lunedì 28 novembre 2022

Franco Astengo: Opposizione, sinistra, industria, lavoro

OPPOSIZIONE, SINISTRA, INDUSTRIA, LAVORO di Franco Astengo La sinistra italiana smarrita tra polemiche interne e inquietanti vicende di personalismo politico in questo momento sembra aver perduto l'idea della necessità di organizzare una incisiva e coerente opposizione rivolta verso il governo maggiormente (e duramente) spostato a destra nella storia della Repubblica. Ci si augura (anche con una certa preoccupazione) che rispetto alla manovra economica in arrivo al parlamento si ritrovi almeno una minima capacità d'intervento. Capacità d'intervento rivolta soprattutto a individuare gli effettivi punti critici sui quali avanzare una "forza della proposta alternativa". E' necessario una visione dell'alternativa che caratterizzi una sinistra moderna in grado di colmare quel deficit di rappresentatività politica che purtroppo caratterizza , dal "nostro" versante, il quadro politico italiano. Affrontare la questione del lavoro diventa così fondamentale, partendo da un presupposto ineludibile: se il valore aggiunto non decolla non aumenta parallelamente il valore del lavoro. Troppi lavoretti, troppa precarietà (da non confondere con la flessibilità). Ormai in Italia la produttività cresce soltanto in settori come i servizi, il commercio, il turismo. Deve essere presentato un piano di crescita nei settori industriali decisivi (in ispecie la siderurgia che negli USA e in Cina è stata giudicata settore strategico). Una crescita da avviarsi e realizzarsi attraverso un intervento pubblico programmatorio: un piano industriale inteso quale presupposto di un piano del lavoro complessivo all'interno del quale si affrontino i temi dell'occupazione (stabile) e della crescita dei salari. L'assenza di una crescita di produttività dell' industria rappresenta un vero e proprio tallone d'Achille per l'economia italiana e per la condizione materiale di vita per milioni di lavoratori. L'intero sistema italiano, in base alla rilevazioni di Eurostat, ha un reddito mediano di lavoro, di tutti i tipi, di 14.184 euro che si confronta con i 16.437 del dato medio dell'area Euro. La Germania è a 18.509, la Francia a 17.423. A questo punto si rileva come il previsto intervento del cuneo fiscale risulti del tutto insufficiente (si ricorda a titolo di cronaca il tasso di inflazione al 12%). Dal punto di vista dell'inflazione deve essere ricordato come il vecchio accordo sull'IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato) è del tutto inadeguato perché non tiene conto dell'inflazione importate per i rincari delle fonti d'energia: un campo quello delle fonti d'energia nel quale il surplus di profitti accumulati dovrebbe essere utilizzato per il ripristino di un meccanismo di scala mobile per l'adeguamento dei salari. Senza voler invadere il campo sindacale occorre rilevare come in questo momento 6 milioni di lavoratrici e lavoratori sono in attesa di rinnovo del contratto di lavoro (ed è questo un problema politico di primaria grandezza) in particolare nei settori dove al massimo si esprime la precarietà e più basse sono le retribuzioni: commercio, grande distribuzione, vigilanza (settore quest'ultimo dove il rinnovo del contratto manca da sette anni). L'effetto del dumping contrattuale ha portato gran parte dei salari al di sotto dei 10.000 euro annui. Nel campo salariale esiste ancora il tema del contenimento del divario tra le remunerazioni degli executive, della prima linea e del resto dell'organico aziendale (laddove il divario ha già consentito ai settori privilegiati di assorbire l'effetto dell'inflazione). Infine il confronto con le partite IVA e gli autonomi (al netto del mastodonte rappresentato dall'evasione fiscale) con il lavoro dipendente che possono godere della flat tax è umiliante per il lavoro dipendente. A parità di reddito la differenza sul netto è persino più del doppio (come scrive Ferruccio De Bortoli in un suo articolo apparso il 28 novembre sull'inserto del Corriere della Sera dedicato all'economia). Insomma: ampia materia d'iniziativa, con gli operai che ancora esistono anche se assenti dal dibattito politico, per una opposizione da sinistra. A questo punto potrebbe aprirsi un discorso sull'assenza di una moderna, concreta, pragmatica soggettività politica di ispirazione socialista capace di tenere assieme la complessità delle contraddizioni moderne: forse non è troppo tardi per avviare un minimo di riflessione in questo senso.

mercoledì 23 novembre 2022

Una manovra classista - Articolo21

Una manovra classista - Articolo21

Is Volodymyr Zelensky losing the support of the West in Ukraine? - New Statesman

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Does Jeremy Corbyn Need the Labour Party? | Novara Media

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Will Turkey exploit Istanbul attack to bash US, Kurdish groups?-analysis - The Jerusalem Post

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Franco Astengo: Manovra politica

