sabato 18 luglio 2009

Alessandra La Notte: Ambiente e democrazia

da www.nuvole.it

Ambiente e democrazia: una riflessione


Ambiente e democrazia: una riflessione

di Alessandra La Notte*



È dal summit organizzato dalle Nazioni Unite a Rio de Janeiro nel 1992 che si comincia a parlare in modo più diffuso di ambiente e di sviluppo sostenibile. È un bene che si parli di ambiente e delle problematiche a esso legate. Non è un bene però semplificare la complessità dell’oggetto in esame: cos’è l’ambiente? L’aria che respiriamo? L’acqua che usiamo quotidianamente? I campi che coltiviamo? Le risorse che estraiamo dal sottosuolo? Gli animali e pesci di cui ci nutriamo? Il suolo su cui costruiamo le nostre città e le discariche per i nostri rifiuti?

L’ambiente è in ognuna di queste componenti e in molte altre che qui non abbiamo elencato, ma se anche riuscissimo a elencarle tutte, la definizione di ambiente non sarebbe completa. Di fatto ciò che abbiamo elencato è un output finale che noi tutti utilizziamo. Secondo l’ottica comunemente diffusa, “noi”, genere umano, siamo sempre e comunque in primo piano e l’ambiente viene definito in funzione di ciò che “noi” possiamo farne. Fin qui nulla di strano: è troppo difficile uscire da una visione antropocentrica perché è la sola che ci è connaturata.

Il rischio insito in questa visione dell’ambiente sta nel non considerare che per arrivare all’output finale ci sono una serie di passaggi intermedi, che le persone comuni (in questo contesto da intendersi “i non addetti ai lavori”) non percepiscono in modo diretto. Processi naturali quali per esempio la purificazione dell'aria e dell'acqua, il controllo del clima, il ciclo dei nutrienti, la formazione del suolo, che sono essenziali perché ci siano le condizioni di vita sulla terra e siano prodotti quegli output che noi vediamo e siamo in grado di valutare concretamente.

Per fare un semplice esempio: i metri cubi di legname che arrivano al mercato hanno un prezzo, ma quel prezzo non dà una valutazione corretta dei “costi” sopportati dall’ecosistema forestale da cui quel legname proviene. Gli alberi svolgono una serie di funzioni che non si esauriscono nella funzione economico-produttiva: c’è l’assorbimento del carbonio nel soprassuolo e nel suolo forestale, la protezione dal rischio di erosione, la regolazione dell’equilibrio idrogeologico, l’assestamento del terreno, ecc. La presenza, la varietà, la ricchezza e lo stato di salute di specie floro-faunistiche (in una parola: biodiversità) è fondamentale perché un ecosistema sia stabile.

Se la collettività percepisce il valore del legname che arriva sul mercato e la bellezza del paesaggio forestale a fini turistico - ricreativi, gli altri processi ecosistemici ‘propedeutici’ ai beni finali che ci arrivano restano fuori dalla nostra portata (se non nei casi in cui essi cessano di esistere e quindi ne percepiamo gli immensi danni).

Esistono quindi delle funzionalità dirette alla collettività che sono a breve termine e attribuibili alla singola risorsa. Esistono delle funzionalità che essa, nella sua generalità, non percepisce; se esse sono gestite (bene o male) dall’uomo, producono effetti a lungo temine e sono riconducibili alla più complessa nozione di ecosistema di cui la singola risorsa fa parte.

Le domande a questo punto sono: la collettività è in grado di prendere o avallare delle decisioni sull’ambiente basandosi su ciò che dell’ambiente percepisce? E’ in grado di riconoscere quando una politica economica o economico/ambientale sia corretta e salvaguardi l’ambiente per noi e per le generazioni future? O forse la domanda dovrebbe essere: è la collettività in possesso di tutti gli strumenti per discernere quali orientamenti nei confronti dell’ambiente sono sostenibili e quali sbagliati? In conclusione: è opportuno parlare di ambiente e democrazia? E se sì, in quali termini?

Non è facile dare delle risposte, perché ci sono diversi aspetti da prendere in considerazione. L’opinione pubblica è ampiamente manipolabile sui temi relativi all’ambiente a causa della scarsa formazione di base purtroppo presente e a causa della complessità del tema.

Tutt’ora l’ambiente è percepito come un qualcosa di quasi ‘superfluo’ nel senso che se non ci sono altri grossi problemi forse si possono anche dedicare tempo e risorse alle problematiche ambientali (quasi un ‘contentino’). Da questo punto di vista la salvezza dell’Italia è nell’essere in Europa: siamo costretti a rispettare delle norme e adottare determinati standard che altrimenti avremmo tralasciato. Bisogna anche precisare che è davvero difficile comprendere le dinamiche ecosistemiche: neanche i tecnici che ci lavorano possono vantare una conoscenza esaustiva data la complessità dell’oggetto di studio.

