giovedì 31 dicembre 2009

L'espresso | Piovono rane » Blog Archive » Com’è intelligente D’Alema di Alessandro Gilioli

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L'irripetibile congiunzione astrale delle riforme - LASTAMPA.it

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Lettera aperta al Pd | Sinistra Democratica

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La classe operaia va sull'etere | Sinistra Democratica

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DANIELE MENOZZI: SI BEATIFICA PIO XII PER SANTIFICARE IL PAPATO | Blogstoria

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2010 – Europa « Ispi News

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2010 – Crisi « Ispi News

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Aprileonline.info: C'era una volta “il sistema Italia”

Aprileonline.info: C'era una volta “il sistema Italia”

martedì 29 dicembre 2009

ilsocialista.com

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Il futuro frugale che ci aspetta - LASTAMPA.it

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Francesco Maria mariotti: Iran

L'Occidente si muova il meno possibile: le parole che Gary Sick, negoziatore per gli Stati Uniti con Teheran durante la crisi degli ostaggi del 1979, utilizzò con Repubblica (giugno 2009) per dire che meno faceva l'Occidente sulla crisi iraniana meglio era, temo valgano ancora oggi, anche per ragioni distinte da quelle che Sick esprimeva.


La situazione è delicatissima e l'Occidente (sarebbe da delimitare meglio cosa intendiamo con questa parola: in quest'ottica la collocazione dell'attuale governo turco è per esempio discutibile) non ha "tempo" per "ricalibrare" le sue politiche su un regime diverso da quello attuale.

Di fatto, lo si dica o meno, l'amministrazione americana e le diplomazie europee possono (e devono) alzare la voce per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, ma al tempo stesso probabilmente sperano e si muovono affinché la situazione non esploda e non deragli.

Di fronte al riemergere delle azioni qaediste e alle nuove tensioni che vedono protagonista la Russia (http://www.corriere.it/esteri/09_dicembre_29/putin-russia-armi_3391b94e-f44a-11de-a1b2-00144f02aabe.shtml), anche in termini per noi quasi vitali (vd. ripetute tensioni sul gas che passa attraverso l'Ucraina), è essenziale non perdere un fattore di "stabilità" -per quanto "avversa" - come Teheran.

Detta più semplicisticamente: meglio un nemico certo che una situazione completamente incerta o un amico dubbio (chi è realmente Moussavi? e chi sono i suoi uomini dal punto di vista politico?); anche perché con il nemico certo sei eventualmente autorizzato ad assumere atteggiamenti e risposte che in una situazione più incerta sarebbe più difficile approvare (leggi: bombardamenti mirati alle installazioni nucleari di Teheran).

Vuol dire che dobbiamo stare a guardare senza far nulla? No, la ricchezza delle società occidentali - forse la principale rispetto ad altri regimi e società - è la distinzione fra la struttura dello Stato e la mobilità della società civile; e anche nella logica di un funzionamento a comparti separati (come di fatto è oggi lo Stato moderno) si possono avere diverse azioni contemporanemente: oggi e in futuro, al di là delle politiche ufficiali dei governi, altre strutture degli stati e delle organizzazioni internazionali possono mantenere contatti con l'opposizione iraniana; le associazioni e i partiti politici, al di là del loro schierarsi ufficiale, possono coltivare rapporti, inviare aiuti per quel che possibile, mantenere viva la speranza di un futuro diverso per l'Iran, tentando anche di capire meglio se c'è una effettiva alternativa all'attuale regime o se si rischia di coltivare un sogno senza prospettive, o peggio aiutare altre fazioni liberticide (anche nel 1979 gran parte dell'Occidente tifò per la rivoluzione...)

Il percorso per un Iran veramente libero è molto lungo, e le scorciatoie non sono consentite.

Francesco Maria Mariotti
http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it

lunedì 28 dicembre 2009

Renzo Penna: Un anno con il lavoro sui tetti

di Renzo Penna

Quelli della Innse
Hanno iniziato in estate quelli della Innse di Milano a salire sul carro ponte, sotto le lamiere roventi del capannone, per difendere fabbrica e lavoro. Hanno proseguito in molti in tutto il Paese con proteste nuove in difesa dell’occupazione. Cercando, con il gesto clamoroso, di richiamare l’attenzione della politica e dell’informazione sulla loro drammatica condizione. Dai precari della scuola, dagli impiegati dell’Agile ex Eutelia, quella che un tempo era stata l’Olivetti, agli operai della Merloni di Fabriano, in centinaia di realtà lungo lo stivale a segnare un anno orribile per i lavoratori. Secondo la Cgil 570 mila i posti di lavoro bruciati nei ventiquattro mesi; di questi 300 mila erano precari: una media di 50 mila posti in meno al mese. E centinaia di migliaia i lavoratori in cassa integrazione, con un salario di 700-800 euro al mese, quelli che nel governo qualcuno considera dei “privilegiati”. L’anno sta finendo al freddo, nella delusione degli operai Fiat di Termine Imerese, dopo la manifestazione in piazza Montecitorio a Roma, per il destino senza futuro che Marchionne ha ufficializzato per la loro fabbrica. E ancora sui tetti per i ricercatori dell’Ispra della capitale, nella ostentata indifferenza del Ministro all’Ambiente, o, in compagnia della neve, per i quattro operai della Yamaca di Lesmo che, alla vigilia di Natale, sono potuti scendere dopo aver conquistato, senza l’aiuto di Valentino Rossi, il diritto alla cassa integrazione per tutti i dipendenti a rischio di licenziamento. Queste, insieme a mille altre, le risposte dei lavoratori alla crisi, i quali, se non bastasse, devono fare i conti anche con un sindacato diviso. A novembre in piazza del Popolo a Roma l’ultima manifestazione dell’organizzazione di Guglielmo Epifani per chiedere all’esecutivo misure più efficaci contro lo stato dell’economia, per l’occupazione e la riduzione del peso fiscale sul lavoro dipendente e le pensioni. Ma il Governo, che per lungo tempo ha cercato addirittura di negare l’esistenza della recessione e con le risorse delle Regioni si è occupato solo di finanziare i tradizionali ammortizzatori sociali, oggi invoca il ritorno ai consumi e alla crescita, come se nulla fosse successo. Mentre l’economia reale stenta a riprendersi, la disoccupazione si prevede aumenterà ancora nel corso del 2010 e saranno necessari molti anni per tornare ai livelli che hanno preceduto la crisi. Come è già accaduto in passato.

La centralità del lavoro
Ma cosa dice questa situazione, che ha riproposto come centrale il tema del lavoro e della disoccupazione, alle forze della sinistra. Quali riflessioni reclama l’incertezza presente del e nel lavoro che è diventata la costante condizione di vita per milioni di giovani, di donne e di “normali” lavoratori. Mentre la precarizzazione è esplosa ci si può ancora accontentare solo di ripetere, per dirla come Piero Fassino: che un conto è la flessibilità del lavoro che va garantita mentre la precarietà deve essere combattuta? O non è il caso di alzare lo sguardo e prendere atto che da anni è in atto un attacco preordinato nei confronti dei diritti e delle tutele del lavoro, frutto delle conquiste sindacali e legislative degli anni ’60 e ’70. E riconoscere che questa offensiva, sostenuta dalle nuove politiche conservatrici e rivolta contro il lavoro e i sistemi di welfare, si è insinuata, ha trovato spazio e giustificazione, se non esplicito sostegno, anche nella cultura politica della sinistra.
Come sostiene Antonio Lettieri - un sindacalista esperto ed uno studioso dei temi legati al lavoro - la sinistra ha subito l’idea, sbagliata, per cui la globalizzazione e la rivoluzione informatica imponevano la deregolazione dei mercati, lo schiacciamento dei salari, la compressione dello Stato sociale. E se i cambiamenti dei modelli di produzione richiedevano certo forme di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, per impedire che la flessibilità si trasformasse in precarietà, erano necessarie nuove forme di regolamentazione, controlli rigorosi e un giusto equilibrio tra le nuove esigenze della produzione e i bisogni individuali e collettivi delle persone. Ma così non è stato, la flessibilità invocata ha preteso di saltare il confronto, il controllo e la contrattazione del sindacato, ha imposto lo stravolgimento del mercato del lavoro attraverso una quantità inusitata di forme contrattuali precarie, con l’unico scopo di rendere incerta e ricattabile la condizione lavorativa. Rendendo, nei fatti, merce il lavoro. Lo stato di solitudine di troppi lavoratori, la divisione del sindacato e la debolezza dell’opposizione possono però prestare il fianco a nuovi propositi contro riformatori. L’attacco portato dal secondo governo Berlusconi all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, per avere garantita la possibilità di licenziare anche “senza giusta causa e giustificato motivo”, respinto nel 2002 dalla grande mobilitazione della Cgil, si ripresenta oggi con il sostegno della Banca Centrale europea. Dello stesso segno è la proposta della “flexsecurity” avanzata dalla Commissione europea che anche nel centro sinistra italiano trova dei sostenitori e che, nella sostanza, punta a compensare con un risarcimento monetario la perdita del lavoro. Insomma, per superare la condizione di disuguaglianza causata dalla precarietà del lavoro si rendono precari anche gli attuali contratti a tempo indeterminato considerati troppo “garantiti”.
Ma una crisi devastante, provocata dai colpevoli eccessi di una finanza senza regole e resa possibile da politiche distanti dall’economia reale, non può essere archiviata solo con la ricerca di un nuovo sistema di regole. Il tema del lavoro, da valorizzare e tutelare, dell’adeguamento dei salari con il superamento delle attuali insopportabili diseguaglianze, debbono tornare ad essere centrali nella riflessione di una nuova sinistra capace di liberarsi dalle suggestioni liberiste e fare i conti con i propri errori. Cause primarie degli insuccessi elettorali italiani ed europei delle forze di tradizione socialista. E, visto l’azzeramento di tutte le teorie che la crisi ha prodotto a sinistra, ne possono favorire la ripresa.

Il ritorno al mutuo soccorso
I lavoratori, che per superare le difficoltà hanno messo in atto modalità di lotte inconsuete e, in alcuni casi, estreme, stanno anche facendo ricorso a forme di solidarietà antiche tipiche delle origini del movimento operaio e delle prime Società di Mutuo Soccorso. A Brescia, dove sono 60 mila i lavoratori in cassa integrazione e 30 mila i licenziati, la Camera del Lavoro ha rilanciato il mutuo soccorso. I soldi raccolti con la sottoscrizione di biglietti da due, cinque e dieci euro vengono girati alla Caritas che confeziona pacchi per le famiglie in difficoltà, o vengono usati per diffondere il microcredito. In Emilia molte fabbriche stanno invece riproponendo le casse di resistenza.
A Reggio in una azienda di macchinari dove sono stati licenziati 60 lavoratori su 210 dipendenti, chi lavora verso un quinto del proprio stipendio ai lavoratori che a turno presidiano la fabbrica e il sabato sera si organizzano sagre per auto finanziarsi. In riferimento a questi fenomeni il professor Luciano Gallino sottolinea come rappresentino un ritorno alle origini solidaristiche. Mentre l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali mostri forti limiti e le persone dopo pochi mesi dalla perdita del lavoro rimangono, di fatto, senza reddito. Si riscoprono in questo modo forme di solidarietà come la condivisione degli orari o il mutuo soccorso. Il sociologo di Torino vede in questi fenomeni un aspetto positivo. Dopo gli anni della solitudine e dell’individualismo si riscopre il bisogno di un sentimento collettivo con cui si cerca di mitigare, insieme ai propri, anche le difficoltà degli altri.

