venerdì 28 giugno 2013

The PES Council In Bulgaria: A Historic Step Towards A New Europe

The PES Council In Bulgaria: A Historic Step Towards A New Europe

Australian Labor Changes Leaders: Is This Politics Or Melodrama?

Australian Labor Changes Leaders: Is This Politics Or Melodrama?

A welfare e occupazione, i fondi degli F35 / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

A welfare e occupazione, i fondi degli F35 / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Che cosa succede in Brasile? / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Che cosa succede in Brasile? / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Per cambiare l’euro deve cambiare Berlino / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Per cambiare l’euro deve cambiare Berlino / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Un bilancio europeo, nel segno dell'austerità / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Un bilancio europeo, nel segno dell'austerità / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

CGIL - Camusso, segnali positivi dal decreto lavoro, ma redistribuire reddito

CGIL - Camusso, segnali positivi dal decreto lavoro, ma redistribuire reddito

Associazione LavoroWelfare » I ragazzi di Gezi e l’articolo 18: la battaglia turca per i diritti sindacali

Associazione LavoroWelfare » I ragazzi di Gezi e l’articolo 18: la battaglia turca per i diritti sindacali

Francesco Maria Mariotti: Afghanistan, ce ne andremo realmente?

Una breve rassegna di articoli, per riflettere sull'annunciato "ritiro" (ridispiegamento?) delle truppe alleate in Afghanistan. Qualche dato innanzitutto per capire che in Afghanistan l'impegno sarà ancora pesante e prolungato, andando al di là del 2014; sarà necessario mettere in conto ancora diversi anni di permanenza dei nostri soldati, sia pure in numero minore. Ma quale scenario si propetta per il paese? Le valutazioni divergono: inevitabilmente quelle militari italiane tendono a presentare il "bicchiere mezzo pieno", un Afghanistan che si stabilizza, pur con molte contraddizioni; molte altre voci però - e gravi episodi (si legga dei diplomatici afghani che non vogliono tornare nel paese, si pensi agli ultimi attentati) - segnalano il rischio che dopo il "ritiro" delle truppe alleate la situazione possa degenerare, arrivando a una guerra civile vasta e prolungata. Segnalo poi altri link - non recentissimi, per la verità - per capire come la partita in Afghanistan è anche - ovviamente - economica. Che ne sarà di accordi e prospettive che si erano aperte, forse anche per il nostro paese? Saremo ancora presenti, probabilmente, in altro modo. Ma con quale efficacia? Purtroppo il tema non è semplice. Ma ritorna la percezione di una guerra non totalmente spiegata all'opinione pubblica, non pienamente esplorata in tutti i suoi aspetti politici, militari, ed economici, al di là della retorica - in parte vera, in parte inevitabilmente esagerata - della "guerra per la democrazia". Una situazione non nuova, purtroppo. Forse ancora un'occasione persa per la nostra politica estera. Faremo meglio "la prossima volta"? Quando magari dovremo "tornare"? Francesco Maria Mariotti *** Il corpo diplomatico afghano sbanda e cerca in ogni modo di non rientrare a Kabul temendo il caos che potrebbe dilagare nel Paese in seguito al ritiro delle truppe della Nato. Secondo fonti citate dal giornale tedesco Spiegel il fenomeno è ormai molto esteso e rappresenta un importante indicatore di come viene percepito già oggi il futuro dell'Afghanistan, a un anno e mezzo dalla conclusione della missione Isaf, da una parte rilevante della sua classe dirigente. Sabato scorso 105 diplomatici impiegati a rotazione nelle ambasciate di tutto il mondo avrebbero dovuto presentarsi al ministero degli Esteri di Kabul ma di questi solo cinque si sono presentati mentre tutti gli altri, inclusi numerosi dipendenti dell'ambasciata a Berlino, sono rimasti nel Paese dove svolgevano servizio. di Gianandrea Gaiani - Il Sole 24 Ore - leggi su Diplomatici afghani in fuga in vista del ritiro della Nato (Gianandrea Gaiani, ilsole24Ore) In Afghanistan rimarremo ancora (Gianandrea Gaiani, Analisi Difesa, video) Come aveva anticipato Analisi Difesa le truppe italiane destinate a restare in Afghanistan dopo il 2014 nell’ambito della missione NATO Resolute Suupport non saranno poche decine (come aveva sostenuto giorni fa il ministro della Difesa, Mario Mauro) ma tra 500 e 700. Effettivi numericamente simili ai 6/800 tedeschi che manterranno la presenza nel nord afghano. Ne hanno discusso il 20 giugno a Herat i ministri della Difesa di Italia, Germania ed Afghanistan (nella foto). “Sara’ il Parlamento – ha premesso il ministro Mario Mauro – a valutare e poi votare sulla nostra nuova missione. Io sono qui par raccogliere informazioni e dico che non possiamo far mancare il nostro sostegno a questo Paese, se non vogliamo che torni l’atroce dittatura del passato. Resolute Support sarà una missione no combat, con l’obiettivo di proseguire l’assistenza e l’addestramento alle forze di sicurezza afgane. Non sono più previsti compiti di contrasto all’insorgenza o al narcotraffico. Gli italiani rimarranno nella zona di Herat anche dopo il 2014, con un numero di addestratori compreso tra 500 e 700. Ma, come ha sottolineato il ministro tedesco Thomas De Maiziere, “serve prima un accordo fra Nato e l’Afghanistan su quello che i militari della coalizione potranno o non potranno fare”. In sostanza, si sta discutendo che lo status giuridico di quelle che saranno le forze di Resolute Support, con l’obiettivo di evitare che siano sottoposte alle leggi di Kabul”. Da parte sua il ministro afgano Dismillah Mohammadi, ha ostentato ottimismo. Tutto il territorio nazionale – ha assicurato – è sotto il pieno controllo delle forze di sicurezza afgane, tranne quattro distretti in cui è ancora forte l’influenza degli insorgenti. In Afghanistan resteranno 5/700 militari italiani dopo il 2014 (Analisi Difesa) Nella primavera del 2014, infatti, scadrà l’ultimo mandato del presidente Karzai e da tempo, a Kabul, si gioca un rischio politico fra i possibili candidati per la ridefinizione delle regole elettorali. L’obiettivo della comunità internazionale è obbligare il governo di Kabul a non manipolare le prossime elezioni, evitando il disastro vergognoso delle elezioni del 2009, contrassegnate da brogli scandalosi e da controlli semplicemente inesistenti. Dare credibilità al sistema politico afghano è considerato prioritario tanto quanto la tenuta delle ANSF; anzi: secondo molte analisi, questi due elementi sono interrelati. Un fallimento militare favorirebbe la polarizzazione etno-settaria del panorama politico afghano, indebolendo i pashtun legati a Kabul a vantaggi degli altri gruppi etnici. Parallelamente, l’esplodere di conflittualità politiche per via di elezioni fortemente manipolate indebolirebbe le ANSF, frammentandole etnicamente e facendone crollare il morale. In ogni caso, quale che sia il risultato di questi sforzi per stabilizzare l’Afghanistan prima del 2014, sono evidenti due fattori: il primo è che l’impegno internazionale non potrà venir meno. I governi occidentali sono comprensibilmente vaghi con le proprie pubbliche opinioni, per lo più contrarie all’impegno in questa lontana regione dell’Asia centrale; ma è impensabile immaginare che ISAF chiuda nel 2014. Per molti anni a venire, il governo di Kabul avrà bisogno non solo dell’aiuto economico e finanziario della comunità internazionale, ma anche di un sostegno militare tutt’altro che trascurabile: supporto aereo e d’artiglieria nelle operazioni, intelligence, logistica e soprattutto training. Per questo, non meno di 10.000-12.000 soldati occidentali dovranno rimanere stabilmente dislocati sul territorio. Il secondo fattore è quello regionale, e in particolare il ruolo del Pakistan (...) Le ragioni di cauto ottimismo sull’Afghanistan (Riccardo Redaelli, Aspenia online, 29/4/2013) I dati forniti dall'Unhcr sono allarmanti e dimostrano che il Paese - liberato dal regime dei talebani nel 2001- è ancora lontano da una sua stabilità. Fonti diAsiaNews sostengono che in 12 anni di occupazione delle forze Nato, non si è assistito ad alcun progresso, né sul piano sociale, né economico. Il ritiro delle truppe straniere dal Paese previsto per il 2014 è visto dalla popolazione con sollievo, ma anche con timore. In questi anni i talebani hanno riacquistato forza: lo scorso 27 maggio gli estremisti islamici hanno sferrato un attacco nel pieno centro della capitale costato la vita a cinque persone e decine di feriti. Fra i morti anche l'italiana Barbara de Anna, funzionaria dell'organizzazione internazionale per le migrazioni, deceduta oggi, dopo diverse settimane di ricovero in un ospedale in Germania; lo scorso 18 giugno un kamikaze si è fatto esplodere contro un convoglio con a bordo Haji Mohammad Mohaqeq, vice-presidente e leader della minoranza Hazara. L'attentato è avvenuto nella parte ovest di Kabul e ha ucciso tre persone, lasciando illeso il leader politico. La forza dei talebani è aumentata anche sul fronte diplomatico, fino ad entrare in aperto contrasto con il governo guidato dal presidente Hamid Karzai. Il 18 giugno il movimento islamista ha inaugurato la sua prima ambasciata a Doha capitale del Qatar. L'emirato ha concesso ai terroristi di issare la propria bandiera e di porre all'entrata una targa con scritto "Islamic Emirate of Afghanistan". Il caso ha fatto infuriare il presidente afghano. In un comunicato ufficiale Karzai ha giudicato l'episodio un vero affronto alla sua autorità e ha boicottato l'incontro diplomatico organizzato da Stati Uniti e Qatar tenutosi lo scorso 19 giugno a Doha. Secondo al-Jazeera, principale emittente dell'Emirato, le autorità avrebbero rimosso bandiera e targa dall'edificio, ma ciò non è bastato per convincere il presidente afghano a partecipare ai colloqui. Un quarto dei profughi di tutto il mondo scappa dall'Afghanistan (AsiaNews, 21/06/2013) Ai passi avanti sul fronte della sicurezza si sono sommati, in un’ottica globale, quelli nel campo dello sviluppo socio-economico. L’Afghanistan rimane un Paese difficile, se lo si considera in termini assoluti, ma presenta – a dodici anni dalla fine del regime Talebano e dall’inizio dell’intervento internazionale – molti segnali di crescita forte. Certo, l’aspettativa di vita è ancora bassa: le ultime statistiche delle Nazioni Unite la fissano a 48,7 anni (in Italia è di 80 anni circa), ma nel 2000 era più bassa ancora, di quasi quattro anni. Nello stesso arco di tempo il reddito pro-capite si è più che triplicato, mentre cresceva in modo netto il livello di istruzione: nel 2000 un giovane afghano frequentava – in media – soltanto due anni di scuola, mentre oggi siamo a circa dieci, con un incremento straordinario della presenza femminile nelle aule scolastiche e universitarie (a Herat circa metà degli undicimila studenti dell’ateneo sono ragazze). L’istruzione è tradizionalmente al centro dell’impegno del contingente italiano, che nella provincia di Herat ha costruito 81 scuole dal 2004 a oggi (13 delle quali inaugurate nel semestre della Taurinense), il che sta permettendo a migliaia di bambini e bambine di frequentare le lezioni all’interno di strutture coperte, solide, riscaldate e attrezzate. Non si può nascondere che le autorità politiche e governative di Herat si dibattano ancora tra diverse difficoltà. La sicurezza della popolazione, in primis: all’espansione economica si è accompagnata quella criminale, che colpisce soprattutto i civili (ma nel 2012 si è registrata una notevole diminuzione del numero di vittime). Le richieste dei cittadini si fanno più pressanti, frutto di una maggiore consapevolezza: (...) Le donne sono più emancipate, si arruolano nell’esercito e in polizia, anche se in certe parti del Paese sono ancora oggetto di violenze assurde. Insomma l’Afghanistan di oggi è in trasformazione, talvolta tumultuosa. Le incognite e i nodi da sciogliere non mancano, ma l’impegno internazionale per la sicurezza e il sacrificio di molti militari italiani – il cui modus operandi continua a riscuotere il plauso degli Afghani e degli Alleati - ha indiscutibilmente aiutato un popolo segnato da trent’anni di guerre a rialzarsi, creando le condizioni minime necessarie per un domani migliore. Adesso il futuro dell’Afghanistan sta giustamente passando nelle mani degli Afghani e negli ultimi sei mesi, il Governatore di Herat – un uomo istruito e pacato con cui è nata un’eccellente collaborazione – ha ripetuto più di una volta che è venuto il momento di fare da sé e che l’Inteqal, la transizione, non è affatto cominciata troppo presto: semmai il contrario Inteqal (Diario da Herat, blog della Stampa, 24/03/2013) Si può fare un bilancio, dopo circa dodici anni, della missione in Afghanistan? Lo potremo fare solo il 5 aprile del prossimo anno, quando si svolgeranno le elezioni. Il futuro del Paese dipenderà molto dagli interessi, anche economici, delle potenze regionali. L’Iran ha fornito oltre un miliardo di dollari di aiuti al Paese. Il Pakistan è interessato a sostenere i talebani. La Cina detiene lo sfruttamento di una grande miniera di rame a circa ottanta chilometri da Kabul. Anche l’India ha i suoi interessi. Intervista a Carlo Jean: perché la parola ritiro non ha senso (Il Secolo d'Italia, 10/06/2013) Kabul (AsiaNews/Agenzie) – In Afghanistan ci sono giacimenti di terre rare, oro, rame, ferro e altri minerali per oltre 3mila miliardi di dollari. Il problema è che le terre rare sono concentrate nella banchina meridionale del Fiume Helmand, tradizionale roccaforte dei ribelli talebani. Questi giacimenti sono noti almeno dalle ricerche compiute dall’Unione Sovietica negli anni ’70, anche se la loro estensione era stata sottovalutata. Geologi Usa nel 2007 hanno stimato questi giacimenti pari a 1,4 milioni di tonnellate. Di recente Wahidullah Shahrani, ministro afghano per le Miniere, ha detto che ci sono molti altri depositi, sparsi per tutto il Paese. Ma finora la ricerca si era concentrata sui giacimenti di rame, ferro e petrolio. Infatti il costo di estrazione delle terre rare è elevato e la Cina le vendeva a tutto il mondo a prezzo molto inferiore. Ma dal 2009 la Cina ha diminuito in modo drastico le esportazioni delle terre rare, dicendo che deve preservarle per ragioni ambientali e per le proprie esigenze. Questi minerali sono essenziali nell’elettronica e in molti settori, dai telefoni cellulari agli autoveicoli ecologici. Per il 2011 ha già annunciato che ridurrà ancora le esportazioni. La notizia ha preoccupato le industrie di alta tecnologia, in particolare il Giappone verso il quale Pechino ha persino bloccato di fatto l’esportazione a settembre, durante una disputa per la sovranità su un gruppo di isole. Ora Tokyo progetta di creare un riciclaggio delle terre rare, come pure di cercare loro sostituti. La Cina produce il 97% di questi minerali, ma si stima che abbia non più del 30% delle riserve mondiali. Stati Uniti, Australia e altri produttori avevano fermato l’estrazione perché non redditizia, di fronte all’economica produzione cinese. Ma ora è ripresa la ricerca e l’estrazione di questi minerali, anche se occorrerà tempo per raggiungere una produzione adeguata. Sotto i piedi dei talebani oltre 3mila miliardi di dollari in terre rare e metalli pregiati (AsiaNews, 18/02/2011) I pochi settori economici che godono di prospettive di sviluppo in Afghanistan sono l’agricoltura, i trasporti e le risorse naturali. Lo sfruttamento di queste ultime sembra essere l’unico in grado di fornire i capitali necessari a sostituire una porzione significativa degli aiuti internazionali. Le stime dell’esecutivo prevedono che il comparto estrattivo rappresenterà il 45% del pil nel 2024 con entrate per 4 mld di dollari annui. Il paese è ricco di rame, ferro, oro, litio, cobalto, terre rare e idrocarburi e le ultime gare per l’assegnazione dei blocchi esplorativi hanno visto la partecipazione di oltre quaranta soggetti stranieri, tra cui ExxonMobil e Schlumberger. Fino a pochi mesi fa il fragile contesto di sicurezza e le carenze infrastrutturali hanno frenato l’azione delle compagnie internazionali lasciando spazio alle grandi imprese di Stato disposte ad assumere maggiori rischi. India e Cina hanno mostrato il maggiore interesse per l’accesso alle risorse del paese. Pechino considera la penetrazione economica in Afghanistan complementare a quella in Pakistan, ovvero finalizzata a sviluppare scambi commerciali con le sue isolate regioni occidentali (Xinjang e Tibet). (...) L’India si è mossa con pari determinazione, spinta dalla volontà di giocare un ruolo di primo piano nel futuro del paese, anche per contrastare l’influenza esercitata dal Pakistan. (...) Risorse naturali, la speranza dell’Afghanistan (Limes, 24/09/2012) Che un paese possa essere letteralmente seduto sulla propria ricchezza è cosa nota. Basta pensare agli emirati e alle monarchie assolute del Golfo Arabo (o Persico, dipende dai punti di vista), che galleggiano sul petrolio. Ultimo in ordine di tempo in questo speciale gruppo di fortunati c’è un paese devastato dalla guerra: l’Afghanistan. In questo caso non si tratta di petrolio, ma di minerali, per una ricchezza stimata dal locale ministero delle miniere in 3000 miliardi di dollari. Terre rare afghane (Giovanni Spataro, leScienze, 5/4/2011) Ministero dello sviluppo Economico - Scheda Afghanistan (15/2/2013) ITALIA-AFGHANISTAN: PROTOCOLLO PER COLLABORAZIONE ECONOMICA (12/4/2011) Ministero dello Sviluppo Economico - Progetto Afghanistan (documenti, 2011) Ministero dello Sviluppo Economico - Progetto Afghanistan (presentazione, 2011)

