sabato 4 luglio 2009

Walter Marossi: Spigolature elettorali

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29-6-2009 by Walter Marossi da L'arcipelago
I commenti post elettorali sono la fotocopia dei commenti al bar, dopo una partita di calcio.




Tutti sono prodighi di “io l’avevo detto”, di “sarebbe bastato cambiare questo”, di “si sapeva che erano bolliti”, di “ad altri è andata peggio” etc. Il mondo pd non fa eccezione, la prima reazione è stata di orgoglio: “abbiamo perso ma abbiamo giocato bene, a Milano abbiamo anche vinto”. Lo stile è quello dell’Inter dopo l’estromissione dalla coppa dei campioni: “siamo bravi, siamo belli, non ci capiscono sarà per la prossima volta”. Poi riflettendo che a Milano l’ultimo sindaco con una maggioranza di sinistra-centro risale agli anni ‘80; che solo un anno fa si era al governo nazionale e oggi si è opposizione; che in Lombardia il pd è forza amministrativamente trascurabile e che la vittoria a Cinisello non è proprio degna di un manifesto “firmato Diaz”, la sindrome interista/bartaliana del “gli è tutto sbagliato gli è tutto da rifare” ha il sopravvento. Meglio autoironia e depressione che ipocrisia auto consolatoria, tuttavia sarebbe bene evitare entrambi gli eccessi, un po’ di misura non stona.




Tutto ciò premesso farò anch’io come al bar sport, e invece di ragionare su dati complessivi, su flussi e reflussi, sottolineerò alcuni aspetti che mi paiono interessati, considerazioni anche lapalissiane, spigolature si sarebbe detto un tempo.




Il secondo turno. Il centro sinistra ha più possibilità di vincere al secondo turno che al primo. Perché l’elettorato contro berlusconi è più ampio dell’elettorato per il PD, perché al secondo turno si vota
il meno peggio, perché la dinamica dei candidati di lista (preferenze e annessi) è più forte nel centro destra che nel centro sinistra. Ergo, qualsiasi riforma elettorale proposta dal centro sinistra dovrebbe puntare ad avere un secondo turno a partire dalle leggi in discussione (leggasi regionali). Così al prossimo referendum cretino, sarebbe meglio dire no subito.




Astensione.L’elettorato che si astiene per ragioni politiche è in aumento. Fino ad oggi si è ragionato sull’onda della tradizione di un voto obbligatorio (nel 1970 la percentuale di voto alle comunali era del 94%) e di un astensionismo per indifferenza. Oggi accanto a quello esiste un astensionismo per scelta. Settori consistenti di elettori ritengono non corrispondente l’offerta politica alla domanda ovvero ritengono abbastanza sovrapponibili le offerte-candidature (nel caso di elezione diretta). Questo significa che nel futuro le elezioni si vinceranno pescando in quel bacino, tanto più che le oscillazioni dell’astensionismo sono significative tra elezione ed elezione tra zona e zona. Sarà più importante recuperare consensi dall’astensione che sottrarre voti all’avversario. Significa altresì che le modalità della campagna elettorale diventano più importanti. Sappiamo, infatti, che proprio l’elettorato incerto è quello più sensibile alla campagna elettorale, quello che decide nelle ultime ore. L’americanizzazione delle campagne elettorali, nel senso di professionalizzazione, aumenterà. Questo ci porta alla questione delle risorse. In futuro le campagne elettorali costeranno sempre di più. Il pd si consola della sconfitta alle provinciali dicendo che Milano è contendibile alle comunali. Giusto. Ma a parte che questo lo sappiamo dalle regionali scorse, il passo successivo è prendere atto che se Ferrante ha speso 500.000 euro per le elezioni e la Moratti 10.000.000 forse la differenza percentuale tra i due è direttamente proporzionale alla spesa sostenuta per la campagna elettorale. Ergo il fund raising è oggi altrettanto importante che le primarie: un buon candidato senza mezzi ha meno chances di vincere, e qui Monsieur de la Palisse va a nozze, tuttavia nel centro sinistra vi è sempre un imbarazzo eccessivo a parlare di quattrini, salvo poi citare nei convegni la sfida di Obama alle primarie, vinta anche grazie al fund raising innovativo.