Alessandria, 27 dicembre 2009

Il Riformista

Il Riformista

Socialismo ed Ecologia. Confronto a Copenaghen su Socialismo

Socialismo ed Ecologia. Confronto a Copenaghen su Socialismo

Ecologia e Socialismo. Dopo Copenaghen è il buio: verso il disastro. su Socialismo

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I bruchi e le farfalle su Socialismo

I bruchi e le farfalle su Socialismo

Taking on the Social Liberals | Social Europe Journal

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A Project for the Future: Recover the Essential Role of the Ethical and Cultural Factors | Social Europe Journal

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Sinistra e Libertà - il sito ufficiale

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Vendola vara una nuova SEL | Le Ragioni.it

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La sinistra e la questione meridionale (Gramsci and beyond) | Le Ragioni.it

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La Russa offende il Paese e le forze armate | Le Ragioni.it

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L'antipolitica - ItaliaFutura.it

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Democrazia Economia Europea | European Alternatives

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Eddyburg.it - Colonne d´Ercole del Novecento

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Eddyburg.it - Democrazia anno zero

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Carmilla on line ®

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ilsocialista.com

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sabato 26 dicembre 2009

Giovanni Baccalini: Osservazioni sul convegno di Genova

Osservazioni relative al convegno organizzato a Genova il 20 giugno 2009 dal Circolo Giacomo Matteotti sotto l’egida del Gruppo di Volpedo.

In seguito all’approvazione del Manifesto di Volpedo, avvenuta con il riconoscimento della necessità di ulteriori approfondimenti e completamenti del Manifesto stesso, mi son chiesto come si potrebbe procedere per giungere alfine ad un documento esaustivo tale da potersi concepire come il fondamento ideale e programmatico di un nuovo movimento politico. Oltre ai numerosi contributi di esperti nelle diverse materie che qui interessano disponibili in letteratura, sono reperibili elaborazioni di persone e di gruppi ed, altresì, atti di convegni intesi ad indagare lo stato e le prospettive dei movimenti socialisti europei. Tra questi ultimi numerosi spunti di notevole interesse si possono reperire, per quel che attiene all’Italia, negli atti del Convegno organizzato a Genova dal Circolo Giacomo Matteotti sotto l’egida del Gruppo di Volpedo e svoltosi il 20 giugno 2009.

Nell’introduzione di Luigi Fasce si fa cenno alla presa di distanza del Manifesto Eurosocialista di Madrid dalle impostazioni liberiste che postulano la privatizzazione dei servizi di pubblica utilità. Si tratta di uno dei temi che meritano approfondimento, anche riflettendo sulla mancata iniziativa dei governi locali e centrali di sinistra per aumentarne l’efficienza con modi più efficaci di organizzazione delle loro attività e di formazione e selezione dei loro gruppi dirigenti. Il controllo pubblico di tali servizi in uno con la loro economicità ed efficienza costituiscono la ragione prima che determina da parte dell’opinione pubblica l’accettazione della pressione fiscale indispensabile per il mantenimento dello stato sociale, come dimostrano le esperienze dei paesi nordeuropei.

Nell’intervento di Alfonso Gianni vi sono utili approfondimenti circa la vera natura della crisi in atto, che trae origine dall’economia reale e non è dunque destinata a risolversi con misure essenzialmente intese a salvaguardarne le istituzioni finanziare, come si è fatto sinora da parte delle autorità europee e nazionali. Occorre cambiare il modello di sviluppo, osserva Gianni, producendo beni indispensabili alla vita più che alla speculazione ed a ridotto impatto ambientale. Osservazioni meritevoli di riflessione vengono fatte anche sull’esigenza della reintroduzione di forme di pianificazione economica e sull’importanza di coinvolgere in uno sforzo planetario tutti i paesi del mondo, avendo come riferimento l’ONU piuttosto che i G2, i G8 o i G20 che dir si voglia.

L’intervento di Giorgio Giorgetti comprende una più accurata analisi delle cause della crisi e si avventura sul difficile terreno delle possibili terapie, rilevando la necessità di ridurre l’influenza della finanza e del mercato sull’evoluzione dell’economia e di uno stato forte che “sappia prendere dal liberismo, dal marxismo, dal capitalismo keynesiano strumenti e idee per uscire dal pantano”.

Anche nell’intervento di Francesco Velo si sottolinea l’importanza del coinvolgimento sovranazionale, del convergere su scelte strategiche di lungo periodo “..della società civile organizzata, delle istituzioni pubbliche e private, dei territori, delle imprese e degli individui” e si osserva come “…Tutela del lavoro, del sistema delle imprese, del funzionamento dei mercati sono aspetti…..di un unico problema…”.


Luigi Fasce affronta, nel suo intervento, in modo diretto e determinato il tema della gestione dei servizi pubblici e afferma: “… sono beni della comunità che hanno finalità sociali ed ecologiche dunque senza finalità lucrative…” e ancora “… che devono prevedere managerialità, capacità organizzative, qualità e efficienza – efficacia e magari essere anche migliori di quelli della gestione dei privati. La scuola di alta burocrazia francese lo testimonia”. E’ quest’ultimo, a mio parere, il problema principale per noi italiani, poiché da noi la consuetudine delle nomine clientelari di persone senza adeguata professionalità ha determinato e continua a determinare l’inefficienza del settore pubblico, con la conseguente sfiducia dei cittadini nel settore stesso, che comporta anche il sentimento diffuso della scarsa utilità del prelievo fiscale. Fasce affronta poi i temi legati alla crisi del modello liberista, sostiene con energia la prospettiva di rivitalizzare la presenza pubblica in economia, ricordando i vantaggi sociali dell’economia mista, con presenze importanti del sistema pubblico non solo nel settore dei servizi pubblici, ma altresì nei settori produttivi strategici quali gli istituti bancari e la produzione e distribuzione di energia. Fasce affronta poi problemi e prospettive dell’evoluzione delle società umane e dell’economia mondiale, suggerendo molti spunti utili al completamento dei temi trattati nel Manifesto di Volpedo.

Somaini, nel tracciare una sintesi degli interventi sopra ricordati, ha posto in evidenza i temi che hanno successivamente portato alla stesura del Manifesto di Volpedo ed ha prospettato anche valutazioni in sintonia con le esigenze di integrazione e correzione del Manifesto che io reputo opportune.

In conclusione, ribadisco la mia convinzione che occorra che ci impegnamo nel dibattito acceso fra le componenti di SEL, ponendo sul tavolo con energia questioni di principio e programmatiche che costringano gli attori del confronto politico in corso in quel che rimane della sinistra italiana a prendere posizioni chiare ed abbiano ciascuna il buon senso di tener conto delle esigenze irrinunciabili degli altri. A mio giudizio è il solo modo per rispondere alle sollecitazioni contenute nella mail di Francesco Somaini del 23 dicembre, che io condivido.

cinzia dato: la democrazia non è uno spettacolo per il pubblico

LA DEMOCRAZIA NON È UNO SPETTACOLO PER IL PUBBLICO.
di Cinzia Dato

Siamo sicuri che Berlusconi voglia una Costituzione? E che si riconosca nel quadro di una democrazia costituzionale e rappresentativa e miri a rafforzarla?
Si impone prudenza nel mettere mano ad una sana e robusta Costituzione in una fase critica, in un periodo di turbolenze e cambiamenti, quando questa costituisce un sicuro corrimano per la vita democratica del paese. E si impone prudenza ad avviare una fase costituente con un Parlamento prodotto da una legge elettorale imbarazzante per tutti ma, sembra, irrinunciabile.

Per essere espliciti, voglio dichiarare che: non ho una visione statica della Carta costituzionale; sono consapevole del rapporto tra alcuni criteri di garanzia in essa contenuti e il sistema elettorale che dà vita alla maggioranza parlamentare e che è mutato (ma vorrei mutasse ancora); sono consapevole e partecipe del dibattito volto a modificare (modernizzare, secondo alcuni) la forma di governo e di Stato; sono consapevole del rapporto, a volte problematico, tra Costituzione materiale e formale (Costituzione madre o figlia delle leggi e delle prassi); sono consapevole delle nuove realtà sconosciute ai Costituenti, ma così cruciali nella riproduzione sociale e per il funzionamento della democrazia, e ritengo che principi di governance di Televisioni e Internet vadano probabilmente costituzionalizzati, nella coscienza della loro immensa valenza sociale. Malgrado ciò, voglio ,con Articolo 21, indire una grande manifestazione a difesa della Costituzione per dire: ALTOLA’!

Perché? Perché non mi lascia tranquilla l’idea di democrazia che anima il riformatore. E neanche la sua idea di Costituzione, (indebolita nelle sue istituzioni rappresentative e in quelle di garanzia) come la sua idea di partito ( estraneo a qualunque forma di organizzazione democratica), di Parlamento ( luogo per screditati famigli dove è meglio che a votare siano i soli capigruppo), di libertà di informazione, di libero mercato ( nel quale il Presidente monopolista non avrebbe probabilmente conosciuto le sue fortune economiche), di autorità garanti, di separazione dei poteri, di maggioranza, di giustizia e molto altro. Qual è la cultura politica della maggioranza odierna? Di quel Parlamento,potenziale Costituente, prodotto dal sistema elettorale rinnegato con abominio. Questo, assomiglia in qualcosa a quella Assemblea Costituente in cui De Gasperi lasciava i banchi del governo agli esponenti dell’opposizione?
Da questo Parlamento sono escluse le voci politiche di ampie parti della nostra società, una compressione giustificata con la governabilità, ma certo non accettabile per riscrivere le regole del sistema. Una grande iniziativa popolare potrebbe porre sul tavolo la questione del sistema elettorale. I partiti non lo faranno. Vorrei che i movimenti civici potessero supplire a questo silenzio sulla regola di fondo, quella che dal consenso dei cittadini porta alla formazione delle istituzioni. Una tale iniziativa potrebbe rafforzare la democrazia.
Mi interrogo su colui che avverte un più urgente bisogno di svolta costituzionale, oggi, tanto da riproporla a un Paese che poc’anzi gli ha detto “No.Grazie”; su colui che è disposto a forzare per regole non condivise, e non ritiene che nelle regole del gioco si debbano riconoscere tutti, anche solo per affrontare una partita a tresette; su colui che ha realizzato un presidenzialismo preterintenzionale (Sartori) e che, in modo esplicito, non ha esitato a forzare la Costituzione nel legiferare per sè; su colui che controlla grande parte dello spazio per il dibattito pubblico che il Paese deve affrontare per avviare una riforma delle regole fondamentali, de “le regole per le regole”, quelle che i cittadini devono interiorizzare, perché la democrazia ha bisogno di cultura, valori e pratiche, oltre che di regole formali. Ebbene! Costui, che idea ha della democrazia? Non vorrei che per lui la democrazia consistesse nella facoltà ,per il popolo, di scegliersi l’Egocrate, il dittatore mediatico, dopo avere ascoltato da lui “quel che si pensa di voler sentire” così come rilevato dalle tecniche del marketing.
Senza valori condivisi da tutti, non c’è democrazia. E vi pare che il clima civile e politico mostri, oggi, la necessaria serenità, maturità e apertura per affrontare una evoluzione del nostro sistema di regole condivise? Senza impegno culturale, senza la partecipazione dei corpi intermedi, con partiti deboli nella società, la democrazia non è affidata ai cittadini, ma alla folla. La Democrazia non è uno spettacolo per il pubblico. Se i cittadini non partecipano, non funziona e, come ricorda Bersani, la democrazia è stata inventata per decidere attraverso la partecipazione e non per partecipare a prescindere dalla decisione.
E se una democrazia elegge chi non crede nella democrazia? In questo caso c’è un sistema complesso, espresso con un corpo di regole primarie, fondamentali, che stabiliscono chi è autorizzato a prendere decisioni, entro quali limiti e con quali procedure, Per questo la democrazia differisce dalla forma di governo autocratico.
Le istituzioni nascono quando l’uomo scopre il male fuori e dentro di se, è stato detto, anche l’uomo governante. Le Costituzioni democratiche mettono un argine al potere dei governanti.
Il principio di maggioranza ,in democrazia, non è la legge della giungla , dove il più forte ha ragione. E’ un principio che si fa carico delle minoranze . Una maggioranza, anche effettiva, non può assumere decisioni che conculchino diritti democratici di alcuno ed è la Costituzione che assicura che non venga contrabbandato per governo del popolo quel che non lo è. Pasolini metteva in guardia:se la democrazia può essere l’arte di far credere al popolo di essere lui a comandare, l’Italia è il paese più ricco di arte.
Vogliamo intenderci con tutti i cittadini su cos’è una democrazia liberale e rappresentativa prima di toccare la Costituzione? E vogliamo confrontare questo con teorie e prassi del capo della maggioranza parlamentare, Presidente del Consiglio e impetuoso riformatore?
Si può temere, a volte, che ad animarlo non sia la visione riformatrice di un sistema politico democratico, ma che semplicemente, a lui, una Costituzione democratica dia sostanzialmente fastidio e non serva. Si può temere che il Presidente, la Costituzione, non la voglia. Che ,in essa, veda solo un ostacolo al proprio esercizio del potere. Perché è questa e non altra la funzione di una buona Carta.