Gli strumenti di cui la collettività dovrebbe disporre sono relativi all’informazione e comunicazione, alla trasparenza delle politiche e alla verifica degli impatti. Al momento la ‘sezione ambiente’ resta un po’ ghettizzata rispetto alle altre questioni che stato centrale ed enti locali trattano in via prioritaria. Si tratta di un ambito bazzicato solo da addetti ai lavori che di tanto in tanto, se accadono fatti clamorosi, assurge agli onori della cronaca. L’ambiente non rientra nelle variabili che il policy maker prende in considerazione nel momento in cui decide, ma è un argomento da comizio elettorale da tirare fuori se conviene e comunque nei termini in cui conviene. Gli strumenti per l’integrazione di questa variabile cruciale ci sarebbero: nell’Unione Europea si sta spingendo in questa direzione ma questa spinta è percepita più come un limite da aggirare in tutti i modi piuttosto che come la possibilità di fare qualcosa per il bene nostro e di chi verrà dopo di noi. L’atteggiamento che vede la “componente ambiente” come un sotto-sistema dell’economia è di per sé sbagliata, il non prenderla neanche in considerazione è diabolico. È il sistema economico un sotto-sistema dell’ambiente nel suo complesso e non viceversa. In questa prospettiva è primario verificare l’interazione delle attività economiche con l’ambiente in termini di prelievo e di scarichi.

Dall’altra parte la collettività, nel suo insieme, non dispone degli strumenti per capire, e dunque non è un buon giudice delle economico-ambientali che sono poste in atto. L’ambiente come ‘bene pubblico’ da garantire a tutti democraticamente resta in questa prospettiva una definizione molto vaga: la maggior parte dei membri della collettività non attribuisce a esso il giusto valore e lo vede come elemento secondario rispetto ad altre priorità.

La democrazia di fatto non c’è e la cosa peggiore è che data la situazione attuale non può esserci. Dovrebbe crearsi un comune ‘buon senso’ in merito al fatto che certe azioni hanno conseguenze irrimediabili: impermeabilizzare il suolo cementificando significa che mai più nulla di naturale potrà crescervi, non bisognerebbe creare dei rifiuti radioattivi aggiuntivi se non si sa come smaltirli, l’innalzamento della temperatura così come la perdita di biodiversità andranno a distruggere interi ecosistemi (e con essi tutta la vasta gamma di servizi che essi offrono) che l’uomo non riuscirà mai a riprodurre nella loro complessità e ricchezza pur ricorrendo a tutta la tecnologia possibile.

Al cittadino non è necessario avere tutte le conoscenze tecniche in materia, ma sarebbe fondamentale che avesse il rispetto dell’ambiente come valore imprescindibile perché fondamentale per l’esistenza dell’uomo. L’ambiente è complesso e qualsiasi azione dovrebbe essere guidata dalla precauzione, dalla sana paura di perdere qualcosa che poi non potremo più recuperare. Questo non implica immobilismo, ma richiede il vaglio di ogni azione alla luce di ciò che accadrà nel lungo periodo e in merito agli effetti a cascata che potrebbero esserci.

Per salvarsi dall’autodistruzione occorre, come si divulga già da un decennio, dare il giusto valore alle risorse naturali; il passo in avanti da fare per perseguire un’autentica sostenibilità sarebbe non limitarsi a guardare le risorse naturali come a sé stanti ma inserirle nel loro ecosistema.

Non esiste una soluzione rapida e univoca su come fare per avviarsi verso un futuro sostenibile nella sostanza. Esistono strumenti pratici utilizzabili a breve, medio e lungo termine per impostare, monitorare, contrastare/appoggiare determinate politiche economiche così come potrebbe esistere un processo a lungo e lunghissimo termine di formazione per le generazioni future che dovrebbe creare una coscienza ecologica radicata, insita nelle persone.

Al primo gruppo appartengono una pluralità di strumenti di matrice economica che cercano di integrare l’ambiente nelle ‘logiche’ seguite da chi pianifica e programma interventi e azioni in ambito economico: si possono citare la contabilità ambientale, l’analisi costi benefici e costi-efficacia, l’analisi multicriterio, la valutazione ambientale strategica, la modellistica integrata economico-ambientale, e così via.

Al momento attuale servendoci degli strumenti a breve, medio e lungo termine possiamo cercare di arginare i danni il più possibile operando nella ‘logica economica prevalente’ e lavorare un po’ alla volta e in modo continuativo alla creazione di condizioni e contesto perché si affermi a lungo e lunghissimo termine il ‘valore dell’ambiente imprescindibile’.

In conclusione, il termine “democrazia” riferita alla difesa e alla gestione dell’ambiente può avere diverse accezioni. La prima si riferisce alla gestione di un bene pubblico da tutelare: si tratta di un concetto teorico e vago, ma di immediata comprensione. La seconda si riferisce alla valutazione dell’ambiente per quello che è il suo reale valore e quindi alla capacità utilizzarlo e salvaguardarlo in modo appropriato: cioè è assai meno intuitivo e spesso va al di là delle conoscenze comunemente diffuse. Come per molte altre tematiche che toccano ogni giorno i cittadini, c’è spesso superficialità e condizionamento dal “sentito dire”. Alla domanda se oggi spetta al “popolo” decidere sull’ambiente, io personalmente risponderei di no a causa di una diffusa mancanza di appropriati strumenti di comprensione e valutazione; alla domanda se spetta alla nostra classe politica decidere sull’ambiente, risponderei nuovamente di no per il trasversale opportunismo e la mancanza di conoscenza della materia non molto diversa da quella del cittadino comune. Restano i “tecnici”, quelli che ne capiscono qualcosa, quelli che percepiscono i gravi pericoli a cui siamo esposti e propongono azioni “prudenti” e uno sviluppo che sia sostenibile nella umiltà di non avere tutte le risposte come invece ci si illude nell’ambito di una visione tecnocratica della questione.

Ambiente e democrazia è un binomio ambiguo che andrebbe interpretato con cautela e senza pregiudizi derivanti dall’appartenenza politica.



*Alessandra La Notte insegna Scienza delle finanze all’Università di Torino.

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