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Decreto anticrisi……A favore dei “ricchi”
di Sandro Del Fattore*
Mar, 28/07/2009 - 06:59
Il recente decreto del governo denominato “anticrisi” non solo si rivela totalmente al di sotto dell’ampiezza e della profondità della crisi in atto ma contiene provvedimenti indigesti e sbagliati. Vediamo in concreto. Nel decreto in discussione in queste ore e su cui verrà chiesto il voto di fiducia è prevista la detassazione a favore delle imprese che reinvestono. E qui c’è già una prima considerazione da fare. Si prevedono consistenti agevolazioni solo per una parte delle imprese. Restano fuori settori importanti quali l’informatica e i trasporti. Inoltre, non è previsto nulla per il rafforzamento degli ammortizzatori sociali. Una crisi così grave e profonda avrebbe dovuto suggerire di raddoppiare, portandole dalle attuali 52 a 104, le settimane di cassa integrazione. E si attendevano misure concrete verso i lavoratori e le lavoratrici precari che sono oggi i più colpiti dalla crisi. Niente di tutto ciò. Il governo ha chiuso qualsiasi spiraglio quando invece proprio la gravità della crisi e il drammatico calo della domanda avrebbero richiesto interventi tesi a sollecitare gli investimenti e a sostenere i redditi dei lavoratori e dei pensionati. Così, propaganda del governo a parte, il nostro paese si troverà nei prossimi mesi di fronte ad una ulteriore riduzione dei redditi e dell’occupazione. E per questa via si approfondiranno le disuguaglianze, le divisioni territoriali e aumenterà la possibilità che, una volta superata la crisi, ci si ritroverà con un sistema paese ancora più fragile, privo di prospettive e di un progetto credibile. D’altra parte, basta riflettere già oggi sulla realtà del Mezzogiorno: non solo i provvedimenti fin qui assunti hanno un carattere occasionale e di scarsissimo impatto, ma ciò che più conta è che al SUD sono state sottratte risorse destinate agli investimenti. E ciò avviene in una realtà in cui rischiano di chiudere attività industriali fondamentali: da Termini Imerese a Porto Torres. Qui, nel Mezzogiorno, si pagheranno i prezzi più pesanti. Alla crisi di fondamentali settori industriali, infatti, si coniuga il più alto tasso di disoccupazione giovanile. Ma nel decreto anticrisi del governo del dramma del Mezzogiorno non c’è traccia. E mentre non è previsto nulla per gli investimenti e per il sostegno al reddito, con quel decreto si favoriscono gli evasori fiscali. Viene previsto, infatti, lo scudo fiscale, un vero e proprio condono esattamente come nel 2003. Non più di qualche settimana fa il ministro dell’economia ci aveva intrattenuto con le sue esternazioni sull’etica e sul “global legal standard”, temi rimbalzati anche al G8 tenutosi all’Aquila. Ma si sa, come dice un vecchio proverbio, “il lupo perde il pelo ma non il vizio”: così ecco lo scandaloso provvedimento, inserito appunto nel decreto anticrisi, col quale si fa un nuovo regalo agli evasori fiscali. E non è esagerato parlare di provvedimento scandaloso. Siamo in un paese, infatti, dove lavoratori e pensionati – circa 28 milioni di persone – hanno versato nelle casse dello stato 168 miliardi di euro. A fronte di ciò 3 milioni di persone hanno sottratto all’erario, attraverso l’evasione fiscale, circa 100 milioni di euro. È una cifra, quest’ultima, che si avvicina non poco a quella che viene regolarmente pagata da lavoratori e pensionati. È evidente che così rischia di rompersi la tenuta sociale del paese e di comprometterne il legame sociale. Inoltre, lo scudo fiscale non solo premia i furbi e gli evasori ma avrà effetti negativi anche sul riciclaggio di capitali illeciti. I controlli previsti da quel provvedimento, infatti, non sono in grado di impedire il riciclaggio di capitali mafiosi. Nel provvedimento assunto dal governo, infatti, è previsto l’anonimato per coloro che decidono di far rientrare i capitali esportati. Inoltre, non è richiesta alcuna certificazione sulla natura e sull’origine di quegli stessi capitali. E così siamo di fronte al paradosso che, mentre si premiano i furbi, furbetti, evasori, capitali illeciti, ai cittadini dell’Abruzzo, colpiti dal terremoto, non solo si chiede di pagare interamente le tasse ma, dal 1° gennaio del 2010, dovranno versare anche le tasse dei mesi scorsi temporaneamente sospese proprio a causa del sisma. Si fa questo in una realtà dove è crollata, anche a causa del terremoto, l’occupazione, dove hanno dovuto chiudere o sospendere l’attività fabbriche, imprese artigianali e commerciali. Ecco cosa si trova se si scava dietro la retorica e la propaganda sul presunto impegno straordinario del governo sull’Abruzzo!
