sabato 29 agosto 2020

Franco Astengo: Sondaggi, referendum, sinistra costituzionale

SONDAGGI , REFERENDUM, SINISTRA COSTITUZIONALE di Franco Astengo Non sembra poter lasciare spazio a particolari commenti il sondaggio di Demos sul referendum, pubblicato oggi da Repubblica: 82 a 18 secco, le stesse identiche proporzioni che uscirono dalle urne il 18 aprile 1993 a favore del referendum Segni pro-maggioritario. Una vittoria schiacciante quella di allora, per una delle più grandi mistificazioni mai viste nella storia della Repubblica. Una mistificazione il cui esito abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni con l’evidenza del disastro di un progressivo impoverimento politico – culturale in un Paese dove si sono accentuati i connotati storici da “autobiografia della nazione” come Gobetti appellò l’avvento del fascismo . Oggi l’autobiografia della nazione comprende una buona quota di razzismo più o meno latente, dentro a un quadro complessivo di individualismo, corporazioni e lobbie, richieste di assistenza: il Paese dei bonus sorge così a chiedere il taglio di una “casta” della quale fa oggettivamente parte. Forza della propaganda facile. Qualcuno obietterà: così tu dividi tra una minoranza “parte sana” e una maggioranza della “centralità della movida” e ti arroghi la solita rivendicazione della “diversità” altera e minoritaria. Mi piacerebbe rifugiarmi nella “diversità” orientandomi anche su qualche citazione storicamente ardita, ma invece evito questo terreno scosceso per cercare di sviluppare una breve analisi con qualche pretesa più propriamente “politica”. Innanzi tutto la possibile veridicità del sondaggio sarà sottoposta al vaglio della partecipazione al voto : partecipazione al voto sicuramente condizionata, in questa occasione, da alcune specifiche modalità Una seria valutazione sull’esito del referendum potrà essere compiuta, infatti, soltanto scorporando i dati tra i tre livelli di competizione elettorale che, in alcune parti del Paese, si svolgeranno il 20 e 21 settembre prossimi: a) dove l’elettrice e l’elettore avranno a disposizione una sola scheda, quella referendaria, appunto; dove l’elettrice e l’elettore avranno a disposizione due schede, quella referendaria e quella regionale (oppure quella referendaria e quella comunale); dove l’elettrice e l’elettore avranno a disposizione tre schede( quella referendaria, quella regionale e quella comunale). Dall’intreccio tra i numeri della partecipazione al voto complessivi e quelli scomposti tra le varie situazioni si determinerà l’incidenza dello squilibrio provocato dall’ “election day” sull’esito del voto. E’ possibile che così emerga materia sulla quale potrà esercitarsi Felice Besostri chiamando in causa i tribunali. Il combinato disposto tra le dichiarazioni di voto fin qui raccolte tra alcuni dei principali protagonisti della vita politica e culturale e le indicazioni dei sondaggi permette comunque di sviluppare alcune osservazioni di merito sulle quali sarebbe forse il caso di riflettere: 1) Se l’82% di Sì può essere considerato plausibile come dato indicatorio ,la prima osservazione da sviluppare sarebbe quella che questo referendum è proprio una questione di “casta” (come avevano individuato Rizzo e Stella nel loro fortunatissimo “pamphlet”). Quella dimensione di “casta” portata avanti dai 5 stelle prima maniera, in precedenza al trasformarsi essi stessi in un “establishment” forte, stabile e assolutamente concentrato (sul potere). Si sono espressi chiaramente per il “NO” una parte consistente degli esponenti politici, oltre ad autorevolissimi intellettuali e opinionisti, tutti influentissimi nei primi decenni del secolo dimostrando così tutto il loro distacco dal populismo imperante. Ciò può significare il continuum di un esercizio dell’autonomia del politico che nelle forme in cui è progressivamente degenerato nell’immaginario collettivo. Ha rappresentato una delle cause dell’attuale situazione. E’ stato attraverso l’autonomia del politico ben esercitata nei governi di centrosinistra (1996 – 2001; 2006 – 2008) che si è steso un un tappeto rosso alla resistibile ascesa di una sciagura come quella rappresentata dal nuovo “ceto politico” a marca 5 stelle . “Ceto politico” di nuovo conio cui una parte del PD vorrebbe offrire addirittura il destro per una “alleanza strutturale” stipulata però alle condizioni dell’antipolitica, come dimostra proprio la vicenda di cui ci stiamo occupando. 2) Una fase politica come quella avviata negli anni’90 sulla base dello sconquasso provocato da Tangentopoli, con l’azione politica dei grandi partiti di massa sciolta come neve al sole e sostituita prima dalla supplenza della Magistratura e successivamente dall’occupazione degli spazi del “ventre molle” da parte di Berlusconi. Una fase nel corso della quale ci si trova di fronte gli accidenti dell’euro e dei migranti (dagli albanesi in avanti) senza che mai le forze di sinistra tentassero di ricostruire un minimo di fronte di pedagogia politica. Anzi, le forze di sinistra hanno fatto di tutto per adattarsi alle spire dell’avversario (vedi inseguimento alla Lega su devolution e quant’altro). In questo modo non si poteva far altro che cedere al passo, oltre ai già citati 5 stelle, ad una emersione para – fascista capace di recuperare nazionalismo e razzismo, male piante mai estirpate del tutto. 3) Soprattutto è mancata a sinistra la possibilità di portare il tema costituzionale a rappresentare base per una soggettività politica. Anche su questo punto è necessaria il massimo della chiarezza possibile: la Costituzione come sfondo del sistema poteva andar bene fino a quando erano presenti i grandi partiti della Costituente e il PCI poteva bilanciare la “conventio ad excludendum” con “l’arco costituzionale”. A partire dal referendum Renzi (anzi già da quello precedente sulle trivelle) in un momento di totale disfacimento a sinistra si è sicuramente espressa, in mezzo a un incrocio di motivazioni strumentali, una sinistra diffusa le cui espressioni politiche erano fondate sul riconoscimento costituzionale e sulla richiesta di una forma di democrazia rappresentativa che si riorganizzasse per contrastare il populismo, le piattaforme, l’uno vale uno. Invece di compiere un’operazione coraggiosa di apertura in questa direzione i gruppi dirigenti delle residue forze che fanno riferimento alla storia della sinistra si sono trincerate chi nel governo, chi in una opposizione di movimento. Non è stato compreso che era necessario cercare di mettere in atto un progetto politico di ricostruzione (abbiamo tentato di invertire la rotta con il “Dialogo Gramsci – Matteotti” ma finora gli esiti sono stati parziali e incompleti) nel quale il tema costituzionale poteva rappresentare punto determinante di identità e di aggregazione. Domani comunque vada, nel “NO” che uscirà dalle urne il 20 settembre ci sarà sicuramente una quota di elettrici ed elettori che avrà votato per muoversi nella direzione che ho cercato di indicare. L’occasione fu perduta dopo l’esito vittorioso del 4 dicembre 2016; sarebbe mortale perderla anche nell’occasione della possibile sconfitta del 20 settembre 2020. Nel porci al di fuori da inutili scoramenti preventivi sarebbe il caso di attrezzarci adeguatamente. La storia più recente al riguardo della complessità di contraddizioni che attraversano l’intera società ci dice che è assente una forma politica di sinistra non semplicemente unitaria ma in grado di offrire una diretta dimensione costituzionale di fronteggiamento della difficile situazione in atto: semplicemente una sinistra costituzionale.

