venerdì 30 maggio 2014

Martelloni: Freccero e Renzi

Grazie a Freccero per gli spunti d'analisi e soprattutto per l'utilizzo della categoria storico-politica del «neo-centrismo» con cui legge il “fenomeno Renzi”. E grazie a Scirocco che li propone con un suo agile ma "pensato" commento – che ne sollecita subito, dal mio punto di vista, un altro. Una precisazione, credo, richieda pure il neo-centrismo di Freccero. Vediamo. Come ha giustamente ricordato ora Pecchiari tutte le questioni economiche, finanziarie e sociali, nazionali ed europee, restano sul tappeto. Il neo-centrismo in una fase economica espansiva ha avuto ed avrebbe margini redistributivi ampi. In breve, consentirebbe nuovamente politiche di welfare. Completamente diversa, se non opposta, è l'attuale situazione, particolarmente quella italiana, dove si sommano deflazione, deindstrializzazione, disoccupazione strutturale. Licio Gelli ha addirittura annunciato-previsto un «bagno di sangue». Ma veniamo al risultato elettorale. Una prima preliminare questione riguarda l'entità, il peso effettivo, del successo del PD. Una seconda, legata alla prima, concerne la sua "qualità" politica e dunque la sua "genealogia" (Fanfani? Veltroni?) e le probabili dinamiche del renzismo (Progressismo, Blairismo? «Riformismo senza riforme»? «Modernizzazione restauratrice». Neo-centrismo tecnocratico? «vocazione maggioritaria»? «vocazione totalitaria»? «sovversivismo dall'alto»? ecc. ecc.). Mi pare si tratti comunque di una forma di «rivoluzione passiva». Il tempo e soprattutto lo scontro politico e sociale ne determineranno e chiariranno la qualità? Intanto occorre contare e “pensare” i voti. Il PD di Renzi, col 40,81 % e 11.203.231 elettori ha certamente stravinto queste elezioni, per meriti suoi e del potentissimo sistema dell'”informazione” pubblica e privata, e per demeriti degli altri: ha usufruito anche, con la grottesca demonizzazione di un Grillo che già si ingarbugliava “quarantottescamente” da sé, del manifesto “aiuto” berlusconiano («a Renzi gli ho tirato la volata!»), di un Berlusconi oggi molto poco spendibile elettoralmente. Elezioni però – e questo è un punto dirimente – che hanno registrato una forte riduzione della partecipazione al voto, assestatasi, appunto, al 57,22%. Aggravando cioè, anche in Italia, una crisi della democrazia rappresentativa già evidente. Cosicché il dato percentuale ottenuto oggi dal PD DISTORCE la valutazione del dato politico-quantitativo effettivo. E la distorce soprattutto se lo si usa – come fan tutti, più o meno “pelosamente”– nelle valutazioni politiche nazionali sull'oggi e sul domani. Infatti il PD "renziano", nonostante l'esplicita «mutazione genetica» che gli ha consentito di raccogliere voti in tutte le direzioni – e senza avere un credibile antagonista moderato – oggi RESTA SOTTO il PD "veltroniano" delle elezioni politiche 2008 (12.092.998 voti e 33,2%) di quasi 900.000 elettori. Cioè guadagna MENO di quanto perde. Tanto più che a questi numeri del 2008 andrebbero aggiunti i 355.581 voti – potenziali elettori di oggi – ottenuti allora dal P.S. Nel 2008, la «vocazione maggioritaria» del PD gli fece sì ottenere quel buon risultato di partito (che sommava Margherita e DS) ma anche e soprattutto una SCONFITTA della coalizione di centro-sinistra (concordata col solo partito di Di Pietro – ebbe il 4,4 – allora “accettato” perché non aveva ancora osato criticare duramente il “grande vecchio” alla presidenza della Repubblica). Da allora un Veltroni sconfitto, e poi umiliato da D'Alema, ha le valigie pronte per un suo “prossimo” impegno umanitario in Africa. Intanto, il nostro “kennediano”, specula a suo modo, politicamente e cinematograficamente, sulla memoria di Berlinguer rimuovendone però tutto l'indirizzo politico e ideale. Proprio lui, quel Veltroni che ora, e legittimamente, rivendica la paternità del PD di Renzi Sempre nel 2008 il solo PDL raggiunse 13.628.865 voti che, sommati a quelli di Lega Nord e Movimento delle autonomie per il Sud giunsero a 17.063.874, pari al 46,8%. Insomma anche il Berlusconi del 2008 potrebbe guardare dall'alto in basso il giovane Renzi del 2014. Ma, si dirà, in questi 6 anni, e soprattutto nell'ultimo, è cambiato tutto, si è aperta un'altra stagione politica. Appunto, ma quale? I cittadini, per ora astensionisti, restano e crescono. E resta pure Berlusconi che, sebbene in molti sensi “dimezzato”, è ancora lì, e con tutti i suoi cospicui interessi, personali e di gruppo, in campo. E, in politica, può in vario modo aiutare, contenere o contrastare Renzi e il suo specifico “riformismo”. Tanto più che non conosciamo, per davvero, tutti i termini e lo spettro dei loro patti. Si enfatizza ora, e moltissimo, il «risultato storico» ottenuto dal PD, ma allora, per valutarlo correttamente – con buona pace della propaganda “di regime” del nuovo Minculpop – occorre adottare una prospettiva storiografica di «media durata» temporale, e che sia politicamente significativa. Nel caso italiano, per varie ragioni, credo si debba considerare l'ultimo quarantennio. In questa prospettiva, né Veltroni né Renzi potrebbero con successo paragonare i loro risultati quantitativi (si tace per disperazione di quelli qualitativi) a quelli della DC e dello stesso PC del 1976. Ebbero allora, rispettivamente, 14.218.519 voti col 38,71% e 12.622.728 col 34,37%, (con una affluenza alle urne del 93,4%!). E per di più, allora, l'area della intera sinistra "costituzionale" – col PSI al 9,64 e il PSDI al 3,37 – raggiungeva il 47%! Ancora, alle europee del 1984 il PCI, col 33,33% e 11.714.428 voti batteva la DC arretrata al 32,96%. Il PSI allora totalizzava 3.940.445 voti, pari all' 11,21%; il PSDI 1.225.462 voti, pari al 3,49%; il Partito Radicale 1.199.876 voti, pari al 3,41%; DP 506.753 voti, pari al 1,44%. Piccola notazione soltanto matematica: le varie sinistre allora, esattamente trent'anni fa, potevano vantare, almeno in teoria, una lieve maggioranza assoluta nel Paese. Sappiano invece che, politicamente – di nuovo a partire dal '76 – erano tra loro dilacerate e conflittuali. Al tempo in Italia, in quel mondo bipolare, non si voleva/poteva governare insieme ad una grande forza denominata ancora PCI, sebbene tale partito fosse ormai divenuto, nella sostanza, una socialdemocrazia europea, magari – nelle sue maggiori componenti – particolarmente “di sinistra”. Craxi, socialista-autonomista, voleva allora che quei comunisti venissero, se non cancellati, almeno ridimensionati e diventando politicamente subalterni. E per tentare, con ogni mezzo, questa operazione si è giocato l'anima e il partito. E forse il Paese. Oggi, il “democratico” Renzi ha finalmente chiuso la complessa storia politica novecentesca del movimento operaio italiano, di quello comunista e di quello socialista. A questo mirava il craxismo? Non credo. Ma Renzi è stato aiutato da tanti, da troppi. Dentro e fuori il PD. A cominciare dalle componenti interne del partito, già dal “procurato” – e da più parti – crollo politico di Bersani. A Renzi è stato consentito qualsiasi gioco, interno ed esterno, fino ad adottare le regole congressuali più strampalate – uniche al mondo – pur di rendere il partito conquistabile. Ma è pur vero che tanto è risultato possibile perché il “renzismo” costituisce il conseguente compimento del “veltronismo”. E tuttavia non tutto il partito appariva prima “veltronian-democratico”. Anzi, la «ditta» sembrava voler essere un po' diversa: più «popolare e di sinistra». E infatti «troppo vecchia», «troppo sindacale», la giudicavano i “liberal-modernizzatori” interni e soprattutto esterni – quelli che contano. E allora? Forse anche per quella parte di PD allora apparentemente non renziana quel confronto congressuale ha costituito non dirò un alibi per salvare almeno la faccia, ma un vero rito catartico. Una pratica liberatrice grazie ad una sconfitta annunciata. La liberazione da una storia, da ideali e interessi sociali ritenuti ormai troppo antichi o troppo impegnativi. Gli ideali, appunto, di un Socialismo realmente riformista perché effettivamente riformatore. Ora, grazie a queste elezioni, il segretario del PD e capo del Governo sembra avere il vento in poppa. Le sue vele appaiono gonfie, ma il vento effettivo è meno forte di quanto si tenda a far credere. E i marosi della crisi sociale non tarderanno a battere i fianchi della nuova imbarcazione: un'arca che trasporta specie tra loro troppo diverse e troppe altre ne lascia alla tempesta. L'80% del paese reale non sta nel PD, e il 50% non si schiera, oggi, con nessuno. Ma non affogherà in silenzio. Serve allora una flotta di veloci navi corsare.

Z. Baumann: The European Elections, Politics And Inequality

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Inequality And Post-neoliberal Globalisation - Social Europe Journal

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Italia sempre più a corto di grandi imprese | Salvatore Bragantini

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Dossier elezioni europee

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La flessibilità del lavoro ostacola lo sviluppo dell’economia

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Il terremoto europeo e la stabilità italiana - Eddyburg.it

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Nell'Italia dove la cultura vale zero euro - Eddyburg.it

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giovedì 29 maggio 2014

Cesare Salvi: La sinistra dopo le elezioni europee

La sinistra dopo le elezioni europee Le elezioni europee sono state un autentico terremoto politico non solo in Italia. Molte analisi sono state dedicate alla travolgente vittoria del PD in Italia, e ai contraddittori risultati negli altri paesi dell’Unione. Ma vorrei qui concentrarmi sulle prospettive per la sinistra in Italia. La lista Tsipras ha superato lo sbarramento, e questo certamente è un dato positivo per chi si è impegnato per questo risultato. Vanno segnalati in questi contesti risultati molto superiori alla media nelle grandi città. Ma ora la domanda è: si è trattato di un episodio già concluso, dopo il quale ciascuno tornerà come prima, o è possibile ripartire da questo 4% per costruire in Italia un partito della sinistra? I primi segnali non sono incoraggianti. Già nelle elezioni regionali amministrative le forze della sinistra si sono perlopiù presentate divise, con risultati modesti (è significativo che invece laddove si sono presentate unite il risultato è stato molto migliore rispetto alla somma dei partiti). Soprattutto, subito dopo il voto, non vengono segnali incoraggianti dalle forze politiche che hanno concorso alla lista europea. SEL appare divisa tra chi pensa a una confluenza nel PD, o comunque a un rapporto privilegiato con questo partito, abbandonando quindi la prospettiva di una sinistra unita, e chi, sul versante opposto, ripropone, per andare avanti, pregiudiziali di ogni tipo. Si rischia però in questo modo di rinunciare definitivamente alla possibilità di dare all’Italia una formazione politica analoga a quelle che non solo in Grecia, ma anche in Germania, in Francia, in Spagna, hanno mostrato in queste elezioni di avere un significativo radicamento e consenso. Questi partiti hanno assunto come denominazione la parola “sinistra”, e hanno dimostrato che è possibile unire socialisti, comunisti, ambientalisti, le forze nuove dei movimenti, intorno a un progetto condiviso. La mia opinione è che occorre fare la stessa cosa in Italia. Bisogna subito dare vita a una costituente della sinistra, partendo dal programma della lista per le europee. Il percorso va concluso con la costituzione di un vero e proprio soggetto politico, basato sulla regola “una testa un voto”. Non bisogna fare del rapporto con il PD la questione dirimente, e in questo momento divisiva. Il buon senso dice che la questione va affrontata volta per volta, confrontandosi sul programma, a livello nazionale, regionale e amministrativo. Il primo banco di prova sarà l’anno prossimo, quando dieci regioni andranno al voto. Bisognerebbe essere pronti per allora. Per molti aspetti il PD di Renzi resta da decifrare. I prossimi mesi diranno come sarà utilizzato il grande consenso conseguito, sul piano sia economico sociale sia dell’assetto costituzionale. Dividersi adesso non avrebbe senso. E in ogni caso solo una democrazia partecipata, non intese o contrasti di vertici ristretti, può offrire gli strumenti per le decisioni che dovranno essere prese dall’ipotizzato nuovo soggetto politico. Come si dice in questi casi, pessimismo della ragione, ottimismo della volontà.