MANOVRA POLITICA di Franco Astengo La neo - Presidente del Consiglio lo ha rivendicato con "chiarezza": questa è una manovra politica. Di conseguenza si tratta di una manovra di destra, da valutare non tanto e non solo con il bilancino del peso in cifre dei vari provvedimenti ma - appunto - della loro scaturigine politica, e di conseguenza sociale vista la matrice "storica" degli estensori. Una manovra di impostazione ideologica (si veda la questione delle modifiche dell'opzione donna in materia di pensioni) e corporativa con il deficit orientato ad aiutare le imprese (abolizione progressiva del reddito di cittadinanza, flat tax incrementale per gli autonomi, detassazione dei premi di produttività venduta come versione "tassa piatta" per i dipendenti). Qualche venatura populista (marca Forza Italia) la si ravvede nella rimodulazione della rivalutazione delle pensioni. In realtà è la rivendicazione "politica" che appare davvero controcorrente: un richiamo di distacco verso la linea del governo Draghi verso la quale Fratelli d'Italia compì un'abile "opposizione di Sua Maestà". Una rivendicazione di appartenenza, quella della manovra politica, rivolta soprattutto ad approfittare del vuoto di espressione del PD che annuncia una mobilitazione di piazza scoprendosi per adesso privo di obiettivi: mentre il M5S può sbandierare comunque la difesa ad oltranza del reddito di cittadinanza come punto di appoggio nella lotta contro la povertà. L'opposizione paga ancora l'assenza di visione complessiva, già dimostrata nel corso dell'amorfa campagna elettorale. L'opposizione alla manovra dovrebbe essere accompagnata anche da una forte iniziativa politica sulle grandi questioni di politica internazionale: prima fra tutte la richiesta della pace e di nuovi equilibri individuando e respingendo l'azione più pericolosa che questo governo sta compiendo: quella di voler far coincidere la NATO con l'UE che significa assieme sudditanza USA e spostamento a Est dell'asse europeo. Torniamo però all' assenza di visione al riguardo dello specifico della critica alla manovra di bilancio. Un'assenza di visione che riguarda soprattutto i temi delle scelte da compiere sul piano sociale che dovrebbero precedere quelle da compiersi sul piano delle poste di bilancio con l'abbandono di ipotesi concrete di programmazione economica rivolta nel senso del riequilibrio: prima fra tutte la patrimoniale, di seguito la riduzione delle spese militari, la programmazione industriale (esiste un'enorme questione di iniziativa pubblica sui grandi nodi dell'industria: primo fra tutti quello riguardante la siderurgia); la destinazione del surplus delle aziende energetiche che dovrebbe essere destinato a fronteggiare la crescita dell'inflazione ( con il ripristino anche temporaneo di un meccanismo di scala mobile) e ancora l'espressione di una chiara visione del PNRR rivolto alle priorità del deficit infrastrutturale, delle energie alternative e del riequilibrio Nord/Sud. Non secondaria sarebbe un'espressione di forte opposizione alle grandi opere: "in primis" il dannato Ponte sullo stretto. Si tratta soltanto di alcuni esempi in un contesto generale che meriterebbe molta più attenzione, capacità di coinvolgimento e di comprensione della fase di quella che stanno dimostrando forze politiche fortemente racchiuse nel loro bozzolo di autoreferenzialità e di concorrenza interna.