Riformare la giustizia fiscale ai tempi della pandemia - micromega-online - micromega

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venerdì 21 agosto 2020

Franco Astengo: Trasformismo e politica corsara

TRASFORMISMO E POLITICA CORSARA di Franco Astengo “Il Corriere della Sera” del 20 agosto ha ospitato assieme due interventi che sono apparsi scritti quasi in complementarietà da Ernesto Galli della Loggia e Stefano Passigli. Galli della Loggia ha analizzato il tentativo di alleanza “strutturale” tra PD e M5S assegnandolo alla categoria del “trasformismo” . Un “trasformismo” collegato ad uno smarrimento d’identità per entrambe le formazioni. Uno smarrimento d’identità (Cassese, in un editoriale pubblicato il 21 agosto) ha scritto di “politica corsara”) che nel caso del PD, abbandonata la “vocazione maggioritaria”, appare ormai come elemento costituivo dell’essere stesso del partito. Un partito il PD sempre meno propenso all’elaborazione di una piattaforma propria e sempre più disponibile ad assorbire i punti programmatici altrui. Passigli, dal canto suo, ha spezzato una lancia in favore della formula elettorale proporzionale partendo dalla considerazione che il maggioritario si adatta principalmente a Paesi che conoscono una profonda unità interna. Inoltre lo stesso Passigli ha ricordato come il proporzionale sia storicamente collegato con la forma di governo parlamentare, così come prevede la nostra Carta Costituzionale. Dove sta quindi la complementarietà (involontaria, credo) tra i due articoli scritti, tra l’altro, in un momento nel quale sembrano salire le quotazioni del “NO” nel referendum del 20 settembre ? I due autori, ciascheduno per proprio conto, sembrano infatti rivolgere alle forze politiche una richiesta di rinnovo di espressione d’identità. Nell’evidente crisi della struttura del sistema politico italiano ha pesato fortemente l’impatto del “né di destra”, “ né di sinistra”. Ci troviamo al tramonto di quella stagione. Siamo di fronte, infatti, all’emergere a livello sistemico di un nuovo livello di “dialettica principale”. I nuovi termini della dialettica di sistema nel “caso italiano” si rilevano, infatti, nel modificarsi dell’area di interesse nella relazione tra complessità sociale e autonomia dell’agire politico. Si sta imponendo, infatti, l’evidenza di una necessità di confronto tra il possibile permanere di un’etica politica che definiremmo legata a una ricerca di identità e l’avanzare di una ricerca di potere esclusivamente misurata sul valore dell’estetica. Valore dell'estetica collocata dentro a quella categoria del "trasformismo" che Galli della Loggia eleva a concetto politico e che Cassese ha - appunto - definito come "politica corsara". Il ritardo della sinistra risiede nella difficoltà di opporre l'etica dell'identità all'estetica del trasformismo. Una sinistra immersa nell'incapacità di far sintesi in un dibattito ancora fermo all'individuazione della complessità delle contraddizioni sociali operanti ed emergenti nella modernità. Sicuramente la destra si trova di più a proprio agio esternando rozzi slogan semplificatori tali da "grattare la pancia" all'individualismo competitivo attraverso l'esposizione del classico "legge e ordine". Dobbiamo quindi porci un interrogativo: si è forse concluso il ciclo aperto negli anni ‘90 con l’assunzione definitiva del concetto di governabilità come ragione ultima ed esaustiva dell’agire politico legittimando così la semplificazione del trasformismo e della politica corsara. Potrà essere possibile, in assenza di una adeguata soggettività politica, misurarsi su di un inedito livello di dialettica tra etica dell'identità ed estetica del trasformismo? Nel caso di definitivo successo dell’estetica del trasformismo verrebbe a mancare, almeno a mio modesto giudizio, l’involucro politico per l’espressione delle contraddizioni sociali e la politica si ridurrebbe a sede di una semplice tecnocrazia decisionista . La logica conseguenza di tutto ciò diventerebbe quella della costruzione di un regime fondato su di un capo plebiscitato dalla folla : si raggiungerebbe così lo scopo perseguito dai propugnatori dell’antipolitica, almeno dal 1994 in avanti ( o forse fin dall’appena precedente stagione referendaria). L’esito del referendum del 20 settembre non risulterà indifferente a tutto questo.