Taksim and the Left | Brookings Institution

Taksim and the Left | Brookings Institution

In Albania finisce l’era Berisha, con Rama l’Ue è (forse) più vicina - rivista italiana di geopolitica - Limes

In Albania finisce l’era Berisha, con Rama l’Ue è (forse) più vicina - rivista italiana di geopolitica - Limes

Hyman Minsky e la Crisi

Hyman Minsky e la Crisi

Ma è proprio vero che gli italiani lavorano poco e male? | Keynes blog

Ma è proprio vero che gli italiani lavorano poco e male? | Keynes blog

Il cerino spento dell’incendiario Letta | Keynes blog

Il cerino spento dell’incendiario Letta | Keynes blog

Il congresso del Pd: “manca il pensiero” | FONDAZIONE NENNI IL BLOG

Il congresso del Pd: “manca il pensiero” | FONDAZIONE NENNI IL BLOG

Brasile: fine di un sogno? | La Prima Pietra

Brasile: fine di un sogno? | La Prima Pietra

giovedì 27 giugno 2013

Siamo di fronte a un cambio di fase? - Alfabeta2

Siamo di fronte a un cambio di fase? - Alfabeta2

Paolo Zinna: Elogio della saggezza | La Talpa Democratica

Elogio della saggezza | La Talpa Democratica

Europe´s crisis without end: The consequences of neoliberalism run amok

Europe´s crisis without end: The consequences of neoliberalism run amok

Austerità e crisi | Sviluppo Felice

Austerità e crisi | Sviluppo Felice

L’inefficienza della disuguaglianza | Sviluppo Felice

L’inefficienza della disuguaglianza | Sviluppo Felice

Socialist Economic Bulletin: Why do we have ‘austerity’ and what is the alternative?

