mercoledì 25 febbraio 2009

Ferruccio Capelli: di ritorno dal Social Forum

Dal sito della casa della cultura

Milano, 15 febbraio 2009

I media italiani quest’anno hanno oscurato il Social Forum: gli articoli e i commenti dedicati a questo evento si contano quasi sulle dita di una mano. L’attenzione dei nostri commentatori si è concentrata solo su Davos: davvero curioso nel momento in cui la “superélite” del mondo può recitare solo il “mea culpa” per tante scelte e previsioni sbagliate.
Il problema è che qui, nel cuore della vecchia Europa, abbondano inquietudini e preoccupazioni, ma si è perso il gusto di guardare a cose nuove, di cercare di capire se nel mondo circolano altre idee e altre proposte. A me sembra invece buona cosa continuare a tenere lo sguardo aperto su tutto il mondo per afferrare, dovunque si manifestino, idee e processi politici e sociali nuovi. Il Social Forum, dopo otto anni, continua ad essere uno stimolo potente a guardare la realtà con occhi diversi e aperti: per questa ragione ho ritenuto opportuno anche questa volta non perdere l’occasione di parteciparvi.
E’ la terza volta che stacco il biglietto aereo per partecipare a un Worl Social Forum: non me ne sono mai pentito. Sono stato a Porto Alegre, a Nairobi, ora a Belem: tre realtà diverse, ma sempre pulsanti di vita. Questa volta c’era qualche preoccupazione fra gli organizzatori: incontri che si svolgono sistematicamente dal 2001 corrono il rischio di inaridirsi o ritualizzarsi. Invece l’evento è stato anche quest’anno denso di stimoli culturali, sociali e politici.
Iniziamo con una prima constatazione. Nel tradizionale confronto con Davos, la località sulle montagne svizzere dove, nello stesso periodo di tempo, si incontra la “superélite” del mondo, Belem ha potuto mettere in tavola un asso pigliatutto. Le critiche alla globalizzazione deragliata, tradizionale motivo conduttore dei Social Forum, si sono dimostrate drammaticamente fondate. La “logica di Davos”, la fiducia illimitata nella liberalizzazione e nell’autoregolamentazione dei mercati finanziari, ha portato il mondo alla più grave crisi finanziaria e economica del secolo. I movimenti sociali e le organizzazioni dei lavoratori che avevano dato vita al Social Forum avevano visto giusto: la liberalizzazione assoluta della finanza mondiale, senza regola alcuna, era destinata a provocare sconquassi di rara intensità. Oggi i risultati sono sotto gli occhi di tutti: crollo dei mercati finanziari e fallimenti a catena di grandi istituti finanziari.
La baldanza e l’arroganza della “superélite” sono stati ridimensionati: i banchieri del mondo intero si prodigano oggi in imbarazzati “I’m sorry”. Il problema ormai si è spostato: il focus della discussione oggi è come fronteggiare una crisi di cui tutti riconoscono la virulenza e la gravità. In tanti sperano che, passata la nottata, tutto torni come prima: Belem ha invece abbozzato un ragionamento diverso. La crisi, si è detto al Social Forum può essere l’occasione per mettere in campo idee nuove e per il protagonismo di altre forze sociali. Ovvero: la crisi può essere l’occasione per cambiare lo sviluppo del mondo nel segno della giustizia sociale, dell’espansione dei diritti e della compatibilità ambientale. Con ogni probabilità sarà proprio questa la vera sfida degli anni futuri.
Seconda questione: il Forum ha fatto toccare con mano ancora una volta la vitalità e la speranza che attraversa tanti paesi del Sud del mondo. Nonostante la crisi economica sindacati e movimenti di questa parte del mondo trasmettono fiducia e speranza: essi sono convinti di partecipare a una stagione di crescita, di redistribuzione del reddito e delle risorse, di ampliamento delle libertà e delle opportunità individuali e sociali. L’America Latina in particolare appare oggi l’epicentro o quanto meno la parte più sicura e dinamica delle forze progressiste del mondo intero. I risultati elettorali di questo decennio sono stati semplicemente sbalorditivi: la sinistra ha prevalso in libere elezioni in quasi tutta l’America Latina, eccezione fatta per la sola Colombia. L’onda progressista ha coinvolto perfino il Paraguai, un paese con alle spalle una lunghissima dominanza della destra più retriva, dove nelle ultime elezioni ha prevalso l’ex vescovo Lugo.