The fairy tale of the illiberal left – Democracy | IPS Journal

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When Socialists Gain Power in States Like New York, Expect Bogus “Antisemitism” Charges to Follow

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Who is Olaf Scholz – and can Labour look to the SPD candidate as an ally? – LabourList

Who is Olaf Scholz – and can Labour look to the SPD candidate as an ally? – LabourList: Germany’s socialist party, the Social Democratic Party (SPD), last week chose its candidate to replace Angela Merkel as Chancellor. Olaf Scholz has his admirers within…

L'ECONOMIA SOCIALE AL TAVOLO DELLO STATO IMPRENDITORE - GLI STATI GENERALI

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I malumori dei giovani democratici statunitensi - Elaine Godfrey - Internazionale

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The Bernie Sanders Doctrine on Foreign Policy

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venerdì 14 agosto 2020

L'ECONOMIA SOCIALE AL TAVOLO DELLO STATO IMPRENDITORE - GLI STATI GENERALI

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Il mondo post covid: quattro diritti per le città dell’uguaglianza - micromega-online - micromega

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Andrea Pisauro: Che UE sarà? - Transform! Italia

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Franco Astengo: A sinistra

A SINISTRA di Franco Astengo (Grazie per la vostra attenzione) Domani ricorre il 128° anniversario della fondazione, avvenuta a Genova, del Partito dei Lavoratori Italiani (poi diventato Partito Socialista e scissosi nel ‘21 a Livorno dal Partito Comunista). I risultati delle regionali del 20 settembre prossimo ci forniranno una prima impronta circa l’andamento possibile dell’evoluzione del M5S verso una strategia delle alleanze . Così come, a quel punto, disporremo di alcuni elementi concreti per valutare il vagheggiamento del PD verso la formazione di una “entente” con il MoVimento destinata a diventare strategica, per dirigersi verso l’elezione del Presidente della Repubblica e successivamente verso le elezioni legislative generali previste per il 2023. Nel frattempo però si apre spazio a sinistra per avviare un ragionamento di più ampio respiro. Il muoversi del M5S in direzione di un processo di cosiddetta “evoluzione” corrisponde infatti,almeno in parte, a una necessità del sistema di veder riempito un vuoto che il “né di destra, né di sinistra” aveva lasciato. Oltre la destra e oltre la sinistra, infatti, c’è soltanto il centro che molti stanno cercando di occupare: da Renzi a Calenda a settori “moderati” (chissà su cosa si ritengono “moderati”?) della stessa Forza Italia. Si tratta di tentativi autodefiniti “trasversali” che in alcuni casi sfiorano la cosiddetta “antipolitica”. Questi tentativi “trasversali” non hanno però alcuna possibilità di riuscita perché sprovvisti della necessaria “massa critica”. Per occupare il vuoto lasciato al centro serve, infatti, una consistenza numerica e una presenza territoriale sufficientemente omogenee nel Paese: caratteristiche che, pur nel contrarsi delle abnormi dimensioni raggiunte con le elezioni del 2018, sono ancora in possesso del M5S anche se nel frattempo questo ha accentuato caratteristiche da partito del Sud obbligato allo “scambio politico” e alla soddisfazione immediata dell’ emergenza. Un’emergenza dettata da quegli elementi di individualismo assistenzialista e di corporativismo, ben presenti nella società italiana soprattutto dalla parte di imprenditori privati che nel pianto delle “Partite IVA” e di una peculiare precarietà innestata nel mondo del lavoro e pur nella necessaria articolazione che pure va tenuta in conto nei riferimenti economici e sociologici, appaiono ben provvisti sul terreno dell’evasione fiscale e del riciclaggio. Sicuramente non siamo più nei tempi di “Ceti Medi e Emilia Rossa” di togliattiana memoria (anche rispetto al movimento cooperativo). Così come individualismo assistenzialista e corporativismo trovano, nel campo del lavoro autonomo, il loro corrispondente nella caduta di ruolo delle grandi associazioni datoriali investite dalla sindrome di distruzione dei corpi intermedi che si è accompagnata a quella del populismo “antipolitico” da destra (berlusconismo “docet”) e da presunta sinistra. Torniamo per alla stretta attualità riflettendo sullo schema di “occupazione degli spazi” equivalante a quello di “occupazione del potere” che mosse in origine il MoVImento. Operazione di occupazione del potere riuscita, da parte del Movimento 5 stelle, sulla base di una capacità di spargere a piene mani quel qualunquismo che rimane anch’esso parte integrante del tessuto sociale e politico della nazione. Non approfondisco oltre: mi fermo qui per affermare che l’occupazione del centro come