venerdì 21 agosto 2009

Peppe Giudice: senza socialismo la sinistra è un contenitore vuoto

da Facebook

Senza socialismo la sinistra è un contenitore vuoto


Senza dubbio rischio di ripetere in questo scritto cose che ho già detto. Ma come dicevano i nostri antenati latini “reperita iuvant” – soprattutto in un periodo come questo.
Sapete che sono un caldo e fervido sostenitore del progetto di “Sinistra e Libertà”; sapete che ritengo debba trasformarsi in un soggetto politico vero e non essere una inconcludente federazione come vorrebbe Nencini. Considero il nome “Sinistra e Libertà” bellissimo e non ritengo che vada cambiato perché riassume bene le ragioni più profonde della cultura del socialismo democratico e libertario.
Ma so anche che “Sinistra e Libertà” è solo un primo mattone nel processo di ricostruzione della sinistra italiana che avrà bisogno di costruire un soggetto politico finale dotato di una identità e soprattutto di una cultura politica chiara e definita.
Una delle ragioni principali della crisi strutturale della sinistra italiana sta infatti nel profondo regredire della cultura politica.
In Europa quasi tutta la sinistra, quella collocata nel PSE, così come parte di quella nella GUE si riconosce nel socialismo. Non dimentichiamo che il leader più prestigioso della Linke tedesca, Oskar Lafontaine è stato a lungo presidente e uno dei massimi dirigenti della SPD, che in Olanda la GUE è rappresentata dall’ SP (partito socialista), che esistono gli “ecocialisti” nordici.
Insomma, nonostante tutti i travagli e le vicissitudini, grandissima parte della sinistra europea fa del riferimento al socialismo il suo tratto distintivo.
E si capisce perché. Socialismo è il termine che da sostanza e concretezza politica e storica al termine sinistra (da sola indica una semplice collocazione parlamentare) in quanto il socialismo si è caratterizzato per essere un progetto di emancipazione sociale ed umana che ha inciso profondamente sulla civiltà europea.
In Italia lo si è voluto far sparire, con conseguenze deleterie per la intera cultura politica della sinistra.
Il peso di questa regressione culturale ricade su quel pezzo di gruppo dirigente postcomunista responsabile in primis di quella deriva che ci ha portato al PD. L’equiparazione semplicistica tra socialismo e craxismo, il fatto comico di considerarsi socialisti in Europa e non socialisti in Italia, D’Alema che dichiara orgogliosamente di “essere diventato socialista europeo senza essere stato socialista italiano” (faccia di corno!) il malcelato complesso di superiorità (che come molti sanno nasconde un complesso di inferiorità) dell’ex apparato del PCI verso l’intera tradizione socialista, sono i fattori che hanno esposto ad un duro gioco al massacro l’intera cultura politica della sinistra che rimasta priva di riferimenti forti si è trovata in balia del pensiero debole, delle chiacchiere postmoderne, di una liberaldemocrazia di quarta o quinta mano.
Dopo il crollo del comunismo storico è completamente mancata una elaborazione collettiva nell’area postcomunista in grado di misurarsi e confrontarsi (anche criticamente) con la cultura socialista e socialdemocratica europea. Per cui alla fine si è passati direttamente dal postcomunismo al partito democratico. Qualcosa che in Europa nessuno riesce a capire. Un’altra parte ha preferito restare attaccato ad una idea astorica e senza tempo di comunismo.
A tal proposito voglio citare un passo di Felice Besostri : “Con il crollo del sistema sovietico c’è chi non si è arreso alla storia e permane nostalgico e chi cerca di convincersi e di convincere che quel regime non era comunismo o in ogni caso il suo comunismo.
In tutti i casi senza fare i conti con la storia, sia rimuovendola, come ha fatto Veltroni, sia contrapponendo una mitica e ideale società comunista alla sua concreta realizzazione (Realexistierender Sozialismus): una bella contraddizione per chi si richiama al marxismo!”
Nel campo socialista (o meglio di quel che ne è rimasto) è invece venuto fuori il fenomeno folcloristico del craxismo di ritorno, con un gioco speculare a quello postcomunista: la piena identificazione tra socialismo e craxismo o l’uso strumentale dell’identitarismo socialista (vedi SDI-Boselli e Nencini) per mantenere una baracchella ad uso e disposizione di qualche furbetto.
E’ evidente che entrambi gli approcci hanno compromesso una ricerca ed una riflessione seria sul socialismo presente e futuro ed esposto la sinistra al vuoto ed all’incongruenza politico-culturale più totale.
In realtà l’unico, tra i dirigenti politici di rilievo della sinistra, che ha cercato di avviare una riflessione seria su tale tema è stato Fausto Bertinotti (che certo ha pure le sue responsabilità soprattutto per aver introdotto il concetto deleterio delle “due sinistre”). Il quale ha comunque visto nella cultura socialista precraxiana (anni 60 e 70) un punto di riferimento importante per avviare la ricerca e la costruzione di un “socialismo del XXI secolo”.
“Sinistra e Libertà” potrà prendere corpo se farà di tale riflessione l’asse portante della sua cultura politica. Il compito di chi si riconosce nella tradizione socialista è di stare in “Sinistra e Libertà” non come corrente o riserva indiana, ma per stimolare costantemente la riflessione e la ricerca in tale direzione.
Nella crisi complessiva della sinistra europea occorre rilanciare un nuovo progetto socialista; in parte questa consapevolezza pare stia emergendo sia in settori del PSE che della GUE.
L’essere socialisti non pone nessun discrimine verso chi si considera comunista. Il comunismo revisionista e libertario di Vendola è pienamente integrabile con il socialismo democratico e libertario del periodo precraxiano.
Noi socialisti dobbiamo liberarci definitivamente del fantasma di Craxi, chi si considera comunista deve definitivamente prendere atto del fallimento del comunismo storico realmente realizzato e di non perdere tempo appresso ai peronisti megalomani e millantatori come Chavez.
Socialismo democratico non significa affatto rinuncia alla critica del capitalismo: oggi più che mai.
Ho già detto altrove che in occidente l’unico progetto concreto di superamento graduale del capitalismo nella democrazia e nella libertà fu quello della socialdemocrazia svedese di Olof Palme con il Piano Meidner (che fu realizzato solo in parte – negli anni 80 iniziò l’egemonia ideologica liberista), così come la riflessione dei socialisti francesi, quella della sinistra socialista italiana – nello stesso periodo. Il PCI di Berlinguer che pure nei comizi parlava in modo generico di “fuoriuscita dal capitalismo” ma nei programmi concreti non la proponeva certo riproducendo le comunque buone idee della socialdemocrazia classica. La quale non ha superato l’orizzonte del capitalismo ma ha tuttavia realizzato il modello sociale più avanzato.
Oggi di fronte alla crisi profonda del modello capitalista-liberista si ripropone il tema di riforme di struttura radicali; tornano in campo le idee di Olof Palme, di Gilles Martinet e del grande Riccardo Lombardi. Quella di una politica socialista riformatrice che si ponga il tema (nel lungo periodo ) del superamento dell’orizzonte capitalistico.
Quindi una riflessione sul nuovo socialismo.
Senza di esso non potrà esistere alcuna sinistra.

PEPPE GIUDICE

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