C’è anche il non secondario problema della libertà di informazione, che è costitutiva della democrazia. Già Madison giudicava irragionevole dare potere al popolo privandolo dell’informazione senza la quale si danno gli abusi di potere. Un governo popolare, scriveva, quando il popolo non sia informato e non disponga di mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o una tragedia. Forse a entrambi.
E poi, il clima civile che regna nel paese non è tra i più evoluti, si affaccia la tentazione perenne dell’uomo primitivo di cui parlava Norberto Bobbio. L’egoismo, il particolarismo di interi partiti, la tentazione di ignorare che gli altri non sono solo i miei figli, ma tutti gli umani, e di far tacere la coscienza morale che unisce tutti. A volte, sull’evidenza della ragione ha la meglio l’oscurità dell’istinto, sul sapere scientifico, le superstizioni, sull’educazione civile, il fanatismo, “dalla classe sorge il classismo, dalla nazione il nazionalismo, dalla razza il razzismo” “Una democrazia che non sia il rivestimento formale di una società aperta, fondata sulla responsabilità individuale e il pluralismo è ingannevole”. E attualmente ,nel discorso pubblico italiano, vi sono aspetti che ci facciano sperare nella capacità di andare sempre più verso una società aperta ?
Io credo in altra Costituzione davvero urgente ,che non è solo quella europea, ma quella per la globalizzazione. Abbiamo bisogno di una concezione globale dei poteri pubblici e della società civile, dei diritti fondamentali e dell’affermazione globale del diritto di eguaglianza di tutti davanti alla legge, siano essi Stati, organizzazioni o individui.
Di questo dobbiamo parlare oggi, in Italia e non solo, e possiamo farlo a partire dalla nostra Grande Costituzione.
Cinzia Dato (21-12-2009)

giovedì 24 dicembre 2009

L’azionismo non si esaurisce nell’antiberlusconismo - Europa

L’azionismo non si esaurisce nell’antiberlusconismo - Europa

anno nuovo

Auguri per un positivo 2010, anno che vede tutti impegnati per salvare l'Italia dal posto Fascismo Berlusconiano....come di seguito scritto

Salve sono un cittadino dell'Italianistan. Vivo a Milano 2, in un palazzo costruito dal Presidente del Consiglio. Lavoro a Milano in una azienda di cui è mero azionista il Presidente del Consiglio. Anche l'assicurazione dell'auto con cui mi reco a lavoro è del Presidente del Consiglio, come del Presidente del Consiglio l'assicurazione che gestisce la mia previdenza integrativa .Mi fermo tutte le mattine a comprare il giornale, di cui è proprietario il Presidente del Consiglio.
Quando devo andare in banca, vado a quella del Presidente del Consiglio. Al pomeriggio, esco dal lavoro e vado a far spesa in un Ipermercato del Presidente del Consiglio, dove compro prodotti realizzati da aziende partecipate dal Presidente del Consiglio. Alla sera, se decido di andare al cinema, vado in una sala del circuito di proprietà del Presidente del Consiglio e guardo un film prodotto e distribuito da una società del Presidente del Consiglio (questi film godono anche di finanziamenti pubblici elargiti dal governo presieduto dal Presidente del Consiglio).
Se invece la sera rimango a casa, spesso guardo la TV del Presidente del Consiglio con decoder prodotto da società del Presidente del Consiglio, dove i film realizzati da società del Presidente del Consiglio sono continuamente intertrotti da spot realizzati dall'agenzia pubblicitario del Presidente del Consiglio.
Soprattutto guardo i risultati delle partite, perché faccio il tifo per la squadra di cui il Presidente del Consiglio è proprietario. Quando non guardo la TV del Presidente del Consiglio, guardo la RAI, i cui dirigenti sono stati nominati dai parlamentari che il Presidente del Consiglio ha fatto eleggere. Allora mi stufo e vado a navigare un po' in internet, con provider del Presidente del Consiglio..
Se però non ho proprio voglia di TV o di navigare in internet, leggo un libro, la cui casa editrice è di proprietà del Presidente del Consiglio. Naturalmente, giustamente, come tutti i paesi Democratici e Liberali, anche il Italianistan è il Presidente del Consiglio, che predispone le leggi che vengono approvati da un Parlamento dove la maggioranza è composta da dipendenti ed avvocati del Presidente del Consiglio, e conforme a ciò la Magistratura è un mero Organo del Governo presieduto dal Presidente del Consiglio. Che governa nel Mio esclusivo interesse. Per fortuna.

Candidamente Franco

Aprileonline.info: Fine d'anno per Zapatero

Aprileonline.info: Fine d'anno per Zapatero

martedì 22 dicembre 2009

Lavoce.info - ARTICOLI - LO STRAPPO DI FLOPENAGHEN

Lavoce.info - ARTICOLI - LO STRAPPO DI FLOPENAGHEN

Libero Mail

Libero Mail

Franco D'Alfonso: la memoria della città

Da Arcipelago

LA MEMORIA DELLA CITTA’
22-12-2009 by Franco D Alfonso
Qualcuno dice che la storia si debba scrivere solo dopo cento anni, perché le passioni ne impedirebbero l’obiettività. Istituire una “Casa della memoria”, dando fisicità e tattilità a ricordi dolorosi che lacerano la vita e i rapporti di persone, famiglie e comunità ancora in carne e ossa è un’impresa ancora più difficile e ardita.


La capacità di ricordare, di elaborare le situazioni e il lutto non sembra essere nelle nostre corde. Le nostre storie sono storie di odii e pentimenti, di risentimenti o perdoni “tombali”, non di evoluzione critica. Negli Usa il campo di sangue di Gettysburg, dove oltre cinquantamila americani si massacrarono in tre giorni di battaglia, è oggi un parco che è fra i siti più frequentati, molto curato e meticolosamente mantenuto, ma già pochi giorni dopo, a sepoltura dei corpi appena terminata, il presidente Lincoln pronunciò quello che è considerato il “discorso della rifondazione ” nel quale disse, a guerra ancora in corso e dall’esito incerto, che “nessun soldato, del Nord o del Sud, a Gettysburg è morto invano”. Quaranta anni dopo, in perfetto stile americano, si realizzò una grandiosa rievocazione della battaglia, con i sopravvissuti impegnati a inscenare, nei rispettivi campi e ruoli, perfino la famosa “carica di Pickett”, l’assalto dei fucilieri sudisti inchiodati dalle mitragliatrici poste sul saliente della “collina del cimitero” durante la quale oltre diecimila soldati persero la vita.


Solo da pochi anni noi riusciamo a chiamare col nome di “guerra civile” quella che precedette la Liberazione: il popolo non “può” essersi diviso, le ragioni degli altri non sono nemmeno indagabili. Maestri di democrazia e di moralità politica come Pertini, Aniasi, Valiani si rifiutarono fino all’ultimo di prendere in considerazione le “ragioni degli altri”. Ho un ricordo personale a riguardo: nell’intervallo di una manifestazione nei locali del Circolo De Amicis negli anni ottanta, il comandante “Iso” Aniasi e Giulio Polotti, tra i protagonisti della Resistenza nelle fabbriche di Sesto iniziarono a discutere di un fatto risalente a quei tempi, una presunta mancata tempestiva informazione da parte della formazione di Polotti a quella di “Iso” in merito allo spostamento lungo viale Monza di un drappello di repubblichini diretti al comando delle SS in viale Regina Margherita. Di fronte a pochi compagni assolutamente sbalorditi, quelli che erano due assoluti esempi di autorevolezza politica nonché tra i più noti e capaci artisti della mediazione cosiddetta “alta” diedero vita a una discussione i cui toni si alzarono repentinamente, discussione che verteva sulla vera e propria arrabbiatura di Iso che si rendeva conto, quarant’anni dopo, di aver perso l’occasione di infliggere un duro colpo alle Brigate Nere …


Ma se possiamo comprendere che ai protagonisti della stagione di sangue sia difficile chiedere di uscire dallo schema amico-nemico che prevede la sola variabile traditore o pentito che, pro o contro che sia, resta oggetto di disprezzo, ben pochi altri hanno cercato di farlo. Ciascuno seppellisce i propri morti e si dedica al proprio culto del ricordo, rifiutando le ragioni degli altri: nella nostra città Pansa è considerato un traditore per interesse editoriale e monetario e il “sangue dei vinti” non meritevole di nulla per gli uni, verità assoluta finalmente emersa per gli altri. La lapide di piazza Conciliazione che ricorda il barbaro assassinio di Eugenio Curiel per mano fascista per gli “altri” merita di essere ricordata solo come esempio del perpetuarsi dell’ingiustizia che ha impedito che analoga targa fosse posta in via Bronzetti a ricordare la fine di Aldo Resega, prima vittima dei Gap, freddato mentre aspettava il tram per andare a lavorare.


Il fatto che anche le lapidi sui muri siano una sorta di continuazione della guerra con altri mezzi fa sì che alla progressiva e inevitabile scomparsa dei protagonisti di quei tempi corrisponda un degrado vergognoso dei segni della memoria: nessuno più mantiene pulita e leggibile quella che ricorda trenta partigiani uccisi del quartiere di Porta Genova, corrosa come è dal tempo sulle pareti del vecchio casello abbandonato in piazza Cantore.


La cura dei luoghi della memoria è il primo passo per cercare quello che ancora non abbiamo e che forse non avremo mai, quella “memoria condivisa” che è il cemento di una nazione, di una comunità, di un popolo.


Non so se la “Casa” che troverà posto all’ombra dei grattacieli che deturperanno la memoria del quartiere Isola arriverà in tempo e ci porterà a ricordare e a pensare alla Liberazione o agli Anni di piombo senza aspettare l’insorgere di una delle solite risse da bulli della politica che d’improvviso scoppiano sui giornali senza apparente ragione fondata. Ma se così sarà in molti dovremo essere grati alla tenacia e all’onestà dei pochi che non si sono persi d’animo ed hanno dato a tutta la città un prodotto sempre più raro: la speranza di trarre dal passato l’insegnamento per un domani migliore.




Franco D’Alfonso

Besostri-Cassano-Somaini: Comunicato sull'assemblea di SeL

COMUNICATO

I sottoscritti, socialisti, laici, liberali di sinistra, considerano oggi, in occasione dell’Assemblea Costituente di Sinistra, Ecologia, e Libertà, come sia necessario superare gli errori e le incomprensioni che hanno portato alla trasformazione dell’intuizione originaria di Sinistra e Libertà in un processo politico che, non vedendo la le partecipazione di tutte le espressioni culturali e politiche del riformismo progressista italiano, risulta più ristretto e meno innovativo.

Consideriamo che le condizioni della democrazia italiana, lo stato comatoso dell’economia, il decadimento morale e culturale, l’oscurità e la confusione delle prospettive di uscita dalla crisi rendono sempre più evidente la necessità di costruire un soggetto politico nuovo nei comportamenti e nelle forme di organizzazione e di partecipazione, fortemente caratterizzato sul piano dell’equità, della democrazia, della laicità, che per noi rappresentano la naturale premessa di un progetto di rinascita della sinistra. Questo progetto non può prescindere dall’apporto del patrimonio di idee e di culture del socialismo italiano, del liberalsocialismo, del liberalismo di sinistra, dell’azionismo.