Nel decreto “anticrisi” non si esita a dare un ulteriore colpo anche al sistema previdenziale. Il governo ha deciso, infatti, di innalzare di cinque anni l’età per il pensionamento di vecchiaia delle donne del settore pubblico. Inoltre, dal 2015 vi sarà un collegamento automatico tra l’età per il pensionamento di vecchiaia e l’aspettativa di vita. Ciò significa che, passo dopo passo, verrà allungata l’età di pensionamento di vecchiaia per tutti. Sono due decisioni sbagliate che creano, in realtà, ulteriori disuguaglianze. In primo luogo perché si assumono questi provvedimenti senza aver dato seguito a quanto previsto dal protocollo sul welfare del 23 luglio 2007 in particolare su due temi di grande rilievo: la definizione dei lavori usuranti – lavori per i quali, come avviene già oggi in molti sistemi previdenziali, va prevista un’età di pensionamento diversa – e la modifica dei criteri di calcolo dei coefficienti di trasformazione relativi al sistema contributivo proprio per evitare che i giovani si trovino, in futuro, ad avere una pensione assai bassa. In secondo luogo, è del tutto evidente il rischio che, aumentando oggi di cinque anni l’età di pensionamento delle donne del settore pubblico, tra qualche mese lo si faccia anche per le donne del settore privato. E ancora, quando nel 2015 si avvierà quella sorta di “scala mobile” collegata all’aspettativa di vita, il risultato sarà un ulteriore innalzamento dell’età del pensionamento. Infine, si vengono a creare nuove disuguaglianze. Se oggi, infatti, pure in presenza di diverse età di pensionamento, l’età di uscita dal lavoro di uomini e donne è uguale, ciò vuole dire una sola cosa: che gli uomini maturano il diritto alla pensione di anzianità in media prima delle donne e le donne si trovano ad avere quale unica possibilità di uscita solo quella della pensione di vecchiaia, molto spesso come sola risposta ai processi si espulsione dal mercato del lavoro. Ma le disuguaglianze relative alle storie lavorative non si esauriscono qui: le ritroviamo nella precarietà che colpisce soprattutto le donne, nel mancato riconoscimento del lavoro di cura, nella mancanza di servizi sociali. Alzare l’età di pensionamento delle donne, senza, per di più, aver risolto questi problemi, significa creare nuove disparità di trattamento. Infine, è davvero grave trattare un tema così complesso come il sistema previdenziale con emendamenti a un decreto legge che assai probabilmente verrà approvato ricorrendo al voto di fiducia. Ancora una volta non si è voluto avviare un confronto vero tra governo e parti sociali, che sarebbe, in realtà, l’unica sede ove affrontare tutti i problemi aperti, compresa la definizione dei lavori usuranti e la verifica del sistema contributivo nel suo complesso.
Ecco perché ci sarà bisogno nei prossimi mesi di nuove e articolate mobilitazioni. Non solo per contrastare provvedimenti ingiusti quanto inefficaci, ma anche per rivendicare nuove politiche industriali e di sviluppo, sostegno al reddito dei lavoratori e dei pensionati, risposte vere ai lavoratori precari che sono i più colpiti dalla crisi. La possibilità di costruire una nuova sinistra si misurerà anche dalla sua capacità di stare in campo su questi temi.
*Coordinatore Dipartimento Welfare e Nuovi Diritti Cgil Nazionale
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