I tormenti del PD

I tormenti del PD

Metalmeccanici tedeschi, firmato il rinnovo - Collettiva

Metalmeccanici tedeschi, firmato il rinnovo - Collettiva

Valdo Spini: Italia è cultura

Italia è cultura. VII conferenza nazionale dell’Aici. “Le sfide degli anni ’20” Valdo Spini Relazione Introduttiva.: Le sfide della cultura Autorità presenti, care amiche e cari amici, Il primo saluto e il primo ringraziamento vanno alla città di Napoli che accoglie questa VII conferenza nazionale e in particolare a Biblioteca Nazionale e a Fondazione Banco di Napoli che ospitano le nostre sessioni di lavoro. La nostra conferenza ha ricevuto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella un prezioso riconoscimento di cui siamo molto onorati. La nostra gratitudine va alla Direzione Educazione, Ricerca e Istituti Culturali del Mibac con cui abbiamo organizzato da Lucca in poi queste conferenze e alla Direzione generale delle biblioteche per la sua collaborazione. Siamo ormai 150 soci distribuiti su tutto il territorio nazionale. Ci siamo dati una regola e cioè che le nostre conferenze nazionali si svolgano alternativamente in città del nord, del sud e del centro. Così è stato per la prima a Torino nel 2014, la seconda a Conversano nel 2015, la terza a Lucca nel 2016, e poi di nuovo al Nord, a Trieste nel 2017, a Ravello nel 2018, a Firenze nel 2019. Nonostante il lock down siamo riusciti a organizzare due convegni sia pure in forma ridotta, e parzialmente in remoto, nel 2020 a Milano e nel 2021 a Parma, capitale della cultura italiana per quell’anno. Logico quindi che ritornando ora ad una conferenza nazionale in piena regola si ricominci dal Sud, ed in particolare da una città come Napoli per il ruolo che svolge e che ha svolto nella cultura e nella società italiana. Abbiamo chiesto in questo senso ad uno storico del prestigio di Lucio Villari di svolgere un intervento sul tema “Cultura nazionale e Mezzogiorno d’Italia”. Vogliamo dare in tal modo il nostro contributo nel sottolineare la centralità del Mezzogiorno all’interno del più generale problema dello sviluppo della nostra nazione. Voglio ricordare che con l’amico Ottavio Ragone, abbiamo curato e pubblicato nel 2016 un numero speciale della rivista “Quaderni del Circolo Rosselli” dal titolo “Quaranta voci per Napoli”, cui ha collaborato anche l’attuale sindaco Gaetano Manfredi con un articolo sull’Università di cui era allora Rettore. Nella mia introduzione, “La battaglia per Napoli”, definivo questa battaglia come necessaria non solo per Napoli ma per l’Italia tutta. So che questa battaglia oggi viene condotta ed è con questo spirito e questo impegno che svolgeremo la nostra VII conferenza nazionale. L’Aici festeggia quest’anno i suoi trent’anni di vita. Nell’occasione è stata preparata una pubblicazione che ne rievoca la storia a cura di Andrea Mulas. Vorrei qui ringraziare i miei illustri predecessori nell’incarico di presidente: Gabriele De Rosa, Giuseppe Vacca, Francesco Paolo Casavola. Gerardo Bianco e Franco Salvatori. Senza la loro opera intelligente e appassionata non potremo oggi, qui, progettare un altro tratto di strada del nostro cammino. Il nostro punto di riferimento è quello di sempre: l’art.9 della nostra Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura”: un riferimento fondamentale per chi come noi opera in questo ambito. Allora, un ringraziamento speciale va proprio alle amiche e agli amici dell’Aici, preceduto da un riconoscimento grato e affettuoso al segretario generale Valerio Strinati, che tanto si è impegnato per il successo di questa conferenza. L’associazione all’Aici è un atto del tutto volontario e se oggi siamo saliti al numero di 150 soci è perché nel mondo degli Istituti e delle Fondazioni culturali si è condivisa l’esigenza di mettersi in rete. Ciascuno dei nostri soci coltiva in piena autonomia la propria soggettività e la propria capacità di attrazione, ma intende valorizzarla nella conoscenza e nel confronto reciproco. I nostri istituti non sono monadi leibniziane chiuse in sé stesse. Al contrario intendono offrire la loro attività al dialogo e al confronto con le istituzioni consimili, consapevoli come siamo che o concorriamo tutti insieme ad elevare il tessuto culturale del paese, oppure di fatto arretreremo tutti insieme. È fonte di grande soddisfazione rilevare come sul territorio nazionale agiscano e producano cultura tante fondazioni e istituti che insieme contribuiscono ad elevare il livello della cultura e della conoscenza. Per valorizzare questo patrimonio abbiamo rinnovato e potenziato il nostro sito web www.aici.it mettendolo a disposizione di tutti i soci. Chi vi accede potrà avere una panoramica su come si articola il nostro mondo delle fondazioni e degli istituti culturali e sulle loro attività. Costituiamo tutti insieme una bella realtà della società civile italiana. Abbiamo voluto chiamare le