punto di possibile saldatura dell’alleanza PD – M5S potrebbe avvenire (a prescindere dalle indicazioni che saranno offerte dal sismografo elettorale) sulla base di un intreccio tra individualismo competitivo, corporativismo, qualunquismo “storico”. Beninteso il PD sfugge a ogni tipo di valutazione organica per via delle sue caratteristiche non solo interclassiste ma di mero “partito – taxi” del tutto autoreferenziale nelle presenze istituzionali e privo, fin già dallo scioglimento del PCI e dall’ingresso della sinistra democristiana, di una qualche definizione plausibile di confini politici. Il PD si direbbe un partito non solo “post – ideologico” ma “post – politico” che ha costruito la sua precaria identità nella strumentalizzazione del frazionamento del potere. Ciò nonostante con questo quadro è necessario convivere anche per via della necessità di fronteggiamento di una aggressiva espansione della destra estrema. Per noi che ci ostiniamo a non voler considerare la sinistra una pura categoria dello spirito si pongono comunque enormi problemi. Infatti nel frattempo sono rimasti politicamente abbandonati amplissimi livelli di potenziale rappresentanza: 1) primo fra tutti il lavoro dipendente appare abbandonato dalla rappresentanza politica. Lavoro dipendente, che pure si trova in difficoltà anche rispetto alla propria rappresentanza sociale. La rappresentanza sociale del lavoro dipendente, il sindacato, non riesce ad oltrepassare quell’assenza di capacità progettuale che lo ha caratterizzato al ribasso nel corso degli ultimi decenni, almeno dall’accettazione della manovra del ‘92 e della “concertazione”, con una risposta soltanto episodica al tentativo (riuscito) di disintermediazione attuata con l’abolizione dell’articolo 18. Il lavoro dipendente si trova in una dimensione di allargamento nelle condizioni di sfruttamento non ancora individuata sul piano di una definizione di progettualità strategica ma messa ben in luce,ad esempio,dalla questione dei migranti posti nella condizione di funzionare da mero “esercito di riserva”(situazione sulla quale si sta ragionando molto poco); 2) in secondo luogo non è possibile pensare a una rappresentanza politica separata per l’emergere delle contraddizioni un tempo definite post – materialiste per le quali si sviluppavano come prioritari i classici esempi dell’ambiente e del genere, ma l’approfondimento del discorso potrebbe portarci ad un ben più articolata e meno schematica individuazione dei cleavages della modernità; 3) Serve una organicità di progetto politico di risposta alla necessità di uscire dalla subalternità al pensiero unico sul terreno cognitivo (compreso l’approccio alle nuove tecnologie di comunicazione); 4) altra questione è rappresentata dalla fievolezza (termine usato per carità di patria) dell’approccio internazionalista, come dimostrato dalla pochezza di capacità d’intervento sui temi europei; 5) infine, come si diceva un tempo “ma non ultimo” il terreno costituzionale, della centralità parlamentare e delle altre assemblee elettive, del rifiuto della forma di governo presidenzialista, del valore dell’organizzazione politica. La strategia PD – M5S lascia liberi questi spazi non tanto e non solo di riflessione ma più propriamente politici. Spazi che vanno occupati da una proposta autonoma, unitaria, provvista di una fortissima dimensione progettuale e nello stesso tempo impegnata nella difesa costituzionale a partire dal “NO” nel referendum e proseguendo nel rifiuto del revisionismo e nell’affermazione del valore dell’antifascismo. Domani ricorre il 128° anniversario della fondazione, avvenuta a Genova, del Partito dei Lavoratori Italiani (poi diventato Partito Socialista e scissosi nel ‘21 a Livorno dal Partito Comunista). L’occasione potrebbe essere buona per avviare una riflessione di fondo su di un progetto di ricostruzione come stiamo reclamando da tempo attraverso l’attività del “Dialogo Gramsci – Matteotti”. Oso rivolgermi ai dirigenti di Sinistra Italiana, di Rifondazione Comunista, di Potere al Popolo e degli altri soggetti operanti a sinistra, al quotidiano “Il Manifesto”, ai tanti dirigenti politici e intellettuali privi da tempo di una definita collocazione. E’ necessaria una ricostruzione “politica”, non meramente movimentista e neppure rinserrata nella ricerca comunque della dimensione istituzionale (che pure rimane necessaria, a tutti i livelli). A qualcuno di questi potenziali interlocutori verso i quali chiedo scusa per la reiterata insistenza mi permetto di chiedere di estendere la conoscenza di questo appello: ho tirato giù questo testo che comprendo possa essere giudicato come estremamente schematico e me ne dispiace. La schematicità è stata però voluta proprio per ricevere forti critiche utili per avviare finalmente una discussione di merito sul tema della ricostruzione.