HOLLANDE CI LASCIALE PEN | Avanti!

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Andrea Ermano: Rifare l'Italia? Sì, ma non così

Dall'Adl EDITORIALE Rifare l'Italia? Sì, ma non così. Grande trionfo della centro-sinistra italiano. Ma evitiamo di mettere le riforme nelle mani di un giacobinismo subalterno e frettoloso. di Andrea Ermano Il PD renziano trionfa. E questo trionfo, inatteso da tutti, soprattutto dai sondaggisti, fa tirare un sospiro di sollievo anche quelli che, come noi, mai sono stati "renziani". Respiro di sollievo, dunque, sia perché il "Giaguaro" è stato finalmente "smacchiato", come nota Bersani, sia perché il Paese ha evitato un éclat populista che sarebbe servito solo alle classi dirigenti per scaricare le proprie responsabilità. Lo fanno spesso, quando la situazione si fa difficile. Il premier Renzi ha commentato i risultati elettorali elogiando l'Italia che si è dimostrata "più forte delle sue paure" e che ha saputo sconfiggere la rabbia con una dose doppia di speranza. La speranza e la paura: binomio non propriamente nuovo, se pensiamo all'inizio della divina Commedia che riserva alcuni importanti versi alla figura della "lupa" e allo sguardo "pauroso" di quella bestia, talmente terrorizzante da far smarrire al sommo poeta la "speranza" del buon esito. La lupa dantesca è una fiera "carca" di ogni insaziabilità, orrendamente magra, che "molte genti fé già viver grame". E il sommo poeta aggiunge: che mai non empie la bramosa voglia, e dopo 'l pasto ha più fame che pria (Inf. I, 98sg). Ebbene, vogliamo sperare che il "renzismo" non si riveli anch'esso – come altri già – un fenomeno politico figlio della lupa dantesca. Vogliamo sperare che l'establishment italiano, di cui il renzismo è espressione, non approfitti ora della situazione di vantaggio per tirare la coperta dalla sua parte. Sarebbe la prima volta? L'insperato trionfo sancito dal popolo italiano nelle urne significa che la ricchezza va ora redistribuita in modo più equo, come evidenzia la maggioranza assoluta del consenso "a sinistra". Sarebbe una presa in giro pericolosa per tutti se, alla fine, la forbice dell'ingiustizia aumentasse invece di diminuire. William Blake, Virgil saving Dante from the three beasts, particolare Perciò, attenzione alla lupa, ragazzi. Ché non verseremmo nella miseria in cui siamo, né in Italia né in Europa né nel mondo, se sul meccanismo delle decisioni politiche, costantemente, non agisse un'appetizione capace a volte di silenziare la voce della ragionevolezza e della coscienza. Tutti sanno che la dinamica "appetitiva" – per cui i ricchi usano la loro ricchezza al fine di diventare sempre più ricchi rendendo, dunque, i poveri sempre più poveri – ha un nome: decadenza. Eppure, poche decisioni politiche, poche strategie mediatiche e non moltissime "narrazioni" culturali riescono a sottrarsi all'egemonia dell'appetizione, cioè dell'avidità, cioè della decadenza. Come mai? Ma perché l'appetizione è una forza storica reale, che la ragione incontra grandi difficoltà a imbrigliare e che, se lasciata libera di scatenarsi, traligna in tracotanza: "e dopo 'l pasto ha più fame che pria". Attenzione alla lupa, dunque. La crisi finanziaria globale e quella dell'Euro sarebbero già risolte – e anzi non avrebbero nemmeno avuto luogo – se non fosse sempre attiva una tendenza allo sbilanciamento tra facoltà appetitiva e facoltà razionale. La questione dell'autonomia della politica è anche questione dell'autonomia della ragionevolezza dall'avidità. Questione drammatica. Perché, per esempio, chiunque vede come per vent'anni s'è destrutturato lo stato sociale, delocalizzata l'economia industriale, sbrigliata la finanza speculativa… Sicché ora la famelicità è scatenata come non mai. E bisognerà vedere se, chi e come riuscirà a domarla. Possono riuscirci gli strapagati termitai della politica e della burocrazia, affetti da turbo-corruzione doppia, interna ed esterna? È lecito dubitarlo. In questo senso, urgono le riforme. Riforme della Pubblica amministrazione, della Giustizia e del Lavoro. Urgono, per "redistribuire" un minimo di giustizia sociale che faccia respirare la nazione. Senza contare l'esigenza di dare al Paese una legge elettorale equa, dopo l'abrogazione del "porcellum" da parte della Consulta e in seguito alle azioni legali di valenti giuristi come Felice Besostri, Aldo Bozzi e Claudio Tani. Ma sarà necessario incidere anche e in modo strutturale sui fondamenti istituzionali e costituzionali della Repubblica. Qui si decide in ultima analisi il ritorno alla Politica intesa in senso alto e nobile, come ragionevolezza che sa debellare l'avidità. Ciò premesso, la questione è così riassumibile: riusciranno i nostri eroi a "rifare l'Italia", per usare la formula turatiana rievocata da Matteo Renzi nella conferenza stampa della vittoria? Ovviamente, a questa domanda non si può rispondere prescindendo dal "come" delle riforme costituzionali, laddove l'avidità dell'establishment tende invece a portare il dibattito sul merito, a trasformare il merito in tafferuglio e a pilotare, facilmente, la decisione sulla base di meri rapporti di forza, per altro "trasformabili" a piacere. È allora allarmante constatare come il governo intenda procedere in quest'ambito, con il rischio o di assurde imperizie o anche di un nulla di fatto finale. È, inoltre, allarmante che la decisione sulle riforme venga reclusa in un parlamento di "nominati" e per giunta su base maggioritaria. L'Italia – ribadiamolo – è una Repubblica d'impianto costituzionale "proporzionalistico", che è quindi assolutamente incauto voler trasformare in senso maggioritario senza ridefinire accuratamente un sistema dei controlli e dei contrappesi, tanto più se s'intende transitare verso un parlamento monocamerale. E allora, repetita iuvant, occorre evitare di mettere il potere di decisione sulle riforme nelle mani di un giacobinismo partitocratico subalterno, frettoloso e arbitrario. Sarebbe più ragionevole sottrarre la complessa materia alle turbolenze parlamentari, chiamando invece il popolo a eleggere su base proporzionale una Commissione costituente cui affidare la riscrittura delle regole di base. Il tempo impiegato alla fine sarebbe lo stesso. E l'intero processo politico potrebbe svolgersi, da qui al 2018, in modo più stabile, lineare e controllabile sul piano democratico.

Eurobonds: oggi più di ieri

Eurobonds: oggi più di ieri

Francesco Maria Mariotti: Vittoria Netta, Ma Il Voto Non Decide Tutto

Vittoria Netta, Ma Il Voto Non Decide Tutto

mondiepolitiche: Chi Governa Il Mondo? (una lezione di Sabino Cassese - da Firstonline.info)

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martedì 27 maggio 2014

Freccero: “Renzi incarna la nuova Dc” - micromega-online - micromega

Freccero: “Renzi incarna la nuova Dc” - micromega-online - micromega

The European Elections - Looking For Bright Spots

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Dietro il populismo | Tito Boeri

Dietro il populismo | Tito Boeri

Qualche dubbia verità sull’Europa | Andrea Boitani

Qualche dubbia verità sull’Europa | Andrea Boitani

PERCHE’ LA SINISTRA: ELEZIONI EUROPEE 2014. NON E’ IL 18 APRILE: ALLORA SI COSTRUIVA LA DEMOCRAZIA, ADESSO SI PREPARA UN REGIME (E NON C’E’ IL FRONTE POPOLARE) di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: ELEZIONI EUROPEE 2014. NON E’ IL 18 APRILE: ALLORA SI COSTRUIVA LA DEMOCRAZIA, ADESSO SI PREPARA UN REGIME (E NON C’E’ IL FRONTE POPOLARE) di Franco Astengo

Gim Cassano: Siamo tornati alla DC degli anni ‘50, ma senza un’opposizione di sinistra

Siamo tornati alla DC degli anni ‘50, ma senza un’opposizione di sinistra. E’ inutile negarlo: Renzi ha vinto. Non è solo il dato percentuale a dimostrarlo, ma soprattutto il confronto tra i voti presi dal PD nel 2013 (8,6 milioni con il 75% di votanti) e quelli presi ieri (11,2 milioni con il 57% di votanti). La destra si è frantumata in pezzi non riconducibili ad una comune visione: ad un NCD europeista e governativo, si affiancano un partito che al riguardo è molto tiepido (Forza Italia) e formazioni decisamente antieuropeiste (Fratelli d’Italia e, soprattutto, la Lega, che dell’avversità all’Europa ed all’euro ha fatto il suo cavallo di battaglia, costruendovi il suo buon risultato). Nell’insieme, i partiti più nettamente antieuropeisti guadagnano voti (300.000 la Lega, e 340.000 Fratelli d’Italia, che rivendica il ruolo di fedele erede della destra post-MSI), mentre Forza Italia subisce un tracollo (da 7,3 a 4,6 milioni di voti, neanche lontanamente compensati dai 1,2 milioni di voti andati al NCD). In conclusione, pur aggregando i voti andati al NCD ai restanti voti di destra, le forze di destra nel loro insieme perdono circa 900.000 voti, che diventano 2,1 milioni ove invece si consideri il NCD insieme alle forze centriste. Difficile quindi immaginare una destra in termini di area politica omogenea, nonostante i tentativi di affermare il contrario nei primi commenti del dopo-voto effettuati da alcuni esponenti di Forza Italia. Più facile quindi immaginare un Berlusconi che pensi di correre verso il carro del vincitore, fornendogli quel sostegno parlamentare al Senato del quale, per il momento, Renzi difetta. I centristi non-PD non esistono più come soggetto politico, ed il tentativo di dar vita in Italia ad un soggetto di ispirazione liberale, anche se camminando sulle gambe di Tabacci e dei residui montiani, si è rivelato un clamoroso fallimento. I 3,7 milioni di voti ottenuti nel 2013, congiuntamente dalle liste in appoggio a Monti e dal Centro Democratico di Tabacci si riducono ai meno di 200.000 voti della lista ALDE (o a meno di 1,3 milioni di voti, ove vi si consideri anche il NCD di Alfano). E, ove si consideri la somma dei voti di tutte le formazioni a destra del PD, si passa da un totale di 13,1 milioni di voti (PDL, Lega, Fratelli d’Italia, Monti, Tabacci) a 8,7 milioni di voti (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, NCD, Scelta Europea). A sinistra, pur se la “lista Tsipras” si salva per il rotto della cuffia con un insperato ma pur sempre modesto 4,03%, non c’è affatto da cantar vittoria. Il suo risultato si colloca ben al di sotto dei circa 1,85 milioni di voti raccolti complessivamente da SEL e dalla lista Ingroia nelle politiche del 2013 (e vede ovviamente il dato percentuale crescere dal 3,2 al 4%); c’è però da chiedersi quanta parte di questo risultato sia dovuta all’effetto-traino di un Alexis Tsipras che agli occhi di molti ha saputo rappresentare una sorta di Davide contro Golia-Merkel, il campione della piccola Grecia contro la prepotenza germanica. In quanto ai 5 Stelle, il cattivo risultato (2,9 milioni di voti in meno) è da addebitare essenzialmente ad una campagna elettorale nella quale si sono sentiti solo insulti, volgarità, e tronfi preannnunci di vittoria. Ma nulla di proposta politica. C’è solo da augurarsi che, come è avvenuto un anno fa, a sinistra non si ricada nella tentazione di vedere nelle 5 Stelle un possibile interlocutore. In buona sostanza: · I 4,4 milioni di elettori venuti meno alla destra ed al centro sono andati in parte ad aumentare gli astenuti, ed in parte, con una scelta razionale e coerente, ad un PD che è divenuto il vero luogo del centrismo italiano. · I 2,9 milioni di elettori venuti meno a Grillo si sono divisi tra l’astensione ed il PD. · I 750.000 elettori venuti meno alla sinistra si sono divisi tra PD, astensione; e, forse, ed in piccola parte, a Grillo. · Il PD, dunque, guadagna essenzialmente a spese del centro-destra e, in misura inferiore, a spese dei grillini e della sinistra. E’ anche ipotizzabile un ritorno verso il PD di una piccola parte degli astenuti del 2013. Se qualcosa si è mosso controtendenza dal PD alla lista Tsipras, si tratta di frange. In conclusione, Renzi ha stravinto queste elezioni. La sua vittoria è stata agevolata da diverse circostanze; ma, su tutto, predomina una ragione di fondo: quella di aver ricollocato in modo esplicito il suo partito in quell’area centrista nella quale era già da anni, ma senza che ciò venisse ammesso. Il PD, nato come partito di centrosinistra, ha compiuto e formalizzato la sua evoluzione in senso centrista, facendo propria una strada di politica economica (vedi lo “Jobs Act”) che presume di poter rimettere in marcia l’economia agendo sul fronte degli incentivi e della flessibilità del lavoro ed evitando di affrontare la questione della creazione di domanda. Facendo propri, inoltre, non pochi dei tradizionali punti di vista della destra in merito alla cosiddetta semplificazione della politica, mettendoci in più di suo l’abilità di riuscire a far percepire come avversi alla “casta” provvedimenti che invece la rafforzano riducendo gli spazi di democrazia a disposizione dei cittadini. Le invettive scomposte di Grillo e la mancanza di una credibile alternativa di sinistra hanno fatto il resto, mettendo Renzi nella condizione di apparire come l’unica alternativa ad un avventurismo apolitico ed antieuropeo; molti italiani hanno quindi visto, in Renzi più che nel PD, la nuova “diga”. Emblematica, al riguardo, la posizione di Eugenio Scalfari, che ha sostituito Indro Montanelli nell’invitare gli italiani a turarsi il naso e votare PD. Abbiamo, in sostanza, nel PD di Matteo Renzi una nuova DC a rinsaldare al centro gli equilibri politici del Paese; ma, a differenza che negli anni ’50, la nuova oligarchia che si sta profilando non ha, alla propria sinistra, un’opposizione ed un progetto politico alternativo, ma solo un vociare scomposto. E, al proprio interno, non incontra neanche il confronto con voci critiche. Come ho già avuto modo di scrivere qualche giorno fa (Dove va l’Italia?), siamo davanti al compimento di un ciclo avviato da circa venti anni, e che vede il sostanziale arretramento della nostra democrazia. Di fronte a questo, e di fronte allo stucchevole conformismo generale, non c’è altra cosa da fare che avviare, con tutti coloro che vi siano disponibili, la ricostruzione di un’opposizione di sinistra, in nome della democrazia, di una seria capacità riformatrice, della capacità di guardare avanti e non indietro.