nostre conferenze nazionali “Italia è cultura”. Non, quindi, un’endiadi come avrebbe potuto essere Italia e Cultura, ma l’espressione di una vocazione. “Italia è Cultura” costituisce un’espressione densa di significato che sta ad indicare un tratto distintivo ed indelebile della nostra nazione, quella di essere stata tale nella lingua e nella cultura e ancor prima che ne fosse possibile realizzare l’unità politica e di possedere una particolare ricchezza non solo nei beni culturali materiali (monumenti, opere d’arte, paesaggio), ma anche in quelli immateriali, dalle tradizioni alla storia, fino al patrimonio intellettuale di competenze e di ricerche che siamo in grado di esprimere. Arriviamo a questa conferenza con un bagaglio di realizzazioni e con una serie di impegni molto importanti. L’ampiezza della nostra base associativa ha dato all’Aici una larga e significativa rappresentatività e questo ci ha consentito di agire con autorevolezza. Un risultato di grande rilievo raggiunto riguarda certamente le risorse disponibili. Nel 2014 ci eravamo trovati in una situazione che aveva visto, dopo la crisi finanziaria ed economica del 2007-2008, il dimezzamento dell’ammontare dei contributi totali del Ministero della Cultura Si era diffusa un’espressione, “La cultura non si mangia” che rifletteva un concetto del tutto mistificante di cultura. Ma la tendenza si è via via modificata e siamo arrivati con la legge di bilancio del 2022 non solo a riguadagnare tutto il terreno perduto, ma a fare molto di più. Il Ministero della Cultura ha potuto raddoppiare il contributo complessivo per le tabelle triennali e i contributi annuali, portandolo a 70 milioni di euro. Un incremento ragguardevole tanto più commisurandolo alla situazione del nostro mondo Sappiamo molto bene come per le nostre istituzioni culturali anche un piccolo aumento nel contributo possa significare veramente molto, possa cioè permettere il passaggio da uno stato di mero mantenimento ad una prospettiva di rilancio e di sviluppo. Abbiamo ottenuto questo risultato non con lamenti o inutili piagnistei, ma facendo conoscere le nostre attività attraverso le nostre conferenze nazionali per poter mostrare alle istituzioni e all’opinione pubblica italiana cosa le Fondazioni e gli istituti stiano facendo, quale ricchezza rappresentino per la nostra nazione e quale contributo diano non solo alla cultura, ma anche alla società italiana e alla sua struttura democratica. In tal senso abbiamo anche sviluppato ricerche sul lavoro nelle Fondazioni e negli Istituti culturali che hanno censito circa 2000 fra collaboratrici e collaboratori attivi delle nostre istituzioni. Una ricerca che continuiamo a condurre e, proprio qui a Napoli, portiamo i risultati di un aggiornamento realizzato con il coordinamento attivo e sollecito della vicepresidente Siriana Suprani. Parlando di lavoro ci rivolgiamo in particolar modo alle giovani e ai giovani. Al nostro interno, continuiamo l’esperienza della partecipazione del gruppo degli “under 35”, alla cui formazione vogliamo concorrere per favorire il ricambio dei nostri gruppi dirigenti. A questo proposito, vi sono alcuni problemi che vogliamo sottoporre all’attenzione del Ministero della Cultura. Molti dei nostri soci si sono interrogati o si interrogano se sia necessario o comunque opportuno passare ad ETS, enti del terzo settore, che sono posti sotto la vigilanza del Ministero del lavoro. Ma non si vede perché le Fondazioni o istituti culturali che hanno avuto il riconoscimento come tali, debbano assoggettarsi a mutamenti di statuto e di struttura per il timore di perdere le attuali prerogative fiscali (5x1000) o di status e di essere esclusi dai bandi nazionali ed europei. Tra i benemeriti enti di volontariato del terzo settore e le Fondazioni e gli istituti culturali ci sono notevoli differenze sia nella struttura che nelle rispettive attività. Ma nel nostro mondo molti soggetti temono che, se non ci si trasforma per entrare nel Registro del terzo settore (RUNTS) si perda l’attuale status con le prerogative connesse. Si deve invece ribadire da parte governativa che non è così, che chi vuole entrare nel Registro del terzo settore è liberissimo di farlo, ma chi vuole rimanere nell’attuale status col riferimento al Ministero della Cultura è altrettanto libero di farlo. Magari come propone lo stesso direttore Mario Turetta, creando anche un albo degli istituti e delle Fondazioni che hanno un rapporto col Ministero. Ribadiamo qui la proposta dell’estensione dell’Art Bonus anche alle nostre Fondazioni e ai nostri istituti. Sottolineiamo l’importanza sia dei comitati per gli anniversari di interesse nazionale che dei centenari, e la nostra disponibilità a dare il massimo contributo in proposito. Un momento alto di questa collaborazione è stata la partecipazione con un nostro socio prestigioso l’Accademia della Crusca e il suo