Socialist Economic Bulletin: Why do we have ‘austerity’ and what is the alternative?

PES Council calls for “a European Industrial Policy for growth and employment” | PES

PES Council calls for “a European Industrial Policy for growth and employment” | PES

PES congratulates Albanian Socialist Party on parliamentary elections victory | PES

PES congratulates Albanian Socialist Party on parliamentary elections victory | PES

PES Council adopts unanimously its first Fundamental Programme | PES

PES Council adopts unanimously its first Fundamental Programme | PES

« PES Programma fondamentale – Sofia, 22 giugno 2013 mondoperaio

« PES Programma fondamentale – Sofia, 22 giugno 2013 mondoperaio

Levy Economics Institute | Publications

Levy Economics Institute | Publications

Qu'attend encore le parti socialiste grec pour quitter le gouvernement ?

Qu'attend encore le parti socialiste grec pour quitter le gouvernement ?

Carlo Patrignani: Socialisti europei: Martin Schulz candidato unico a elezioni 2014

Carlo Patrignani: Socialisti europei: Martin Schulz candidato unico a elezioni 2014

Paolo Bagnoli: Punto di partenza

Dall'Avvenire dei lavoratori I socialisti verso le europee del 2014 Punto di partenza Martin Schulz sarà il candidato socialista alla guida della Commissione europea di Paolo Bagnoli La notizia che era nell’aria da tempo, ora è ufficiale: Martin Schulz sarà il candidato unico alla guida della Commissione europea per i socialisti e coloro che, variamente denominati, condivideranno questa scelta. Essa non può farci che piacere, naturalmente, poiché rappresenta, se non altro, un minimo di soggettività unitaria di un socialismo europeo non certo all’altezza della situazione. E anche se la candidatura decisa dal Consiglio tenutosi a Sofia, accompagnata da una carta d’intenti, denominata “Programma fondamentale”, nella quale vengono ricordati i valori di sempre del socialismo, è un fatto da valutare positivamente, essa, al massimo non può che considerarsi un punto di partenza. Perché occorre una ripresa del socialismo europeo? Nella Carta di Sofia gli ingredienti ci sono tutti, o quasi, anche se in maniera paludata e molto istituzionale. L’acquisizione di una carica, per quanto rilevante quale quella della presidenza della Commissione europea, sempre che ciò avvenga, non è risolutiva, ma soprattutto simbolica: è meglio avere alla guida dell’organismo comunitario un rappresentante della sinistra che non uno della destra. Il problema è che, nel documento di Sofia, manca il movimento; vale a dire la capacità, a fronte di una vittoria alzo zero della destra economica, finanziaria e civile in ogni campo, di rilanciare la ragione strutturale che giustifica il socialismo, ossia la lotta di classe; una vera e propria azione “rivoluzionaria” da portare avanti democraticamente nelle istituzioni. Al dilagante capitalismo finanziario non si può solo contrapporre, rilanciandola, la scelta dello welfare state considerato che, da un lato non ci sono più le risorse per il modello e, dall’altro, considerato che lo scontro è di una qualità diversa rispetto a quella che portò al compromesso del cosiddetto stato del benessere. Il compromesso non è possibile e la salvaguardia di quanto rappresenta il socialismo richiede il rilancio del movimento secondo forme e metodi, naturalmente adeguati agli anni 2000. Martin Schulz Colpisce, se non abbiamo letto male la Carta di Sofia, che difetti del tutto il tema fondamentale della strutturazione politico-istituzionale dell’Europa considerato che le decisioni politiche, quelle che contano, che decidono appunto, non stanno né nella Commissione né del Parlamento – un’assemblea legislativa che poi tale non è – ma in una sorta di para-Stato (il Consiglio) che si sovrappone alla sovranità degli Stati aderenti alla Comunità. Ciò rende naturale ciò di cui ci si scandalizza: mancanza di rappresentatività democratica, di solidale nozione sociale della democrazia medesima, di strapotere da parte delle alte burocrazie senza alcun obbligo di rendicontazione; di riduzione di ogni cosa alla logica del più forte nel nome di improbabili politiche di bilancio. Non che queste, beninteso, non ci debbano essere e non debbano essere controllate. Ma, stante la situazione, esse vanno rapportate a decisioni politiche assunte da sovranità che ne rispondano. La rigidità astrattamente concepita, quasi appartenesse ai principi filosofici, alla fine diviene solo un’arma impugnata dai più forti verso i più deboli. Il fatto, poi, che la debolezza derivi da errori compiuti è un’altra questione. Più Stati comunitariamente legati non fanno uno Stato. Sicché poi ce n’è uno che tende a farlo per tutti. È questo lo spirito e il senso dell’Europa? Può ciò andar bene ai socialisti e ai progressisti che vi si affiancano? E’ chiaro che la soluzione comunitaria richiede cooperazione – e non sempre la cosa è avvenuta nelle maniere giuste. Ma la cooperazione non può escludere la lotta politica poiché senza essa non esiste democrazia. I socialisti devono dare un segno unitario a cifra europea di lotta politica, identitaria e socialmente marcata; solo così l’eventuale successo di Schulz avrà un significato politico. Speriamo che esso segni allora una ripresa più generale. In caso contrario si tratterebbe solo di un cambio di mano.

mercoledì 26 giugno 2013

Pd: ma dove sono finiti gli operai?

Pd: ma dove sono finiti gli operai?

Giuliano Amato - La cuoca di Lenin ha preso il dottorato Ovvero lo “sperimentalismo democratico” di Barca

Giuliano Amato - La cuoca di Lenin ha preso il dottorato Ovvero lo “sperimentalismo democratico” di Barca

Socialist International - Progressive Politics For A Fairer World

Socialist International - Progressive Politics For A Fairer World

Decreto del Fare

Decreto del Fare

La crédibilité économique du Labour : pallier les déficits stratégiques - Les Chroniques - Publications - Fondation Jean-Jaurès

La crédibilité économique du Labour : pallier les déficits stratégiques - Les Chroniques - Publications - Fondation Jean-Jaurès

La macchia umana sull’Europa - micromega-online - micromega

La macchia umana sull’Europa - micromega-online - micromega

Smettiamola di pensare al “lungo periodo” - micromega-online - micromega

Smettiamola di pensare al “lungo periodo” - micromega-online - micromega

In un paese diseguale vince l’inefficenza e perde il merito - micromega-online - micromega

In un paese diseguale vince l’inefficenza e perde il merito - micromega-online - micromega

Disuguaglianza: l’Italia seconda in Europa - micromega-online - micromega

Disuguaglianza: l’Italia seconda in Europa - micromega-online - micromega

Luciano Gallino: Che cosa va chiesto a Palazzo Chigi - micromega-online - micromega

Che cosa va chiesto a Palazzo Chigi - micromega-online - micromega

F35, alla Camera comincia la “battaglia” - micromega-online - micromega

F35, alla Camera comincia la “battaglia” - micromega-online - micromega

L’Europa si prepari al dopo-Fed - micromega-online - micromega

L’Europa si prepari al dopo-Fed - micromega-online - micromega

ROSSELLA GUADAGNINI – Giuliano Ferrara, “Siamo tutti puttane”. Parli per sé, grazie » LA PAGINA DEI BLOG - MicroMega

ROSSELLA GUADAGNINI – Giuliano Ferrara, “Siamo tutti puttane”. Parli per sé, grazie » LA PAGINA DEI BLOG - MicroMega

Il Paradiso amaro che ci lascia Bernanke - micromega-online - micromega

Il Paradiso amaro che ci lascia Bernanke - micromega-online - micromega

Tomaso Greco: “Sperimentiamo uno sconto sul costo del lavoro” | Linkiesta.it

“Sperimentiamo uno sconto sul costo del lavoro” | Linkiesta.it

Vittorio Melandri: Sgradevoli sensazioni

SGRADEVOLI SENSAZIONI Una volta, ho letto Cesare Garboli, affermare: “Le parole vanno trattate come regine.” Che tristezza, assistere invece, allo scempio che ne viene abitualmente fatto; nell’agone politico, ma anche nella vasta platea dei mezzi di “informazione”. Tutte le idee hanno diritto di “emergere”, persino quelle più abiette, sicuri come siamo, (in quanto tutti, ormai collaudati liberal-democratici), che sarà sempre il confronto, ad espellere quelle sbagliate, dalla pratica convivenza civile. Perché allora, mi chiedo, con una buona dose di ingenuità, alcuni campioni, di liberaldemocrazia, anziché esporre le proprie idee, stravolgono sistematicamente quelle degli altri, perché per perseguire tale fine, trattano male le proprie parole, sino al punto di piegarle, contro il loro stesso significato? Questa orrenda recita si replica nuovamente all’indomani dell’uscita della sentenza del Tribunale di Milano che ha giudicato colpevole Silvio Berlusconi dei reati ascrittigli, “concussione per costrizione e per prostituzione minorile”. Pacificazione è la parola più violata, più stuprata, e più offesa del giorno. Sia da parte di chi la dichiara colpita a morte, esponenti del Pdl, sia da parte di chi penosamente, esponenti del PD, si affannano a dire che niente mette in pericolo il clima di “pacificazione” che tiene insieme la maggioranza che regge il governo. Che tristezza anche leggere il titolo del Corriere a doppia lettura. “Sentenza dura per Berlusconi: sette anni” Dura perché?, ai lettori la possibilità di identificarsi con la risposta che meglio credono… ma sono mezzucci che non pagano, e il Corriere i lettori li perde a ciuffi lo stesso. Altri tempi quando Ferruccio De Bortoli, 31 luglio 2002, definiva gli avvocati dell’epoca, il solito Ghedini e il sostituito Pecorella (dall’odierno Longo) ….. “quegli onorevoli avvocaticchi preoccupati più per i loro onorari che per le sorti del Paese.” Anche se è vero che una successiva sentenza ha condannato de Bortoli per aver usato l’efficace espressione, il linguaggio con cui oggi il Corriere diretto dal “de Bortoli ritornato” sostiene l’insostenibile, ovvero che il povero Berlusconi si trova oggi sotto schiaffo de “I Dubbi, le conseguenze” …. di una sentenza violenta…. Per dirla con il titolo dell’editoriale che rispecchia la linea del giornale affidato a Pigi B….. Rende davvero palpabili….. “Sgradevoli sensazioni” … e questo era il titolo del Corriere di quel lontano 31 luglio 2002, e pare impossibile che questi dieci anni siano anche loro passati invano, e che le cose italiane siano ancora peggiorate, “maritate” come sono, non già ad un leader impresentabile, ma ad una corte ignobile e servile che ancora lo sorregge. Questa poesia di Giorgio Caproni credo che ben si addica a descrivere il senso di impotenza che imprigiona tutto il nostro disgraziato paese, sempre più letteralmente fuor di senno. IL FUOR DI SENNO «Non si passa!», quasi urlava. E teneva – ritto in mezzo alla strada – le braccia aperte, quasi bastasse quella barriera a bloccare l’irrompere – fulmineo – della sera. Giorgio Caproni (Dalla raccolta “Il franco cacciatore”).