Franco D'Alfonso: Oggi la sinistra riformista ha vinto e Renzi è il suo profeta

Oggi la sinistra riformista ha vinto e Renzi è il suo profeta. Tutto il resto sono chiacchiere al vento. Per la prima volta in vita mia voto Pd perchè finalmente è entrato nel Pse e si raggiunge il massimo risultato della storia... A parte le facili battute, Renzi (il vero e unico vincitore) ha vinto perchè: -a) ha presentato un volto di speranza, fuori dalla tradizione Pci Pds Ds etc; -b) ha dato la sensazione (solo quella per ora) di voler mettere in discussione tutti i tabù che ci hanno frenato fino ad oggi (dai sindacati alla riforma della pubblica amministrazione allo strapotere dei dirigenti pubblici) -c) ha fatto una battaglia politica e non una speculazione tattica. La sinistra larga, civica o come volete chiamarla voi non importa, quella che non è pd e che mai ( meglio ricordarselo) voterebbe per un pd classico (poco più di un anno fa lo ha dimostrato, direi) ha votato compattamente per Renzi e, attenzione ! non dimentichiamolo, per il Pse che si oppone alla linea Merkel senza bruciare le carcasse di auto in strada. Si vede a Milano dove due anni di amministrazione di sinistra pragmatista portano, come già lo scorso anno, la maggioranza comunale oltre il 55 % e lo stesso Pd sei punti oltre la media nazionale. La vittoria è della politica , non dei (del) partito o del buon governo . Vedremo come saprà gestire il successo Renzi : personalmente ho più di un timore, ma , come si diceva una volta, tra contraddizione principale e contraddizioni secondarie, bisogna considerare solo quella principale .. Non è ininfluente come ci si muoverà più che intorno a Renzi, ciascuno a casa propria . L'effetto band-wagon porterà tutti quelli che ambiscono a"posti" a far visita alle segreterie del Pd : possiamo tranquillamente ignorare il loro personale cammino di Santiago, direi .. Quello che importa è come, dove , quando continueranno a far politica e produrre idee quelle persone che sono tornate alla politica per interesse politico e spirito civico , come a Milano abbiamo ancora: la manifestazione pubblica del movimento della sinistra civica è stata l'unica con presenza di qualche centinaio di persone un mercoledì alle h 18 (ovviamente ad eccezione della venuta di Renzi a Mi) . Un potenziale per consolidare una "sinistra diffusa, civica, riformista al di fuori delle logiche delle oligarchie e delle oligarchiette" esiste, è necessario che si "metta a terra", senza affanni e senza inutili attese di palingenesi, rifondazioni etc etc. Ciascuno spazzi l'uscio davanti a casa sua, alla fine tutta la città sarà pulita. Gli arabi dell'anno mille erano saggi, impariamo da loro. Franco D'Alfonso

Livio Ghersi: Europee: politica politicante senza ideali

Europee: politica politicante senza ideali. Le elezioni europee del 25 maggio 2014 saranno ricordate per la netta affermazione del Partito Democratico. Gli 11.172.861 voti conseguiti dal PD parlano chiaro. Invero, in termini assoluti, Walter Veltroni fece meglio nelle elezioni del 13 aprile 2008, ottenendo oltre 12 milioni di voti in sede di rinnovo della Camera dei deputati. Il giorno del voto, Eugenio Scalfari, vecchio liberale, radicale, socialista, democratico, ha firmato un editoriale titolato: "Non amo Renzi, ma oggi lo voterò". Con buona probabilità, il ragionamento di Scalfari ha interpretato lo stato d'animo di tanti altri elettori. I quali hanno scelto il PD non perché convinti estimatori dei talenti del giovane leader democratico, ma per raccogliersi sotto le ali protettive di un partito che, per la sua consistenza numerica e la sua collocazione nel Parlamento europeo, potesse meglio rappresentare e difendere gli interessi dell'Italia in Europa. Chi scrive non ha votato per il PD, ma per "Scelta Europea"; dunque è tra gli sconfitti. Una sconfitta sonora, senza appello. Eppure la modesta vicenda di "Scelta Europea" può essere un'utile chiave di lettura per comprendere come si sia orientato l'elettorato italiano. I primi giorni dello scorso mese di aprile, dopo un travaglio durato un mese, si è arrivati ad un accordo tra tre distinti soggetti politici per presentare una lista unitaria, che sostenesse, a nome del Gruppo dei Liberali Democratici europei (ALDE), la candidatura del liberale belga Guy Verhofstadt alla Presidenza della Commissione europea. La scelta unitaria è maturata troppo tardi e certamente non è stata condivisa dall'intero partito di Scelta Civica. Circostanza che non deve sorprendere. Lo stesso fondatore del partito, il senatore a vita Mario Monti, ha sempre tenuto a non farsi rinchiudere nel piccolo recinto liberale, preferendo coltivare relazioni anche con una famiglia politica ben più importante, negli equilibri dell'Unione europea, quella dei Popolari europei. Tutti ricordano la diretta partecipazione di Monti al vertice del Partito Popolare Europeo (PPE) a Bruxelles nel mese di dicembre del 2012: quando l'allora presidente del PPE, Martens, gli propose di porsi a capo di tutti i partiti italiani che si richiamavano al PPE e l'attuale leader di Forza Italia, Berlusconi, si dichiarò disponibile a questa ipotesi, nel superiore interesse di riunire tutte le forze moderate italiane. In ogni caso, per quanto sofferta fosse stata la gestazione della lista italiana dell'ALDE, sulla carta sembrava avere i requisiti per essere competitiva. Facciamo un po' di conti. Soltanto un anno prima, nelle elezioni del 24 febbraio 2013, i tre soggetti politici che ora si presentavano coalizzati avevano, rispettivamente, ottenuto nel voto per il rinnovo della Camera dei deputati: Scelta Civica con Monti, voti 2.823.842; Fare per fermare il declino, voti 380.044; Centro Democratico, voti 167.328. Con una stima assai prudente, era realistico ipotizzare che il venticinque per cento dei voti di Scelta Civica e l'ottanta per cento dei voti di ciascuna delle altre due formazioni restassero confermati, a distanza di un anno, per la nuova lista di Scelta Europea. Ne risultava una cifra complessiva di 1.143.857 voti, sicuramente una dote non trascurabile. Ma vi è di più. Richiamo di seguito sette diverse forze politiche (tra partiti, o associazioni), che hanno dichiarato ufficialmente di sostenere la lista di Scelta Europea e che hanno espresso propri candidati: 1) Partito federalista europeo; 2) Partito repubblicano italiano (PRI); 3) Partito liberale italiano (PLI); 4) LibMov, Movimento di liberali aderenti all'ALDE; 5) I Liberali; 6) Democrazia liberale; 7) Federazione dei liberali (FdL). Non considero, invece, l'Alleanza liberaldemocratica per l'Italia (ALI), perché costituita da fuorusciti di Fare per fermare il declino, quindi già inclusa nel risultato elettorale di Fare nel 2013. Con una stima sempre molto prudente, si poteva ipotizzare che questi sette ulteriori soggetti politici, mobilitando i propri quadri ed iscritti, potessero portare almeno altri quindicimila voti, come proprio apporto elettorale complessivo. Così la mia personale previsione accreditava la lista di Scelta Europea di 1.158.857 voti potenziali. Detta cifra elettorale equivaleva al 3,40 % del totale nazionale dei voti validi rispetto ai dati delle elezioni del 24 febbraio 2013. Rapportata al totale nazionale dei voti validi nelle elezioni europee del 25 maggio 2014, in cui il numero dei votanti è considerevolmente diminuito, si sarebbe tradotta in una percentuale del 4,23 % (al di sopra della soglia di sbarramento). Eppure, fin dall'inizio, quasi tutti i sondaggi effettuati davano per scontato che Scelta Europea non avrebbe raggiunto la soglia di sbarramento: con una previsione che determinava immediatamente l'effetto di scoraggiare i potenziali elettori per la prospettiva di un voto "non utile". Alla fine, i voti effettivi sono stati 196.157 (0,71 %). Io so di aver votato e non mi pento; potrei consolarmi ascoltando la voce straordinaria di Édith Piaf che cantava: «Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien». Quanti, però, hanno tradito la loro parola? Quanti hanno fatto finta di impegnarsi? Gente che presume di conoscere la politica fin da quando portava i calzoni corti è caduta nel più classico tranello della manipolazione del consenso: per fare argine contro il partito dello sfascio e del caos (così gli organi di informazione di massa presentavano il Movimento 5 Stelle), bisognava correre a rafforzare il nuovo partito d'ordine, ossia il PD di Renzi. Il Partito Democratico è lo stesso che, Segretario Bersani e Presidente del Consiglio Letta, rassicurava i governi dell'Eurozona promettendo che tutti i patti sottoscritti (Fiscal Compact e pareggio di bilancio, inclusi) sarebbero stati rispettati. Oggi Renzi contribuisce a minare i conti pubblici con i famosi ottanta euro e promette che il Partito socialista europeo d'ora in poi cambierà verso all'Europa. Beato chi ci crede. Quando devo giudicare Renzi, guardo ai contenuti della legge elettorale che ha elaborato, o ai contenuti del disegno di legge costituzionale che ha presentato, con particolare riferimento al nuovo ruolo del Senato. E' sconcertante vedere quanti si pongano nella scia del nuovo potente di turno e gli facciano credito di una capacità riformatrice, a prescindere dal merito delle riforme proposte. Renzi è, appunto, un innovatore a prescindere. Come avrebbe detto Totò. Il ruolo degli autentici liberali democratici non è e non potrà mai essere quello di non disturbare il manovratore. Verhofstadt è stato rieletto con una messe di preferenze dal suo partito liberale fiammingo. Circa 66 nuovi deputati europei si iscriveranno al Gruppo dell'ALDE; tra loro non ci saranno italiani. Pazienza, l'ideale europeo ed il liberalismo critico, prima o poi, riusciranno ad affermarsi anche in Italia. Palermo, 26 maggio 2014 Livio Ghersi