Questo soggetto politico deve rappresentare il superamento dell’anomalia di una sinistra italiana storicamente divisa in termini ideologici.
Deve contribuire ad aggiornarne la strategia di risposta alla grave emergenza della vita democratica del Paese ed a una gravissima condizione economica e sociale, che in Italia ha radici preesistenti agli scompensi indotti da un liberismo senza regole, e che questi hanno ulteriormente aggravato.
Deve essere il riferimento politico e l’autore di un progetto e di un programma diretto a riaprire speranza e fiducia in una qualità dello sviluppo attenta ai diritti di ogni individuo, al mondo del lavoro, alla qualità della vita sociale, alla difesa dell’ambiente naturale ed alle compatibilità ambientali, alla valenza strutturale dei processi di riforma, ad una crescita sociale e culturale più ricca in quanto arricchita dalle diversità.

Per tali ragioni, i sottoscritti si impegnano a lavorare per il chiarimento, il confronto, ed il superamento dei fattori che hanno determinato l’impoverimento ed il restringimento del progetto originario di Sinistra e Libertà,
Dichiarano la costituzione di un Coordinamento che, a livello nazionale, ed in tutte le aree del Paese, operi per mantenere aperto il confronto politico con SEL e con tutte le componenti originarie di SL, nella prospettiva del progressivo congiungimento di tutte le diverse espressioni delle forze di sinistra laica e riformista, nessuna esclusa.

Roma, 20-12-2009


Felice Besostri, Filippo Caria, Gim Cassano, Vincenzo Garraffa, Pino A. Quartana, Francesco Somaini, Rita Rigitano, Giuseppe Sarno, Francesco Velo, Geppino Vetrano,

Renzo Penna: Lavoriamo ad un appuntamento nazionale delle associazioni e dei circoli socialisti

LAVORIAMO AD UN APPUNTAMENTO NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI E DEI CIRCOLI
SOCIALISTI.
Ho partecipato alla prima giornata dell'Assemblea di Sinistra e Libertà. Ha
presentato il nuovo simbolo Mattioli, un ambientalista serio e competente,
buon ministro del primo Governo Prodi. Ha introdotto i lavori Fava,
salutando i delegati socialisti presenti (applausi) e auspicando la loro
partecipazione nella fase costituente che si è aperta. Cultura di governo
possibilità di alleanze con il PD, ma non a tutti i costi. Come l'esplicita
proposta di inciucio di D'Alema ( non dice nulla ai socialisti la
rivendicazione dell'intesa sull'articolo 7 della Costituzione decisa da
Togliatti contro il parere e il voto di socialisti e partito d'Azione?), la
possibile intesa con Lombardo in Sicilia (amico di Miccichè e Dell'Utri) e
il no a Vendola in Puglia. Forse perchè ha lavorato bene ed è contrario alle
speculazioni sull'acquedotto pugliese. Il primo intervento lo ha svolto una
delegata dell'ISPRA, a nome dei ricercatori che difendono il lavoro sui
tetti dell'istituto. Nel dibattito ho ascoltato, in particolare, il
bell'intervento di Rita Borsellino (PD) e del vice presidente di Libera
l'associazione di Don Ciotti. E' intervenuto, come invitato, il compagno
socialista Franco Bartolomei, che nell'ultimo direttivo del PS ha presentato
il documento della minoranza. Intervento bene accolto dall'assemblea nel
quale, richiamando gli impegni du Bagnoli ha prospettato tempi e modi per
favorire la presenza dei socialisti nella costruzione di Sinistra Ecologia e
Libertà. Sottoscritta dai compagni socialisti che l'hanno condivisa è stata
poi presentata all'Assemblea una "Dichiarazione dei socialisti e della
Associazioni socialiste". Tra i firmatari anche i responsabili delle
Associazioni nazionali "Labour" e "Socialismo e Sinistra". Non ho ascoltato
le conclusioni di Vendola, ma mi è stato riferito che ha, come in altre
occasioni, evitato ogni massimalismo ideologico e testimoniato apertura nei
confronti della migliore tradizione socialista e auspicato la partecipazione
dei socialisti nella fase che che si è aperta.
Per evitare di parlare solo di "politichese" vorrei anche dire che sui
contenuti e i programmi sono completamente d'accordo con le cose scritte
giovedì 17 dicembre da Peppe Giudice. Non sono come Nencini e molti del PD
favorevole alla privatizzazione dei principali beni pubblici, ad iniziare
dall'acqua. Sono contrario al vecchio nucleare che ha deciso il governo e a
tutte le opere inutili e devastanti per l'ambiente, a partire dal Ponte di
Messina, che assorbirà tutte le risorse che dovrebbero essere destinate alla
manutenzione preventiva del territorio e alla cura dell'assetto
idrogeologico di un Paese che ha il record delle frane e dei terremoti. In
campo energerico sono, in primo luogo per il risparmio(che può valere il
25%), e per un grande impegno verso le diverse fonti rinnovabili a partire
dal solare. Sui rapporti di lavoro concordo con le tesi di Luciano Gallino
contro le forme di precarizzazione che mercificano il lavoro e lasciano il
lavoratore solo e in condizioni di inferiorità nei confronti degli
imprenditori. Su questo aspetto le posizioni liberiste stanno determinando
grossi danni, in particolare nei confronti dei giovani, e hanno purtroppo
trovato il consenso non solo di Nencini e dei radicali (dei demagoghi che
alla Capezzone (era Segretario quando si è decisa la Rosa nel pugno) pensano
di risolvere la precarietà eliminando il rapporto di lavoro a tempo
indeterminato), ma di molti nel PD, ad iniziare da Fassino che si è
trastullato per anni con la formuletta: precarietà no e flessibilità si.
Mentre è aumentata a dismisura solo la precarietà che oggi si trasforma in
silenziosi licenziamenti. Mi domando e ai dubbiosi chiedo, ma loStatuto dei
Diritti del Lavoratori, la sua filosofia il suo indirizzo non è stata forse
una delle più significative conquiste del Partito Socialista Italiano? O
qualcuno, che magari continua definirsi socialista, pensa sia stato un
errore di gioventù, una legge massimalista da rimuovere in fretta per
affermare una presunta modernità.
Per tornare ai compiti dei socialisti, rispettando e sostenendo i compagni
che, in quanto iscritti al PS, ritengono di fare una battaglia congressuale
per impedire un destino che a me pare, purtroppo, già segnato (nessuna
capacità di una credibile proposta politica, ulteriore dispersione, accordi
di basso profilo con il PD che nella sua strategia di collocazione al centro
può fare intese con formazioni ben più robuste dal punto di vista
elettorale), penso sia utile lavorare come Associazioni socialiste alla
costruzione di un appuntamento nazionale dei socialisti, da preparare con
incontri intermedi e aiutandosi con la rete. Socialisti non angosciati dai
posti e dagli appuntamenti elettorali, ma dalla condizione di ingiustizia
sociale e rischio democratico che vive il nostro Paese. Socialisti iscritti
o meno che pensano fondamentale il riferimento internazionale del PSE ed
intendono ridare senso e significato alla politica consapevoli che le
responsabilità della crisi non stanno solo tra le destre e occorre
correggere le infatuazioni liberiste che hanno riguardato negli ultimi anni
anche importanti partiti socialisti Europei. Penso che l'esperienza del
Gruppo di Volpedo potrà in questo giocare un ruolo importante insieme alle
altre Associazioni e Circoli presenti nel resto del Paese. "Labour" e
"Socialismo e Sinistra", anche per la loro presenza nella capitale e in
organizzazioni di massa come la Cgil, possono aiutare la costruzione
dell'appuntamento nazionale. L'obiettivo è certo molto impegnativo, quasi
impossibile, ma è anche uno degli ultimi contributi, mi aspetto generosi,
della generazione di chi scrive per affermare una presenza e un ruolo non
subalterno dei socialisti nella sinistra italiana.
Cari saluti e molti auguri
Renzo Penna
Associazione Labour "Riccardo Lombardi"

lunedì 21 dicembre 2009

Il Pd e la tentazione suicida di salvare il Caimano - micromega-online - micromega

Il Pd e la tentazione suicida di salvare il Caimano - micromega-online - micromega

Un piano industriale Ue per sopravvivere al 2010 - LASTAMPA.it

Un piano industriale Ue per sopravvivere al 2010 - LASTAMPA.it

In Lombardia approvati Odg di SeL | Sinistra Democratica

In Lombardia approvati Odg di SeL | Sinistra Democratica

No al presidenzialismo | Sinistra Democratica

No al presidenzialismo | Sinistra Democratica

Oggi partiamo | Sinistra Democratica

Oggi partiamo | Sinistra Democratica

In ricordo di Igor Man

Da Mondi e politiche

http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it/2009/12/20/in_ricordo_di_igor_man.html


Igor Man - Il Crocifisso dall'Ucraina, la Stampa del 20 novembre 2009


Arrivò l’estate e mia madre si portò via. Per sempre. Lei aveva lasciato scritto a mio padre di non portarci al cimitero. «Non mi vedrete epperò sarò sempre accanto a voi, in casa, nel Mondo». Da convinta allieva di Tolstoi, mia madre insegnò la scrittura ai contadini di Cibali. Era una menscevica nobile e molto attiva, sicché amici fascisti (si può essere amici e fascisti solo a Catania) consigliarono a mio padre di lasciare l’Isola. Prima di partire ci fu concesso di traslare mia madre nella semplice tomba di marmo creata da Emilio Greco. Dal tumulo emerse persino il triciclo che il piccolo dei fratelli aveva voluto andasse con sua madre, ma non ci fu verso di trovare un crocifisso d’arte povera, ucraino. Prima di lasciare la Sicilia, mio padre promise «adeguate ricompense» a chi avesse mai trovato quel Crocifisso.(...)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6638&ID_sezione=&sezione=


Igor Man - Gesù Cristo, il volto dell'innocente negli orrori delle guerre, TERTIUM MILLENNIUM, N.2/ Maggio 1997


Convinto, come sono, che nessuna guerra sia "giusta" anche se qualcuna è imprescindibile, più volte anch'io mi sono posto l'interrogativo che con dolorosa civiltà ha postulato Norberto Bobbio: «Ma avranno le previsioni sulla pace la stessa credibilità delle previsioni sulla guerra?». Porsi un simile interrogativo significa garantirsi molti tormenti ancora ma, forse, chi genuinamente "pretende" la pace, e subito e per sempre, non vuole più soffrire. (Penso ai palestinesi: arabi ed ebrei; penso agli uomini disperati del Rwanda, del Burundi, dello Zaire e del Sudan e della Bosnia, eccetera). Anche chi combatte vuole la pace. La pace e basta. Verosimilmente perché la cultura della guerra è morta col Vietnam.


Una volta la società accettava la guerra "perché la guerra risolve". A quelli della mia generazione insegnavano che la guerra era un "male necessario". Oggi è diverso. Mi dice un Cardinale-Pastore, oggi tutti hanno capito che la guerra non risolve nulla, dà solamente la medesima illusione dell'intervento chirurgico su un organismo mitragliato dalle metastasi d'un tumore cattivo. «La pace, invece, fermando la corsa della morte, salva la vita, dona la speranza della giustizia».


Forse è veramente così. ("E' vero davvero"). Non lo so. Io sono soltanto un vecchio cronista che ha scarpinato per il mondo inciampando di continuo nella guerra: anche se tutte le volte che l'ho attraversata, ho incontrato una immensa domanda di pace. Ho fatto (da cronista, armato solo di taccuino e di biro) tutte le guerre mediorientali; ho raccontato la lunga guerra civile che ha trasformato il Libano da produttore di benessere in produttore di cadaveri; ho testimoniato dell'orrore del Vietnam e delle infinite guerre di guerriglia che hanno sferruzzato il mondo negli ultimi cinquant'anni e posso dire che "ovunque e comunque" ho visto invocare la pace. Soprattutto da chi combatteva o era costretto a farlo.(...)


http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01051997_p-14_it.html


Igor Man, - Nel Golfo senza Hemingway, la Stampa dell'11-2-1991, da "Diario arabo", ed.Bompiani, pp.78-81


(...) Tutto questo per dire come il giornalismo in generale, quello italiano in particolare, stia vivendo una sorta di dramma dell'incomunicabilità. Fisica, materiale, effettiva. Lo vive da tempo, ma con questa guerra "censurata" siamo giunti all'ultimo atto. (...) Ecco, l'unico modo di vendicarsi della incomunicabilità contingente rimane quella di affidarsi alla comunicazione scritta. Lo scrivere come salvezza (...) se è vero che "La storia" di Elsa Morante è il più sublime reportage, in forma di romanzo tolstoiano, che sia mai stato scritto su di una guerra contemporanea, è vero altresì che, dimenticando non dico Tolstoj ma Hemingway (impresa comunque difficile), una piccola ragazza del sud può scrivere una autentica storia di guerra. Mi riferisco a Bassa Intensità, il libro di Lucia Annunziata (in questo momento in servizio tra Amman e Baghdad) dove figurano le corrispondenze che non furono scritte ma pensate, durante un anno e passa di Salvador. Una guerra a "bassa intensità", per dirla in gergo militare, raccontata stupendamente con avveduta umiltà. Il lettore avrà notato com'io parli solamente di libri scritti da donne. forse perché di giornalisti uomini capaci di raccontar guerre non ce ne siano? Certo che ce ne sono, soltanto sul Libano si contano almeno tre buoni libri di altrettanti colleghi italiani. Gli è che le donne non dico scrivano meglio ma scrivono in un modo non concesso agli uomini. Scrivono con lo stesso travaglio col quale si fa un bambino, sicché il loro non è soltanto un libro, è una specie di "figlio". Bello o brutto che sia, ha sangue e muscoli, ha la voce della vita. (...)