Sergio Ferrari: Un libro di Paolo Bagnoli

Un libro di Paolo Bagnoli Sergio Ferrari La crisi economica internazionale avviene in una fase storica che coglie il nostro paese nel pieno di una crisi politica evidenziata dalla fine della prima repubblica, non certo superata dalle vicende della seconda. Anzi per certi aspetti le difficoltà economiche della seconda hanno accentuato la caduta dei valori e della qualità della politica già messa in atto nella prima. Queste sono le questioni affrontate con ampie argomentazione e con puntuali riferimenti alla cronaca politica di questi anni, in una agile ma densa pubblicazione di Paolo Bagnoli dal titolo significativo: L’Eclissi. Tutta l’esperienza “Monti” considerata in questa chiave consente di capire – tra l’altro – la coerenza tra la gravità della nostra crisi finanziaria e le politiche economiche attuate a carico sempre dei più deboli, oltre a tutto partendo da una distribuzione della ricchezza tra le peggiori ma mai messe in discussione pur essendo una condizione negativa per ogni ipotesi di ripresa. A queste osservazioni, già variamente note, Bagnoli aggiunge una serie di analisi su vicende che segnalano come si stiano realizzando dei cambi sostanziali “della nostra democrazia fondata sulla centralità del Parlamento, verso una forma esulante quelle norme non scritte che costituiscono l’esprìt rèpubblicain dello Stato; che ci troviamo di fronte a una caduta di valori che riscrive materialmente la Costituzione senza cambiarne la forma. Un processo, questo, peraltro già in moto da tempo….” Inoltre Bagnoli ci ricorda che “ se riduciamo il governo di un paese a un mera funzione tecnica è chiaro che il cardine della democrazia, con quanto a essa è legato e collegato, perde valore e significato…… da ciò consegue che essendo la democrazia la forma politica della libertà, non si può intaccare l’una senza che non ne venga intaccata pure l’altra”. Dunque crisi economica e crisi politica dove ormai l’una sostiene e alimenta l’altra, e viceversa. “Sulla complessità della questione democratica italiana, irrisolta dalla stagione di tangentopoli in poi, grava come un macigno il plurimo fallimento rappresentato da Silvio Berlusconi e della destra cui non ha fatto da controfaccia un’efficace azione da parte dello schieramento opposto per l’incapacità del PD di rappresentare una identità reale”. Questo è un altro dei fili conduttori che aiutano a comprendere i percorsi della nostra eclisse. I timori di esiti fuori dai binari trovano un riscontro in una sistema di gestione dell’informazione molto controllato – compresa la cosi detta grande stampa indipendente richiamata anche da Bagnoli – aggiungendo così una dimensione preoccupante per le nostre vicende future. In queste condizioni le pretese di superare questo declino ricorrendo alle riforme istituzionali, tutte connotate con ipotesi di aumento degli aspetti verticistici, rappresenta una “ cura” da evitare accuratamente poiché mancano i presupposti etici e culturali per mettere mano, senza fare danni, alla nostra attuale Costituzione Cambiare il Porcellum rappresenta il massimo delle riforme attuali. Solo verificando cosa nasce successivamente si potrà pensare di andare verso qualche altra riforma istituzionale. Sperare in una nascita a breve di una destra democratica e liberale è ad oggi auspicabile anche per chi si colloca su versanti diversi, ma resta per ora un evento del tutto avveniristico. Ma sull’altro fronte, come dice Bagnoli annotando le elezioni del 24/25 febbraio; “ viene confermato come ogni sinistra che si ponga sia nell’ottica sussidiaria del centro-sinistra sia in quella più radical-giustizialista, non trova consensi confermando con ciò la necessità di una vera ripresa socialista.” In altre parole la questione della storia e dell’identità di un partito – accuratamente accantonata – resta di fatto la questione che tiene impegnato e bloccato questo partito avendo scelto a suo tempo la collocazione paraliberista come ipotesi di conservazione del potere con conseguenti alleanze e connubi. Ma poiché il liberismo è andato in crisi, i cocci rischiano di travolgere anche questo che – bene o male – era certamente una anomalia in Europa, ma era anche rimasto l’unico partito in Italia. Da qui quel richiamo di Bagnoli per “una ripresa socialista” come unica risposta possibile di una sinistra certamente composita come sono sempre stati i partiti socialisti ma almeno alternativi alla destra. Queste questioni si agitano in maniera allusiva, incerta e alle volta anche inconsciamente, nel dibattito preparatorio del prossimo Congresso del PD. Tuttavia se si dovesse arrivare a quella scadenza con l’attuale inconsistenza politica e senza una più corretta formulazione di quella possibile “ripresa”, la prima conseguenza sarebbe che si vedrebbe confermato ancora e per un tempo incerto, quel declino economico e sociale che già conosciamo e una emarginazione sul piano politico internazionale,. sperando che la crisi della dimensione democratica del nostro paese si fermi al “declino” dove con questo termine occorre comprendere anche una crescente astensione non solo dalle vicende elettorali. . Un percorso ineluttabile?. Nò, certamente ma occorre sapere che restando fermi l’entità del cambiamento necessario per uscire dai pasticci tende ad aumentare con il passare del tempo. Volendo, allora, essere attori di una reazione in positivo sembra difficile non coniugare il senso, appunto, di una “ripresa” socialista. Alternative diverse di una qualche intelligenza, nessuno ne ha avanzate e “l’avere lasciato al neoliberismo campo libero …. ha avuto come effetto la nascita del populismo e l’irrobustirsi delle tendenze politiche di destra.. “. “ora se questo è lo scenario, il punto di ripartenza – quello sul quale rimotivare l’intenzione storica e costruire una cultura politica per un movimento politico di alternativa - è ribadire il rapporto indissolubile del socialismo con la libertà, la democrazia e la giustizia sociale.” Inoltre “le tendenze in atto pongono sul tappeto la questione di dare al futuro socialista il respiro ideologico-programmatico necessario, anche in relazione ai modelli di società, Stato, rapporti internazionali che devono essere rappresentati nelle dimensioni di una lotta politica nella quale la questione della democrazia, quella dei diritti e quella della giustizia sociale si coniugano strettamente a livello nazionale come a quello internazionale.” Come si vede si tratta di un “declino” nel quale si è aperto una ampia domanda di inversione di marcia. Occorre indicare la bussola sapendo che anche questa esiste, un po’ impolverata ma solo perché si è pensato, sbagliando, che non fosse più necessaria, che andare a destra o a sinistra fosse la stessa cosa. Ma non è così.