EUROPEE, BISCARDINI (PSI), IL PD VINCE E IL PSI SCOMPARE

EUROPEE, BISCARDINI (PSI), IL PD VINCE E IL PSI SCOMPARE Dichiarazione di Roberto Biscardini della direzione nazionale PSI: “Per molte ragioni il PD ha ottenuto un risultato eccezionale, ma quello del PSI è pessimo. Candidare quattro socialisti nelle liste del PD e non eleggerne nessuno, nonostante il grande numero degli eletti in quelle liste, e nonostante lo sforzo di tanti militanti, è il segno della nostra sconfitta. Così non si può continuare. Nostro compito è costruire una diversa offerta nella sinistra che intercetti parte di quel 40% che si è astenuto ma anche parte di coloro che hanno votato PD solo per paura.

La politique de la concurrence en Europe : enjeux idéologiques - La Vie des idées

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Terremoto europee: Rubalcaba (PSOE) si dimette | Avanti!#.U4Omj4kayc1#.U4Omj4kayc1

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Le elezioni in Ucraina: vincitori, vinti e scenari futuri

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L'assalto disordinato degli eurofobi alla vecchia Europa

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Paolo Pombeni: Adesso viene il bello…

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Una nuova stagione della cittadinanza in Europa | Reset

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Oltre il 40, finalmente il Pd con Renzi rompe il recinto | Reset

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Sabahi sfida il regime egiziano: la primavera ritornerà | Reset

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lunedì 26 maggio 2014

Franco Astengo: Elezioni europee 2014

ELEZIONI EUROPEE 2014: CRESCONO SOLTANTO L’ASTENSIONE E IL PD COME COALIZIONE DOMINANTE. SUBITO ALL’ORDINE DEL GIORNO L’OPPOSIZIONE DI SINISTRA di Franco Astengo All’interno di un quadro europeo molto complesso e anche preoccupante, in particolare ma non solo nel risultato francese, il voto del 25 Maggio ripropone, naturalmente in termini diversi dal passato, un “caso italiano”. In precedenza a entrare nel merito di alcune, ancora parzialissime considerazioni politiche, sarà bene però cimentarsi con i numeri: non con le percentuali ma con le ben più significative cifre assolute. Come previsto è salita la quota del “non voto” (sicuramente favorito dalla limitata apertura dei seggi alla sola domenica). In sostanza i voti validi che nel 2009 erano risultati 30.540.434 risalendo nel 2013 a 34.005.755 nel 2014 sono scesi a 27.332.101 (questi dati si riferiscono praticamente all’esito definitivo, mancano si è no 100 sezioni su oltre 60.000). Tra il 2013 e il 2014 il “non voto” (astenuti, bianche, nulle) è cresciuto di 6.673.654 unità. Il totale dei non esprimenti un voto valido, nell’occasione di queste elezioni europee, è stato sul territorio nazionale di 21.924.102 elettrici ed elettori (risultavano iscritti nelle liste 49.256.203 elettrici ed elettori). Il PD esce da questa tornata elettorale come sicuro e indiscutibile vincitore: è il PD di Renzi (particolare da ricordare con attenzione) che è salito a 11.156.918 suffragi incrementando il proprio bottino di 2.510.884 unità rispetto al 2013 (in quell’occasione il PD aveva raccolto 8.646.034 voti, mentre nel 2009 si era fermato a 7.980.455 voti). Molto netta la flessione fatta registrare dal Movimento 5 Stelle passato dagli 8.691.406 voti del 2013 (nel 2009 il M5S non era presente) agli attuali 5.783.633 con una flessione di 2.907.773 suffragi. Esaminiamo adesso la situazione dell’ex-PDL. Nel 2009 il partito berlusconiano che teneva ancora assieme Forza Italia e Alleanza Nazionale aveva ottenuto 10.767.965 voti, ridottisi nel 2013 (scontata la scissione di FLI) a 7.332.134. Ieri Forza Italia ha realizzato 4.597.447 consensi che uniti all’1.189.509 di NCD sommano a 5.786.956 voti riducendo ulteriormente l’area dell’ex Partito delle Libertà di 1.545.178 voti. Fratelli d’Italia, nel frattempo, pur non conseguendo il quorum del 4% ha fatto registrare una crescita di oltre 350.000 voti, passando da 666.765 nel 2013 a 1.002.054 nel 2014. Tra il 2013 e il 2014 è cresciuta anche la Lega Nord passando da 1.390.534 voti a 1.685.894 (più 295.360), è necessario però ricordare che il bottino della Lega alle Europee del 2009 era stato di 3.123.859 suffragi. Clamoroso, assolutamente clamoroso, l’esito verificatosi al centro dello schieramento politico: nel 2009 l’UDC (adesso alleata del NCD) aveva ottenuto 1.991.329 voti mentre nel 2013 la coalizione raccolta attorno a Monti e comprendente la stessa UDC e il FLI di Gianfranco Fini aveva toccato la quota di 3.591.541 voti. Un patrimonio completamente disperso in quanto Scelta Europea, nel 2014 ha ottenuto soltanto 195.716 voti: quasi 3.400.000 voti dispersi nell’arco di 15 mesi trascorsi dai centristi, tra l’altro, ininterrottamente al governo con Monti, Letta e lo stesso Renzi. · A sinistra la Lista Tsipras ha superato il quorum di un soffio con 1.101.799 voti: i raffronti in questo caso risultano assai complessi da eseguire. In ogni caso nel 2009 la Federazione della Sinistra aveva raccolto 1.034.730 consensi e l’appena nata Sinistra e Libertà 951.727 voti per un totale di 1.986.457 voti. Da notare che nel 2009 l’IDV di Antonio Di Pietro aveva ottenuto 2.439.250 voti. Nel 2013 la lista di Rivoluzione Civile aveva raccolto 765.189 voti e SeL 1.089.231 per un totale di 1.854.420. La Lista Tsipras fa così segnare, eseguendo questo tipo di raffronto una flessione di 752.621 voti, in parte recuperati dalla presentazione autonoma dell’IDV (179.256 voti: una débâcle, se raffrontata al 2009, delle dimensioni più o meno dei centristi) e dei Verdi (245.119 voti). Sommando questi suffragi di IDV e Verdi (che nel 2013 facevano parte della coalizione di Rivoluzione Civile) la flessione fatta registrare dalle componenti di sinistra della Lista Tsipras si riduce a 424.375 voti. Tutti questi dati dovranno essere sottoposti ad attenta verifica al fine di valutare gli scostamenti e i passaggi da lista a lista nel senso della cosiddetta “volatilità elettorale”: la prima impressione però è quella di una confluenza di voti in uscita dai centristi e dal centrodestra verso il PD, capace di imporsi attraverso l’esaltazione del meccanismo della personalizzazione della politica e di un presunto “decisionismo” mediatico quale vero e proprio soggetto “a coalizione dominante”. Più verosimile che la forte flessione fatta registrare dal M5S possa essere confluita nell’astensione, che comunque ha ricevuto impulso da tutti i settori politici. Quali provvisorie conclusioni si possono trarre, da un punto di vista di sinistra, da questi risultati? La prima impressione fa ribadire quanto già sostenuto in occasione delle primissime valutazioni sviluppate ancora in presenza di semplici proiezioni: un esito che dimostra, per prima cosa, come un paese sfibrato abbia tentato nuovamente di affidarsi a una sorta di "Lord Protettore", a "un uomo solo al comando" e alle sue promesse. Si rafforzano così fenomeni che possiamo ben giudicare come di vera e propria regressione democratica come quello della personalizzazione esasperata e di istanze di tipo ultra maggioritario che possono essere considerati frutto di un intreccio tra disperazione e acquisizione compiuta di un certo tipo di concetto di post-democrazia. Pare proprio, infatti, aprirsi una fase di post democrazia con il superamento degli schemi, sia quello bipolare classico centrodestra versus centrosinistra, sia quello tripolare su cui pareva essersi assestato il sistema politico italiano. Il confronto vecchio/nuovo che pare emergere appare inoltre contenere inquietanti elementi di disprezzo e di insofferenza per la democrazia rappresentativa, cui si accompagna una sorta di esaltazione di mito giovanilistico arditesco il cui combinato disposto non può che inquietare. Risulterebbe profondamente sbagliato riproporre, dunque, da sinistra il vecchio schema del centrosinistra, che risulta del tutto antistorico e non rispondente alla realtà del sistema politico italiano così come questo si va assestando. In secondo luogo, tornando al piano più propriamente riferito alla prospettiva politica si può confermare come si apra per intero il discorso dell'opposizione. Un’opposizione alla “coalizione dominante” formata al proprio interno dal PD di Renzi. Quattro elementi devono essere fondativi di questo disegno politico: misurarsi sulle grandi contraddizioni sociali, prima fra tutte quella tra capitale e lavoro, sul tema della democrazia, su quella derivante dalla devastazione del territorio e su quella dell’evidente dilagare della “questione morale”. Sullo sfondo le grandi questioni della pace e della guerra a livello mondiale e le novità che sicuramente sul piano politico interverranno all’interno dell’Unione Europea. Un’opposizione da condursi senza sconti favorendo l'apertura di un ciclo di lotte sociali e muovendoci in perfetta controtendenza rispetto al tipo di "agire politico" dominante. Un’opposizione che ha necessità di organizzarsi in un’adeguata soggettività politica provvista di una propria identità. Questo risultato elettorale, per il valore che può avere sul piano sistemico e della fase ci indica quest’orizzonte da perseguire con immediatezza e tenacia.

Spagna, il PSOE di Rubalcaba al bivio dopo le europee | Avanti!#.U4MkZPl_tNM#.U4MkZPl_tNM

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European integration – with or without social policy? | Eutopia

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All "Europe’s fault"? | Eutopia

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The deceptive myth of the European social model | Eutopia

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Londra e Parigi populiste, tiene l'europeismo - Live | Linkiesta.it

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La sconfortante trimurti | Il Ponte

La sconfortante trimurti | Il Ponte

Felice Besostri: Commento

Le proiezioni danno il PD al 40%, il M5S al 22%, Altra Europa sopra soglia ma non consolidata. Il PD sostituisce la DC come partito centrale dello schieramento politico. Renzi ha vinto, ma paradossalmente è morto il bipolarismo e anche il maggioritario.Per governare non c'è bisogno di premi di maggioranza e altri trucchi. Al successo ha contribuito il timore di una vittoria dei 5Stelle e il meccanismo della Union sacré per salvare il paese, un meccanismo che ha mobilitato l'elettorato responsabile della missione nazionale dal PCI. Grillo è stato percepito come il pericolo populista, più pericoloso degli attentati alla democrazia costituzionale delle proposte renziane di riforma elettorale-istituzionale. Alla sinistra del PD c'è poco, quasi niente, se la sinistra è nel migliore dei casi appena sopra soglia, per di più intorno a una coalizione elettorale e non a un nucleo di un movimento politico. Prendiamone atto. Paradossalmente resto convinto che una nuova sinistra sia necessaria in Italia e in Europa per ridare speranza a chi da questa crisi esce massacrato. Felice C. Besostri

AldoGiannuli.it » Archivio Blog » Come cambiano i conflitti e gli equilibri nel mondo del post bipolarismo?