La lega. Non c’è nessun successo “straordinario” della lega. Rammento che nella città di Milano la Lega aveva già nel 1996 il 12%, il 15% nel 1997 per scendere al minimo del 4,35% delle comunali del 2001. L’andamento del voto leghista è inversamente proporzionale a quello di Forza Italia in passato, del pdl oggi. In pratica, è un elettore moderato conservatore che ha scelto il centro destra e che all’interno del centro destra sceglie la componente più “radicale” su alcuni temi. E’ un effetto sbarramento al contrario: l’elettore sicuro che il suo voto non va perso sceglie la componente che su alcuni temi ritiene più convincente. La figura del candidato non è determinante; la lega in Lombardia ha avuto il presidente della Regione (qualcuno si ricorda di Arrigoni?) il sindaco di Milano, il presidente della provincia di Milano, senza che la loro esistenza abbia lasciato traccia elettorale. Lo stesso avvenne per Bertinotti al tempo dell’Ulivo, gli elettori prodiani che preferivano più radicalismo votarono Bertinotti, anche se l’ultima cosa che volevano era rifondare il comunismo. La lega ha quindi uno zoccolo duro che risale ai tempi del matrimonio celtico con il Po e un vasto elettorato d’opinione. Ricorda per taluni versi il PSI di Craxi, uno zoccolo duro ridotto e un elettorato d’opinione potenziale vasto ma fortemente condizionato dalle scelte tattiche e d’immagine. Che rilevanza ha questa notazione? Molta in termini elettorali. Se esiste, infatti, un elettorato d’opinione leghista, quindi meno berlusconiano, forse un PD più nordista potrebbe pescare in questo bacino sensibile certo a temi incompatibili con il pd (le ronde?) ma anche a temi compatibili (meno burocrazia, meno Roma).




I voti dei radicali. Una delle rimozioni più incomprensibili del dibattito interno al centro sinistra e al PD in particolare riguarda i radicali o per meglio dire l’elettorato laico-libertario che si riconosce nelle liste Bonino. E’ un lettorato fortemente motivato, sensibile ai temi politici, indifferente per lo più a quelli amministrativi. Un elettorato diffuso. Alle europee 150000 voti in Lombardia (contro i 1146000 del PD); a base provinciale il 2% a Bg contro il 16,74% del PD, il 2% a BS contro il 20% del PD, il 2,48% a Como contro il 16,27% del PD, il 2,13% a CR contro il 23,25% del PD, il 2,32% a Lecco contro il 22,12% del PD, il 2,05 a Lodi contro il 22,83% del PD, il 2% a Mantova contro il 29,67% del PD, il 3,83% a Milano contro il 24,56% del PD, il 2,74% a Monza contro il 21,61% del PD, il 2,80% a Pavia contro il 21,23% del PD, il 2,15% a Sondrio contro il 14,19% del PD, il 2,46% a Varese contro il 18,8% del PD. A base città 3,55% a Como, 3,38% a CR, 3,44% a BS, 5,45% a Milano, etc. L’unica azione coerente del veltronismo rispetto all’ipotesi del partito autosufficiente (oltre alla modifica della legge elettorale) era stata il coinvolgimento dei radicali (se, infatti, ai 241247 voti del pd alle politiche pari al 33,24% sottraiamo i voti presi dalla lista Bonino alle europee cosa otteniamo? Vi lascio la sorpresa. Perché non si è proseguito su questa linea? Valeva la pena perdere più del 10% dei propri voti per inseguire la Binetti? Quanto ha pesato nell’astensionismo del secondo turno nel centro sinistra il disinteresse radicale? Poiché le liste Bonino sono le tipiche liste d’opinione, a soffietto, è evidente che se per le elezioni future non si ragiona con quest’area, specie alle elezioni amministrative, in Lombardia, ma penso non solo qui, non si può vincere.