giovedì 13 agosto 2020

Sinistra, non basta guardare indietro: tempi nuovi richiedono idee nuove - Strisciarossa

Sinistra, non basta guardare indietro: tempi nuovi richiedono idee nuove - Strisciarossa

Franco Astengo: Referendum, democrazia

Referendum, Democrazia di Franco Astengo E’ proprio il caso di cercare di approfondire i temi della profonda crisi del sistema politico italiano proprio nel momento in cui la banalità del quotidiano sembra dare ancora fiato al qualunquismo di ritorno. Il referendum rappresenterà una prova ardua per la tenuta della democrazia italiana. Non possiamo limitarci a replicare alle labili argomentazioni dei sostenitori della riduzione del numero dei parlamentari. Va colta l’occasione per una discussione nel merito della crisi della democrazia liberale e del sistema politico italiano. La democrazia liberale appare messa in forte discussione prima di tutto dalla crescita, a livello internazionale, di situazioni nelle quali paiono prevalere sistemi assolutamente contrari ai suoi principi fondamentali. Approfondiamo allora alcuni dei termini della questione partendo da un’analisi dello stato delle cose in atto nel sistema politico italiano. Sono evidenti i punti di fallimento fatti registrare dall’intera classe politica negli ultimi 30 anni, dal momento cioè della liquefazione della “repubblica dei partiti” dovuta al combinato disposto fra trattato di Maastricht, Tangentopoli, caduta del muro di Berlino. Proviamo a redigere un elenco sommario: sono falliti i tentativi d’imposizione del modello di “democrazia dissociativa” (bipolarismo se non bipartitismo, sistema elettorale maggioritario, partito personale), sta mostrando la corda il sistema dell’Unione Europea; si è rivelato assolutamente negativo il tentativo di risolvere attraverso il regionalismo il nodo della cessione di sovranità dello “Stato – Nazione”. Proprio Il nodo dell’unità nazionale rimane del resto assai complesso nella fase di accelerazione del processo di cessione di sovranità da parte dello “Stato – Nazione”. Nel corso del tempo in occasione della modifica del titolo V della Costituzione si è verificato un cedimento alle sirene della “devolution” (2001, quando si affermava che la Lega era una “costola della sinistra”) e adesso non si è ancora presa coscienza della mancata democratizzazione di una Unione Europea priva di Costituzione e di Parlamento legislativo e divisa sulla base di schemi di diversa appartenenza, un’evidente questione di rapporto nord – su, addirittura con la presenza all’interno di regimi para-illiberali. Attraverso la modifica del titolo V della Costituzione si sono evidenziati punti estrema negatività sia dal punto di vista della promozione di una voracissima e del tutto impreparata classe politica e dell’estensione senza limiti del deficit pubblico. In più, attraverso l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Provincia e di Regione (legge 81/93 e legge costituzionale 1/2000) si è verificato il fenomeno di una esaltazione incongrua dal basso della personalizzazione della politica. Una personalizzazione della politica mortificante il ruolo dei consessi elettivi periferici che hanno così perduto ruolo e qualità d’intervento, causando un pauroso abbassamento nell’insieme dei rapporti sociali delle istituzioni. Per economia del discorso, in questa occasione, rimangono fuori dall’analisi i guasti gravissimi provocati dal sistema dei “media”, in particolare dal settore televisivo, utilizzato da tutte le leve del potere in forma del tutto strumentale. Inoltre la diffusione di massa delle nuove tecnologie informatiche con l’avvento dei social network non è servita a produrre nuova pedagogia bensì ha contribuito soltanto a costruire un gigantesco veicolo di mistificazione del messaggio . In questo caso la responsabilità diretta è di questa classe politica sorta proprio a seguito della dissoluzione del sistema dei partiti . Sistema dei partiti del quale, al di fuori dell’evidenziarsi di contraddizioni “storiche”, deve essere rimarcato il possesso di due elementi fondativi trasversalmente espressi a suo tempo, nel periodo della ricostruzione del dopoguerra : quello della funzione pedagogica di massa e quello della capacità di selezione dei quadri. L’attuale classe politica ,in buona parte, ha cercato soltanto di coartare e mistificare la propria comunicazione come sta ben dimostrando la “fiera delle vanità” messa in mostra dal presidente del consiglio nelle sue solitarie dirette facebook nel corso delle quali si è evidenziato un vero e proprio “spreco” nell’utilizzo del termine “storico”. Nell’espressione di cultura politica del paese sembrano inoltre venuti a mancare i termini concreti di un’analisi seria del sistema democratico. Diventa allora il caso di riprendere la riflessione sul complesso della qualità della nostra democrazia. Proviamo così a ripassare alcuni passaggi principiando dall’analisi dei diversi tipi di democrazia, individuandone i due modelli principali: 1) modello maggioritario dissociativo (o modello Westminster): Il governo detiene una solida maggioranza; sistema bipartitico; governo centralizzato e unitario; costituzione flessibile; bicameralismo asimmetrico. 