Presidente Claudio Marazzini, ad un’iniziativa per il centenario dantesco svoltasi al Gabinetto Vieusseux. Vorrei in proposito ricordare, la nostra partecipazione al centenario di Giacomo Matteotti con la petizione firmata da circa sessanta soci Aici, perché la Camera dei deputati gli intitolasse una sala, il che è avvenuto proprio il giorno 30 maggio u.s., nel giorno del discorso parlamentare che costò la vita al deputato socialista. Sono iniziate le attività per questo centenario e rivolgiamo un appello al Parlamento per il rilancio di quel progetto di legge per sostenerle che, come tutti sanno, è decaduto per lo scioglimento anticipato della legislatura. Ci sono importanti iniziative che propongo all’attenzione dei nostri soci.. Mi riferisco all’attuazione della convenzione che abbiamo firmato il 28 luglio scorso con la presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Maria Chiara Carrozza per la nostra partecipazione al “Portale delle fonti per la storia della Repubblica” che la legge ha messo in capo al Cnr. Il portale ha l’obiettivo di strutturare in una collocazione unitaria tutte le informatizzazioni degli archivi e delle documentazioni realizzate dalle istituzioni culturali dello stato nonché dalle Fondazioni e istituti come i nostri. Proprio la nostra larga presenza può concorrere al successo di un’operazione fondamentale per mettere in rete e condividere tutto quanto costituisce una fonte per la storia della nostra repubblica. Uno dei nostri vicepresidenti, Sergio Scamuzzi è stato nominato referente per l’Aici dell’attuazione della Convenzione Sappiamo molto bene che il Pnrr rappresenterà una grande occasione di innovazione e di trasformazione. Stiamo mettendo in opera varie iniziative per parteciparvi. Accogliamo intanto con piacere la notizia che è stato emanato il bando “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” della Missione I del Pnrr. Un bando tuttora aperto cui penso che chi può farlo si deve proporre di partecipare. Nel frattempo, vogliamo costruire un’iniziativa proprio dell’Aici, con la partecipazione delle Fondazioni e degli istituti che lo vorranno, per presentare una proposta collettiva sui fondi dedicati del Pnrr. Ne discuteremo in questa conferenza nel gruppo di lavoro n. 2 su “Pnrr e le digitalizzazioni” in modo da concretizzare qui un primo documento in proposito, secondo le linee esposte a suo tempo nel’ esecutivo Aici da Federico Ruozzi. Riproponiamo al nuovo ministro dell’Università e della Ricerca quel progetto di contratti di ricerca post-dottorato che avevamo invano proposto alla precedente ministro. Ribadiamo che le nostre Fondazioni e i nostri istituti hanno spazi e strumenti formativi per i giovani ricercatori che sono ben lontani dall’essere pienamente sfruttati e che, con un adeguato rapporto con le Università, potrebbero risultare utili anche per uno sviluppo dell’occupazione giovanile qualificata. Non viviamo in una torre d’avorio e dunque non vogliamo ignorare che vi sono in atto grandi mutamenti nella politica italiana. Sono cambiamenti resi possibili dal nostro assetto costituzionale, democratico e repubblicano ed è con la fedeltà a questi valori di libertà e di pluralismo che il gioco democratico delle alternanze può svolgersi e articolarsi all’interno della necessaria coesione nazionale. Al nuovo governo che si è appena formato, al nuovo parlamento che ha cominciato da poco a lavorare continueremo a rivolgere le nostre proposte, con l’auspicio di una proficua collaborazione in questi prossimi cinque anni. Via via che svolgevamo le nostre conferenze “Italia è cultura” abbiamo dato loro dei sottotitoli. Quest’anno abbiamo scelto “Le sfide degli anni ‘20” proprio per proiettare le nostre riflessioni nel futuro partendo da un’analisi critica del presente. Il contributo economico e sociale della cultura alla vita del paese è ormai un fatto dimostrato e acclarato. Cito tra tutti i documenti in proposito il rapporto di Federculture per il 2022 “Impresa Cultura”, denso di dati molto convincenti sul contributo del settore cultura all’economia nazionale. Ma la cultura non si misura solo con un metro economico. Infatti, se facciamo nostra la definizione che dava Edgar Morin, cioè che "la cultura è l'insieme di abitudini, costumi, pratiche ,..saperi, regole…valori, miti che si perpetua di generazione in generazione" , cogliamo appieno i valori di identità e di coesione che, nella dialettica delle idee, la cultura rappresenta. Allora dobbiamo dire che non è più tanto il concetto di cultura che cambia quanto gli strumenti e i modi di comunicazione della cultura stessa. Ciò avviene, per esempio, con la rivoluzione digitale di fronte a cui il nostro atteggiamento non è quello di utilizzare queste innovazioni per buttare via la “vecchia” cultura ma per riproporla in modo collegato all’attualità. Nuove e vecchie vie si incrociano e definiscono