Igor Man, - La canzone diventa preghiera, la Stampa del 12-2-1991, da "Diario arabo", ed.Bompiani, pp.72-84


(...) Sul prestigioso El Pais leggiamo di una festa da ballo di cinque marines donna e venti maschi, nella discoteca Mopp, frammezzo le dune del fronte arabico. Si sono scatenati col rap nel "ballo della maschera", inventato "involontariamente" dal marine Meil Bulke, 22 anni, newyorkese. Il ballo simula l'angoscia di quando Meil s'era perso nel deserto, chiuso, nella tuta antichimica, con la maschera antigas sul volto. "Avevo perduto l'orientamento, andavo su e giù, sbandavo da una parte all'altra, soffrivo come un condannato a morte". Ad un certo momento Meil si è sorpreso a mugolare il salmo che cantava da bambino in chiesa, "e alla fine ho beccato la via che porta al campo"(...)


***


Igor Man ricordato dai colleghi de La Stampa


Il cuore di un maestro, Marcello Sorgi, la Stampa, 19 dicembre 2009


(...)A un certo punto della sua lunga carriera, Man aveva preso una sorta di seconda cittadinanza in Medio Oriente e nel mondo arabo nostro dirimpettaio e non ancora soffocato dal fondamentalismo. Andava e veniva, tornava e ripartiva, allungava orgoglioso il lungo medagliere di foto dei suoi intervistati. Accanto a Che Guevara, ad Allende, a un gruppo di misteriosi guerriglieri boliviani armati fino ai denti, a un Kennedy avvicinato svagatamente a un ricevimento a Washington, da un elegantissimo Igor in dinner jacket e papillon, comparvero così l’israeliana Golda Meir, l’egiziano Mubarak, il vecchio re Hassan II del Marocco, il ras della Tunisia Bourguiba, e poi, in varie pose, un Arafat di cui Man era spesso ospite esclusivo e autorizzato, raro privilegio, a descriverne la vita riservatissima nella casa araba dove il the bolliva lento tutto il giorno, tra nuvole d’incenso e fiori di gelsomino sparsi un po'dappertutto.


Con molti anni di anticipo, Man aveva capito che dalla sponda orientale a noi più vicina la polveriera islamica stava incubando dentro e attorno a un Occidente del tutto impreparato a contenerla. Per questo Igor, che aveva visto nascere il khomeinismo in Iran, era desolato quando gli americani avevano dovuto abbandonare la Somalia infestata dai fondamentalisti. Ed era disperato di fronte alla prima guerra del Golfo, quella del '91 in cui l'Italia si commosse per le gesta eroiche del maggiore Bellini e del capitano Cocciolone, ma non immaginava neppure cosa sarebbe accaduto dieci anni dopo. Toccò a Man raccontare nella sua rubrica «Diario arabo» la cultura, i valori e anche gli eccessi del mondo islamico: lo faceva umilmente, in trenta righe, tutti i giorni. E ogni articolo si concludeva con una «sura», una massima del Corano.(...)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6755&ID_sezione=&sezione=


Con la morte di Igor Man muore "il vecchio cronista" della Stampa, Mimmo Candito, blog della Stampa, 18 dicembre 2009


(...) Il suo “Diario arabo”, quelle notazioni quotidiane che sulle pagine del nostro giornale hanno accompagnato e spiegato le complesse filiere nelle quali s’andava dipanando la preparazione - fino a poi lo scontro sul terreno - della guerra del Golfo tra Saddam Hussein e il resto del mondo guidato dai marines di Schwarzkopf, quel diario giornaliero gli aveva dato alla fine la popolarità che solo il giornalismo televisivo riesce altrimenti ad attribuire; e il merito, com’egli stesso ha riconosciuto, stava nell’aver saputo legare la cronaca quotidiana di un’inquietante confronto politico con le motivazioni culturali e religiose che inevitabilmente stavano ripiegate dietro l’apparenza del conflitto geostrategico. Prendendo a spunto i versetti del Corano, e leggendone con cura e rispetto il senso profondo, Man offriva ogni giorno al lettore strumenti nuovi e “altri” per la comprensione di fatti e di personaggi che si mostravano inaccettabili nella semplificazione mistificatrice di tipizzazioni di comodo.


E da questa vicinanza all’Islam come religione (ma anche come struttura identitaria, sempre riproposta e offerta all’attenzione del lettore) Man era passato progressivamente a vivere con una partecipazione intensa la dimensione cattolica della sua propria storia privata; è stata però, la sua, una religiosità laica, mai perduta dentro le anse difficili del fideismo, ma ugualmente intensa, verrebbe da dire pubblicamente intensa, in quello spazio nel quale un personaggio popolare finisce per essere obbligato a consumare anche i momenti più intimi del proprio vissuto quotidiano. E il racconto dei suoi incontri privati con gli ultimi due Pontefici lo coinvolgeva e lo emozionava anche al di là dei doveri che il cronista deve sapersi dare.(...)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=126&ID_articolo=219&ID_sezione=&sezione=


Scrittore non solo cronista, Arrigo Levi, la Stampa, 19 dicembre 2009


(...) Igor ora se n’è andato, ha lasciato all’improvviso i suoi affezionati lettori e i suoi amici e rivali di tutta una vita. Fra tutti noi, Igor era forse, per istinto, il più esotico nei suoi interessi. Quando diventai, nel 1973, direttore della Stampa, era considerato uno specialista sia di America Latina sia di Medio Oriente. Quelle vaste aree del globo le aveva girate da un capo all’altro, era stato testimone di tutte le crisi e aveva incontrato tutti i grandi protagonisti che meritasse incontrare. Lo sanno bene i suoi lettori, che hanno gustato ogni sette giorni i suoi ricordi di Vecchio Cronista su questo giornale. Igor si chiamava davvero, per ascendenza parzialmente russa (lo incontrai un giorno a Zurigo dove era andato a trovare nel più famoso Grand hotel una vecchia zia, gran signora, che parlava un russo musicale ed elegante che le generazioni successive hanno dimenticato). Il cognome Man, al posto del siciliano Manzella, gli era parso, giustamente, più esotico e più adatto al mestiere che faceva. Una piccola dose d’inventiva era pur necessaria, in quel nostro mestiere. Senza esagerare.(...)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6758&ID_sezione=&sezione=

Comunicato stampa GL

GIUSTIZIA e LIBERTA’

Federazione nazionale dei circoli G.L.

Via Andrea Doria, 79
00192 ROMA


telefax: 06/ 58.10.590 - email sito: fiap.roma@fastwebnet.it

Sito: www.federgielle.org





Roma 19 dicembre 2009



COMUNICATO STAMPA



La Federazione nazionale dei Circoli Giustizia e Libertà' esprime fermo dissenso e indignazione per le gratuite e ingiuriose, per la memoria dovuta ai martiri, espressioni utilizzate dall' On. Massimo D'Alema a giustificazione non richiesta di "inciuci utili al paese", impediti a detta dell'ineffabile parlamentare dal "predominio di una cultura azionista che non ha mai fatto del bene":

D'Alema dimentica che l'azionismo è stato tra i motori principali dell'Italia liberata dal nazifascismo, col contributo del sangue di tanti martiri: quei martiri che consentirono con la nuova e sempre fresca Costituzione che ora si vorrebbe stravolgere, di affermare in primis il principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.



Vittorio Cimiotta- coordinatore nazionale

sabato 19 dicembre 2009

Socialismo

Socialismo

PES activists initiative | PES

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Nicola Tranfaglia: Piazza Fontana 12 dicembre 1969.

Nicola Tranfaglia: Piazza Fontana 12 dicembre 1969.

Next Left: On austerity and affluence

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Next Left: Social democratic futures

Next Left: Social democratic futures

Vale la pena di ingoiare il rospo? | Le Ragioni.it

Vale la pena di ingoiare il rospo? | Le Ragioni.it

Il nome della rosa | Le Ragioni.it

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L'antipolitica - ItaliaFutura.it

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Povertà ed esclusione sociale: una questione di democrazia | European Alternatives

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Come riconnettere potere e politica | European Alternatives

Come riconnettere potere e politica | European Alternatives

Eddyburg.it - I partiti-colosseo

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Agenzia Radicale - Per D’Alema chi attenta la democrazia è la cultura azionista

Agenzia Radicale - Per D’Alema chi attenta la democrazia è la cultura azionista

Franco D'Alfonso: I soldi della Lombardia in mano a Prosperini

Notizia non lieta : arrestato l'assessore regionale al Turismo della Lombardia, Piergianni Prosperini . Il Prosperini , pessimo personaggio che passa per simpatico perchè dice assurde bestialità in maniera così colorita da sembrare Crozza nelle sue migliori performance ma nella realtà è proprio assessore alla gestione del 21% del budget disponile della più grande Regione d'Italia , è uno di quelli che gridava con gli occhi fuori dalle orbite contro i tangentopolari del '92 , quelli che venivano sprofondati nell'Ade dell'ignominia all'alzar di sopracciglio del dr Borrelli e salvavano la ghirba solo se andavano dall'avv Lucibello . Senza quel "vento benefico" ( la più gentile espressione del dr Prosperini versione '92) Prosperini non si sarebbe mai mosso dai ring di boxe dei dintorni del Parco Ravizza ed il suo vertice di acume poltico sarebbe rimasta la rissa con l'autista di Bossi , tale Paolo Babbini , sul piazzale antistante Palazzo Marino per una differenza di vedute che potrebbe essere anche stata una differenza di bevute.
Invece , grazie al "nuovo rinascimento di Milano" di Albertini , Formigoni , Moratti e sette nani della compagnia "andiam, andiam a lavorar .." , il personaggio in questione si è trovato a gestire, fra le altre cose , la promozione del turismo in Lombardia con un investimento di 7,5 milioni di euro per il solo secondo semestre del 2008 , con un appalto pare non regolare e percependo , dicono i Pm, una tangente di 230 mila euro estero su estero . Non sappiamo nulla di questa pratica che Prosperini definirebbe certamente meglio di noi in maniera inequivocabile e saremmo realmente lieti se i magistrati avessero preso l'ennesima cantonata , perchè non ci piace l'idea che l'etica pubblica sia caduta così in basso da non richiedere nemmeno un minimo di prudenza ( se è vero quanto trapela dall'inchiesta , siamo ad un passo dalla formalizzazione in delibera della tangente , altro che rinnovamento lumbard..).
Il fatto grave ed incontrovertibile è un altro e riguarda in pieno Formigoni, la sua giunta e la maggioranza di centrodestra che governa da Tangentopoli ad oggi la Lombardia : hanno investito quasi un euro a lombardo per convincere i lombardi stessi a visitare la Lombardia ? L'intero budget , infatti , è stato destinato a media locali influenti sul collegio di Milano e Monza dove l'assessore era eletto , con una utenza che verosimilmente conosce oppure ha sentito parlare delle bellezze del lago di Como ( magari anche solo per il Muro che il centrodestra di Como ha eretto sul lungolago oscurandone la vista ed il centrodestra della Regione abbatterà alla vigilia delle elezioni, tutto pagato dal contribuente lombardo) anche senza il ricordo che Prosperini in persona faceva loro dal video di casa . Per promuovere la Lombardia , che so , presso i piemontesi o i veneti ( escludiamo ovviamente i meridionali, quelli non fanno turismo , emigrano ) quanto aveva previsto di investire il nostro Governatore ed il suo fido assessore ?
Non so se rubano , certamente sprecano . Fino a quando la Lombardia tollererà tutto questo ? (franco d'alfonso)

venerdì 18 dicembre 2009

Facebook | PSI E PD. DIALOGO SULLE RIFORME NEL RICORDO DI PIETRO NENNI

Facebook | PSI E PD. DIALOGO SULLE RIFORME NEL RICORDO DI PIETRO NENNI

Facebook | Il presidente del PSE Poul Nyrup Rasmussen sui risultati dell’ 8° Congresso del PSE

Facebook | Il presidente del PSE Poul Nyrup Rasmussen sui risultati dell’ 8° Congresso del PSE

ITUC/TUAC Evaluation of the G20 Finance Ministers' Meeting | Europeans For Financial Reform

ITUC/TUAC Evaluation of the G20 Finance Ministers' Meeting | Europeans For Financial Reform

Lavoce.info - ARTICOLI - L'IMPAREGGIABILE SAMUELSON

Lavoce.info - ARTICOLI - L'IMPAREGGIABILE SAMUELSON

Aprileonline.info: Sinistra, che fosse la volta buona?