2) modello consensuale: governo di coalizione, equilibrio tra potere legislativo ed esecutivo, sistema multi partitico, assetto istituzionale decentrato, Costituzione scritta, bicameralismo simmetrico. Ricordati questi punti, è il caso allora di analizzare nel dettaglio le caratteristiche necessarie al funzionamento di un sistema politico in generale e di quelle peculiari al sistema politico italiano. Caratteristiche peculiari del sistema politico italiano confermatesi evidentemente irriducibili, anche verso un presunto itinerario di “occidentalizzazione” così come alcuni politologi lo avevano individuato negli anni’90 (con relativa stagione referendaria) attraverso l’adozione della formula maggioritaria. Adozione della formula maggioritaria (ci si assestò poi su di un “misto” al 75%) accompagnata dal calo della partecipazione elettorale, dovuto alla frantumazione del sistema dei partiti di massa ma considerato beneficamente fisiologico. Il sistema alla fine si è trovato con una partecipazione ridotta anche nell’espressione di voto e con milioni e milioni di elettrici ed elettori privi di rappresentanza politica. Ed è questo della riduzione complessiva della partecipazione politica che, volenti o nolenti, deve essere considerato il vero punto di crisi sistemica. Una crisi sistematica affermatasi in una fase di vero e proprio “ sfrangiamento sociale”. Un punto di crisi sistemica in cui si sono aperti i varchi per quelle pericolose forme politiche qualunquistiche ben presenti e rappresentate che avevano al centro del loro progetto proprio quel tipo di riduzione della democrazia rappresentativa che sarà sottoposto alla prova referendaria: 1) E’ mancata nel corso di questi anni un progetto di organizzazione e di rappresentanza delle contraddizioni sociali. L’idea di ridurre tutto al melting – pot tra un centrodestra e un centrosinistra omologati e privi di una identità che non fosse quella del partito personale (sulla base del quale “chiamare alle armi” il proprio elettorato ogni volta su elezioni intese come referendum riguardante una persona) è stato un fatto micidiale, che qualcuno vorrebbe addirittura riproporre all’insegna del disgraziato slogan “un minuto dopo la chiusura delle urne si saprà che governa”; 2) L’ assenza di credibili soggetti di riferimento ha determinato una incapacità di realizzare livelli di governo, al centro come in periferia, formati attraverso un articolato sistema di alleanze politico – sociali. In periferia sono così sorte confuse aggregazioni all’insegna di un indistinto “civismo” fornendo così spazio all’avvento di soggetti espressione di un adattamento verso il basso del livello culturale e di preparazione specifica rispetto all’iniziativa politico - amministrativa. 3) Al centro del sistema, inoltre, è mancata completamente la possibilità di scelta da parte delle elettrici e degli elettori. Le liste bloccate, sia pure più volte stigmatizzate dalla Corte Costituzionale ma ostinatamente perseguite da soggetti politici ormai formati soltanto da “cordate” e “gigli magici”, hanno rappresentato il vero punto di saldatura su cui si è realizzato un vero e proprio “fallimento sistemico”. Si è così creato un vuoto che potrebbe essere riempito attraverso la soddisfazione di pulsioni autoritarie sempre presenti nella cultura di un paese che ha storicamente trovato difficoltà a ritrovare un proprio baricentro di riconoscibilità. Appare allora indispensabile riprendere il discorso sulla “democrazia consensuale” costruita in una forma centripeta sulla base di una chiara distinzione e confronto tra le forze politiche. Un recupero di identità da parte delle diverse forze appare come il fattore fondamentale utile per fronteggiare il quadro di difficoltà fin qui sommariamente descritto. Non fu per caso come l’Assemblea Costituente avesse indicato la centralità dei consessi elettivi all’interno della complicata costruzione della democrazia in Italia. La centralità dei consessi elettivi che, come nel caso dei due rami del Parlamento, deve significare ancora soprattutto centralità della loro capacità di incarnare la “significanza politica” (un tema del tutto dimenticato in funzione della decretazione e addirittura dei famigerati dpcm). Sorge a questo punto il tema della formula elettorale. E’ evidente che, l’unica via percorribile in materia di formula elettorale è quella proporzionale. Una formula elettorale proporzionale