domenica 23 giugno 2013

Franco Astengo: Nessuno inventa nulla

NESSUNO INVENTA NULLA E NON HO ALCUN TIMORE DI DEFINIRMI “VETERO” dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Mi capita spesso, nel leggere o nell’ascoltare interventi di analisi, riflessione, proposta politica, di provare una sorta di angoscia. Compare, infatti, trasversalmente dal punto di vista della collocazione culturale e politica dei diversi autori, una sorta di affannosa rincorsa a una sorta di indiscriminato “nuovismo”: il ‘900 è finito, servono soluzioni “nuove”, le categorie classiche di interpretazione filosofica, sociologica, economica appaiono ormai totalmente superate. Non parliamo poi delle interpretazioni di natura politologica: ruolo dei partiti, rapporto tra sistema politico e società, funzione delle istituzioni. Tutto uno scibile che appare ormai del tutto obsoleto e lasciato a una sorta di furia iconoclasta: distruggere per mandare “tutti a casa”, rottamare, con lo scopo, evidentemente, di lasciare – esauriti i corpi intermedi- un “uomo solo al comando”. Esaltazione dell’individualismo, della personalizzazione, della politica intesa come forma esclusiva della scalata al potere. Eppure intorno a noi gli effetti della crisi, o meglio della gestione capitalistica della crisi, dicono altro: sono in atto i meccanismi classici della creazione del cosiddetto “esercito di riserva”, avanza nuovamente - sotto le mentite spoglie della globalizzazione – la “guerra tra i poveri”. Emergono, qui da noi nel cuore del capitalismo maturo, aree di vera e propria disperazione sociale; si ravvede il ritorno a condizioni materiali di vita simili a quelle dei tempi di guerra; i giovani appaiono emarginati e dispersi. Una disperazione che riguarda tutti i ceti sociali, senza distinzione alcuna : una disperazione che si vede anche senza l’utilizzo di sofisticate metodologie di analisi sociologica. Non si comprende, allora, perché tutti i corifei del “nuovismo” si limitano a proclamare un generico antiliberismo, anziché proclamare a chiare lettere come sarebbe necessario la necessità di una forza anticapitalista, basata sull’analisi marxiana da utilizzare soprattutto laddove si analizza la complessità della collocazione di classe: situazione che, appunto, va verificandosi con grande ampiezza proprio in questa fase. Emergono movimenti di contrasto a questo drammatico stato di cose anche forti e importanti, in varie parti del mondo e d’Europa: ciò nonostante non si può proprio affermare che ci troviamo in una situazione di tipo pre-rivoluzionario. Anzi alla disgregazione sociale si affianca una forte difficoltà politica espressa soprattutto da parte delle forze che dovrebbero collocarsi in un ipotetico campo progressista che hanno, invece, introiettato del tutto i modelli dell’avversario. Torno però al tema degli effetti della crisi. Mi pare emergano davvero proposte di soluzione per alcune delle questioni più urgenti che possono far affermare come davvero “nessuno inventa nulla”. Sviluppo due esempi molto semplici vicini alla nostra realtà immediata: Giavazzi sul “Corriere della Sera” proponeva di pagare i debiti della P.A attraverso l’emissione di BTP (in sostanza una manovra di debito pubblico, mi pare di tipico modello keynesiano); sui giornali compare l’ipotesi di un “ricambio generazionale” attraverso uno scambio tra anziani e giovani nei posti di lavoro (si comincerà con alcune aziende, ma già si pensa al grande serbatoio del pubblico impiego, per una manovra che un tempo sarebbe stata tacciata di mero clientelismo). Insomma: soluzioni assolutamente non in linea con il conclamato liberismo di cui in realtà, in questi anni, non è stato ravvisato alcunchè nel concreto delle dinamiche economiche: si è trattato, invece, di una gigantesco processo di finanziarizzazione dell’economia prodotto allo scopo di rendere ricchi i già ricchi e ulteriormente poveri quelli già poveri, poggiando – socialmente – su quei due pilastri cui già ho accennato: la creazione dell’esercito di riserva e proprio la “guerra tra i poveri”. Schematismo? Semplificazione? : forse, ma proprio l’involuzione che stiamo verificando nella condizione di vita delle masse popolari, il venire meno dei diritti sociali, la sparizione del welfare indicano con chiarezza che questo presunto schematismo incontra la realtà dei fatti, la dura replica della storia. A questo stato di cose va contrapposta direttamente l’idea di una “società altra”, di una trasformazione complessiva degli equilibri sociali, della prospettiva dello sviluppo delle forze produttive, intrecciando il complesso delle contraddizioni materialiste e post-materialiste in una visione di società che abbia al centro l’idea non perseguibile individualisticamente del riscatto sociale Come si può osservare c’è molto da recuperare in ciò che da più parti si considera superato e obsoleto sul terreno dell’analisi sociale e della proposta politica. Mi permetto di compiere eguale valutazione anche rispetto alle forme dell’agire politico, in particolare rispetto al tema del Partito. Resto convinto, infatti, non soltanto che la miglior forma organizzativa di una democrazia (che nel “caso italiano” sono convinto debba restare fondata sul modello parlamentare delineato dalla Costituzione Repubblicana), rimane quella fondata sui partiti. I partiti, pur nel modificarsi del loro modo d’essere e di organizzarsi in ragione delle profonde trasformazioni della tecnologia e dell’impatto che questa ha avuto essenzialmente sulle comunicazioni e di conseguenza sull’assetto sociale, rimangono essenziali e devono recuperare, anche sotto quest’aspetto non mi nascondo certo dietro un dito, la loro funzione di “integrazione di massa”, con un ruolo anche pedagogico, di vera e propria formazione politica, non restando semplicemente soggetti destinati a fornire “quadri” per un’indistinta, simil-tecnocratica (in realtà ferocemente classista) gestione del potere. Ho cercato di sviluppare soltanto alcuni accenni a temi che ritengo dovrebbero essere approfonditi con grande attenzione proprio in questa fase dove trasformismo, opportunismo, smarrimento, sembrano farla da padrone. Abbiamo vissuto stagioni diverse di vita politica rispetto a quelle attuali: dobbiamo analizzare ciò che sta accadendo ma senza smarrire le nostre coordinate fondamentali e non cedere sui principi di fondo. Non proprio il caso di abdicare, accettando tranquillamente anche l’accusa di vetustà. Come sempre sarà la storia a distribuire le esatte ragioni e la storia, nonostante ciò che ha scritto Fukuyama, non è davvero finita. In aggiunta: non credo sia questo il momento del limitarsi all’analisi sociologica, piuttosto si tratta di aprire una vera e propria stagione di ricostituzione di soggettività e di definizione d’identità attorno a due elementi analitici di fondo: la definizione di una prospettiva di trasformazione della società sulla base dell’intreccio tra le contraddizioni “materialiste” e “post-materialiste” ( un tema, mutatis mutandis affrontato anche da Marx e Engels nell’intreccio tra lotta di classe, liberazione nazionale dei popoli, liberazione coloniale, questione sessuale) ed una proposta politica “di progetto” sulla base del mutato rapporto tra struttura e sovrastruttura ( istituzioni e comunicazioni, ad esempio, struttura o sovrastruttura?). La questione quindi non è quella dell’analisi dei soggetti sociali e dei movimenti che li rappresentano nell’immediatezza rivendicativa, ma quella del “partito” che produce proposta politica e la porta, nella complessità della sua struttura, nella società trasformandola , per quanto possibile, in oggetto “generale” della lotta politica. Franco Astengo

Carlo Patrignani: Le società progressiste, diversamente ricche e laiche del Partito socialista europeo

Carlo Patrignani: Le società progressiste, diversamente ricche e laiche del Partito socialista europeo

venerdì 21 giugno 2013

Fondazione Critica Liberale - la miseria del neo liberismo colpisce anche Adam Smith (n.100)

Fondazione Critica Liberale - la miseria del neo liberismo colpisce anche Adam Smith (n.100)

"La pazienza è la virtù rivoluzionaria". intervento Pia Locatelli - YouTube

"La pazienza è la virtù rivoluzionaria". intervento Pia Locatelli - YouTube

Decreto crescita, si può fare meglio / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Decreto crescita, si può fare meglio / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

A cosa serve l'accordo commerciale USA-UE? | Lo Spazio della Politica

A cosa serve l'accordo commerciale USA-UE? | Lo Spazio della Politica

L’austerità espansiva e i numeri (sbagliati) di Reinhart e Rogoff | Economia e Politica

L’austerità espansiva e i numeri (sbagliati) di Reinhart e Rogoff | Economia e Politica

Nella crisi aumentano i ricchi - ControLaCrisi.org

Nella crisi aumentano i ricchi - ControLaCrisi.org

Associazione LavoroWelfare » Disponibile l’opuscolo “L’Italia in Crisi”

Associazione LavoroWelfare » Disponibile l’opuscolo “L’Italia in Crisi”

La scoperta dell’acqua calda | alfredosomoza

La scoperta dell’acqua calda | alfredosomoza

Vittorio Melandri: "Giustizialismo"

“GIUSTIZIALISMO” E per favore, si smetta di usare a sproposito una parola inesistente Nelle lingue del mondo parlate e scritte, gli “imprestiti” da lingue altre da sé, non costituiscono affatto una eccezione. Nel campo musicale ad esempio, molte lingue adottano “imprestiti” dall’italiano, e negli spartiti in inglese piuttosto che in giapponese, si può leggere “grave” piuttosto che “largo” piuttosto che “lento” piuttosto che “presto” proprio in italiano e proprio nel senso che la lingua italiana intende. Ci sono però degli “imprestiti” da una lingua all’altra, che sono vere e proprie truffe. È il caso clamoroso della parola argentina Justicialista, tradotta in italiano in giustizialista (parola carica di senso spregiativo) da cui poi si deriva giustizialismo ed altre parole ancora, ma che in Argentina aveva il preciso significato di Partido Justicialista (PJ) ovvero il nome del partito fondato da Juan Peron nel 1947 contraendo insieme le due parole “Giustizia” e “Socialismo” da cui appunto il Justicialismo argentino. Non sto qui a rifare la storia di Peron e del suo populismo, ma non si può continuare a subire con indifferenza il massacro della lingua italiana e la sua distorsione, perché è dalla corruzione della lingua che poi discende la corruzione generale da cui siamo massacrati come cittadini. Ultimo caso… Il pronunciamento della Corte Costituzionale in merito ad un conflitto fra Presidente del Consiglio dei Ministri e Tribunale di Milano, pendeva di fatto come una spada di Damocle su una sentenza emessa dai giudici della Corte d’Appello di Milano. Annunciato in data 19 giugno u.s. da parte dell’Ufficio Stampa della Corte, l’esito della sentenza della Consulta, oggi sappiamo che la sentenza che ha ritenuto Silvio Berlusconi colpevole del reato di frode fiscale, è una sentenza viva, che attende solo il pronunciamento finale della Suprema Corte di Cassazione. Detta sentenza, allo stato dei fatti, ha confermato integralmente il giudizio di primo grado che dichiarava colpevole il leader Pdl e lo ha condannato ad una pena di 4 anni di reclusione. Abbiamo due sentenze di merito (le sole sentenze di merito, quella attesa dalla Cassazione sarà solo in punto di giurisprudenza) che considerano Silvio Berlusconi capace di frodare quello stesso fisco che più volte come Presidente del Consiglio è stato chiamato, nell’interesse dei cittadini, a far funzionare al meglio. Abbiamo che la Corte Costituzionale osserva…… “che, dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a sèguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall’imputato Presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione…” ….ovvero abbiamo che la Corte Costituzionale osserva che il Silvio Berlusconi Presidente del Consiglio, cercava di “imbrogliare” un Tribunale della Repubblica per favorire il Silvio Berlusconi imputato. Questo dicono gli atti di diverse “Corti” della Repubblica Italiana, ma tutta la classe dirigente della stessa Repubblica, a partire dal Sig. Presidente della Repubblica, parla d’altro, o, quando non parla d’altro, si affanna a spiegare che non è successo niente, e che il leader che sostiene il Governo del Paese, si deve sentire pienamente libero e per nulla condizionato da quanto sopra. Il Sig. Presidente del Consiglio in carica Enrico Letta aggiunge: “il Governo non rischia”. Certo, se un “truffatore”, già condannato per spergiuro, è pienamente libero di esercitare la sua determinante influenza sulla vita del Governo, non è certo il Governo a rischiare, ma è la vita democratica di noi cittadini ad essere posta ben oltre la soglia del rischio, ben oltre anche gli effetti di lunghissimo processo di mitridatizzazione. Vittorio Melandri