Aprileonline.info: Sinistra, che fosse la volta buona?

Alessandro Aleotti: Ragionevoli considerazioni sul presente

da www.milania.it

Alessandro Aleotti
direttore@milania.it



RAGIONEVOLI CONSIDERAZIONI SUL PRESENTE





In questi giorni si susseguono molti fatti eclatanti che rendono ancora più impellente la necessità di capire ciò che sta accadendo. Purtroppo, non ci sono segnali di comprensione che provengono dal circuito politico-mediatico. Compito di un think-tank è cercare di fornire chiavi di lettura, non per presunzione intellettuale, ma per specifica vocazione.



Partiamo da una metafora: io non ho mai visto due filosofi che, confrontando tesi opposte, giungono alla violenza, mentre vedo tutti i giorni i politici che si confrontano brandendo esclusivamente la clava della violenza verbale. Questo accade non solo perché i filosofi sono generalmente più intelligenti e civili dei politici, ma perché la politica ha estirpato dal proprio discorso ogni riferimento al pensiero, restando solo ancorata ad un’identità da contrapporre senza alcuna mediazione culturale. Quindi, chiedere alla politica di abbassare i toni, è come chiedere ad un pesce di parlare per il solo fatto che lo vediamo aprire la bocca: una richiesta totalmente priva di senso. Abbassare i toni, infatti, non significa darsi un tono compito, ma capire ciò che la politica dimostra di non capire.



La domanda è: perché accade questo?

La risposta è: perché abbiamo un sistema politico ancora incardinato costituzionalmente su una “democrazia dei partiti” che non esiste più. La scomparsa dei partiti (oggi in Italia non esiste alcun partito che sia sostanzialmente democratico nel suo funzionamento) dentro un quadro costituzionale che continua a prevederli, conduce a due risultati.



Il primo è quello che abbiamo sopra descritto, cioè il venir meno del pensiero che la struttura organizzata dei partiti produceva sia attraverso un innervamento capillare in tutti gli ambiti della società, sia attraverso un investimento reale verso gli intellettuali che avevano il compito di analizzare e interpretare le trasformazioni sociali.



Il secondo risultato della scomparsa dei partiti è l’avvento di una dimensione pluto-autocratica nella selezione della classe dirigente. Chi è molto ricco fa politica (Berlusconi, Moratti, etc…), chi è un po’ ricco cerca disperatamente risorse per star seduto al tavolo della video-politica (la vicenda di Prosperini è emblematica) e l’unica possibilità per chi non è ricco è tentare servilmente di entrare nelle corti ristrette di coloro che si sono impossessati dei partiti privandoli di democrazia reale.



Quali soluzioni dovrebbero essere messe in campo per riportare il sistema politico alla sua fisiologia democratica?

Ci sono due soluzioni immaginabili.



La prima è corretta ma velleitaria e prevede, nel rispetto del dettato costituzionale, di rianimare il corpo esangue del sistema partitico. Purtroppo, però, i partiti sono morti storicamente (non solo in Italia) e non ci sono le condizioni sociali per resuscitarli, quindi ogni tentativo di ridemocraticizzare e rivitalizzare il sistema partitico è destinato – al di là delle buone intenzioni e volontà – ad un inesorabile fallimento (peraltro facilmente dimostrabile in una trattazione meno sintetica).



La seconda, invece, prevede di ridefinire il quadro politico previsto dalla Costituzione in una dimensione di democrazia fondata sugli individui e non sui partiti. Questa strada è, ragionevolmente, l’unica che possa riportare una fisiologia democratica nel nostro paese. I contenuti di questo cambiamento richiedono, ovviamente, una trattazione ampia e articolata, ma possiamo descriverli sinteticamente con uno slogan: “dalla democrazia pluto-autocratica alla democrazia anarco-liberale”. Naturalmente, con “anarchia” non intendiamo nulla che abbia a che fare con i quattro dementi bombaroli che si autodefiniscono anarchici, ma ci riferiamo alle teorizzazioni di libera associazione e di centralità politica dell’individuo proprie del pensiero politico di Proudhon, Bakunin e Stirner, oltre che di ampi filoni del pensiero liberale.



Insomma, l’analisi e le soluzioni ci sono, basta saperle cercare e capire. La politica può continuare nel suo agire privo di pensiero, ma in tal caso – alla stregua di un fagiano – verrà sempre impallinata dai cacciatori che brandiscono le armi della legge, del denaro, dei media, della religione, etc.

Lisbon: A Chance for Social Democracy | Social Europe Journal

Lisbon: A Chance for Social Democracy | Social Europe Journal

Social Democracy without a Future? | Social Europe Journal

Social Democracy without a Future? | Social Europe Journal

Un vecchio modello di sviluppo - LASTAMPA.it

Un vecchio modello di sviluppo - LASTAMPA.it

mercoledì 16 dicembre 2009

Felice Besostri: Il progetto di sinistra e libertà non deve finire

IL PROGETTO DI SINISTRA E LIBERTA' NON DEVE FINIRE: PER UNA SINISTRA, IN ITALIA COME IN EUROPA, SOCIALISTA, AUTONOMA, DEMOCRATICA, ECOLOGISTA, LIBERTARIA, EUROPEISTA E LAICA di Felice Besostri

A Roma è stata convocata un'assemblea nazionale sul futuro di SeL. L'assemblea è stata indetta dalla Sinistra Democratica di Fava e dal MPS di Vendola, cioè da parte di alcuni dei soggetti che avevano dato vita a Sinistra e Libertà per le elezioni del Parlamento Europeo: non ci sarà la Federazione dei Verdi e non ci sarà il PSI. La Federazione dei Verdi, con il suo congresso, si è chiamata definitivamente fuori, adeguandosi al trend europeo dei Verdi, mentre i socialisti hanno posto pali e paletti alla trasformazione di un alleanza elettorale in un partito politico.
Per evitare equivoci dico subito che ogni partito, che non definisca un proprio programma e le proprie basi ideologiche, nonché, nell'attuale fase di internazionalizzazione dell'economia e della politica, la propria affiliazione internazionale, è prematuro e, comunque, ha basi fragili.
Dopo il fallimento della Sinistra Arcobaleno la sinistra italiana non può più permettersi di fare ammucchiate al solo fine di superare clausole di sbarramento (Detto incidentalmente, di dubbia costituzionalità, come ha ritenuto il TAR Lazio con ordinanza depositata il 15 dicembre, proprio nel ricorso promosso unitariamente da tutte le componenti di Sinistra e Libertà). Sinistra e Libertà ha rappresentato un inizio o una speranza di progetto politico, al di là delle intenzioni e riserve mentali di chi vi ha dato vita. La risposta sul significato di Sinistra e Libertà è stata data soprattutto dai suoi elettori, che in grande maggioranza non provenivano dall'elettorato di riferimento dei soggetti costitutivi. Questo aspetto positivo era ed è controbilanciato da quello negativo di non essere stati capaci di trascinare tutto il proprio elettorato potenziale in Sinistra e Libertà. Come nel resto d'Europa la sinistra è punita dall'astensione del suo elettorato tradizionale deluso o insoddisfatto dalle politiche perseguite o dalla scarsità dei risultati raggiunti o ancora dalla sfiducia verso le proposte concrete per uscire dalla crisi. Il mio partito, quello socialista, l'unico al quale sono e intendo rimanere iscritto, ha deciso di non partecipare all'assemblea di Roma e ha invitato tutti i suoi iscritti, e a maggior ragione i suoi dirigenti a non partecipare a coordinamenti e assemblee sotto l'egida di una parziale Sinistra e Libertà e, tuttavia sono qua, da socialista, ma senza rappresentarli. I socialisti sono rappresentati collettivamente dai loro organi nazionali ed è con essi che si devono fare gli accordi o registrare i dissensi. Ho già scritto e confermo che sarebbe una iattura che il PSI si dividesse in filoSEL ed antiSEL, così come chi partecipasse all'assemblea si dividesse tra antisocialisti viscerali e filosocialisti ecumenici: sia in un caso che nell'altro sarebbe tradito lo spirito originario di Sinistra e Libertà, quello di ricostituire una nuova sinistra in Italia. Non ci sarà una sinistra nuova, possibile e futura, se non ci si libera dagli stereotipi e dal settarismo. La mia presenza qui vuole essere anche una testimonianza individuale di una sinistra ampia e plurale. Non c'è bisogno di essere un personaggio carismatico, come Martin Luther King, per dire I have a dream, un sogno può coltivarlo ciascuno di noi ed il mio è quello di avere anche in Italia una sinistra, come in Europa, socialista, autonoma, democratica, ecologista, libertaria, europeista e laica.
Vorrei una sinistra, come non c'è mai stata in Italia, con vocazione maggioritaria. Vocazione maggioritaria non significa aspirazione a stare in maggioranza, comunque e con chiunque, ma proposta di governare il proprio paese con propri programmi e con propri uomini e donne alla guida del governo. Una vocazione, che dal consenso democratico e soltanto da esso, tragga la sua legittimazione e forza. L'accettazione senza riserve del nesso indissolubile tra socialismo, libertà e democrazia è l'unica scriminante possibile. Per questo si devono superare le ragioni della divisione del XX° secolo tra socialisti e comunisti. Questo superamento è necessario, ma non sufficiente per costituire una nuova sinistra:senza l'apporto dell'ecologismo, del femminismo e dei diritti civili non ci sarà una nuova sinistra. Piuttosto dai nostri padri del secolo passato e del XIX° secolo dovremmo imparare che non c'è sinistra senza un'idea altra di società. In altre parole senza una critica della società esistente e dei suoi valori fondanti non abbiamo una ragione di esistere e di aspirare a governare questo nostro paese sulla base di una riconquistata egemonia, che sostituisca quella della destra. Il fallimento delle ricette neo liberiste è sotto gli occhi di tutti sia a livello globale che europeo e nazionale, eppure il consenso per i partiti conservatori non diminuisce, salvo poche eccezioni nel nostro continente. Mi convinco sempre più che la parola SINISTRA, costituisca un recinto chiuso e non un terreno di espansione, al più definisce dove ci si colloca e non dove si intenda andare. Socialismo e comunismo avevano un ben più forte capacità simbolica, che deve essere ritrovata, sia pure senza fare sconti ad errori o tragedie, che hanno generato.
Quelli che partecipano all'assemblea e quelli, che non vi partecipano hanno l'obbligo di fare chiarezza ed il modo più semplice è quello di rispondere almeno a due domande:
1) E' possibile costruire una nuova sinistra senza una forte e accettata presenza socialista?
2) E' possibile una significativa presenza socialista al di fuori di una chiara opzione di sinistra?
La mia risposta è no ad entrambe le domande, ma non sono rilevanti le mie risposte, esse, come le mie azioni impegnano soltanto me stesso. Devono rispondere le nomenklature poiché decidono anche per gli altri. Non vorrei che nel deterioramento dei rapporti giochino riflessi di conservazione autoreferenziali e che si voglia conservare un proprio tesoretto da portare, ciascuno per proprio conto al PD. Non voglio nemmeno pensare che una specie di sindrome leghista si sia impadronita di compagni, che devono dimostrare chi ce l'ha più duro. La posta in gioco non è l'abilità nello scrivere documenti di polisemica interpretazione, ma il nostro futuro di persone che credono che un'altra società sia possibile e che dipenda anche da noi. Come altri ho creduto e credo nel progetto annunciato ed enunciato da Sinistra e Libertà e non posso assistere da spettatore al suo fallimento. Quando con altri compagni socialisti ho accettato di fare campagna elettorale per il Parlamento europeo ed addirittura di candidarmi per la Provincia di Milano, senza i Verdi e con un candidato presidente non convincente, ci ho messo la mia faccia e la mia storia di una militanza socialista e di sinistra iniziata nel 1961. Se fosse stata un'alleanza elettorale destinata a finire dopo le elezioni, avrei detto NO, GRAZIE! Neppure mi sento di interpretare con mezzo secolo di ritardo quei personaggi da rivista Candido, cui era dedicata la rubrica “Contrordine compagni!” Quindi mi assumo la responsabilità ed il rischio di partecipare a questa assemblea e voi quella di porre la parola fine ad un progetto, come sarebbe inevitabile se una parte, ancorché maggioritaria, ma questo oggi nessuno lo può dire, decidesse di trasformarsi in un partito, che pretenda la rappresentanza esclusiva di Sinistra e Libertà: questa è la sostanza, che non cambia se si aggiunge nel nome e nel logo una verde scritta ecologia. So che questa preoccupazione è condivisa da altri soggetti costitutivi di SeL, come l'Alleanza Lib-Lab, un esempio della capacità di attrazione del progetto, anche al di fuori dagli ambiti tradizionali delle sinistre. Sono qui, perché, come partecipante al Gruppo di Volpedo, sono impegnato nella trasformazione del PSE, il cui ultimo congresso di Praga rappresenta una decisa svolta a sinistra e con quella forza Sinistra e Libertà nel suo complesso si dovrà confrontare. Sono qui soprattutto per la ragione che i compagni della zona 8 di Milano, quelli con cui ho lavorato politicamente prima, durante e dopo le elezioni mi hanno eletto delegato in piena conoscenza delle mie opinioni sempre liberamente espresse in riunioni pubbliche. Un patrimonio prezioso di pratica unitaria, che non può essere disperso e che deve continuare in un costante confronto di idee e proposte. Questo spirito farà sì che alle prossime elezioni regionali lombarde si ricostituirà Sinistra e Libertà, una scelta avallata dalle Tesi approvate dalla maggioranza del Congresso provinciale straordinario del PSI di Milano e provincia e dal documento finale, in perfetta sintonia con le decisioni del livello regionale. Sono qui non per fare il socialista sciolto o in liquidazione, ma riconfermare un'adesione al progetto, che deve uscire rafforzato da questa assemblea.

