattato di Maastricht: due avvenimenti accolti con assoluta passività e, in assenza, di una analisi approfondita e realistica dei mutamenti in atto). Il PCI era così imploso e nessuna delle due parti emerse da quel frangente, PDS e Rifondazione, poteva rivendicarne l’eredità concreta essendo esse, per certi versi, omologate alla subalternità al pensiero dominante: il PDS alla logica della governabilità maggioritaria, Rifondazione al movimentismo globalistico. Gli amari frutti di questo stato di cose non tardarono mostrarsi influenzando tutta la lunga fase della “transizione italiana” protrattasi per circa 20 anni nella ricerca affannosa di un impossibile equilibrio all’interno delle mutate condizioni dello scambio economico e politico a livello internazionale e, specificatamente, rispetto al tema dell’allargamento di una Unione Europea rivelatasi incapace di costituzionalizzarsi quale soggetto politico. Nel frattempo si verificava il prevalere, soprattutto sul piano culturale a dimensioni egemoniche, della destra che imbracciava l’arma della distruzione della soggettività e della rappresentatività politica in favore della spettacolarizzazione personalistica dell’azione di governo. Un vero e proprio disastro culturale e politico al riguardo del quale non si è verificata alcuna seria opposizione alternativa, neppure nel momento in cui appariva chiaro l’obiettivo del superamento del modello di democrazia costituzionale che aveva retto la difficile fase della ricostruzione del Paese nel post – seconda guerra mondiale e dentro la difficile temperie del dominio della logica dei blocchi (mutamento che si verificava anche nello stesso linguaggio politico: seconda repubblica, governatori, leadership, ecc..). Intanto svanivano, all’interno del dibattito politico, gli stessi elementi portanti del confronto di classe (che pure avrebbero avuto ragione di essere esaltati, nell’acutizzarsi evidente delle logiche di sfruttamento capitalistico collocate ben oltre gli usati confini del rapporto classico struttura/sovrastruttura ed emergevano nuove fortissime e drammatiche contraddizioni sociali e territoriali: guerra, ambiente, genere, migranti). Si chiudeva così definitivamente quel rapporto tra identità ed egemonia che aveva rappresentato il nesso portante della presenza dei comunisti in Italia, ben oltre l’appartenenza e i legami ai tentativi d’inveramento statuale dei fraintendimenti marxiani che avevano attraversato il ‘900. Eliminando questi elementi dal proprio bagaglio culturale gli esponenti del PD che erano appartenuti al filone PCI PDS ~DS, non sono riusciti a comprendere quale fosse, in effetti, la posta in palio rispetto alle modifiche elettorali e costituzionali propugnate dal governo: si tratta, infatti, del compimento di un passaggio definitivo dal tipo di democrazia repubblicana disegnato dalla Costituzione (dalla quale Togliatti pensava di poter muoversi in avanti verso la “democrazia progressiva”) a un sistema “governante” fondato sulla centralità di un Partito Unico fondato sull’essenza di una leadership personalistica, scambiando il momento elettorale (a tutti i livelli) in una sorta di costante plebiscito sulla persona (e sulle persone, andando giù per li rami ai livelli territoriali di governo). Insomma una “cosa” che se può essere definita secondo gli antichi canoni di pura destra classica, ben al di là dei riferimenti sociali: una destra di regime. L’area comunista è rimasta così presidiata, in Italia, da forze, sicuramente nobili nei loro intenti, ma legate a filoni minoritari e parziali (se non contrari) a quello che era stato il movimento complessivo della presenza dei comunisti nella storia d’Italia attraverso tre grandi passaggi storici: l’antifascismo, la Resistenza e la Costituzione, il ruolo progressivo della classe operaia in diretta relazione con i settori portanti della modernità dell’intellighenzia italiana (il cinema, le grandi case editrici, lo sviluppo delle arti visive). Il partito a integrazione di massa, nell’accezione specifica realizzata concretamente dal PCI per un periodo non breve della storia d'Italia (si è discusso a lungo tra “socialdemocrazia” e “espressione del sistema sovietico”: andrebbe ricordato anche lo “strano animale” identificato nella giraffa) e originalmente inseritosi nella realtà della sinistra europea dell'epoca, ha svolto una funzione fondamentale dal punto di vista pedagogico. Non si tratta, qui, di richiamare semplicemente il lavoro dei grandi centri studi (CRS, CESPE, CESPI) e le scuole di partito, all'interno delle quali la funzione pedagogica era esercitata con grande rigore e qualità (Frattocchie, in primis, ma anche Albinea, Faggeto Lario, ecc) ma soprattutto di pensare alla funzione di “alfabetizzazione di massa” che il partito aveva svolto, non soltanto al riguardo della “identificazione politica” ma, più complessivamente rispetto alla cultura nel suo insieme, agli aspetti storici, filosofici, letterari, artistici. Non si accenna qui al ruolo degli intellettuali ma, piuttosto, a quello della classe operaia: laddove, ad esempio (un esempio che svolgiamo soltanto per circoscrivere il nostro discorso) la classe operaia appariva davvero “forte, stabile e concentrata” la penetrazione del partito non si limitava a essere semplicemente ideologico – organizzativa; la frequentazione delle sue sedi, le scadenze di incontro, di discussione, anche la ritualità stessa del suo concreto agire politico aveva, senza dubbio, fornito la realtà di un “partito pesante” ma anche di una comunità “pensante”, di un agire collettivo rispetto a temi fondamentali della vita civile associata. La tensione culturale della base comunista (soddisfatta anche da una produzione imponente dal punto di vista editoriale: collane, riviste, ecc) risultava essere una tensione complessiva: non solo finalizzata strumentalmente all'agire politico. Si trattava di una tensione di “crescita” verso una dimensione etica, sicuramente molto “includente” se non totalizzante (su questo ci sarebbe da analizzare ancora adesso con attenzione), ma capace di fornire ai singoli e al collettivo un bagaglio tale che, alla fine, consentiva all'universo comunista di esprimere sul serio una dimensione da “intellettuale collettivo”. Certo, esistevano limiti importanti in questa azione: limiti evidenziatisi poi nel momento dell'esplosione della modernità e del superamento – oggettivo – di una “dimensione di classe” che faceva fatica ad accettare e comprendere nuovi valori, di quelli del tipo definito “post- materialista”. Era quella però la vera forza del partito, unita a quella di una grande qualità intellettuale complessiva del gruppo dirigente: una forza, quella dell'intellettuale collettivo, che ha permesso di costruire anche una rete di “intellettualità diffusa” che si esprimeva a livello di quadri intermedi, essenzialmente nelle Federazioni che rappresentavano un cuore pulsante. L'alto livello culturale e politico dei quadri intermedi rappresentava il terzo punto su cui poggiava la struttura complessiva del PCI (gruppo dirigente, quadri intermedi appunto, e base in grado di esprimere “intellettualità diffusa”) secondo lo schema poi raccolto da Maurice Duverger negli anni'50. Dunque, tra limiti, errori, interrogativi si è discusso a lungo su quando questa storia sia finita davvero: ci permettiamo un accenno interpretativo, sotto questo aspetto. Forse quando l'intreccio tra queste tre realtà è finito e il “quadro intermedio” ha pensato che fosse il momento di liberarsi del “fardello” lavorando all'obiettivo del “liberi tutti”, dello “sblocco del sistema politico, nel momento in cui appariva possibile vivere “di politica” e non più “per la politica”. Oggi, imperversante la personalizzazione si esalta il dialogo diretto tra il capo e le masse quale sintomo di corretta interpretazione della modernità (senza alcuna accenno agli anni'20 e '30 del XX secolo) potrà apparire del tutto inutile rievocare i temi che abbiamo cercato di riprendere in questo intervento. La pensiamo esattamente al contrario: rievocare i tratti salienti dell'originalità specifica rappresentata dal PCI proprio nel suo essere “partito di massa” ( comprensivo al suo interno, ovviamente nel bene e nel male soprattutto per chi ne ha patito concretamente le contraddizioni, di una applicazione molto rigida della “teoria dell'elite”, da Weber a Michels, da Mosca a Pareto) significa compiere assieme una operazione controcorrente sul piano storiografico, ma anche portare avanti una iniziativa politica. La sinistra italiana appare ormai da molti anni del tutto squassata da una crisi verticale, senza precedenti, che potrebbe portarla alla definitiva estinzione: forse varrebbe la pena tornare ai fondamenti di quella che è stata, prima ancora di un’imponente presenza politica, una fortissima espressione di carattere pedagogico – culturale tralasciando la miseria del politicismo attuale , tornando invece senza alcun timore ad esaltare la nobiltà della cultura politica.