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giovedì 22 maggio 2014

Comprendre le Labour d’Ed Miliband - Essais - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Comprendre le Labour d’Ed Miliband - Essais - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Le rapport de la gauche à l’intégration européenne : une évaluation - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Le rapport de la gauche à l’intégration européenne : une évaluation - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Mutation des nouvelles extrêmes droites européennes : un défi pour la gauche - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

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Droitisation en Europe - Etudes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Droitisation en Europe - Etudes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Franco Astengo: Imperialismi

IL RITORNO ALL’IMPERIALISMO BIPOLARE: MUTAMENTO DELLO SCENARIO INTERNAZIONALE E PERICOLI DI GUERRA. TRATTATO COMMERCIALE TRA USA E EUROPA, ACCORDO RUSSIA- CINA SULL’ENERGIA dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Con ancora maggiore chiarezza rispetto al recentissimo passato, in particolare al riguardo dei fatti di Ucraina, sta prendendo corpo un profondo cambiamento negli equilibri mondiali. Come spesso accade il “nuovo” appare peggiore dell’antico e il “morto afferra il vivo”. Da diverso tempo si cercava di analizzare il ritorno ad un confronto diretto tra le due uniche “superpotenze possibili” la Russia e gli USA, in conclusione del ciclo seguito alla caduta del “socialismo reale” e dell’URSS che aveva visto gli americani impegnati nel ruolo di “gendarme del mondo”, di “esportatori della democrazia” in quello che i politologi della destra americana avevano immaginato come uno “scontro di civiltà” con l’Islam. Intanto si favoleggiava di “globalizzazione” come nuova frontiera degli equilibri internazionali e di un ruolo “forte” dei cosiddetti BRICS , comprendente appunto anche la Russia, con Cina, Brasile e India. L’Unione Europea appariva del tutto laterale rispetto a questo processo mentre procedeva l’allargamento a Est (in parallelo con l’allargamento della NATO) e assumeva, nel concerto europeo, una funzione quasi esaustiva la Banca Centrale in una logica iperliberista e monetarista. Questo scenario appare in via di radicale cambiamento : la logica imperiale che sta muovendo, da tempo, la politica estera Russa e la crisi di leadership degli USA ha riportato concretamente sul terreno la realtà di un confronto bipolare, fondato sulla reciprocità dei rispettivi imperialismi. Se ci fosse qualche dubbio in proposito basta andare a leggere gli ultimi avvenimenti: la stipula di un grande accordo sui temi dell’energia (la vera questione, oggi, che può interessare chi pensa davvero a dominare il mondo) tra la Russia e la Cina (che ritorna ad assumere il ruolo, comunque mai abbandonato, di grande potenza periferica) e la stipula dell’accordo commerciale trentennale tra gli USA, il Canada e l’Europa che arriva in coincidenza con il brusco richiamo svolto dal presidente Obama all’UE in tema di “fedeltà atlantica” ( è parso di sentire di nuovo Eisenhower). Di seguito si pubblica, in inglese, una dettagliata informazione sull’accordo commerciale atlantico e si pubblica nuovamente la nota riguarda l’accordo Russia – Cina. Ce ne sarebbe da vendere per riavviare una riflessione sulla “terza via” per una sinistra comunista che si misuri sul tema della pace in una logica internazionalista e in una dimensione di classe: una discussione che, prima o poi, dovrà essere affrontata nell’idea di riuscire a farla prima di essere travolti dagli avvenimenti, tanto più che nel nostro cortile di casa avanza il pericolo di un fascismo in guanti gialli, grazie alla Trimurti, Renzi, Grillo, Berlusconi. Ecco di seguito: The Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP; also known as the Transatlantic Free Trade Area, abbreviated as TAFTA) is a proposed free trade agreement between the European Union and the United States. Proponents say the agreement would result in multilateral economic growth,[2] while critics say it would increase corporate power and make it more difficult for governments to regulate markets for public benefit.[3] The U.S. government considers the TTIP a companion agreement to the Trans-Pacific Partnership.[4] After a proposed draft was leaked, in March 2014 the European Commission launched a public consultation on a limited set of clauses. The leaked text of the proposed treaty sets out limitations on the laws that any government can pass to regulate or publicly run various economic sectors, particularly insurance and banking,[5] telecommunications, and postal services.[6] Any corporation which is "expropriated" from its existing investments becomes entitled to market value compensation, plus compound interest.[7] It would allow free movement of business managers and certain other workers among all signatory countries.[8] It is proposed to allow corporations to bring actions against governments for breach of its rights.[9] A previous proposed treaty was Multilateral Agreement on Investment. The TTIP free trade agreement could be finalised by the end of 2014.[10][11] E ancora: Cina-Russia: intesa su energia Storico accordo da 400 miliardi 12:15 21 MAG 2014 (AGI) - Shanghai (Cina), 21 mag. - Dopo oltre un decennio di trattative la Russia ha firmato un'intesa di lungo termine (30 anni) per fornire alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Nei giorni passati si era parlato di un'intesa dal controvalore di 456 miliardi di dollari. Oggi Gazprom si e' limitata a parlare di un accordo per oltre 400 miliardi di dollari. L'accordo tra la russa Gazprom e la cinese CNPC partira' dal 2018. Il contratto e' stato firmato dai presidenti dei due gruppi, Zhou Jiping, a capo di China National Petroleum Corporation (CNPC), e Alexei Miller, CEO di Gazprom, il cui titolo ha guadagnato il 2% subito dopo la notizia. La firma arriva durante il secondo e ultimo giorno di permanenza in Cina del presidente russo, Vladimir Putin, che ieri ha firmato con il presidente cinese Xi Jinping altri 49 contratti di cooperazione bilaterale.

EUROPA UN VOTO DECISIVO - A.Lettieri - Italia e Francia - | Sindacalmente

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Il programma di “L’altra Europa con Tsipras” in 10 punti: fine austerity, Conferenza Ue per il debito

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Da iscritti a contribuenti, ovvero l'ideologia e la pratica dell'antipartito

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Povertà e poveri, prima e dopo la crisi

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Diseguaglianze e impoverimento del ceto medio

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Expo, l’occasione (persa) di Pisapia - Eddyburg.it

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Pugni chiusi e toni soft il tour in treno di Tsipras “Renzi imita la destra” - Eddyburg.it

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Associazione LavoroWelfare » Crisi e Cig, la tendenza nel primo quadrimestre 2014

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Il ruolo dei partiti europei nel Parlamento – e nella società civile | Aspenia online

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Vittorio Melandri: L'Italia è una repubblica fondata sull'anamorfosi

L’ITALIA È UNA REPUBBLICA FONDATA….. SULL’ANAMORFOSI L’anamorfosi, è una deformazione di ciò che appare che può essere a favore o a sfavore di chi guarda. Se ad esempio l’immagine si costruisce secondo una appropriata proiezione su una superficie curva, come nel caso di affreschi su una volta, l’esito sarà a favore di chi dal basso guarda a riesce a distinguere quello che vede come fosse dipinto su una superficie piana, ed anche le proporzioni risulteranno corrette per chi guarda come se l’immagine fosse a pochi metri di distanza. Quando da perfetto ignorante, entrato alla National Gallery di Londra, sono arrivato dinnanzi al quadro “Gli Ambasciatori” di Hans Holbein il Giovane, un dipinto ad olio di 206x209 cm, non avessi avuto a fianco un amico che mi suggeriva di guardare ponendomi di lato, non mi sarei accorto che il particolare indistinguibile ai piedi delle due figure ….. è un teschio come è. In questo secondo esempio l’anamorfosi è a sfavore di chi guarda, a cui viene sì proposta la “realtà”, ma in modo da rendergliela inintelligibile. Mi convinco sempre di più che è il caso della nostra Repubblica, che si legge essere fondata sul lavoro, ma che nella realtà è fondata sull’anamorfosi, per cui al popolo italiano non si nasconde la realtà, anzi gliela si mette ai piedi, ma in forma tale da renderla comprensibile solo per gli “addetti ai lavori”. Si legge oggi su la Repubblica questo titolo fra gli altri: “Procura di Milano con Bruti Liberati si schierano 62 pm”. Su Il Fatto Quotidiano la stessa notizia è proposta così: “Milano, i pm fanno quadrato”. Con la precisazione che un «documento ispirato da Spataro e altri colleghi lancia una “terza via” raccogliendo le firme della maggioranza dei pm milanesi sotto un testo che non si schiera con Robledo, ma neppure con Bruti.» Come ci dobbiamo mettere noi lettori per riuscire a vedere come è la realtà? Ed ancora su la Repubblica si legge che il 6, il 10 e il 19 giugno 1992 qualcuno si inserì nel computer di Giovanni Falcone assassinato il 23 maggio e ne manomise il contenuto, ma il computer non era per strada, era nell’ufficio di Falcone al ministero e posto sotto sequestro giudiziario. Sono passati più di vent’anni e la notizia sembra fresca di giornata. Saltando solo apparentemente di palo in frasca…. arrivo al sindaco di Milano Pisapia che su ‘il manifesto’, replica a Guido Viale che ha mosso critiche al modo della sua Giunta di affrontare l’Expo, e dopo aver spiegato che l’Expo è una “opportunità” chiude perentorio con questa affermazione…. “altro che cemento”!!! In questo caso sembra di poter sostenere che si tratta di una “anamorfosi” riuscita male… il cemento che da quelle parti non si vede, è solo quello che la speculazione non ha ancora gettato. Potrei continuare solo pescando sui giornali di questa mattina, ma quello che mi rattrista particolarmente e sempre di più, sono “i buoni”, che ci spiegano che il problema di questo paese…. è Grillo l’assassino, o in subordine Ingroia il bradipo, o in sub-sub ordine, Di Matteo e l’antimafia populista, per non dire della sinistra radicale che si ripara sotto l’ala dello straniero Tsipras. Insomma se un tempo erano le metamorfosi ed il trasformismo a caratterizzare le nostre classi dirigenti, da tempo si sono aggiornate, e la realtà non l’occultano più, rassicurati dalla cura di trent’anni di analfabetismo instillato nel popolo sovrano dalla tv deficiente, la realtà come la lettera scomparsa di E. A. Poe ce la mettono sotto il naso …. hanno solo cura di proiettarla con la tecnica dell’anamorfosi, e non a favore di chi guarda. Vittorio Melandri

Diritti vs profitti - micromega-online - micromega

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Il “fascismo soft” dei nazionalisti indù - micromega-online - micromega

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Il populismo come confine estremo della democrazia rappresentativa. Risposta a McCormick e a Del Savio e Mameli » Il rasoio di Occam - MicroMega

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A Citizens’ Initiative For A European Green New Deal - Social Europe Journal

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Des clivages: la gauche, la droite, l'Europe... | Gilles Finchelstein

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Antonio Carioti: A qualcuno piace greco. Il caso Tsipras Notizie di libri e cultura del Corriere della Sera

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Grand marché transatlantique : les tergiversations du Parti socialiste, par Laura Raim (Le Monde diplomatique)

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GRAN BRETAGNA E OLANDA, IN TESTA GLI ANTI-UE - Critica Sociale

GRAN BRETAGNA E OLANDA, IN TESTA GLI ANTI-UE - Critica Sociale

Paolo Zinna: Creare occupazione: le idee di Massimo Mucchetti

Creare occupazione: le idee di Massimo Mucchetti

BILANCIO COMUNALE. UN DEFICIT DI SCELTE | Roberto Biscardini | ArcipelagoMilano

BILANCIO COMUNALE. UN DEFICIT DI SCELTE | Roberto Biscardini | ArcipelagoMilano

Gim Cassano: Dove va l'Italia?

