Dall'Avvenire dei lavoratori
Editoriale
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La metafora
delle riforme
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L'Italia somiglia, metaforicamente parlando, a un immane campo di combattimento nel quale due ali di cavalleria tentino il classico attacco a tenaglia. Un attacco teso alla distruzione dei comparti avversari. In questa operazione d'annientamento culminano quindici orribili anni di vicenda politica nazionale, caratterizzati da una reazione che ancora una volta par in procinto di sbaragliare il campo riformista, riportando indietro, e non di poco, l'orologio della storia patria.
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di Andrea Ermano
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"Riformisti" si dicono coloro che vogliano trasformare la società rinunciando però alla violenza. Le cavallerie avversarie vestiranno, perciò, i panni conservatori quando si oppongano ai contenuti della trasformazione e quelli rivoluzionari quando invece intendano porsi in antitesi al metodo non-violento. Queste le posizioni tattiche cui allude in senso traslato la morsa mortale delle due cavallerie.
Per rimanere in metafora, diremo che i cavalieri avversari della prima posizione recano un Gattopardo sugli scudi, simbolo araldico che sta per poteri antichissimi e apparentemente inamovibili. Di essi narra Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo celeberrimo romanzo postumo. L'azione si svolge in Sicilia, ai tempi di Garibaldi. Tancredi cerca di volgere a proprio vantaggio il tumulto degli eventi, proclamandosi fautore, lui, rampollo dell'aristocrazia borbonica, dell'insurrezione antiborbonica, arruolandosi nelle file garibaldine, tentando anzi di mettersene alla testa. Il suo vero scopo, ovviamente, non è quello di sostenere i Mille: "Se vogliamo che tutto rimanga come è", dice Tancredi allo zio principe, "bisogna che tutto cambi!"
Sul filo delle nostre ardite metafore, possiamo aggiungere ora che sugli altri scudi dei cavalieri controriformisti campeggia l'emblema di un Caimano, un piccolo drago che sta per immobilismi di altro genere: una lenta masticazione, una lagrimevole attività digestiva. Ogni cosa il Caimano assimila tramite i suoi enzimi gastrici: l'opinione pubblica e la mentalità popolare, i giudici e i tribunali, i poteri e i contropoteri, i valori e i disvalori, i vizi privati e le pubbliche virtù: ogni cosa sotto il sole d'Italia è fagocitata dall'egemonia gutturale del Grande Budello caimanico.
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Il Gattopardo nello stemma di famiglia
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
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E se, in quest'araldica mostruoseggiante, il Gattopardo ciclicamente si ripresenta nei parventi scafati di Gran levriero, non più rivoluzionario, ma riformista, mai stato rivoluzionario, mai stato comunista; ebbene il Caimano non disdegna invece un approccio anche rudemente eversivo alla conservazione, nella misura che gli serve.
I contorcimenti cinici del sistema ricordano la "Sindrome weimariana" di cui trattava Peter Sloterdijk nella sua ormai classica opera prima. Ed è forse proprio per la Sindrome weimariana che nel vastissimo polverone sollevato da quelli del Gattopardo e del Caimano al galoppo, molti cavalieri controriformisti agitino i vessilli di un loro vero o presunto passato riformismo. A parole. Di fatto (e certamente si tratta di un effetto involontario nei più) nel Paese pare ormai eclissarsi, obliterarsi, vietarsi, autoammazzarsi e autosotterrarsi ogni residua velleità di trasformazione.
Il professor Franco Cavalli, ticinese, gran luminare della medicina, amico dei Clinton, già capogruppo socialista al Parlamento di Berna, intervenendo qualche anno fa a un convegno del Coopi di Zurigo per i cento anni della nostra editrice, ebbe a dire: "Vedete, vi ripetono: bisogna fare le riforme... le riforme! E non la rivoluzione! Poi però mica le fanno, le riforme".
Be', oggi hanno smesso anche di ripeterlo. Anzi, ci sono ambienti confindustriali che ormai criticano apertamente la tendenza del PD a brandire in modo "arrischiato" il riformismo come una "clava da abbattere contro questa o quella corporazione". Povere corporazioni. E, come diceva il cantante, povero anche il cavallo. Sul Corriere s'ode l'eco di un opinionista che ci ammonisce tutti: le riforme "potrebbero destabilizzare la democrazia italiana e, persino, mettere a rischio la stessa unità del Paese".
Insomma, l'Italia senza le riforme è un paese a rischio, ma anche con le riforme, e forse ancor di più. È il Nuovo che avanza, baby.
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