l’evoluzione delle idee, delle abitudini, dei saperi, definiscono valori. Quei valori umanistici, ambientali, di libertà, di giustizia e di solidarietà di cui la stessa politica oggi ha profondamente bisogno e che può trovare in un rapporto più stretto con la cultura. Le sfide sono tante e complesse in un mondo percorso dalle disuguaglianze e che stenta a trovare la strada del conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’Onu per il 2030;un mondo esposto alle conseguenze del deterioramento dell’ambiente, in un ‘Europa in cui è tornata una guerra di aggressione di tipo novecentesco -quella della Russia contro l’Ucraina- ma in presenza di armi nucleari; in un mondo in cui le democrazie sono sfidate da regimi autocratici e in cui da tante parti sono conculcati i diritti civili. Pensiamo con grande solidarietà alle donne dell’Iran e dell’Afghanistan. Non dobbiamo dimenticarci dell’Africa che dopo avere conosciuto la piaga della siccità conseguente ai cambiamenti climatici, soffre oggi gli effetti della guerra in Europa in termini di approvvigionamento di beni alimentari di prima necessità. Pensiamo all’aggressione della Russia all’Ucraina con il conflitto in atto, le sanzioni e le contro sanzioni. Le conseguenze economiche e sociali di tutto questo comportano nuove sfide cui la cultura non può sottrarsi. Ospiteremo a tal proposito una testimonianza dalla cultura ucraina durante i nostri lavori come gesto di solidarietà da parte dell’Aici e dei suoi associati. La cultura è visione critica del mondo, ricerca continua, individuazione e comunicazione di valori universali. È solo forti di questi valori e di questi principi che si possono affrontare gli enormi problemi del nostro periodo storico. Di fronte alla complessità delle sfide del nostro tempo, c’è anche chi chiama in campo giustamente la cultura, denunciando la mancanza di un adeguato dibattito e magari di protagonisti in grado di animarlo. Lo stesso Cardinal Ravasi in un ‘intervista recente (QN 4 gennaio) rievocava i grandi del passato, Pasolini, Bobbio padre Balducci, padre Turoldo lamentando la mancanza di personalità capaci di stimolare oggi questo dibattito. Ciascuno di noi probabilmente vorrebbe aggiungere o togliere questo o quel nome all’ elenco del Cardinal Ravasi che resta comunque molto significativo per lo spirito che lo anima.. Allora, come interpretare le linee di fondo delle problematiche in cui oggi ci troviamo e come affrontarle sul piano dei valori e dei principi. È un dovere morale e civile che la cultura italiana deve sentire come proprio. Mi viene in mente un episodio di tutt’altro genere. Nel 2008 la Regina Elisabetta II durante una sua visita alla London School of Economics a sorpresa formulò un interrogativo. Ma perché voi distinti economisti non siete stati in grado di prevedere la crisi finanziaria del 2007? Si riferiva in particolare al cosiddetto credit crunch, la stretta creditizia, che allora tormentava l’economia. Oggi, di fronte a tanti avvenimenti imprevisti, a cominciare dalla guerra in Europa, ci si può porre in un certo senso un interrogativo del genere, che va però presentato più alla politica che alla cultura. Perché non si è stati in grado di prevedere per tempo gli avvenimenti che in tutta la loro gravità si sono presentati di fronte a noi in questo secondo ventennio del XXI secolo? La risposta è che in questi anni si è avuto un progressivo, pericoloso distacco tra politica e cultura. L’idea di un pragmatismo fine a sé stesso, di un tecnicismo non verificato in termini ideali e valoriali anche nei suoi aspetti geopolitici, si è rivelato di corto respiro e insoddisfacente, così come quello di pensare di rinchiudersi in confini meramente nazionalistici. Ma dall’altro lato anche la politica sprovvista di un orizzonte sufficientemente lungo da poter comprendere i grandi fenomeni di fondo che determinano quelli del giorno per giorno ha dimostrato tutti i suoi limiti. Oggi la necessità di ricostruire uno stretto rapporto tra cultura e politica è evidente. In questa assise culturale dobbiamo dirlo e sottolinearlo con l’intento di riaprire un dibattito veramente fecondo Del resto “Politica e cultura” era il titolo di una non dimenticata opera di Norberto Bobbio, non a caso uno dei nomi fatti dallo stesso Cardinal Ravasi. Cultura è volontà di conoscenza di tutto quanto ci circonda, di quanto ci piace ma anche di quanto non ci piace, ma è anche ricerca del bello e del bene, in uno spirito di libertà e di democrazia. Dobbiamo quindi accogliere queste sfide che ci chiedono di non limitarci a coltivare lo spirito del passato, ma di cercare le vie del futuro con le nostre armi, quelle del pensiero critico, dello studio, della riflessione. Per aiutarci vicendevolmente in questo compito trent’anni fa è stata costituita l’Aici e per questo. siamo qui ad impegnarci nei lavori nella nostra VII conferenza nazionale.