giovedì 20 giugno 2013

L'UOVO E LA GALLINA - C.Clericetti - crescita e austerità - | Sindacalmente

L'UOVO E LA GALLINA - C.Clericetti - crescita e austerità - | Sindacalmente

Le contraddizioni del capitalismo finanziario: risposta a Mario Pirani

Le contraddizioni del capitalismo finanziario: risposta a Mario Pirani

« L’eccezione greca mondoperaio

« L’eccezione greca mondoperaio

Il problema è il debito privato, non quello pubblico. Lo dice anche la BCE | Keynes blog

Il problema è il debito privato, non quello pubblico. Lo dice anche la BCE | Keynes blog

Francesco Maria Mariotti: Sminare la Libia

Il 24 maggio scorso (mail "La Palla Continua A Rimbalzare (USA, ITALIA, LIBIA)") avevo segnalato le prime notizie su un rinnovato impegno italiano in Libia. Ora abbiamo - sempre grazie a la Stampa - primi dettagli, che inducono a pensare a uno sforzo molto gravoso, e da non sottovalutare. Stiamo parlando di disarmare circa 500 milizie, un lavoro terribilmente difficile e che - temo - ci costerà molto, anche in termini di vite umane: l' attentato (per fortuna fallito) contro un diplomatico italiano dei giorni scorsi è un triste presagio, in questo senso. Speriamo almeno - come già scritto - che l'Italia abbia contrattato al meglio i "benefici" che dovrebbero venire da un tale richioso compito. Nei giorni in cui si discute delle trattative con i talebani in Afghanistan, in ottica del ritiro delle truppe occidentali (giorni perciò fra i più rischiosi per le truppe, perché i nemici sanno di colpire eserciti in via di "ritirata"), ancora una volta il pensiero va a tutti i soldati che sono impegnati su quel fronte e a quelli che saranno impegnati sul fronte libico, a tutti i "senza nome" che già ora stanno preparando il "campo", monitorando la situazione, prendendo i contatti - anche quelli più scabrosi - per poter gestire al meglio la situazione. Quella libica è una guerra forse mai finita. Una guerra di cui discutiamo assai poco, purtroppo. E oltre a LIbia e Afghanistan: di seguito anche articoli su Iran, Turchia, Giappone. Buona lettura Francesco Maria *** LIBIA Una novità di portata ancora incalcolabile, ma per il momento tenuta «bassa» dal presidente del Consiglio nella conferenza stampa finale del G8: «La Libia è per noi una grande preoccupazione» e in quel Paese l’Italia «intende avere un ruolo molto attivo, fornendo assistenza per la formazione delle strutture militari; aiutando a costruire istituzioni che funzionino» e poi «c’è una parte ancora da costruire, che riguarda la raccolta delle armi: in Libia ce ne sono molte, e il governo non è quello che ne ha di più...». Parole calibrate che però lasciano intendere il compito delicatissimo che il governo ha accettato di prendersi in carico: l’Italia è pronta a tornare in Libia, a tornarci con uomini in divisa e con un obiettivo eloquente: «sminare» quel Paese, provando a togliere le armi dalle mani delle milizie.(...) Letta torna a casa col compito di “sminare” la Libia (F.Martini, laStampa) AFGHANISTAN Ogni studente di politica estera impara presto la massima tragica «Afghanistan, cimitero degli Imperi», perché tra quelle giogaie innevate, valli pietrose e villaggi remoti, fierissime popolazioni di guerrieri hanno respinto nei secoli invasioni di Persiani, Greci, Arabi, Turchi, Mongoli, Inglesi e Russi. Ma ogni mito, prima o poi, perde il magico potere: così l’annuncio che dopo 12 anni di guerra tra la Nato e i talebani si avvia finalmente un negoziato di pace a Kabul, non risolverà d’incanto la difficile situazione del Paese, ma già esorcizza lo spettro del passato. Nessun «Impero», stavolta, verrà sepolto in Afghanistan. Gli ostacoli che restano sul percorso (G.Riotta, laStampa) Ma la partecipazione italiana alla gestione collettiva della sicurezza globale e regionale non inizia e non finisce con l'Afghanistan, e neanche con le missioni internazionali - che siano Onu, Nato o Ue. Perché a ben vedere sono le aree di crisi che ad oggi non sono teatri importanti di intervento ad essere cruciali per gli anni che verranno, a partire da quelli che ci circondano: la Siria, il Libano, la Libia, l'Africa Sub-Sahariana, i Balcani. Aree di conflitto aperto o carsico, inserite in contesti regionali tanto complessi da rendere del tutto impossibile né immaginabile un intervento internazionale di tipo "classico", militare, e che pure non possiamo guardare indifferenti, aspettando che si risolvano da sé. - See more at: L’Italia oltre l’Afghanistan (F.Mogherini, AffarInternazionali) IRAN Il risultato inatteso non deve però fare gridare alla primavera iraniana. Nonostante le posizioni aperte tenute in campagna elettorale, in certi momenti anche di sfida contro il regime (quando per esempio ha parlato della liberazione dei prigionieri politici), Rouhani resta un uomo della elite religiosa del paese (era comunque l'unico candidato religioso di professione), un mujtahid e una delle persone che ha seguito Khomeini in esilio e al suo ritorno. Le elezioni in Iran, per quanto molto lontane dall'essere giudicate libere e corrette secondo degli standard occidentali, sono state un'occasione per esprimere un dissenso contro lo status quo del paese. Dissenso che è stato recepito dall'establishment, che - a differenza del passato - sembra aver accettato il risultati elettorale. Certamente l'Iran è uno dei paese nelle cui mani restano le soluzioni di tanti dossier complicati, a partire da quello siriano. Per trattare con serietà con l'Iran, si deve partire da questo risultato elettorale e dal candidato eletto. Senza cucirci addosso speranze o improbabili interpretazioni che prescindono dalla specificità del contesto. E tenendo conto del fatto che Rouhani, pure nelle contraddizioni del regime iraniano, è un presidente eletto da milioni di cittadini. Iran: elezioni a sorpresa (L.Quartapelle, Qdr) TURCHIA In questi giorni, in cui siamo stati tutti incollati alla televisione, per seguire lo svolgimento degli avvenimenti a Piazza Taksim e nel contiguo Gezi Park, si sono lette e sentite molte analisi, secondo cui la Turchia sarebbe sull'orlo di una rivoluzione, o di una nuova Primavera araba. Non è così, innanzi tutto perché come ha sottolineato il Ministro Emma Bonino, "I turchi non sono arabi e Piazza taksim non è Piazza Tahrir. Quanto sta avvenendo - ha aggiunto - mi ricorda di più Occupy Wall Street". Certamente, è necessario condannare la perdurante brutalità della polizia e l'uso sproporzionato della forza. Sotto esame è la maturità democratica del governo turco, la sua capacità di confrontarsi e dialogare con le diversità di opinione e con le diverse componenti della società, con un approccio aperto, pluralistico e inclusivo. Turchia, democrazia imperfetta (J.Cingoli, CIPMO) Rohani non è un riformista. Anzi, per il suo curriculum, è quanto di più «establishment» si possa trovare nella Repubblica Islamica, e per di più è anche un religioso, uno di quei mullah che risultano ormai invisi e sospetti agli iraniani, la cui profonda religiosità si combina sempre più, alla luce della commistione fra clero e potere (anche quello corrotto), con sentimenti anticlericali. Ma come si spiega allora questa sorpresa? Premesso che fuori dall’Iran la sorpresa è direttamente proporzionale alla semplificazione imperante dell’immagine dell’Iran – una semplificazione secondo cui democrazia e non-democrazia sono alternative nette, senza sfumature – la domanda ci impone di affrontare due diverse componenti del panorama politico iraniano: i conservatori moderati e i riformisti (...) Il regime iraniano si è sempre retto su un doppio riferimento: quello ai principi e quello al maslahat, al pragmatismo, a un criterio di opportunità. Evidentemente in questa fase, dopo i disastrosi anni di Ahmadinejad, tutto meno che pragmatico, l’uomo dei principi Jalili è stato sconfitto da chi incarna soprattutto il maslahat. (...) La chiave sta nel voto riformista, il voto di quei milioni di iraniani, appartenenti alle classi medie ma non solo, che avevano creduto in Khatami, votandolo per ben due volte, ne erano rimasti profondamente delusi, e avevano poi sperato, con Moussavi, di avere un’altra occasione di cambiamento, seppure meno esplicita e più centrista, per poi scendere in piazza nella protesta del Movimento Verde, ben presto messo brutalmente a tacere dalla repressione. (...) Cito da una mail ricevuta da Teheran due giorni prima delle elezioni, in cui un’amica, spiegando la sofferta decisione di votare per Rohani, scriveva fra l’altro: «Tutti sanno che non ci dobbiamo fare troppe illusioni. Vogliamo solamente una persona che possa evitare il peggio e la guerra e ridarci un po’ di spazio per vivere, che possa un po’ cambiare le cose, anche se si tratterà di un cambiamento di non più del 10-20 per cento. Abbiamo bisogno di aria per rimetterci in piedi ed evitare di piombare nella miseria più assoluta, nella guerra o nel talibanismo». Ma che cosa può cambiare con una presidenza Rohani? Non possiamo certo aspettarci una «primavera persiana», ma dallo stesso dibattito elettorale possiamo ricavare con una certa chiarezza che probabilmente il terreno su cui potremo attenderci qualche significativo mutamento di rotta è quello della politica estera, e più concretamente della questione nucleare. (...) Gli iraniani non hanno certo cambiato idea sui diritti del Paese, ma hanno cominciato a chiedersi (e questo non solo i riformisti ma anche i conservatori) quale sia il prezzo dell’intransigenza e di una strategia negoziale di cui non si vedono affatto gli effetti positivi. (...) Quando la politica regala una speranza (R.Toscano, laStampa) GIAPPONE Tutto bene, fino a quando gli investitori non hanno cominciato a credere meno nella potenza di fuoco del Giappone, fortemente collegata anche alla politica monetaria della Federal Reserve statunitense. Arrivano i crolli sul Nikkei, il principale indice azionario giapponese, lo stress dei bond governativi nipponici, e nella mente degli operatori entra l’idea che l’Abenomics possa non essere la soluzione più corretta per far ripartire la macchina giapponese. Se a questo quadro di diffidenza si aggiungono i dubbi di alcuni banchieri, la frittata è fatta. Il membro del board della Bank of Japan Sayuri Shirai ha infatti sottolineato che, almeno nel breve termine, ci sono diversi rischi al ribasso per l’economia nipponica. Non solo. «La pressione sui titoli di Stato giapponesi sui mercati obbligazionari si è fatta sempre più intensa, ma noi monitoriamo la situazione in modo preciso e accurato», ha detto Shirai. La troppa volatilità, sia sull’azionario sia sull’obbligazionario, è un rischio che però si deve correre. E Kuroda è pronto a combattere, come ha ripetuto durante la settimana: «Siamo pronti a valutare la possibilità di estendere la durata delle operazioni di mercato a tasso fisso se ci sarà il bisogno di arginare un eccessivo aumento dei rendimenti obbligazionari». Parole che hanno tranquillizzato gli operatori e che confermano la volontà del Giappone a continuare con questa via per tutto il tempo necessario. (...) Leggi il resto: L’Abenomics e il paradosso della liquidità globale (F.Goria, Linkiesta)

