domenica 26 luglio 2009

Carlo Tognoli: Milano bevuta

Milano bevuta
>>>> Carlo Tognoli
La “questione settentrionale”, termine
di moda da quando la Lega si è
affermata elettoralmente, in realtà è una
definizione di comodo coniata appunto
per spiegare un successo che pochi avevano
previsto alla fine degli anni ’80.
Poi i risultati elettorali del centro
destra, con e senza la Lega, dal 1994 in
poi hanno consolidato il termine. E chi
ne ha fatto ampio uso è stata la sinistra,
ogni qual volta registrava una sconfitta
alle elezioni politiche o a quelle regionali
e amministrative. Quando la sinistra
vinceva la “questione settentrionale”
scompariva dal vocabolario politico-
economico-sociale.
Che cosa è successo negli ultimi vent’anni
nel nord d’Italia? Si è verificato
ciò che era accaduto in tutte le società
industriali: si passava alla società postindustriale,
fatta di attività terziarie,
quaternarie, di comunicazione, di elettronica
e di informatica. La tecnologia
modificava progressivamente l’utilizzo
del lavoro manuale, le industrie si
allontanavano dai centri urbani dove il
valore delle aree si era moltiplicato e la
delocalizzazione portava molte aziende
al di fuori dei confini nazionali, dove la
mano d’opera locale era meno costosa.
Nelle aree di forte industrializzazione
di tipo ‘fordista’ la trasformazione ha
reso il lavoro meno collettivo, più individuale,
ha accresciuto il numero degli
addetti ai servizi per le imprese (cioè
per la produzione e il commercio) dai
più umili (pulizie, guardiania, consegne
celeri) ai più sofisticati nel campo
della finanza, dell’auditing, della
comunicazione.
Questo processo si è sviluppato in tutto
il centro nord, ma è cominciato prima
che altrove nell’area milanese. Le prime
industrie insistenti nell’ambito del
tessuto urbano che sono state ‘dismes-
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se’ furono l’Alfa Romeo e la Pirelli
Bicocca (1981/82) seguite poco dopo
da Montedison, Redaelli e Falck.
Milano e la sua area (nella quale comprendo
Varese, Como, Lecco, Bergamo,
Cremona, Lodi, Pavia), metropoli
dell’industria e del commercio, con la
borghesia produttiva e il proletariato
hanno subito una profonda metamorfosi
che ne ha modificato la composizione
sociale.
A ciò si è aggiunta la ‘globalizzazione’
che ha imposto rapporti ‘mondiali’ non
solo a livello macroeconomico, ma
anche alla microeconomia, tant’è che si
parla di “glocalismo”.
Tutto questo ha creato crisi di identità
perché saltavano i parametri territoriali,
sociali e istituzionali che avevano regolato
la vita della metropoli industriale.
Di questo la sinistra marxista non si
accorse o se ne accorse troppo tardi.
Per la verità il PSI aveva compreso il
mutamento e proprio a Milano aveva
indicato come governare il cambiamento
per favorire la crescita, potenziando
le infrastrutture materiali e immateriali
alla scala regionale (servizio ferroviario,
sistema stradale, collegamenti via
cavo e senza cavo), e facendo del capoluogo
il centro di un “software” finanziario,
scientifico, culturale, disponibile
per tutti i cittadini lombardi.
I socialisti prestavano una particolare
attenzione verso i nuovi mestieri, verso
i giovani delle partite IVA, puntando a
dare rappresentanza politica al rinnovato
mondo del lavoro dipendente e individuale,
che andava sostituendo la vecchia
classe operaia.
Nel capoluogo lombardo il PSI recuperava
consensi in quelle categorie di
lavoratori, che non erano “arrampicatori
sociali” (che c’erano e ci sono, ma
non fanno massa elettorale) bensì per
lo più figli di operai, di impiegati e
artigiani, tradizionalmente orientati
verso il riformismo socialista o quello
cattolico.
Per questi motivi, principalmente, fu
possibile garantire, al Comune di Milano,
dal 1975 al 1991, maggioranze di
sinistra col PCI migliorista malgrado
l’indebolimento elettorale del PCI.
Craxi favorì questa alleanza sin dall’inizio
(1975) per evitare che il PSI
venisse schiacciato ed emarginato dall’intesa
DC-PCI, ma poi la rilanciò nel
1980 (quando la sinistra si salvò grazie
al balzo elettorale dei socialisti: 19,6%)
e nel 1988 con la giunta ‘rosso-verde’.
Le trasformazioni economiche e sociali
non furono tuttavia una caratteristica
milanese, ma riguardarono, qualche
anno dopo, tutto il nord Italia.
Il PSI, soprattutto nelle aree urbane,
consolidò la propria forza elettorale,
anche dove la Lega registrava i suoi
primi successi dovuti soprattutto al travaso
di voti che gli arrivava prevalentemente
dall’elettorato cattolico (nel
Veneto e in Lombardia).
Complessivamente la sinistra marxista
(PCI-PDS più Rifondazione) e quella
riformista (PSI e PSDI) raggiungeva il
45%, anche se non era uno schieramento
omogeneo di governo.
Oggi il quadro è completamente cambiato,
e non è un caso se il Nord, fatta
eccezione del Piemonte, è governato
stabilmente dal centro destra (Lombardia
e Veneto da sole sono un quinto dell’elettorato
italiano) mentre il Comune
di Milano (dove i voti socialisti e laici
oscillavano intorno al 35/37%) è stato
appannaggio della Lega dal 1993 al
1997 e di Forza Italia e PdL da allora ad
oggi.
Insisto su Milano perché ha un valore
emblematico per il Nord.
La “falsa rivoluzione” di “mani pulite”
ha tolto di mezzo il PSI, e la sinistra si
è trovata dimezzata.
La proposta di Craxi per l’unità socialista
avrebbe dovuto essere presa in seria
considerazione dal gruppo dirigente del
PDS nel 1991: sarebbe stato il traghetto
verso la socialdemocrazia, l’accreditamento
dopo il fallimento storico del
comunismo al potere. Prevalse la logica
di sempre dei comunisti: “vade retro”
socialdemocratico.
Questa è la vera “questione settentrionale”
per una sinistra che ha capito tardi
i mutamenti in atto ed oggi si trova a
rincorrere il centro destra sul “federalismo
fiscale”, sulla “sicurezza”, e sulle
misure economiche anticrisi, mentre il
grosso degli elettori che votavano PSI
ha abbandonato da tempo l’attuale
schieramento di sinistra, condizionato
tra l’altro da Di Pietro che sfrutta l’animosità
giustizialista di una parte della
base del partito democratico, male educata
da decenni di massimalismo.
Tempi duri per una sinistra i cui dirigenti,
per dirla con Paul Valery, “sconfessano
per sopravvivere ciò che promettevano
per esistere”, ma non vengono
presi sul serio.
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