da intendersi come strumento d’appoggio per recuperare un grado sufficiente di credibilità e di visione consensuale in un sistema democratico fondato su di una seria articolazione delle soggettività politiche. Soggettività politiche richiamate, come si diceva all’inizio, a rappresentare le contraddizioni sociali e non le ambizioni particolari di singoli o di gruppi di cordate formatesi attraverso il localismo e il familismo. Le attuali forze politiche agiscono, infatti, in prevalenza in una pericolosa commistione di ambizioni personali, tentazioni plebiscitarie, imposizioni verticistiche destinate inevitabilmente a cozzare contro una società ormai organizzata orizzontalmente. L’organizzazione sociale ormai si realizza attraverso da una parte l’espressione di lobbie e neo – corporazioni e dall’altra da ampie frange indistinte sul piano della coscienza politica e sociale eternamente in attesa di accedere a uno “scambio politico” di tipo assistenzialista. Per stare dentro a questo tipo di scontro che ha ormai assunto aspetti quasi completamente “impolitici” la sola prospettiva adatta per gli imprenditori del consenso sembra essere diventata quella della teatralità della scena. Si è valorizzato l’agire dell’immediatezza comunicativa in luogo della determinazione strategica . L’esprimersi effimero di una comunicazione esclusivamente propagandistica rappresenta così il solo vero, possibile, punto di contatto con la dimensione “orizzontale” della società, nell’omissione totale di un rapporto tra cultura e informazione. Anche la più stridente contraddizione sociale viene demandata alla “sovrastruttura” e il pubblico considerato oggetto soltanto di un processo di una gigantesca “rivoluzione passiva”. Una “rivoluzione passiva” che avanza nel quadro dell’esercizio di una presunta “democrazia del pubblico” . Una “democrazia del pubblico” (da qualcuno mistificata come democrazia diretta) che viene esercitata in gran parte in agorà virtuali nelle quali si sta proprio imponendo una “egemonia della sovrastruttura” definendo di conseguenza il prevalere dell’estetica e l’estinzione della legge morale. E’ stato anche detto:un’estetica utilizzata da una politica il cui obiettivo è soltanto quello dell’ anestetizzazione del “dolore sociale”(vedi reddito di cittadinanza, bonus, incentivi). Lenire e sopire il “dolore sociale” è così diventato l’imperativo categorico dell’agire politico così da rendere le masse docili e lontane. Il dolore sociale avrebbe invece necessità di essere rielaborato partendo da quella che storicamente abbiamo definito come “contraddizione principale”. La “contraddizione principale” va di nuovo individuata e portata alla ribalta del conflitto intrecciandola con altri due elementi:quello del limite che incontra il dominio umano sulla natura e quello del nuovo tipo di esercizio dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, comprensivo anche dell’ulteriore livello dello sfruttamento di genere. In questa fase lo sfruttamento è comunque esercitato socialmente in una dimensione ben più vasta di quello agita a suo tempo poggiando sul “lavoro vivo”. La domanda finale è questa: quello dell’egemonia della sovrastruttura appare ormai il solo orizzonte possibile? Quindi siamo alla fine della capacità di disporre di una “legge morale” che ci consente di distinguere i diversi piani dello sfruttamento in modo da poter proporre la riunificazione di una proposta di alternativa? Ormai la forma esclusiva dell’azione politica si colloca all’interno di una logica dominata dalla ricerca di un definitivo “potere sull’estetica”? Sarebbe necessario essere capaci di esprimere con semplicità un secco “NO” ma la replica appare invece quanto mai difficile e complicata. Per esempio: sembra incontrovertibile il dominio della “tecnica della casualità” intesa come esclusivo strumento di accesso al nodo vitale dell’informazione. Invece, avremmo bisogno di recuperare antiche categorie e inventarne di nuove. Nel frattempo risulterebbe fortemente negativo abdicare da una difesa di ruolo delle istituzioni rappresentative a partire dalla loro capacità di espressione politica e territoriale. Il prossimo 20 settembre non sarà sufficiente l’espressione di un “NO” nel referendum. Bisognerà accompagnare la proposta del “NO” con quella di una riaggregazione politica capace di porre un’alternativa sul piano costituzionale recuperando insieme l’idea di una espressione di legge morale attraverso i cui canoni tornare a essere capaci di distinguere. Vale la pena in conclusione di ricordare Gramsci e lo “spirito di scissione”: Cosa si può contrapporre, da parte di una classe innovatrice al complesso formidabile di trincee e fortificazioni della classe dominante? Lo spirito di scissione, cioè il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica.