Forum des progressistes européens - Les colloques - Manifestations - Fondation Jean-Jaurès

Forum des progressistes européens - Les colloques - Manifestations - Fondation Jean-Jaurès

Martin Schulz si racconta | EuProgress

Martin Schulz si racconta | EuProgress

Per una riforma del sistema bancario UE | EuProgress

Per una riforma del sistema bancario UE | EuProgress

Budget UE 2014-2020, ancora nessun accordo | EuProgress

Budget UE 2014-2020, ancora nessun accordo | EuProgress

Emiliano Brancaccio » LA SPESA PUBBLICA? E’ SOTTO LA MEDIA UE

Emiliano Brancaccio » LA SPESA PUBBLICA? E’ SOTTO LA MEDIA UE

Gli effetti dell’aumento dell’IVA | La Prima Pietra

Gli effetti dell’aumento dell’IVA | La Prima Pietra

Da cosa nasce #GezyPark | La Prima Pietra

Da cosa nasce #GezyPark | La Prima Pietra

La vittoria elettorale di Rohani, tra moderazione e cauto ottimismo | Aspenia online

La vittoria elettorale di Rohani, tra moderazione e cauto ottimismo | Aspenia online

martedì 18 giugno 2013

Vittorio Melandri: "Usami come vuoi"

“USAMI COME VUOI” Brutti sporchi e cattivi, così a volte si riducono ad essere i poveracci, privi come sono di risorse fisiche, ma soprattutto culturali. Capita così di vedere che fra le “plebi” si diffondano due atteggiamenti apparentemente contradditori, ma a voler ben guardare, veri e propri fratelli gemelli anche se non monozigoti: una feroce rivalità, ed un ebete servilismo. Che tali atteggiamenti però siano anche più diffusi fra le “classi alte”, desta un qualche moto di sorpresa, e se la feroce rivalità con qualche sforzo si “comprende” e rientra nei parametri noti, l’ebete servilismo, almeno in me, induce sempre stupore. Evidentemente nonostante l’età sono ancora un inguaribile ingenuo. Certo è che la Presidente del FMI che rivolgendosi al Presidente della Repubblica di Francia, gli manda a dire “usami come vuoi” non dovrebbe solo creare imbarazzo negli ambienti ovattati del Fondo Monetario Internazionale, ma produrre qualche benefico (in questo caso) senso di superiorità, in quei poveracci “belli puliti e buoni”, e ce ne sono tanti, che per tutta la loro vita sono capaci di “servire” la dignità propria e quella altrui, senza mai disporsi, manco a parole, ad essere usati da chicchessia. Per altro devo personalmente confessare che la mia ingenua sorpresa dinnanzi a questi episodi, è pure in qualche modo “colpevole”, avendo avuta dimostrazione più e più volte, di quanto l’ebete servilismo sia diffuso proprio fra le cosiddette classi alte, comunque queste si possano intendere. Cito qui un solo episodio, per quanto marginale possa apparire. Fra il 1980 e il 1982 sono stato membro della Segreteria della prima CdL d’Italia, quella di Piacenza. In occasione della venuta a Piacenza del glorioso compagno Segretario nazionale della CGIL Luciano Lama, a sera si organizzò un incontro pubblico in Piazza dei Cavalli. Sul palco allestito sotto le finestre di Palazzo Gotico si schierò parte della segreteria camerale a far da corona al compagno Lama, e fra noi sedette il Segretario regionale dell’Emilia Romagna, il primo socialista a diventare tale, quel Giuliano Cazzola che assunte oggi le forme di Nero Wolfe, senza manco lontanamente averne assorbito il carisma e la levatura morale, oggi dopo essere passato al servizio di Berlusconi si presenta nei panni di “grosso” esperto di pensioni. A serata iniziata, si distinse la presenza di una anziana signora in tutta evidenza un poco originale per non dire picchiatella, che in prima fila fra il pubblico creava qualche disturbo all’ordinato svolgersi dell’incontro fra popolo presente e illustre sindacalista. Niente più di qualche disturbo sia chiaro, come chiunque abbia un minimo di pratica di tali contesti conosce per esperienza. Lama non era certo uno privo di esperienza. Ebbene il Cazzola, che non gli era seduto a fianco, si sentì in dovere di chiedere chi fosse la persona che creava disturbo, e poi di annotare l’evidenza su un biglietto che volle far passare di mano in mano per far giungere a Lama ed informarlo del nulla, che la cosa rappresentava, ovvero di quello che Lama aveva compreso da sé in tutta certezza. Questa è, molto, molto spesso, molto più spesso di quanto crediamo, la statura dei cosiddetti e sédicenti “grandi” che ad ogni livello ci governano. Vittorio Melandri

Il doppio standard del Partito Democratico | Insight

Il doppio standard del Partito Democratico | Insight

La macroeconomia della recessione nell'eurizona | Insight

La macroeconomia della recessione nell'eurizona | Insight

Franco D'Alfonso: Ultimo concerto ad Atene

Spesso nella tragedia sociale emerge la grandezza degli uomini. nell'ultimo bellissimo struggente concerto dell'Orchestra sinfonica di Atene, chiusa e dispersa dopo 75 anni di attività, si ritrova tutto questo. Ma le tragedie sociali non sono ineluttabili , che la tragedia greca sia il giusto destino che spetta a chi "non ha fatto i compiti a casa" . E' incredibile come le ricette che sono state applicate dopo il crollo di Wall Street del '29 provocando la Grande Depressione del '31 o con la presidenza di Bush jr , che ha trasformato in meno di cinque anni un attivo di bilancio Usa creato da Clinton nel peggior deficit della storia delle Nazioni in valore assoluto e percentuale , abbiano avuto un tale credito da essere applicate con teutonica severità nella nuova Europa dell'euro . Non si ammette l'errore nemmeno quando si scopre che i cosiddetti "guru" Reinhart e Rogoff non sanno nemmeno usare il foglio elettronico o che gli studi di Alesina e Giavazzi sono considerati poco più del valore della carta sulla quale sono stati scritti dalla comunità scientifica internazionale. Ascoltate questo concerto e pensate a quello che dobbiamo, dovete fare per far sì che questa follia sia fermata e l'orchestra greca torni a suonare per il loro ed il nostro piacere e felicità. Franco D'Alfonso http://willthatbeall.net/?p=319

lunedì 17 giugno 2013

Carlo Patrignani: Socialisti europei lanciano sfida a liberisti: sinistra italiana dove sei?

Carlo Patrignani: Socialisti europei lanciano sfida a liberisti: sinistra italiana dove sei?

Social Democracy: Trap, Utopia Or New Horizon For Europe ?

Social Democracy: Trap, Utopia Or New Horizon For Europe ?