La Turchia bombarda il Rojava nel silenzio internazionale

La Turchia bombarda il Rojava nel silenzio internazionale

lunedì 14 novembre 2022

Per una nuova legge elettorale, ora!

Per una nuova legge elettorale, ora!: di autori vari -- Le istituzioni sono ai minimi storici nella considerazione pubblica. La responsabilità è, anche, di un sistema elettorale che falsifica la rappresentanza, esalta il potere dei capi partito e compromette la possibilità di scelta degli elettori. L’approvazione di una legge elettorale proporzionale, seppur da sola insufficiente, è un passaggio fondamentale per ridare credibilità alla nostra democrazia.

Franco Astengo: Ideologia/Identità. Il nuovo governo alla prova

IDEOLOGIA/IDENTITÀ': IL NUOVO GOVERNO ALLA PROVA di Franco Astengo La formazione di un governo frutto di un risultato elettorale che ha portato a una ridefinizione a destra dell'intero quadro politico sta ponendo questioni sistemiche di rilevante portata. La natura stessa della formazione di maggioranza relativa, Fratelli d'Italia, ha avuto come conseguenza nei primi atti di governo un tentativo di trasferimento dell'ideologia verso l'identità. Sarebbe facile ricordare come l'ideologia risulti fattore aggregante mentre l'identità è fattore divisivo e che è dal punto della propensione identitaria che nascono le difficoltà di espressione di una capacità di governo rivolta a tranquillizzare la propria base politica rispetto alla risoluzione delle complessità dei problemi posti dall'acuirsi delle contraddizioni sociali, Sono nate così posizioni di vera e propria rottura: "in primis" quelle relative ai migranti o quelle riguardanti la lotta al COVID-19, il decreto cosiddetto "no-Rave" oppure attraverso le espressione usate dal Ministro della Pubblica Istruzione sui temi di storia del '900. Al Ministro della Pubblica Istruzione andrebbe ricordato come si tratti di un gravissimo errore l'arrogarsi il potere di stabilire come è andato il mondo nel ventesimo secolo: il ruolo di un Ministro è ben diverso e andrebbe rispettato, in questo senso, il dettato costituzionale. Prima di tutto però le difficoltà di espressione di capacità di governo dell'attuale esecutivo si stanno misurando sul piano internazionale: l'analisi della destra sembra prevedere una identificazione tra UE e NATO attraverso cui puntare per costruire un'aggregazione interna al quadro europeo attorno al gruppo di Visegrad nel segno delle "democrature" e nella considerazione di una sorta di primazia del confronto Est/ovest, con l'obiettivo di agevolare il ritorno alla logica dei blocchi e relativa conseguenza della chiusura definitiva del processo di globalizzazione. Una chiusura del processo di globalizzazione da intendersi in un senso di ritorno ad equilibri di ritorno verso il nazionalismo. In conclusione: l'esito del risultato elettorale italiano ha portato ad una assenza di forze politiche radicate sull'intero territorio nazionale riducendo le ambizioni della Lega , costringendo il M5S nella "ridotta" napoletana e comunque meridionale e con il PD costretto in una parte dell'antico fortino delle "regioni rosse" senza Umbria e Marche, mentre il senso complessivo espresso dai corpi intermedi - da una parte - e dai movimenti - dall'altra - pare radicalmente divergere rispetto a quello mediamente espresso dai soggetti politici di maggioranza in una divaricazione che potrebbe diventare lacerante. La maggioranza relativa acquisita da Fratelli d'Italia si è concretizzata con una bassa quota di consenso con un'alleanza premiata da una formula elettorale che presenta aspetti di dubbia costituzionalità. Coscienti di questa debolezza i dirigenti di FdI hanno intrapreso questa strada identitaria, alla quale andrebbe contrapposta una strategia di ampio respiro culturale, non ristretta all'autoreferenzialità derivante da una mediocre lettura dell'autonomia del politico (autonomia del politico utilizzata nel senso di una ricerca confinata quasi esaustivamente all'interno dell'idea del governo considerato fine esaustivo. Fenomeno che accadde del resto al momento della trasformazione del PCI in PDS e nel momento della formazione del PD: due tappe nello smarrimento da parte della sinistra italiana di qualsiasi capacità di visione e di espressione di pedagogia politica). Non siamo in grado di prevedere la durata di questo esecutivo (anche se la stabilità delle coalizione che lo sostiene sembra fortemente messa in discussione dalla competizione interna tra le forze politiche che la compongono) ma è sicuramente accertata la fragilità complessiva del sistema politico. Una fragilità accentuata da diversi elementi (personalizzazione, volatilità, formula elettorale) che, sicuramente, non potrà essere misurata dal principale partito di opposizione se questo cercherà di recuperare leadership attraverso l'utilizzo di un meccanismo di mera competizione interna di tipo correntizio.

venerdì 11 novembre 2022

LOMBARDIA, TERRA OSTILE: PERCHè LA SINISTRA NON VINCE (MAI) - GLI STATI GENERALI

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What Foreign Policy for Meloni’s Italy? | IAI Istituto Affari Internazionali

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8 Lessons From the Midterm Elections

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Le elezioni di Midterm e la stagnazione americana

Le elezioni di Midterm e la stagnazione americana: Le democrazie del mondo si chiedono perché il sistema americano non possa aggiustare se stesso, era il tema di un articolo del New York Times di alcuni giorni fa. Perché è evidente che qualcosa non funzioni. E che il risultato delle mid-term con la spaccatura fra democratici e repubblicani, ostili fra loro come due nazioni nemiche, non poteva che confermarlo.

L'onda repubblicana negli States non c'è stata. I democratici resistono | Left

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mercoledì 9 novembre 2022

Il PD cerca un segretario. Ma per quale partito? @DomaniGiornale « gianfrancopasquino

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L’insorgenza del mutualismo, la convergenza necessaria - Jacobin Italia

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Prospettive dopo la vittoria di Lula in Brasile - Sbilanciamoci - L’economia com’è e come può essere. Per un’Italia capace di futuro

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I’m a Socialist. Joe Biden Is Not.

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Quanto sono di destra gli elettori di Giorgia Meloni? - Sbilanciamoci - L’economia com’è e come può essere. Per un’Italia capace di futuro

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Letizia Moratti vuol diventare Lady Lombardia. E il Pd non ha ancora un candidato - Strisciarossa

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Netanyahu’s Pyrrhic Victory by Shlomo Ben-Ami - Project Syndicate

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Invece dell’agenda Draghi | Eguaglianza & Libertà

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mercoledì 2 novembre 2022

I muscoli del Governo: contro i rave o contro il diritto di manifestare?

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Danish election: Mette Frederiksen's centre-left bloc wins by slim majority - New Statesman

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La rivista il Mulino: Brasile, il ritorno di Lula

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Legge liberticida e non urgente, il decreto rave segnale gravissimo - Articolo21

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ytali. - La replica perfetta di Julia Unterberger a Giorgia Meloni

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martedì 1 novembre 2022

Brasile: il ritorno di Lula | ISPI

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Fratoianni: Vietato dissentire. Il governo Meloni si presenta | Left

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Lula’s Victory Over Bolsonaro Has Restored Hope for Brazilian Democracy

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IL DECLINO DELLE SINISTRE E LA CRESCITA DELLE DISUGUAGLIANZE - GLI STATI GENERALI

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Where in the World Can the Left Find Its Way? by Yanis Varoufakis - Project Syndicate

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Norma anti-rave, le critiche dall'opposizione e i timori degli studenti: "Colpisce scuole, atenei e piazze". Fonti del Viminale: "Non lede libertà" - Il Fatto Quotidiano

