Da La repubblica
La guerra ai dati economici
Data di pubblicazione: 27.06.2009
Autore: Saraceno, Chiara
Il discredito delle fonti dei dati fastidiosi per il potere è lo strumento per la mistificazione della realtà, quindi è un passo essenziale verso il dominio sull’opinione pubblica. La Repubblica, 27 giugno 2009
Il ministro Tremonti, cui ieri si è aggiunto anche il presidente Berlusconi con un attacco durissimo, sembra deciso a delegittimare sistematicamente agli occhi degli italiani chiunque fornisca dati sulla economia che non corrispondono alla sua lettura della realtà, o meglio a quella che desidera comunicare ai cittadini. Ocse, Banca d´Italia, ora anche l´Istat vengono continuamente da lui smentiti come fornitori di dati sbagliati se non fantasiosi. Il dato che non piace viene negato non sulla base di fonti più attendibili, ma delegittimando puramente e semplicemente la fonte, l´istituzione che produce i dati scomodi. Anche (verrebbe da dire soprattutto) se è una fonte ufficiale, tenuta a protocolli di raccolta e produzione dei dati verificabili e certificati, anche a livello internazionale. Così la stima di Draghi di una caduta del 5% del Pil viene accantonata come non credibile solo perché "qualche mese fa", ovvero all´inizio della crisi e quando questa non si era dispiegata in tutte le sue conseguenze, soprattutto sul piano occupazionale, il governatore aveva fatto una stima meno pessimistica. Non conta che, appunto, contrariamente alle rassicurazioni dello stesso Tremonti, le cose siano andate di male in peggio, che l´occupazione sia crollata e così i consumi delle famiglie, e che molti di coloro che hanno perso il lavoro non abbiano nessun tipo di protezione (fatto accertato e accertabile ampiamente, nonostante le smentite di Berlusconi).
Ma la bordata più grossa Tremonti l´ha riservata all´Istat, e proprio sui dati sull´occupazione. Evidentemente gli sono piaciuti così poco, perché sono così in controtendenza con le sue rassicurazioni, che per toglierli dalla attenzione si è spinto a raccontare ad una platea della Confcommercio che le stime dell´Istat sono basate su interviste telefoniche fatte ad un campione di mille persone e con un´unica domanda ("Lei è disoccupato?"). Sembrava lo sketch di un comico. Peccato che un ministro della Repubblica, tanto più se ministro del Tesoro, dovrebbe pensarci due volte non solo a delegittimare le istituzioni che forniscono i dati ufficiali, ma a diffondere informazioni del tutto false. Come è ampiamente spiegato sul sito dell´Istat ed è stato ribadito in una nota dell´Istituto in risposta alla battuta di Tremonti, l´indagine sulle Forze di Lavoro effettuata dall´Istat è basata su un campione di 680.000 individui (140.000 circa ogni trimestre), con un complesso questionario concordato a livello dell´Unione Europea e con l´Ufficio internazionale del lavoro (Ilo), con interviste sia faccia a faccia che telefoniche. Se c´è un problema nelle definizioni di occupato e disoccupato utilizzate, è che la prima è troppo larga: basta aver svolto almeno un´ora di lavoro in una attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura. La seconda è invece troppo stretta. E´ definito disoccupato chi è senza lavoro, lo sta cercando attivamente ed è disponibile a iniziare a lavorare entro due settimane. Ciò esclude una larga fetta di persone che cercano sì un lavoro, ma, ad esempio, non potrebbero iniziare entro due settimane perché prima devono organizzare la cura dei figli.
Viene il sospetto che Tremonti, come il suo presidente del Consiglio, voglia presentarsi ai cittadini italiani come l´unica fonte attendibile, l´unico che può dirci dove stiamo andando e come stiamo. Per questo ha anche chiesto una moratoria, una sorta di silenzio stampa. Le sue uscite pongono anche un´ombra pesante sui criteri con cui sarà scelto il prossimo presidente dell´Istat.
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