Dove va l’Italia? di Gim Cassano Le riforme proposte da Renzi tendono a dare compimento istituzionale ad un processo di involuzione della democrazia che dura da almeno un ventennio. Complice la mancanza di una Sinistra moderna, l’Italia si incammina verso un’oligarchia tribale e feudale. E’ mia opinione che l’avvento del governo Renzi non rappresenti affatto una discontinuità, ma tenda invece a dare forma compiuta a quel ciclo culturale e politico che impropriamente è stato battezzato come Seconda Repubblica. Le presunte discontinuità riguardano forme e priorità (in modo particolare quelle assegnate alle riforme istituzionali concordate con Berlusconi) più che una consapevolezza nuova; in buona sostanza, Renzi si è presentato ad un Paese disilluso e rassegnato con la proposta di razionalizzare e portare a compimento quanto era andato maturando nel corso del ventennio berlusconiano. Il declino della destra berlusconiana come entità politica organizzata non deve far pensare ad una sua sconfitta; al contrario, a questo declino ha corrisposto l’aver fatto pienamente propria, da parte del PD e dei suoi satelliti minori, e per di più in termini formali oltre che sostanziali, la concezione di una democrazia limitata, i cui presupposti stanno nell’estraneità ai processi di democratizzazione e di apertura della Società di larghi settori di una borghesia tale solo per censo, e della quale il berlusconismo altro non è stato che un ultimo naturale interprete. E’ da osservare come il tentativo di ridimensionare gli spazi di democrazia nel nostro Paese non si manifesti solo nella sfera dei meccanismi istituzionali: la nuova legge elettorale, il progetto di riforma del Senato, i progetti di riduzione del ruolo del Parlamento nei confronti dell’Esecutivo, seguono e non precedono un processo di ridimensionamento della democrazia che è in atto da almeno venti anni. Una democrazia non può fondarsi unicamente su regole ed istituzioni rappresentative atte a consentirne il funzionamento: in una società articolata e complessa, l’inevitabile imperfezione della rappresentanza e l’inevitabile formazione di élites dirigenti tendenti a trasformarsi in caste, rendono necessario che: • La democrazia delle istituzioni non si limiti alla formazione di una rappresentanza politica adeguata, ed invece operi efficacemente il principio dei “checks and powers” da parte di forme istituzionali aventi diverse funzioni, ruoli e responsabilità, diversi e non riconducibili alla stessa matrice meccanismi di origine e formazione, e che rispondano ad esigenze diverse. • La democrazia istituzionale sia sostenuta dall’articolarsi nella società di forme partecipative e di democrazia diffusa: altrimenti, ne è inevitabile la degenerazione oligarchica e populista da parte dei chierici della politica, della burocrazia, dei poteri economici. Occorre cioè la presenza di corpi intermedi (in primis: partiti politici, sindacati, associazioni di categoria e di interessi) strutturati in modo da favorire la partecipazione permanente dei cittadini alla formazione delle scelte e degli indirizzi politici, e nei quali, alle rilevanti funzioni pubbliche facciano riscontro forme aperte e partecipative e processi interni di selezione e decisione, non sindacabili nel merito, ma tali da garantire il rispetto del metodo democratico. Occorre che cittadini e libere forme associative partecipino alle scelte riguardanti le comunità locali. • La pienezza e la parità dei diritti e dei doveri individuali, civili, sociali, non siano né privilegi, né concessioni, né oggetti di tolleranza, ma lo status naturale di ciascuno, nella sua veste di individuo libero nelle sue scelte di vita e di impegno, di cittadino-non suddito, di utente dei pubblici servizi, di lavoratore, di consumatore, di studente. Il che si manifesta nel diritto-dovere di tutti di dare alla società, ed a vedervi tutelato, il proprio apporto sotto le forme della cittadinanza, dello studio, del lavoro, del sapere e dell’arte, del contributo economico, nel diritto di tutti ad un’esistenza libera e decorosa, nella concezione aperta e dinamica della società e dell’economia nel loro divenire, nell’inclusione sociale e nella protezione dal bisogno, nella promozione del merito e dell’equità, nell’avversione a caste, monopoli e corporazioni, nella concezione di una democrazia rappresentativa indenne da tecnocrazia e populismo, nel diritto a vedere ben amministrati i beni pubblici. • La presenza di un’opinione pubblica cosciente ed informata prevenga la legittimazione ed il consolidarsi di una casta operante senza controlli diffusi e continui. Anche se i moderni mezzi di comunicazione di massa richiedono strumenti e tecnologie tendenti a limitare il pluralismo, occorre che informazione, conoscenza, sapere, siano accessibili a tutti e che siano caratterizzati da libertà di espressione e da pluralismo. • La struttura ed il funzionamento dell’economia siano tali da non rendere la democrazia un esercizio inutile e privo di effetti. Ciò riguarda sia il peso e l’effetto delle scelte economiche private e pubbliche, che spetta alla politica di indirizzare verso l’utilità comune, che le condizioni economico-sociali dei cittadini. Una società ed un’economia chiuse e bloccate, che non riescano ad assicurare il lavoro a chi vi si affaccia o a chi lo ha perso, nelle quali, a prescindere da merito e capacità, la mobilità sia limitata da privilegi, caste e particolarismi, nelle quali si osservi il progressivo concentrarsi della ricchezza verso il vertice della piramide sociale, impoverendone i livelli inferiori e medi e svilendo chi vive del proprio lavoro o attività, e sia evidente l’aumento delle sperequazioni, anziché la loro riduzione, minano le basi materiali della democrazia. E, insieme a queste, la convinzione che la democrazia sia tuttora la premessa necessaria per una società non solo più libera, ma anche più giusta e felice. • Se la politica è arte di scelte operate in una realtà complessa e riferite ad orizzonti temporali e di interessi vasti, e se la storia ci insegna che la democrazia è, almeno sino ad ora, il più razionale strumento per realizzare una buona politica, la democrazia non può esser né semplificata, né realizzarsi attraverso il particolarismo. L’esercizio della democrazia presuppone infine l’attitudine al dubbio, al considerare non irrilevanti le molte variabili indotte da diversità di interessi, punti vista, credenze, attitudini; presuppone il considerare irreversibile la trasformazione del suddito in cittadino che si è andata affermando in secoli di lotte; la presenza di un saldo impianto di regole e garanzie a tutela non solo della possibilità di governare, ma soprattutto dei diritti dei più deboli e delle minoranze. Come ogni altra forma politica, la democrazia presuppone una classe dirigente, anzi, deve formarla; ma quando le élites si trasformano in casta chiusa ed autoriproducentesi, la democrazia si trasforma in feudalesimo. La democrazia è quindi un meccanismo articolato, complesso, e dinamico, che non perdura senza che la politica intervenga con continuità ad assicurarne il funzionamento, e senza che sappia interpretarne e gestirne la complessità. Il pretendere di semplificarla, di considerarla come un dato acquisito rinunciando a svilupparla, e di ridurre le complessità del ragionamento politico che comunque dovrebbe esserne la premessa alle forme dei criteri comunicativi moderni, è funzionale, appunto, alla visione di una democrazia monca e limitata. E’ facile constatare come negli ultimi due decenni questi principii, sui quali, in fin dei conti, è stata modellata la nostra Costituzione, non solo non abbiano visto il compimento della loro attuazione, ma siano stati ampiamente contraddetti. Venuta meno la stagione delle grandi riforme, ed a partire dal lento declino della cosiddetta Prima Repubblica, una profonda trasformazione culturale e sociale ha investito il Paese, manifestandosi per un verso nella progressiva denigrazione della Costituzione e delle Istituzioni della democrazia, nel restringere gli spazi di democrazia diffusa, nella limitazione della rappresentatività elettorale centrale e locale, nella compressione di diritti, nel particolarismo sociale e territoriale, nella riduzione del pluralismo e dell’indipendenza dell’informazione, nell’indebolimento dei corpi intermedi della società e nell’affermarsi di un sistema politico feudale fondato su partiti la cui funzione primaria è risultata quella di mantenere le posizioni dei relativi gruppi dirigenti. E, sul versante sociale ed economico, manifestandosi nel venir meno di ogni velleità di programmazione da parte del sistema pubblico, nella sostituzione di un’impresa pubblica inefficiente e divenuta sovente centro di potere autonomo con monopoli ed oligopoli privati, nel contrarsi della mobilità sociale, nell’incremento delle sperequazioni nella distribuzione della ricchezza, in una iniquità fiscale degna della tassa sul macinato, nelle concessioni e nei condoni per i furbi e nel rigore per gli altri; il principio delle pari opportunità è rimasto una pura astrazione, ed insicurezza e timori per il futuro sono divenuti l’orizzonte di riferimento di settori sempre più larghi del Paese. Una bassa o mancata crescita ha così caratterizzato l’ultimo ventennio, anche prima del prorompere della crisi economica degli ultimi anni, che ha solo aggravato la preesistente situazione di difficoltà. Cattiva amministrazione, sprechi, favoritismi, non volontà di affrontare nodi cruciali quali evasione, elusione ed equità fiscale hanno fatto il resto: e, se nel nostro Paese, il sistema fiscale ha svolto un’azione redistributiva, questa è avvenuta alla rovescia. Con la cosiddetta Seconda Repubblica, venuto meno l’argine costituito da partiti politici che, per quanti difetti potessero avere, si erano comunque costruiti sin dal periodo della clandestinità antifascista in rapporto a concezioni politiche ed a progetti di trasformazione sociale, mantenendo un chiaro rapporto con la realtà attraverso la propria base sociale, si è affermata la forma di partiti che non sono né partiti di militanti, né partiti di opinione, ma semplicemente partiti-contenitore e partiti-persona, tenuti insieme da relazioni di interesse e di opportunità. A gruppi dirigenti costruiti nelle battaglie politiche, dotati di indubbia statura intellettuale, si sono, nel corso degli anni, sostituiti leaders inamovibili incapaci di valutazioni che andassero oltre il ristretto orizzonte dell’opportunità immediata per il proprio clan, ed incapaci di guardare invece alla società nel suo complesso. E la politica, distaccatasi per un verso dalle concezioni culturali, e per l’altro da un confronto razionalmente empirico con la realtà, si è ridotta a gioco indifferente, la cui posta, pur prescindendo da degenerazioni riguardanti il Codice Penale, non era l’interesse comune, ma la perpetuazione della propria sopravvivenza. L’incapacità di produrre scelte e risultati politici percepibili ne è risultata quindi diretta conseguenza, e l’istinto di sopravvivenza ha fatto sì che questa venisse addebitata alle Istituzioni in sé ed alle regole della democrazia che le governano, e non alle incapacità del sottostante sistema politico. Si sono così andati diffondendo i mantra sul bipolarismo, sul bipartitismo e sui piccoli partiti, sul presidenzialismo, la volontà semplificatoria e riduttrice del sistema politico e del sistema delle garanzie e del check of powers istituzionale; ed infine l’idea bislacca che un sistema plebiscitario nel quale un Parlamento limitato nella sua funzione rappresentativa, controllato a priori nella selezione dei suoi membri e limitato nei suoi poteri possa definirsi democrazia, i tentativi di asservire la magistratura e la stampa, la sostituzione del concetto di etica pubblica con quello di opportunità, politica od economica che sia. La storia del ventennio chiamato Seconda Repubblica è così risultata la storia della vittoria culturale di una destra che non ha mai fatto mistero della propria concezione organicistica ed anticonflittualistica della società, di una concezione oligarchica del potere che considera le articolazioni e le complessità della democrazia come un inutile fardello, e che non ha mai nascosto di considerare particolarismi e privilegi come valori da tutelare. Ed è la storia dell’incapacità delle forze di centrosinistra e di sinistra a farvi fronte ed a comprendere come ciò avrebbe richiesto da parte loro un profondo rinnovamento culturale e di metodo politico. Troppo a lungo si è pensato di potere evitare di fare i conti con un mondo che stava cambiando e con il venir meno delle certezze del ventesimo secolo. Troppe volte si è agito con supponenza, pensando di aver sconfitto il “nemico”. Troppo a lungo si è pensato di poter vivere di rendita sull’antico patrimonio di consenso elettorale e sociale che invece, come un capitale eroso dall’inflazione, andavano assottigliandosi. Troppe volte ci si è divisi in incomprensibili dispute che di politico avevano solo l’apparenza; e spesso, neanche quella. Troppe volte sono stati posti in atto comportamenti che, rispondendo unicamente a prospettive individuali, immaginavano di neutralizzare la destra evitando, per puro opportunismo, contrapposizioni di prospettive ed interessi, sino alla logica conclusione di finire col condividerne metodi e valori, come difatti è avvenuto. Alla fine di questo percorso, per effetto del tracollo delle condizioni economiche e sociali del Paese, e del più che meritato discredito generale che ha colpito il sistema dei partiti, il meccanismo è andato in crisi. Cambiando più volte linea, il PD ha abbandonato già prima delle ultime elezioni politiche le posizioni che si erano espresse nella coalizione “Italia Bene Comune”, conseguendo l’inutile vittoria tattica di essere il primo partito e, al tempo stesso, una sostanziale sconfitta strategica che ha portato alle convulsioni precedenti la formazione del governo Letta ed all’avvento di Renzi alla segreteria del partito. Nel frattempo, la Consulta, cancellando il Porcellum, ha obbligato le forze politiche ad uscire allo scoperto. Il patto Berlusconi-Renzi (non noto in tutte le sue clausole) nasce così come il tentativo comune di un’oligarchia politica -quella dei due maggiori partiti della Seconda Repubblica- di condividere e blindare il controllo sul sistema politico, asservendo a questo disegno le Istituzioni della Repubblica, facendo proprio e dando forma compiuta ed istituzionale al percorso di svuotamento della democrazia che ha caratterizzato l’ultimo ventennio, di cui si è detto. Poco importa se i risultati delle vicinissime elezioni europee potranno esser tali da far capire a Berlusconi come Italicum e Senato svuotato e non elettivo possano ritorcersi a danno della sua parte politica marginalizzandola, e tali da indurlo quindi a prender le distanze da queste riforme: i due contraenti del patto hanno, e continueranno comunque ad avere, bisogno l’uno dell’altro, e nuove posizioni della destra su Italicum e Senato non rappresenterebbero affatto una vittoria politica, né un momento di democratizzazione, ma semplicemente l’ennesima riprova di come in Italia le norme vengano di volta in volta piegate alle convenienze. Si tratterebbe, in sostanza, di nient’altro che di un aggiornamento del patto di sindacato tra i due contraenti. In tutta questa vicenda spicca la virtuale assenza di un’opposizione che non sia quella apolitica di Grillo e dei suoi seguaci. Le forze minori dell’attuale maggioranza di governo hanno rinunziato a recitare alcun ruolo autonomo. A cinque anni da un’origine che aveva fatto sperare in una sinistra nuova e plurale, capace di dar risposte in una società oramai postindustriale, SEL appare sempre più involuta nell’alternativa perdente tra l’essere la sinistra del PD od una ristampa della Sinistra Arcobaleno. Un accenno a parte riguarda il piccolo PSI, su cui non pochi (tra cui il sottoscritto) avevano confidato perché potesse rappresentare il potenziale nucleo di una nuova sinistra critica e non ancorata agli ideologismi del secolo passato, solo che avesse avuto la volontà di condurre battaglie politiche autonome: in primis, quella per la democrazia. Così non è stato, ed abbiamo visto i parlamentari socialisti votare una legge peggiore dell’esecrato Porcellum. Un’occasione storica, persa. Su tutto, si sta stendendo un velo di generale conformismo: il Paese sembra rassegnato e stanco, in cerca, come troppo spesso nella sua storia, di un salvatore. E sembra, al riguardo, disposto ad accontentarsi di molto poco: di annunci, di tweets, di promesse televisive. L’Italia si sta così incamminando, nella generale rassegnazione e nel conformismo generale, all’alternativa, esiziale per la democrazia, tra Grillo ed un PD alleato di Berlusconi, e che solo quest’ultimo, e solo per ragioni di concorrenza elettorale, riesce ancora a definire come forza di sinistra. A naturale conclusione del ventennio berlusconiano e dell’esser venute meno nella nostra società, insieme alle premesse culturali, sociali, ed economiche della democrazia, le forme di partecipazione e di democrazia diffusa, ci si incammina verso una Repubblica oligarchica nella quale, grazie a leggi elettorali di comodo, una minoranza abbia la possibilità di governare con la benevola copertura di un’altra minoranza sostanzialmente corresponsabile. Il tutto, senza che vi sia una vera opposizione, o avendola resa del tutto marginale. Oggi, si pone quindi la questione di avviare quantomeno l’aggregazione di coloro che vedono questa prospettiva come pericolosa non solo per la democrazia in sé, ma anche per gli interessi e lo sviluppo del Paese, che richiederebbero la riduzione di ineguaglianze e sperequazioni sociali, economiche, territoriali e la promozione di una società più aperta e più equa. Il che significa definire in una società oramai postindustriale ed in un’economia tendente alla globalizzazione, i parametri di una Nuova Sinistra, al di fuori di preconcetti ideologici, ma in rapporto alle premesse culturali, politico-istituzionali, sociali ed economiche di sussistenza di una democrazia compiuta. Gim Cassano (gim.cassano@tiscali.it), 19-05-2014