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Franco Astengo: Numeri brasiliani

NUMERI BRASILIANI di Franco Astengo Elettori:156.453.444 Lula 60.345.999 38,57% sul totale degli aventi diritto Bolsonaro 58.206.354 37,20% sul totale degli aventi diritto Non partecipanti al voto: 32.200. 558 20,58% Bianche: 1.769.768 1,13% Nulle: 3.930.765 2,51% Percentuale dei voti validi sul totale: 75,78% Questi dati ci dicono: 1) Il livello di partecipazione è stato molto più alto della media occidentale (in Italia, il 25 settembre, la percentuale dei voti validi, detratta astensione, bianche e nulle è stata del 61,03%); 2) Non si sono avute forti defezioni tra il primo e il secondo turno: l'astensione è salita soltanto dello 0,37% passando dal 20,58% al 20,95% 3) La vittoria di Lula è sicuramente rappresentativa con quasi il 40% dei voti sul totale del corpo elettorale; 4) Anche dal punto di vista dei numeri assoluti il distacco è sufficientemente netto: alla fine si tratta di 2.139.645 suffragi pari all'1,37% sul totale degli aventi diritto 5) La questione vera che si presenta nel dopo voto è la divisione del Paese essenzialmente sotto l'aspetto geografico: dal Nord che ha votato compatto Lula (salvo i due piccoli stati di Roraima e Amapà) al Sud che ha votato Bolsonaro (a Rio 5.403.153 voti per Bolsonaro, 4.156.217 per Lula; a San Paolo 14.216.587 voti per Bolsonaro, 11.519.882 per Lula). 6) La divisione geopolitica appare ancora più evidente osservando i risultati stato per stato: i soli stati che possono essere considerati "testa a testa" sono l'Amazzonia (Lula al 51,10%), Amapà (Bolosnaro 51,36%) Tocantins (Lula 51,36%) Minas Gerais (Lula 50,20%).Per il resto successi molti netti sia per Lula sia per Bolsonaro nei rispettivi stati in cui hanno avuto la maggioranza. Un dato che potrebbe far pensare anche a una messa in discussione dell'unità dello stato perché corrispondente a profondissime divisioni sul terreno economico, sociale, delle condizioni di vita. Ecco il dettaglio Stato per Stato (percentuali sui voti validi): AMAZZONIA Lula 1.004. 991 51,10% Bolsonaro 961.74148,90% RORAIMA Lula 67.128 23,92% Bolsonaro 213.518 76,08% ACRE Lula 121.566 29,70% Bolsonaro 287.750 70,30% AMAPA' Lula 189.918 48,64% Bolsonaro 200.547 51,36% PARA' Lula 2.509.084 54,75% Bolsonaro 2.073.895 45,25% MARANHAO Lula2.668.425 71,14% Bolsonaro 1.082.749 28,86% TOCANTINS Lula 434.593 51,36% Bolsonaro 411.564 48, 64% PIAUI Lula 1.551.383 76,86% Bolsonaro 467.065 23,14% CEARA' Lula 3.807.891 69,97% Bolsonaro 1.634.477 31,03% RIO GRANDE DO NORTE Lula 1.326.785 65,10% Bolsonaro 711.381 34,90% PARAIBA Lula 1.601.953 66,62% Bolsonaro 802.502% 33,38% PERNAMBUCO Lula 3,640.933 66,93% Bolsonaro 1.798.832 33,07% SERGIPE Lula 862.951 67,21% Bolsonaro 421.086 32,79% ALAGOAS Lula 976.831 58,68% Bolsonaro 687.727 41,32% BAHIA Lula 6.097.815 72,12% Bolsonaro 2.357.028 27,88% RONDONIA Lula 262.904 29, 34% Bolsonaro 623.666 70,66% MATO GROSSO Lula 652.786 34,92% Bolsonaro 1,216,708 65,08% GOIAS Lula 1.542.115 41,29% Bolsonaro 2.193.041 58,71% DISTRITO FEDERAL Lula 729.295 41,19% Bolsonaro 1.041.331 58,81% MINAIS GERAIS Lula 6.190.960 50,20% Bolsonaro 6.141.310 49,80% ESPIRITO SANTO Lula 926.727 41,96% Bolsonaro 1.282.145 58,04% RIO DE JANEIRO Lula 4.156.217 43,47% Bolsonaro 5.403.894 56,53% MATO GROSSO DO SUL Lula 599.547 40,51% Bolsonaro 880.606 59,49% SAO PAULO Lula 11.519.882 44,76% Bolsonaro 14,216.587 55,24% PARANA' Lula 2.506.605 37,60% Bolsonaro 4.159.343 62,40% SANTA CATARINA Lula 1.351.918 30,73% Bolsonaro 3.047.630 69,27 RIO GRANDE DO SUL Lula 2.891.951 43,65% Bolsonaro 3.733.185 56,35%

L'agenda di politica sociale e del lavoro della Destra: occasione per una proposta di sinistra finalmente alternativa e credibile? - Etica ed Economia

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