Da La Stampa
24/7/2009
Sanità lo stallo di Obama
BORIS BIANCHERI
Succede spesso nelle democrazie che gli ultimi giorni prima delle vacanze estive, quando i lavori parlamentari si accelerano e il caldo rende bollenti gli spiriti, siano anche quelli più spinosi per chi governa.
Questo è quanto accade a Barack Obama che, a nove mesi dalla sua strepitosa vittoria elettorale e dal consenso planetario allora raccolto, si accorge adesso quanto gestire il potere sia più difficile che raggiungerlo. Lo scoglio maggiore che ha davanti è il piano sanitario, o meglio l’estensione dell’assistenza sanitaria dello Stato ai circa 46 milioni di cittadini americani che attualmente vi provvedono attraverso il sistema privato o non vi provvedono affatto. Che fosse un’impresa difficile Obama lo sapeva: altri presidenti avevano provato prima di lui, ultimo di questi Clinton - che aveva poi affidato cavallerescamente il compito alla moglie! - e tutti, inclusi i Clinton, erano falliti. E tuttavia Obama ne ha fatto una bandiera che ha agitato ininterrottamente fino alla conferenza stampa di ieri l’altro.
Il Presidente ha dalla sua parte la vasta aspettativa creata da un progetto di cui si parla da decenni, la sua grande popolarità personale, la comoda maggioranza democratica in parlamento. E ha infatti affidato a Camera e Senato il compito di elaborare dei progetti, non sugli aspetti tecnici della legge ma su quello che il parlamento americano dovrà a suo tempo approvare, e cioè la spesa. Ma è qui che le cose si complicano, perché le stime sono che la legge costerà tra i 1000 e i 1500 miliardi di dollari. Ora, una somma simile non si trova in qualche anfratto del bilancio: o si fanno grandi economie in altri settori e magari in quello stesso della sanità, o si mettono nuove tasse. A quest’ultima soluzione hanno pensato i democratici, sollevando la scontata opposizione dei repubblicani ma anche quella di molti di loro, soprattutto se eletti negli Stati più conservatori.
Perché - dicono costoro - saranno sempre i cittadini a pagare, ma chi ci dice che l’assistenza dello Stato sarà gestita meglio e a minor costo di quella privata? Obama ha pensato allora che le nuove tasse gravino solo sui più ricchi, cioè che una parte del Paese si faccia carico del costo dell’altra. Una soluzione coerente con i suoi principi e la sua filosofia politica, ma non con quella di molti americani che al solo sentore di socialismo strisciante sussultano: che chi ha di più paghi di più è giusto; ma quel di più che paga deve andare a tutti e non solo a taluni.
È una secca pericolosa, questa, che la nave di Obama dovrebbe oltrepassare entro i primi d’agosto, perché cambiare ora la rotta è difficile. Forse proverà a ritardare, e già la promessa di varare la legge entro ottobre è slittata a fine anno.
Qualche battuta d’arresto, d’altronde, c’è stata anche sul fronte internazionale. La mano tesa verso l’Iran non è stata ricambiata con il calore previsto e ora, dopo quel che è successo là, appare anche intempestiva. Alla sfida nucleare iraniana si è aggiunta, ben visibile e tracotante, quella del Nord Corea. I rischi di ulteriori proliferazioni sembrano oggi più realistici dei sogni di denuclearizzazione generale.
Infine, oltre all’Afghanistan, un vero banco di prova che sembra però diventare l’Iraq di qualche anno fa, c’è la Russia. Il viaggio di questi giorni del vice presidente Biden in Ucraina e Georgia è l’altra faccia della visita fatta da Obama a Mosca poco tempo fa. Presidente e vice presidente sono d’altronde le due facce di una linea politica: quella di Obama innovativa, decisionale e altamente mediatica, quella di Biden più tradizionale e conservatrice. E così è stato il loro linguaggio. Obama ha parlato ai russi dell’avvenire e Biden ad ucraini e georgiani del passato, rassicurandoli che gli Stati Uniti non hanno cambiato idea su un loro eventuale ingresso nella Nato.
Il problema è che Obama ha bisogno della collaborazione della Russia su tutti i grandi temi del momento, che sia il nucleare, l’energia, l’ambiente, l’economia, le crisi regionali o i loro stessi rapporti bilaterali. Ma anche che è sempre più chiaro che per i russi questi passano attraverso qualche forma di accettazione di un principio di non ingerenza, e la Nato lo sarebbe, nell’equilibrio della «loro» area. C’è dunque uno stallo, interno ed esterno. Obama ha tutto il consenso, la forza e la capacità di superarlo, ma non sarà con una conferenza stampa, né con un solo colpo d’ingegno. I nodi sono molti e scioglierli richiede pazienza: una dote che Obama non ha dovuto sinora mettere alla prova.
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