Il Forum ha fatto toccare con mano questa realtà sorprendentemente dinamica e in evoluzione: l’evento centrale è stato senza dubbio l’incontro dei cinque Presidenti di Brasile, Venezuela, Bolivia, Equador e Paraguai. Anche qui vi è di che riflettere seriamente: il Forum poggia sulla rete dei movimenti, ma non disdegna l’incontro e l’interazione con i governi progressisti. Viceversa questi governi esibiscono la ricerca di rapporti fecondi con i movimenti sociali progressisti. Morales, Correa e Lugo, Presidenti rispettivamente di Bolivia, Equador e Paraguai, hanno addirittura voluto sottolineare che lì stanno le radici del blocco sociale e elettorale che ha permesso la loro vittoria elettorale.
Ovviamente questa considerazione si presta anche a una lettura in controluce: alla baldanza dei movimenti progressisti del Sud del mondo corrisponde la difficoltà e il silenzio delle forze progressiste della vecchia Europa. L’Europa ha difficoltà a inserirsi nella nuova lunghezza d’onda delle froze progresiste. Il continente deve fare i conti con una caduta di ruolo economico e politico internazionale: la risposta che oggi si intravede porta il segno di inquietanti populismi rancorosi. L’Europa e le sue forze progressiste, è il messaggio indiretto del Forum, hanno dinnanzi a sè una strada lunga e difficile per recuperare voce e funzione.
Terzo nodo propostoci dal Forum: un rapporto alla pari con gli Stati Uniti. A dicembre i democratici hanno sconfitto i neocon, hanno punito elettoralmente W.Bush e hanno imposto al paese una nuova leaderschip. Le forze convenute al Forum hanno apprezzato questa grande svolta. C’è però una diversità di tono e di misura rispetto a quanto si è sentito in Italia e in Europa nelle scorse settimane. Finalmente, si è detto, anche l’America dà il segno di volere tornare a partecipare a un coro progressista e Barack Obama sarà un nuovo assai importante interlocutore: nessuna carta in bianco però e nessun ruolo di guida riconosciuto a priori. Obama potrà e dovrà incontrarsi e interagire con forze che si sentono orgogliose del cammino e della direzione imboccata: dovrà trattarsi di un incontro alla pari. Il processo storico di ridimensionamento dell’egemonia del Nord del mondo e di costruzione di nuovi equilibri non si arresta alle soglie della nuova Casa Bianca.
E infine: Belem è la capitale di uno stato dell’Amazzonia. Il Forum ha dedicato grande spazio all’immenso bacino del più grande fiume del mondo. Questa scelta ha permesso di focalizzare in un colpo solo due grandi questioni: il futuro ambientale del pianeta e il destino delle popolazioni indigene. Le foreste dell’Amazzonia sono il polmone del mondo: le politiche per la loro salvaguardia sono essenziali per garantire un futuro al momdo intero. Il Forum ha fatto emergere la ricchezza e la vastità del movimento per la difesa del più grande patrimonio di biodiversità che l’umanità ha a sua disposizione. Ma, si è aggiunto, ed è una precisazione non da poco, le foreste possono essere difese e salvaguardate solo se questa scelta va di pari passo con la valorizzazione di quelle comunità indigene che abitano il suolo amazzonico da millenni.
Da qui la grande novità di Belem: migliaia di rappresentanti delle comunità indigene convenuti e riuniti al Forum. Durante l’incontro con i cinque Presidenti la prima parte dell’immensa sala era tutta occupata dagli indigeni nei loro costumi e nei loro colori tradizionali. Mai nel mondo capi di stato moderni avevano parlato davanti a una platea di indigeni così rappresentativa e mai nella storia autorevoli capi di stato si erano presentati anche come interpreti dei bisogni e dei sogni delle popolazioni indigene! Si tratta di una vera e propria svolta storica, a distanza di cinquecento anni da quello sbarco di Colombo che dette avvio ai lunghi secoli di espansione e di dominio dell’Occidente.
Le popolazioni indigene oggi sembrano avere trovato la forza per rivendicare ruoli e diritti. Belem ha dato al mondo intero un chiaro segnale in questa direzione. E’ il naturale punto di arrivo di un sommovimento tanto silenzioso quanto profondo: gli eredi delle antiche popolazioni indie in questi anni erano stati i protagonisti dei movimenti che hanno scosso la geografia politica di paesi quali la Bolivia, il Perù, perfino il Messico. Si tratta di una svolta nel segno del risarcimento storico, del rispetto e della valorizzazione delle diversità culturali, dell’espansione dei diritti umani. Sarebbe bastata questa vicenda, da sola, per caricare di valore e di alto significato anche l’incontro di Belem del World Social Forum.

Ferruccio Capelli

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