mercoledì 21 maggio 2014

Franco Astengo: Lavoro

LA SOPRAFFAZIONE DEL LAVORO DIPENDENTE ALL’ORIGINE DEL PROFONDO MALESSERE DELLA SOCIETA’ ITALIANA di Franco Astengo dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it I dati sull’occupazione diffusi ieri da Eurostat dimostrano come stia proseguendo la tendenza al decremento ormai in atto da cinque anni consecutivi: il dato complessivo dei 28 paesi dell’UE è negativo, 68,3% di occupati pari a -0.1%, che in Italia raggiunge però il -1,2%, il peggior risultato dopo quelli di Grecia, Croazia e Spagna. All’interno di questo dato risalta però quello della composizione di questo ridotto “mondo del lavoro”. C’è da considerare prima di tutto che questi numeri sono una spia dello stato di salute macroeconomico, ma non dicono nulla circa la qualità del lavoro perché lavoro a tempo indeterminato e lavoro intermittente e precario sono calcolati nello stesso modo, senza distinzioni di sorta. Il rapporto Eurostat offre però un dato disaggregato che consente davvero di mettere il dito sulla piaga del “caso italiano”: ed è quello relativo al tasso di occupazione delle persone tra i 55 e i 64 anni. In quel particolare segmento l’Italia cresce. Un aumento consistente del 2,3% ben oltre la media UE che si ferma all’1,3%. Si tratta, com’è evidente, del frutto avvelenato del mancato ricambio generazionale (ricordiamo la percentuale della disoccupazione tra i 15 e i 24 anni ormai ben oltre il 43%) risultato pessimo delle varie “controriforme” delle pensioni succedutesi nel corso degli anni, da quella Dini allo “scalone” Maroni fino al colpo di grazia fornito dalla legge Fornero. Il lavoro dipendente è stato sopraffatto da provvedimenti sbagliati e ingiusti: tutte le ricette imposte da Francoforte per abbassare le tutele per i lavoratori hanno fornito esiti a dir poco disastrosi. Per di più in Italia si è cercato di affermare una vera e proprio filosofia “contro” il lavoro dipendente, partendo dalla distruzione delle grandi concentrazioni operaie: un progetto politico che stava già dentro al documento di “Rinascita Nazionale” della P2 1975 che, attraverso un vero e proprio scompaginamento sociale puntava a togliere di mezzo i corpi intermedi rappresentativi del mondo del lavoro e a ridurre i lavoratori all’individualismo. Naturalmente questi corpi intermedi, specificatamente i sindacati confederali hanno contribuito in misura decisiva al compimento di questo distruttivo progetto allineandovisi e sposando, nella sostanza, i due punti decisivi dell’ideologia che esso conteneva: l’acquisizione “in toto” delle politiche liberiste e la considerazione – conseguente – della nocività del lavoro fisso, da sostituire con precarietà, mobilità, incertezza. Facendo pesare, in più, il debito pubblico (causato dal combinato disposto di corruzione e evasione fiscale) quasi integralmente sulle spalle del lavoro dipendente. Intanto crescevano il lavoro nero, il supersfruttamento (non rivolto soltanto agli emigrati), l’insicurezza, gli infortuni, le “morti bianche”, il disprezzo per le minime regole di tutela ambientale. Una folle “deregulation”. Siamo così giunti a questi esiti paradossali: mentre il “ceto politico” complessivamente inteso badava alla propria ricca sopravvivenza, il lavoro “vivo” veniva mortificato e le giovani generazioni messe in un angolo di parcheggio da provvedimenti ingiusti soprattutto verso le generazioni più anziane, colpite a fondo nei diritti strappati attraverso decenni di lotte. La logica dell’impresa si è così rovesciata all’interno di un meccanismo capitalistico feroce e arrogante verso il quale non è stata svolta alcuna funzione di contrasto, con una totale perdita di autonomia da parte delle espressioni politiche rappresentative che avrebbero dovuto basarsi sull’inestinguibile contraddizione di classe. E’ avvenuto questo, in Italia, provocando anche una crescente separatezza tra la politica, l’amministrazione e la società, aumentando enormemente il peso delle diseguaglianze, cancellando ogni qualsivoglia ipotesi di trasformazione sociale. E’ così cresciuto un malessere trasversale che, adesso, si cerca di tamponare con un qualunquismo esasperante nel tentativo di coprire il malgoverno di questi ultimi decenni: malgoverno che ha coinvolto tutti, tecnici compresi, dai demoproletari ai repubblichini. Il rapporto Eurostat fotografa, per l’ennesima volta, una situazione di dramma e di disgregazione sociale: appare riduttivo e pesante chiedere ancora di riflettere e di agire. Ma dove stanno le forze che dovrebbero imporre almeno una correzione di rotta? Sinceramente non se ne vedono all’orizzonte, neppure di quello remoto.

lunedì 19 maggio 2014

Sei proposte per un'altra finanza / capitali / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Quei socialisti che pensano al «cambiamento» / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Quei socialisti che pensano al «cambiamento» / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Un progetto per l'altra Europa / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Roberto Gualtieri: “Troika da abolire. I patti impossibili saranno rinegoziati” | Rifare l'Italia

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Lo spettro della deflazione e la BCE | Economia e Politica

Lo spettro della deflazione e la BCE | Economia e Politica

domenica 18 maggio 2014

AldoGiannuli.it » Archivio Blog » India: netta vittoria per Narendra Modi, leader del partito della destra hindu

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PERCHE’ LA SINISTRA: IL POPULISMO NELLA REALTA’ POLITICA ITALIANA: UNA NECESSARIA RIFLESSIONE SUL PIANO TEORICO di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: IL POPULISMO NELLA REALTA’ POLITICA ITALIANA: UNA NECESSARIA RIFLESSIONE SUL PIANO TEORICO di Franco Astengo

Edmondo Rho: Europrevisioni

Edmondo Rho Mie #EuroPrevisioni x voto 25 maggio: #Pd 31-32%, #Grillo 28-29%, #ForzaItalia 20-21% tutti gli altri sotto la soglia di #sbarramento del 4% tranne, forse, #LegaNord e #NcdUdc che potrebbero farcela, e questo vale con una percentuale di votanti tra il 60 e il 62%. Se ci fossero più votanti, sarebbe favorito Grillo e avrebbero più difficoltà a raggiungere il quorum le liste minori: mi aspetto comun...que sotto il 4% #ListaTsipras, #FratellidItalia e #SceltaEuropea. Non è probabile una partecipazione più alta: alle elezioni europee c'è stato un calo continuo, dall'85% di votanti del 1979 al 65% del 2009, però c'è ancora una settimana di campagna elettorale, vedremo l'effetto sullì'elettorato della ospitata di Beppe Grillo da #BrunoVespa e le contromosse di #MatteoRenzi... La partita vera è tra 5 Stelle e Pd, anche se al Sud i democristiani sono ancora pimpanti: da Clemente #Mastella che è sempre più ascoltato da Berlusconi, a Ciriaco #DeMita che alla verde età di 86 anni si candida a sindaco di Nusco! Ovviamente questo non è un sondaggio: ma sta agli atti, in Rete, ne riparliamo il 26 maggio? Buona domenica