giovedì 6 agosto 2020

Il programma economico della Costituzione e il «nuovo modello di sviluppo» alla luce del pensiero di Federico Caffè - micromega-online - micromega

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Why the left must condemn China’s brutal authoritarianism

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Franco Astengo: Ristrutturazione

RISTRUTTURAZIONE di Franco Astengo In questa fase la situazione economico – produttiva in atto in Italia può apparire assimilabile a quella di un periodo d’immediato dopoguerra. Il monitoraggio del dati, infatti, ci indica come l’indice manifatturiero risulti migliore del previsto, il settore delle vendite auto ha arrestato la caduta e varrebbe la pena distinguere tra diversi piani: l’andamento della produzione, l’evoluzione della domanda, e la riorganizzazione dell’offerta. La produzione industriale ha viaggiato, a luglio, sul più 7,5 rispetto a giugno (che a sua volta presentava un più 2,3%) mentre gli ordini han fatto segnare più 6,6 a luglio e più 5,4 a giugno, mese su mese. Esattamente come accadde settant’anni fa, tra il 1945 e il 1960: tempi più lunghi degli attuali perché la guerra aveva portato a distruzioni materiali che l’emergenza sanitaria non ha contemplato ed allora era necessario un radicale mutamento nel modello di sviluppo con la promozione della crescita dell’industria sull’agricoltura. Crescita favorita proprio dall’edilizia e dalla costruzione delle infrastrutture: piano INA – Casa e Autostrada del Sole come emblema (761,3 Km, mica i millesessantasette metri del Ponte sul Polcevera celebrati molto impropriamente come il segno della rinascita). Un radicale cambiamento, quello del dopoguerra, fatto pagare ai contadini e alla classe operaia: un cambiamento dal quale uscì l’Italia della fragilità del consumismo individuale. In un interessante articolo apparso sul “Corriere”, Dario Di Vico, dopo aver ironizzato sul “Ministero dei Bonus” , ha presentato due punti ai quali prestare estrema attenzione: è già in atto una pesante ristrutturazione del ciclo nei settori strategici; si rimarca ancora di più il divario esistente sul piano geografico e tra i diversi settori. Un divario che rischia di crescere anche per via delle ataviche carenze infrastrutturali e per il peso eccessivo di settori eccessivamente “fragili” sull’insieme dell’economia italiana (il bonus per i ristoranti e i negozi di scarpe indicativi di questa eccessiva debolezza legata – appunto – al consumo individuale). Il risultato di questo insieme di questioni, nell’assenza di una programmazione e di un intervento pubblico, sarà quello di un rafforzamento di determinate concentrazioni industriali con possibili perdite su terreni strategici (la siderurgia), una stretta sul piano occupazionale, un allargamento delle disuguaglianze tra Nord e Sud, un ulteriore impoverimento in altri comparti, dalla logistica al turismo. Il tutto in un contesto di deficit tecnologico, un ritardo nell’informatizzazione, un proseguire della “fuga dei cervelli” un’assenza di visione strategica nella produzione energetica e nella riconversione del territorio. In questo quadro la pur sacrosanta richiesta di allontanare ancora nel tempo lo spettro dei licenziamenti (come reclama Landini in alcune interviste) rischia di rimanere una classica “battaglia di retroguardia”. I nodi sono due: una ripresa di forza e capacità propositiva da parte del Sindacato in una visione nella quale la dimensione progettuale deve accompagnarsi con la consapevolezza della crescita e dell’estensione dei meccanismi di sfruttamento; una capacità di presenza politica e istituzionale della sinistra che non risulti subalterna alla concezione della “governabilità” del PD ormai acconciato alla “democrazia recitativa” del presidente del Consiglio e al pressapochismo assistenzialista e neo – corporativo del M5S, movimento rivelatosi molto permeabile alle lobbie anche perché elettoralmente gonfiato in maniera indebita da un voto dettato in buona parte da “logiche di scambio”. Sinistra (da costruire) e Sindacato non possono rimanere ingabbiati in questa dimensione strategicamente inesistente , tutta rivolta all’autoconservazione del politico, schiacciata dall’emergenza dell’immediato. Serve un colpo d’ala nella progettualità e nell’intervento del pubblico sui nodi strategici, serve affermare la forza del movimento dei lavoratori da proiettare in avanti, non basta evocare un indefinito “green” e un imperscrutabile “digitale” in un Paese al centro della contesa europea e che accusa da tempo limiti enormi dal punto di vista della strategia industriale. Quando (e se ) arriveranno i miliardi europei sarà indispensabile essersi già mossi in una dimensione alternativa: nel frattempo sarà necessario non farci schiacciare dall’emergenza che molti stanno creando ad arte da un lato per continuare il loro gioco di un’antipolitica fondata sulla mera elargizione, e dall’alto per portare avanti quella che si preannuncia come un dura ristrutturazione industriale di cui far pagare interamente il prezzo ai lavoratori, con disoccupazione, precariato, sfruttamento. Disoccupazione e precariato che piacciono tanto ai produttori di “bonus” e di allungamento dei sussidi.