PES. PENSARE GLOBALMENTE. AGIRE LOCALMENTE - Partito Socialista - Opinioni e commenti

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martedì 15 dicembre 2009

Lavoce.info - ARTICOLI - IN RICORDO DI PAUL ANTHONY SAMUELSON

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Progetto di una Associazione ispirata al socialismo democratico e liberale. | Le Ragioni.it

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[video] I problemi del socialismo europeo e la crisi economica internazionale | Le Ragioni.it

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Le quattro crisi | Sinistra Democratica

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La non-violenza. L’alternativa. Il progetto di Sinistra Ecologia e Libertà | Sinistra Democratica

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Aprileonline.info: PSE, Chi non c'era o se c'era dormiva

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Bianca La Rocca: Una democrazia in pericolo

articolo apparso su aprile on line http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=13782





Una democrazia in pericolo

Di Bianca La Rocca



Avevo appena finito di scrivere alcune riflessioni sui pericoli di tenuta delle nostre istituzioni repubblicane che è giunta la notizia dell’aggressione al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a Piazza Duomo, a Milano, al termine di un comizio.

Il problema non cambia, anzi s’aggrava: l’increscioso episodio non fa che confermare quali grandi pericoli sta vivendo la nostra, pur imperfetta, democrazia.

Da una parte e dall’altra, ci troviamo di fronte ad una visione arcaica della politica, che non si limita alle rappresentazioni verbali o pittoresche, di cui Silvio Berlusconi e Antonio Di Pietro sono maestri, ma va ben oltre e con esiti alquanto incerti. Qualcuno, in modo semplicistico, potrebbe cavarsela con un banale: chi semina vento, raccoglie tempesta (che, in fondo, è ciò che ha detto Di Pietro e pochi altri), ma staremmo alle chiacchiere da bar, un leader politico dovrebbe usare ben altri linguaggi e aver ben più nobili prospettive.

Mai come in questo momento si avverte la necessità di far ritornare in campo la Politica. Con la “P” maiuscola. Ossia quell’agire collettivo che abbia come unico scopo il bene comune.

E’ inutile nasconderci dietro un velo di ipocrisia. Siamo tutti in balia degli eventi. Dal mitomane alle grandi organizzazioni criminali, da Massimo Tartaglia ai fratelli Graviano, i ricatti criminali e la violenza gratuita, ormai da tempo, riescono non solo ad influenzare il sistema politico, ma sono anche capaci di convogliare simpatie elettorali o profondi odi personali.

Gli effetti perversi dei ricatti di psicolabili, che potrebbero anche ammazzare, o di pericolosi criminali, che sicuramente ammazzano, non sono molto diversi. Nessuno può permettersi il lusso dell’indifferenza, tanto meno quello della tifoseria. Sbaglia chi pensa che Gaspare Spatuzza sia peggio dei Graviano, o viceversa. In entrambi i casi ci troviamo di fronte a dei pericolosi criminali. E sbaglia anche chi, per celia o per noia, inneggia al “vendicatore” solitario. Simili gesti sono solo una scorciatoia alle proprie frustrazioni.

Sicuramente grosse responsabilità sono da ricercarsi nello scadimento del linguaggio pubblico e nella caduta verticale di fiducia nelle istituzioni, Ma c’è anche dell’altro. Lo abbiamo sostenuto e lo ribadiamo: Silvio Berlusconi, e non solo, ha delle grandi responsabilità in questo crepuscolo degli alti valori ed ideali che dovrebbero guidare l’azione di un governo, in questa totale mancanza di rispetto per gli altri, in questo edonismo paranoico.

Non si può governare un Paese e pensare di controllare gli umori o i dissensi ponendo gli interessi personali, sempre e comunque, sul bene collettivo e, per di più, continuando ad insultare gli oltre due terzi di quell’elettorato italiano che non ti ha sostenuto. E’ stato questo atteggiamento arrogante e, per alcuni tratti, infantile ad innescare, nell’intero Paese, una guerra del tutto contro tutti. Un forte senso di responsabilità dovrebbe consigliare, oggi, a tutti ed a maggior ragione a chi ha responsabilità istituzionali o di governo, a fare un passo indietro. Basta con la delegittimazione reciproca, con il linguaggio ricattatorio, con lo sproloquio senza senso, con gli attacchi alla Costituzione, nella quale è sancito il rifiuto di qualsiasi violenza fisica e morale. Alla democrazia ci penso io, aveva detto non molto tempo fa Silvio Berlusconi, l’unico con le “palle”: Massimo Tartaglia è il primo risultato ottenuto.

La società civile, manipolabile e manipolata da più parti, rischia di essere trascinata in derive incontrollabili. Per troppo tempo abbiamo vissuto la divisione tra le tante partigianerie, convinte o ignave, ed abbiamo visto solo pochi, isolati cittadini, politici ed intellettuali, che hanno avvertito l’esigenza d’opporsi al malcostume dilagante, per contrastarne il sistema e non svendere la dignità personale. Costoro, per lo più derisi o isolati, finora hanno scelto di non cedere al compromesso, ma anche di non farsi tentare da posizioni preconfezionate, fatte di etichette, slogan o affermazioni moralistiche. Sono, al momento, i più responsabili in assoluto e percepiscono che simili atteggiamenti non incidono minimamente nel decadimento collettivo, essendo conformi alla recita sociale dei distinguo, cui, ormai tutti i politici si sono perfettamente adeguati, lasciando che il teatrino prosegua, perché non vengano turbati i loro miseri calcoli elettoralistici.

Certo, siamo, o almeno si spera, ancora lontani dalle carneficine stragiste, terroristiche e mafiose che hanno insanguinato le strade e le piazze italiane per oltre venti anni. Ma anche allora, oltre alle facili indignazioni di comodo, che si ripetono stancamente ad ogni anniversario, non siamo stati in grado di creare un senso di comunità civile capace di reagire con conseguenti scelte d’impegno. Qualcuno si era illuso che la cosa riguardasse solo altri. Oggi, ci rendiamo conto che tutti continuiamo a pagarne le conseguenze. E nell’oblio collettivo (i giovani di oggi sono convinti che la strage di Piazza Fontana sia stata compiuta dalle BR, sic!), bombe ed omicidi potrebbero esplodere ancora, straziando altre vittime innocenti.

Per quanto tempo fingeremo d’ignorare che le intimidazioni, di qualsiasi tipo e da qualsiasi parte provengano, non sono finite e condizionano la nostra libertà di scelta e di opinione?

E’ giunto il tempo di sentirci tutti chiamati ad uscire dagli equivoci e assumere comportamenti d’autentica e netta opposizione ad una politica degenerata e alle persone che la rappresentano. Questi gesti non sono giustificabili, perché ci negano l’essere cittadini liberi, tolgono futuro ai giovani e ci rinchiudono in un presente governato da maquillage asfittici e privi di prospettive.

Abbiamo il dovere di offrire, soprattutto ai giovani, strumenti culturali, mezzi di emancipazione dal loro stato di inferiorità, inaugurando un modo nuovo e diverso di rapportarsi con gli altri, basato sulla chiarezza e sul confronto.

In una società che mercifica tutto, anche il valore della vita, la differenza più grande tra ricchi e poveri sta nel discrimine culturale, non nel solo denaro: i poveri sono degli emarginati, anche quando possiedono i Suv, perché non possiedono gli strumenti culturali per prendere il loro destino nelle mani, emanciparlo e cambiarlo. Ai poveri, che non possiedono altro che l’immagine, è precluso anche l'accesso ad un futuro migliore, poiché non l'intendono.

E’ questa l’unica vera questione giustizia che dobbiamo affrontare. Aldilà dell’azione giudiziaria istituzionalizzata, che opera con una giustizia impositiva e codificata, esiste un senso della giustizia, definito talvolta naturale in quanto ritenuto innato, che impegna ognuno ad usare criteri di giudizio obiettivi da tenere nei confronti di tutti. E’ quanto è venuto a mancare al Premier e alla compagine del Governo. Il senso di ingiustizia è ormai dilagante ed ha armato la mano di uno psicolabile, domani potrebbe andare peggio.

La giustizia, intesa nel suo valore più nobile, è prima di tutto una virtù morale, quindi privata e non codificata e istituzionalizzata, alla quale si osservano regole comportamentali che riguardano sé e gli altri nei doveri e nelle aspettative. Tutto il resto ne è una logica conseguenza.