Leggermente diverso
per la lista Sinistra e libertà. Il loro 2% regionale, pari a 106000 voti,
corrisponde grosso modo alla somma prevedibile dei contraenti l’accordo di coalizione, l’elettorato d’opinione, se vi è stato non è stato tale da modificare equilibri, si tratta di un elettorato stabilmente acquisito al centro sinistra, che sceglie la componente più laicoradicale sulla base di questioni di principio ma che non dovrebbe essere mancato alle elezioni amministrative. Le variazioni in negativo tra dato delle europee e delle provinciali stanno a indicarlo. Tuttavia la somma dei voti di Sinistra e libertà e radicali a base europee nella città di Milano da circa un terzo dei voti del PD autosufficiente. E’ pensabile in futuro, pensando alle elezioni comunali (ma anche a quelle regionali) prescindere da questi voti? No. E’ pensabile operare scelte di candidature prescindendo da questi voti? No. Una primaria tutta interna con scelte tutte interne avrebbe appeal verso questo elettorato?No. Questo mi sembra un avviso per i naviganti importante. Sempre all’interno di questa area che cosa resta della questione socialista. Poco. Nel senso che bisogna dare ormai per acquisito che l’elettorato del fu partito craxiano non è condizionato dal valore del simbolo socialista ma per quel che vale percentualmente (molto in alcune realtà poco in altre, ma sempre in percentuali simili a quelle radicali) è più legato a questioni di principio e alle figure di riferimento. In pratica l’assoluta maggioranza di quello che fu l’elettorato socialista sta nel centro destra. Sia quello d’opinione più fortemente arrivato al PSI grazie a Craxi, sia quello di appartenenza storica (decimato dal trascorrere del tempo), sia quello più legato alle figure dei singoli amministratori locali. Del resto basta vedere tra gli eletti del centro destra il peso degli ex socialisti a tutti i livelli e misurarli con il peso degli ex socialisti nel centro sinistra. E’ una situazione ribaltabile o correggibile. Dubito? Alla frattura storica PSI versus PCI, Berlinguer versus Craxi si è aggiunta la frattura che possiamo dire “Eluana”. Quanto poi alle scelte di personalità politica, alle elezioni provinciali, l’endorsment di Tognoli (che pure a suo tempo aveva indicato Ferrante) per Podestà vale certo di più di tutti i candidati di area già socialista nelle varie liste del centro sinistra.




L’UDC. La questione UDC è speculare a quella dei Radicali.
Vale meno nelle città che nelle periferie; 5% in regione Lombardia, con punta del 6% in provincia di Brescia; 3,88 nella città di Milano. E’ un elettorato stabile tra amministrative ed europee, in moderata crescita rispetto alle elezioni politiche che in qualche modo consente di non votare per berlusconi senza fare una netta scelta di campo verso un’alternativa. Le leadership locali sono fortemente attratte dal PDL, fondamentalmente per ragioni di potere, ma la leadership nazionale è abbastanza indifferente alla struttura è l’unica motivazione di voto significante. Il partito può indifferentemente allearsi al centro destra o al centro sinistra, e l’elettorato? Una volta che si sceglie di non votare Berlusconi (quello si è un partito autosufficiente) si è già fatta una scelta di campo fondamentale, ergo è un elettorato che potrebbe specie alle elezioni amministrative votare per il candidato del entro sinistra. Ho detto candidato perché mi pare un elettorato inversamente proporzionale a quello radicale. Questo fortemente caratterizzato dalle scelte concrete e delle persone, quello dalle scelte di principio il trascurabile peso dell’ala “rosa bianca” starebbe, il condizionale è d’obbligo, a dimostrarlo. Ne consegue che non mi pare impossibile una coalizione che pensi a tenere insieme questi due estremi, giocando sulle personalità dei candidati e sulle procedure di scelta.


A questo proposito occorre pensare a primarie diverse da quelle che si sono svolte in passato.


In che senso? Un esempio per spiegarmi.


Alle elezioni europee il PD milanese ha preso 156372 voti. Alle primarie per le elezioni del segretario provinciale avevano votato 2100 elettori, alle primarie per i candidati alle elezioni provinciali 2800 (entrambi i dati con beneficio d’inventario) alle primarie per l’elezione dei direttivi di sezione (27 gennaio) 8800 elettori alle primarie veltroniane 61000 elettori. Ora è evidente che stiamo parlando di consultazioni tra loro molto diverse, di legittimazioni altrettanto diverse, di coinvolgimenti diversi. Considerale allo stesso livello è impossibile. Ma questa è un’altra storia e non c’è più spazio. Alla prossima


Walter Marossi

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