APPELLO PER LE ELEZIONI EUROPEE DEL GRUPPO DI VOLPEDO

APPELLO PER LE ELEZIONI EUROPEE DEL GRUPPO DI VOLPEDO Noi socialisti e libertari associati nel Gruppo di Volpedo riteniamo che l’Europa costituisca un orizzonte politico imprescindibile ed un quadro di riferimento essenziale tanto più nel contesto attuale, in cui dall’Ucraina al Medio Oriente all’intero arco mediterraneo orientale-meridionale dalla Turchia all’Algeria i focolai di tensione politica richiedono all’Europa di essere protagonista nel perseguimento di un nuovo ordine mondiale di pace, sicurezza e cooperazione. Non minori sono le responsabilità di un’Europa unita e solidale per indicare una via d’uscita alla crisi economica e finanziaria senza pregiudicare la coesione sociale con politiche di sviluppo equilibrato ed eco-compatibile finalizzate all’obiettivo prioritario del ritorno alla piena e dignitosa occupazione, con prioritaria attenzione per quella giovanile . Il perseguimento di questi obiettivi impone che le istituzioni europee siano democraticamente rinnovate e rafforzate, al fine di perseguire la più ampia solidarietà transnazionale europea, e di ridimensionare quell’approccio minimalista votato alla ricerca del minimo comun denominatore tra gli interessi nazionali degli stati prevalenti. Il rinnovamento potrà essere perseguito solo se il nuovo gruppo parlamentare del PSE, saprà dotarsi di una nuova autorevolezza per declinare in chiave europea le istanze e le proposte dei diversi partiti nazionali che si riconoscono nel Partito Socialista Europeo e nel suo Gruppo Parlamentare Il Partito Socialista Europeo è chiamato ad assumere la leadership del rafforzamento democratico delle istituzioni europee, quali che siano le identità e le distinzioni dei diversi partiti socialisti d’Europa e delle liste di sinistra democratica e progressista che vi vorranno concorrere. NOI IN COERENTE CONTINUITA’ CON L’APPELLO PER LE ELEZIONI EUROPOEE 2009 CI SENTIAMO SOCIALISTI EUROPEI . In vista delle ormai prossime elezioni per il Parlamento Europeo riteniamo che il compagno MARTIN SCHULZ debba diventare il prossimo Presidente della Commissione con il preciso mandato di porre fine alle politiche di austerità, di rafforzare il ruolo di indirizzo e controllo del Parlamento Europeo e di aprire un dibattito pubblico sul TTIP di liberalizzazione del commercio e degli investimenti USA-UE, la cui impostazione appare svolgersi in condizioni squilibrate di informazione e di partecipazione dei soggetti interessati e delle stesse istituzioni comunitarie. Solo così l’Europa e le sue istituzioni potranno ridimensionare lo scetticismo che pericolosamente si sta estendendo in Europa, con la suggestione del ritorno alle vie nazionali quali unico antidoto alla crisi che pervade da troppi anni l’Europa e che minaccia la tenuta democratica delle stesse istituzioni nazionali (Ungheria docet) nonché quelle europee. Una capacità di iniziativa che sarà tanto più forte quanto più sarà capace di coinvolgere gli altri partiti della sinistra europea, sottraendoli alla tentazione e vocazione al minoritarismo di impronta radicale. Il Gruppo di Volpedo, in COERENTE CONTINUITA’ CON L’APPELLO PROMOSSO PER LE ELEZIONI EUROPOEE 2009, CONFERMA PIU’ CHE MAI DI APPARTENRE E RICONOSCERSI NEL SOCIALISMO EUROPEO. L’auspicio è che, con le prossime elezioni europee, il compagno socialista MARTIN SCHULZ possa diventare il prossimo Presidente della Commissione, con un preciso mandato: di porre fine alle politiche di austerità, di rafforzare il ruolo di indirizzo e controllo di un Parlamento Europeo riformato, nonché di favorire un ampio e diffuso dibattito pubblico sul progetto TTIP, il progetto Transatlantic Trade and Investment Partnership, ovvero la creazione di una “free area transatlantica” tramite un agreement da realizzarsi tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America Union che prevede la liberalizzazione del commercio e degli investimenti USA-UE, che si sta svolgendo in condizioni squilibrate di informazione e di partecipazione dei soggetti interessati e delle stesse istituzioni comunitarie. Per il perseguimento di questi risultati è indispensabile che lo schieramento a favore del candidato Schulz alla Presidenza possa disporre di un consenso più ampio di quello espresso al PSE dalle liste nazionali che si riconoscono nel PSE , ovvero anche quello esprimibile dalle liste di sinistra e ambientaliste, che pur concorrendo al Parlamento Europeo con idee proposte proprie, si sentano di associarsi a questo appello. Alessandria 3 maggio 2014

Turkish mine disaster: Unions take strike action, blaming ‘murderous’ lack of safety and privatisation | Red Pepper

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La Camusso e Montesquieu | mondoperaio

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MILANO: Nasce la citta’ metropolitana | Milano Città  Metropolitana

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La città metropolitana di Milano

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In Statale torna a vincere la sinistra

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Le riforme strutturali e il riformismo liberista | Keynes blog

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Il cambio verso del Pil è la controprova: l'austerity espansiva arricchisce solo la Merkel | Stefano Fassina

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La dinastia Gandhi e l'abitudine alle avversità - Il Sole 24 ORE

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Un europeismo critico per una nuova politica - Centro per la Riforma dello Stato

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ANPI | No al degrado della Loggia di Mercanti: appello di Anpi e Comunità ebraica

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sabato 17 maggio 2014

Portogallo: fine di un piano di salvataggio

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Cronaca di un’assenza. La politica italiana nel dibattito pubblico tedesco

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La legge elettorale che non c’è: quella europea | Davide Vittori

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Tassa sulla proprietà? Se è locale, aumenta la disciplina fiscale | Andrea Filippo Presbitero, Agnese Sacchi e Alberto Zazzaro

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The Way To A Different Europe - Social Europe Journal

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Alina Polyakova | The Coming Rise of the Ukrainian Far-Right | Foreign Affairs | Foreign Affairs

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La spesa per protezione sociale in Italia e in Europa - Menabò di Etica ed Economia

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La déroute de la gauche en France. | Insight

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Europa ed euro: cosa è andato storto | Insight

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Perry Anderson · The Italian Disaster · LRB 22 May 2014

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IN VISTA DELLE ELEZIONI EUROPEE: UN AGGIORNAMENTO D’ANALISI SUL SISTEMA POLITICO ITALIANO di Franco Astengo

IN VISTA DELLE ELEZIONI EUROPEE: UN AGGIORNAMENTO D’ANALISI SUL SISTEMA POLITICO ITALIANO di Franco Astengo dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it In assenza dell’ufficialità dei sondaggi (però le voci circolano, eccome se circolano…) si tenta in questa sede di aggiornare l’analisi riguardante i soggetti presenti nel sistema politico italiano alla vigilia delle elezioni europee del prossimo 25 Maggio . Un aggiornamento svolto alla luce di alcune importanti novità che potrebbero determinare le scelte di un numero rilevante di elettrici e di elettori, considerando tra l’altro che in occasione delle ultime tornate la cosiddetta “volatilità elettorale” è sicuramente cresciuta. I temi di fondo in discussione, in questo momento, appaiono essere soprattutto due: 1) L’entità dell’astensionismo. Uno degli ultimi dati disponibili indicava all’incirca nel 62% la percentuale dei possibili partecipanti al voto, considerata la “naturale” quota di schede bianche e nulle può apparire, dunque, plausibile la percentuale del 60% di voti validi, con un non voto complessivo del 40%. Si tratterebbe di una percentuale molto elevata di astensione, tale da modificare i possibili rapporti di forza e di determinare anche la platea dei soggetti in grado di scavalcare il “quorum” del 4% (nel frattempo rinviato al giudizio della Corte Costituzionale). I fatti più recenti, che ci sarà modo di elencare poco più avanti non possono tra l’altro che determinare una crescita nella direzione del “non voto” perché tendenti a provocare ulteriore disaffezione risultando in gran parte legati al ripresentarsi della mia sopita “questione morale” in maniera assolutamente trasversale al quadro politico; 2) Il duello più importante che si sta svolgendo attorno all’esito delle elezioni europee appare, ormai, essere quello degli opposti populismi personalistici Renzi/Grillo, il terzo attore Berlusconi appare intento a cercar di tenere il proprio zoccolo duro, mentre tutti gli altri appaiono essere proprio assoluti comprimari divisi tra chi appare già in grado di scavalcare la soglia di sbarramento: la Lega Nord e forse NCD con il concorso dell’UDC; chi pare proprio in bilico attorno a pochissime frazioni di punto come Fratelli d’Italia e la lista Tsipras e chi invece, come Scelta Europea sembra proprio completamente tagliata fuori. Andando per ordine cerchiamo, però di elencare i fattori di novità determinatisi nel corso degli ultimi giorni di questa campagna elettorale: 1) La riesplosione della “questione morale” attorno a 3 filoni: quello delle tangenti “Expo” che tutti stanno cercando di minimizzare giudicandolo quasi una simpatica rimpatriata tra vecchi reduci ma che assume, invece, per l’ennesima volta, la vesta di una strutturalità del malaffare attorno al nodo delle opere pubbliche. Dal punto di vista della disaffezione il caso tangenti Expo avrà sicuramente un’incidenza rilevante. Il secondo aspetto dell’attualità della “questione morale” è rappresentato dalla vicenda Scajola: anche in questo caso si tenta di minimizzare riducendo il tutto alla serie “amicizie pericolose” cercando di far dimenticare il ruolo di Ministro dell’Interno (all’epoca del G8, tra l’altro) detenuto dal ras imperiese. Ci troviamo, invece, di fronte a un fatto che rappresenta un momento tra i più inquietanti e potenzialmente pericolosi nella storia più recente della Repubblica (senza dimenticare il caso Dell’Utri: quali legami tra la destra italiana e i falangisti libanesi?). Infine, ma non ultimo per peso politico e gravità dei fatti, la vicenda dell’arresto del deputato PD Genovese a dimostrazione, anche in questo caso ancora una volta, dell’intreccio politica /affari in un contesto di forte presenza mafiosa. Il PD ha dovuto votare l’arresto in precedenza al voto, cedendo alle pressioni del M5S e anche questo è un fatto significativo nelle dinamiche di un sistema politico che sta dimostrandosi davvero debole e permeabile a pericolose infiltrazioni; 2) L’evidenziarsi di una riacutizzazione nei termini di crisi degli indicatori economici, con una clamorosa smentita delle ottimistiche previsioni del Governo. L’Italia appare nuovamente in recessione. La borsa, in netto calo in questo momento, sarà oggetto come sempre di furibondi attacchi speculativi mentre ha ripreso a salire il “mitico” spread. Insomma non bastano le parole a far risalire la china a un paese sfibrato collocato, per di più, al centro della situazione europea che conosciamo. Situazione europea che, fra l’altro, dovrà essere commisurata alle novità intercorrenti sullo scenario globale con la crisi dell’Ucraina e il riproporsi dello spettro dell’antico bipolarismo. Inoltre c’è di mezzo il pasticcio degli 80 euro che non solo sta creando elementi evidente di conflittualità sociale ma appare ancora in difficoltà sul piano delle coperture tanto da far prevedere la possibilità di una manovra correttiva in autunno. Emergono altre questioni che potrebbero incidere sull’esito del voto: dal tema dell’immigrazione a quello della sovraesposizione mediatica dei presunti leader, in particolare, di Renzi che potrebbe provocare anche fenomeni di vero e proprio rigetto, in particolare rispetto alla prosopopea delle promesse. Il tema europeo molto dibattuto attorno, ad esempio, sul tema euro/no euro sta comunque perdendo di peso rispetto al confronto politico in atto sul tema elettorale. : le questioni interne, assumendo la veste di un referendum attorno non tanto al tema del governo., la al riguardo della stessa figura politica di Renzi appare prevalere. E’ il dramma della personalizzazione, un dramma vero che sta pericolosamente inquinando la vita politica italiana facendo paventare il rischio serio di avventure autoritarie. Ed è proprio questa, della curvatura autoritaria, la questione delle questioni che siamo chiamati ad affrontare urgentemente.