Ritroviamo, tutti, al più presto questo senso di giustizia collettiva se non vogliamo che agli oggetti contundenti, qualcuno pensi di sostituire bombe e pallottole, da cui non si salverebbe nessuno. E soprattutto, non si salverebbe la Democrazia.

domenica 13 dicembre 2009

Panel 5: Europeans for Financial Reform | PES

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[Congresso PSE-2] Rasmussen confermato segretario | Le Ragioni.it

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[Congresso PSE] Il day after e i nodi da sciogliere | Le Ragioni.it

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[lombardia] il candidato è Penati, ma…. | Le Ragioni.it

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[video] 1969-2009 quarant’anni da piazza fontana | Le Ragioni.it

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Il blog di Roberto Mastroianni » Blog Archive » Gli USA brevettano la Bagna Cauda. Gramizia n.2

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FEPS: Next Left Book

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Per un'Europa aperta al mondo | European Alternatives

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Eddyburg.it - Cosa mette a rischio l’unità nazionale

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Eddyburg.it - Una generazione precaria

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Eddyburg.it - La nuova guerra mondiale

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Eddyburg.it - Anni settanta. L'esito non scontato della grande trasformazione

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Eddyburg.it - Quella verità da completare

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Eddyburg.it - L’informazione intermittente

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Eddyburg.it - Le istituzioni più forti degli uomini

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La vera dimensione della crisi occupazionale | Economia e Politica

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La lobby vaticana vince anche in Europa. | Circolo "Giustizia e Libertà" di Sassari

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Carmilla on line ®

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Cosa Nostra e la Fininvest: quando Bossi accusava B. - Politica&Palazzo | l'AnteFatto | Il Cannocchiale blog

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Il Consiglio Comunale fra le macerie. Festa per il Tg5. Protesta per le istituzioni - video | l'AnteFatto | Il Cannocchiale blog

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Il razzismo delle amministrazioni locali - Politica&Palazzo | l'AnteFatto | Il Cannocchiale blog

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andrearomano

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AldoGiannuli.it » Archivio Blog » Berlusconi ed i processi: come ne usciamo?

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Corrispondenza dal Congresso del PARTITO SOCIALISTA EUROPEO di PRAGA di Luigi Fasce

Corrispondenza dal Congresso del PARTITO SOCIALISTA EUROPEO di PRAGA di Luigi Fasce: "Corrispondenza dal Congresso del PARTITO SOCIALISTA EUROPEO di PRAGA di Luigi Fasce
Sabato 12 Dicembre 2009 22:12 | Author: Luigi Fasce |

Note di Viaggio da Roma a Praga di Luigi Fasce

I Tappa Roma consiglio nazione Sabato 5 dicembre 2009 (in concomitanza manifestazione del 'Vaffa Berlusca' a cui mia moglie partecipa idealmente anche a nome mio)

E´ vero, a grande maggioranza c´è l´approvazione del documento Nencini approvato precedentemente dalla direzione ... però con 8 contrari tre astenuti e altri firmatari documento contro messo approvazione e con 9 votanti 3 astenuti e il resto dei presenti ovviamente contro.
Per leggere il documento di opposizione vedasi www.socialismoesinistra.it. La larga maggioranza era composta da circa 50 presenze. All´inizio della riunione erano forse un centinaio. Sono restati i fedeli nenciniani e gli strenui oppositori.
Però si è anche detto dagli intervenuti e non riportato da nel sito, che in 10 regioni si prospetta la lista con SEL. Segno che Nencini non lo sta a sentire quasi nessuno: Una regione, la sua, sappiamo, la seconda il Lazio che con legge regionale si spunta un candidato con poco più dell´uno per cento. Vittoria facile per il fortunato candidato preferito nenciniano ... però è scelta politicamente perdente.
Andrà a portare la sua goccia nel grosso contenitore indistinto del PD. (del PD a Praga vedi seguito) Detto documento in opposizione alle decisioni di Nencini è stato mantenuto nonostante siano state fatte pressioni per ritirarlo.

Motivazioni addotte contro questo documento, così si ind"

Corrispondenza dal Congresso del PARTITO SOCIALISTA EUROPEO di PRAGA di Luigi Fasce

Corrispondenza dal Congresso del PARTITO SOCIALISTA EUROPEO di PRAGA di Luigi Fasce

Alessandro Robecchi: Una maschia lezione

Una maschia lezione in eurovisione



di Alessandro Robecchi (il manifesto 13 dic. 09)



Un deliberato attacco al premier italiano: Quando i traduttori del congresso del Ppe hanno dovuto riferire in numerose lingue straniere l’elegante eloquio di Silvio Berlusconi, hanno esercitato un’ignobile censura. Lui ha detto di essere «forte, duro, con le palle» e loro hanno tradotto «molto forte e molto duro». In pratica, Angela Merkel non ha potuto apprezzare, le palle di Silvio, un
vero peccato. Del resto, questa delle palle è una fissa costante. Quando Fabrizio Corona l’altra sera in tivù ha preso a cazzotti un muro (dimostrando scientificamente che palle e cervello non comunicano), la sua fidanzata Belen Rodriguez ha chiamato il programma per dirsi orgogliosa di amare uno «con le palle». Il conduttore ha tradotto «attributi»: altro caso di vile censura. Come
porre rimedio a questi travisamenti dell’altissimo pensiero a base di palle? Urge riforma costituzionale. Per esempio: tutti quelli che parlano di palle, di avere le palle, o addirittura di essere donne con le palle (sentito anche questo), dovrebbero provare con i fatti le loro affermazioni. Basta con le ipocrisie, fuori le palle, ma non in metafora, troppo comodo! Un premier con gli zebedei che
pendono fuori dal gessato dondolando volitivi all’aria littoria del paese sarebbe più credibile e non verrebbe censurato dai traduttori. Un ministro che attaccasse i fannulloni sventolando i testicoli sotto il naso dei dipendenti pubblici - anche a rischio di chiuderseli nei tornelli - volerebbe nei sondaggi. Bulletti e bullette della destra italiana che misurano il mondo sull’esistenza, durezza, e
potenza dei loro propri coglioni diano una maschia lezione di trasparenza. Dato che «avere le palle» vale, di questi tempi, molto più che avere una testa funzionante, è chiaro a tutti che l’autocertificazione non può bastare. Con una piccola riforma, duce e gerarchi dimostrino il coraggio delle loro azioni e vadano a spasso con i maroni al vento, ben in vista. Darebbero, tra l’altro, una più vivida e veritiera immagine del paese in cui viviamo.

Emilio Carnevali: Ricordando Paolo Sylos Labini

Ricordando Paolo Sylos Labini
Approfondimenti
Il sito dell'Associazione Paolo Sylos Labini
A quattro anni dalla sua scomparsa, un convegno a Roma ha ricordato la figura dell’economista Paolo Sylos Labini, una delle coscienze più lucide dell’Italia contemporanea.

di Emilio Carnevali

"In una relazione sulle prospettive dell’economia mondiale, che presentai nell’aprile del 2002 a un convegno della Cgil (…) esprimevo gravi preoccupazioni sulle prospettive dell’economia americana, che condiziona fortemente le economie degli altri Paesi e, in particolare, quelle europee.
Da almeno due anni avevo notato alcune rassomiglianze fra la situazione che si era determinata in America negli anni Venti del secolo scorso, un periodo che sboccò nella più grande depressione nella storia del capitalismo, e la situazione che si andava delineanIl sdo oggi in America. Le principali rassomiglianze consistevano nella rilevanza di certe innovazioni (elettricità e automobili negli anni Venti, elettronica, informatica e telecomunicazioni nel nostro tempo); nella formazione e nella diffusione di profitti alti e crescenti, dapprima nelle industrie nuove e poi via via nelle altre; nella speculazione di borsa, alimentata non solo dai profitti realizzati, ma anche dalle aspettative di profitti crescenti; nell’indebitamento a breve e a lungo termine legato alle occasioni, per le imprese, di investire in impianti e di acquisire nuove imprese e, per le famiglie, in beni durevoli di consumo, come gli immobili".

Questo testo è del 2003 (tratto dalla rivista Moneta e Credito). È stato scritto da Paolo Sylos Labini in un momento in cui da parte degli economisti mainstream si celebrava la definitiva liberazione del capitalismo dalle oscillazioni del ciclo. Mentre (quasi) tutti festeggiavano il sospirato tramonto dell’epoca dell’instabilità - magari dopo aver brindato qualche anno prima alla ‘fine della storia’ - Sylos parlava di una “crisi americana”, soffermandosi su molti dei nodi che sarebbero venuti al pettine di lì a poco.

Non è difficile, rileggendo i suoi testi (numerosi dei quali affidati a MicroMega, di cui è stato per anni collaboratore), imbattersi in passaggi come questo: analisi lucidissime che non solo conservano ancora oggi una straordinaria attualità, ma che in molti casi trovano solo ora una conferma fattuale delle intuizioni ivi contenute.

Per questo motivo è stata molto intelligente la scelta di ricordarlo, a quattro anni dalla sua scomparsa (7 dicembre del 2005), attraverso i suoi testi, le sue parole, il suo lessico di intellettuale allo stesso tempo “rigorosissimo” e “scandaloso”, come lo ha definito Giuseppe Laterza nell’incontro che si è svolto ieri presso la sede romana della casa editrice.

Coordinati da Roberto Petrini, giornalista di Repubblica che di Sylos ha anche curato la pubblicazione degli ultimi scritti, dieci relatori si sono succeduti soffermandosi su altrettante parole del “lessico civile” dell’economista scomparso; parole a loro volta legate a brani tratti da un suo libro o da un suo articolo di giornale, visto che Sylos, oltre ad essere uno studioso di fama mondiale (sfiorò il Nobel con l’opera Oligopolio e progresso tecnico pubblicata nel 1957), fu anche un vivace polemista: Stile (Nello Ajello), Legalità (Giancarlo Caselli), Classi sociali (Innocenzo Cipolletta), Mercato (Marcello De Cecco), Istruzione (Tullio De Mauro), Petrolio (Giuseppe Guarino), Impegno civile (Antonio Padellaro), Etica politica (Alessandro Pizzorusso).

Intorno a queste voci si è snodato il percorso intellettuale ed umano di Sylos, che, come ha ricordato Petrini, ha poggiato su due grandi pilastri: da una parte lo “sdegno morale”, l’indignazione per la situazione di un Paese “a civiltà limitata” nel quale l’avvento di Berlusconi aveva rappresentato per lui “una sciagura nazionale”; dall’altra il riformismo economico, la critica quasi solitaria degli economisti neoliberisti - che tanto hanno influenzato anche la sinistra italiana negli ultimi anni - ovvero la tenace decostruzione di modelli fondati su “sintesi e ipotesi fuori dal tempo”.

Ma in Sylos questi due pilastri non furono mai separati, perché tantissimi erano e sono tuttora i legami e le reciproche implicazioni fra lo sviluppo etico-civile di un Paese e il suo livello di benessere economico-materiale. Lo ha sottolineato Giancarlo Caselli trattando la parola “Legalità”: “C’è una equazione che era molto cara a Sylos”, ha detto il procuratore capo di Torino: “più legalità significa meno mafia; e meno mafia significa più sviluppo economico” perché significa meno risorse sottratte al ciclo produttivo, più efficienza, più equità.

Il tema dello sviluppo e quello del “mercato”, inteso come “prodotto di una evoluzione secolare”, come “struttura giuridica” prima ancora che come “fenomeno economico”, furono al centro della sua riflessione di economista. Sylos – ha spiegato Marcello De Cecco - fu sempre un “economista politico”, capace di “penetrare i meccanismi dell’economia senza farsene penetrare”, cioè senza indulgere in una visione “autistica” o “marionettistica” del mercato, come invece hanno fatto e fanno tanti economisti teorici più affascinati dalla bellezza di certe costruzioni matematiche che dall’ansia di comprendere davvero i meccanismi dell’economia reale.

Qui riposa uno dei principali motivi di attualità della sua riflessione: oggi, ha sottolineato Giorgio Ruffolo, “la preoccupazione dominante è quella di fronteggiare le conseguenze della crisi, mentre pochissimi si interrogano sulle sue cause”. Rileggere Sylos Labini può servire anche a questo: a non smettere di interrogarsi sulla realtà con curiosità e passione. Nell’Italia di oggi, purtroppo, la passione può venire meno perché, come scriveva nel 2005 nella prefazione a Gli Intoccabili di Marco Travaglio e Saverio Lodato, “la tentazione sarebbe quella dell’angoscia e della disperazione”. Ma - aggiungeva subito dopo - “la prima è sacrosanta, e anche salutare. La seconda no, guai a disperare”.

(11 dicembre 2009)