ReteScuole

ReteScuole

Marco Vitale: Comune di Milano, un bilancio sofferto

COMUNE DI MILANO UN BILANCIO SOFFERTO Non sono tempi facili per chi deve cimentarsi con i bilanci comunali, anche se si tratta di amministratori competenti e per bene, come sono certamente quelli che hanno in mano questa partita per il Comune di Milano. Stretti da una lato da bisogni crescenti, soprattutto sul fronte dei servizi di assistenza sociale che la crisi rende più necessari di sempre, dall’altro dalla continua compressione dei trasferimenti e delle entrate, dall’altro ancora da richieste di sostegno a quelle attività che rendono civile una città e ne alimentano lo sviluppo, come le attività culturali, e dall’altro ancora dall’incertezza politica e legislativa di partite chiave per l’equilibrio del bilancio come l’IMU, gli amministratori hanno un compito molto difficile nel far quadrare il bilancio. Per questo Milano è stata la prima, seguita da altri, a chiedere al Parlamento la proroga da giugno a settembre del termine per l’approvazione dei bilanci degli enti locali e la possibilità di usare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente. Entrambe le richieste sono state accolte e ciò è certamente una buona cosa, anche perché testimonia le buone ragioni dei comuni. Ma la partita resta impegnativa ed il maggior tempo ottenuto va bene utilizzato. Ed il Comune non è stato con le mani in mano. Le proposte fatte dalle Direzioni Centrali a inizio 2013 portavano ad uno sbilancio di parte corrente di 437 milioni. La revisione delle voci di entrata e di spesa hanno ridotto lo sbilancio a 231 milioni. Un buon lavoro, anche se alcuni tagli del contributo soprattutto agli anziani ed ai disabili bisognosi, solleva giuste amarezze. Per colmare il deficit residuo il Comune ha deliberato tre interventi: variazione dell’aliquota IMU per l’abitazione principale pari a + 0,15%; incremento dell’addizionale IRPEF dello 0,8% con soglia di esenzione pari a 15.000 euro; adeguamento ISTAT delle tariffe applicate dal Comune ai servizi erogati. Manovra severa ma indispensabile e da condividere. Essa ha, però, sollevato da parte del collegio dei revisori “una forte perplessità circa l’ipotesi di variare l’aliquota IMU sulla prima casa, in considerazione della grande incertezza del quadro normativo che sembra maggiormente orientato alla soppressione del tributo o alla sua totale rivisitazione, in ogni caso orientata al ridimensionamento dell’imposizione su tale tipologia di immobile”. Il Collegio esprime, conseguentemente, il suggerimento di usare estrema prudenza nell’assunzione degli impegni di spesa. Questo suggerimento è certamente da prendere molto seriamente, a prescindere dalla questione dell’IMU. Non è, invece, condivisibile la perplessità sull’intervento sull’aliquota IMU. E’ vero che il Governo ha sospeso, per alcune tipologie di immobili, il versamento della prima rata del tributo, ma ciò non equivale alla cancellazione del tributo. L’IMU resta in vigore (e personalmente spero che resti a lungo perché la sua eliminazione sarebbe una colossale sciocchezza) e bene ha fatto il Comune ad impostare il suo bilancio sulla base della legislazione vigente. Se il governo manterrà il suo impegno (cosa che non credo) di una riforma complessiva della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, entro il 31 agosto, si porranno in essere le necessarie variazioni. Intanto queste discussioni sul bilancio sono positive e speriamo che la cittadinanza si interessi sempre di più alle stesse. Il Comune deve aprire importanti confronti con il Governo, verso il quale ha importanti richieste da sostenere e soprattutto: che tutto il gettito IMU resti al Comune; che sia approvata una deroga al patto di stabilità per Expo. Se in relazione a tali richieste il Comune sarà sostenuto da un’opinione pubblica attenda ed informata, la sua azione sarà molto più efficace. Ma per conquistare un’opinione pubblica attenda ed informarla, bisogna diffondere bilanci comprensibili e farne oggetto di discussione pubblica, bisogna coinvolgere i cittadini (come fece Don Sturzo a Caltagirone nel 1905). Il recente Patto per Milano sembra un buon passo nella giusta direzione. Bisogna unire le forze e chi ama Milano non può speculare sulle difficoltà di bilancio in gran parte dovute a fattori che sfuggono al controllo della Giunta. Il Comune deve poi cercare di elaborare una strategia di bilancio di medio termine per non trovarsi sempre ad affrontare emergenze dell’ultimo minuto. Allora scoprirà, tra l’altro, che le sue vere riserve sono nella maggiore produttività della macchina comunale e in alcune consociate che, se fossero bene amministrate nell’interesse del Comune e degli altri soci e non di soggetti esterni, potrebbero dare frutti molto più proficui. Altri grandi temi strategici sono il ridisegno della struttura del bilancio e del finanziamento degli investimenti in funzione della Città Metropolitana, e la necessità di programmare e concordare un nuovo rapporto con lo Stato e per quanto riguarda la Regione Metropolitana, anche con la Regione, con modalità meno precarie. Insomma si tratta di passare dalla mera ragioneria di bilancio alla politica di bilancio. Marco Vitale Scritto per Il Giorno Milano, 10 giugno 2013

venerdì 14 giugno 2013

One more reason to end this depression now – fascism

One more reason to end this depression now – fascism

How A Greek Drama Became A Global Tragedy

How A Greek Drama Became A Global Tragedy

Paolo Zinna: Vorrei un Presidente del Consiglio capace di…. | La Talpa Democratica

Vorrei un Presidente del Consiglio capace di…. | La Talpa Democratica

Felice Besostri: Attuare la Costituzione, difendere la democrazia

ATTUARE LA COSTITUZIONE –DIFENDERE LA DEMOCRAZIA di Felice Besostri Nello sconfortante panorama dei tentativi di riforma delle nostre istituzioni per vie traverse e in assenza di partecipazione popolare alle decisioni sulla forma di governo e sulla forma di Stato, una notizia conforta chi crede -o semplicemente spera- che l'Italia sia ancora uno Stato di diritto: la Prima Sezione della Corte di Cassazione con Ordinanza n. 12060 del 17 maggio 2013 ha rimesso parti significative della L. 270/2005 di modifica dei Testi Unici per l'elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica alla Corte Costituzionale. Sono sospettati di incostituzionalità sia l’abnorme premio di maggioranza senza una soglia minima in voti e/o seggi e le liste bloccate. Le eccezioni di costituzionalità proposte dai ricorrenti erano più numerose e riguardavano l’irrazionalità della previsione di un premio di maggioranza con la previsione di soglie d’accesso un sacrificio della rappresentanza non necessario per la governabilità, l’incongruità della differenziazione delle soglie di accesso per Camera e Senato ( la vera causa della differenziazione politica tra le due Camere e non –come si vuol far credere- la regionalizzazione dei premi di maggioranza) e la previsione dell’indicazione del capo politico di liste o coalizioni di liste, che ha messo in discussione sia le prerogative del Capo dello Stato che la forma di governo parlamentare della nostra Costituzione attraverso il grimaldello di una legge ordinaria, come è quella elettorale. Ora la cosa istituzionalmente e politicamente più urgente sarebbe un rapido giudizio della Corte Costituzionale, ma non sarà così perché il Governo non ha alcun interesse ad avere, in tempi brevi, una legge elettorale conforme a Costituzione, perché il Porcellum è l’assicurazione sulla durata dal Governo, solo un Capo sello Stato con vocazioni golpiste potrebbe sciogliere la Camere e far procedere al loro rinnovo con una legge elettorale di sospetta costituzionalità, confidando sul fatto, che non c’è nessun giudice competente ad arrestare il processo elettole una volta avviato ( per le elezioni 2008 si vedano le sentenze TAR Lazio, sez. 2 bis n.1855/2008 e Cons.Stato, sez.IV n. 1053/2008 e per le elezioni 2013 la sentenza TAR Lazio, sez. 2 bis n. 5163/2013), spettando ogni controllo alle Giunte delle Elezioni delle Camere elette con la legge di dubbia costituzionalità, grazie alla mancata attuazione della norma di delega ex art. 44 c. 2 lett.d) L.69/2009 in violazione dell’art. 76 Cost.. Sia pure con ritardo e grazie soltanto all’acribia di un pugno di cittadini elettori si è messo in discussione un Parlamento di 945 parlamentari, nominati da 50/100 persone, invece che eletti da 44 milioni di cittadini e si è dato riscontro con 5 anni di ritardo agli avvertimenti e sollecitazioni contenute nelle sentenze n. 15 e 16 2008 della Consulta, frutto dell’opposizione di un pugno di associazioni e movimenti politici di sinistra, tra cui l’ARS ci cui sono stato il difensore in quel giudizio, all’ammissione dei referendum elettorali promossi dal prof. Guzzetta per attribuire il premio di maggioranza alla lista più votata e non più ad una coalizione di liste. I pericoli non sono tramontati perché 3 dei personaggi che difendevano la legittimità del premio di maggioranza sono ora esperti nel Comitato che deve accompagnare il processo di revisione/sovvertimento costituzionale di un Parlamento eletto con legge incostituzionale e che può sopravvivere soltanto fino a quando sarà un supino esecutore di riforme restrittive degli spazi di democrazia e di centralità del Parlamento, di cui sono stati preavviso gli emendamenti costituzionali degli artt. 81, 97, 117 e 119 Cost. nella passata legislatura, con maggioranze dei2/3 per impedire la tenuta di un referendum confermativo: di una maggioranza di questa entità il governo delle larghe intese dispone. L’ARS, alla quale intendo associarmi, dovrebbe farsi promotrice di una larga mobilitazione per impedire che la nostra Costituzione sia stravolta, invece di essere attuata, per esempio approvando una legge sui partiti politici, prevista dall’art. 49 Cost. o restando ancorata alle scelte di un’economia mista e orientata socialmente come previsto dal Titolo Terzo, Rapporti economici della Parte Prima: senza gli artt. 41 e 42 Cost. il caso ILVA non avrebbe potuto essere nemmeno affrontato. Chiarimenti a sinistra sono necessari perché una parte di essa è tuttora vittima della vulgata che vede nel rafforzamento degli esecutivi e nell’elezione diretta dei loro vertici, così come nella progressiva riduzione degli spazi pubblici la risposta moderna alla crisi politica e sociale. Il sacrificio del pluralismo politico è ben rappresentato da un altro dei saggi esperti, il prof. Ceccanti, che, all’unisono con il correlatore Malan del PdL, in sede di modifica della legge elettorale europea, dichiarò che erano necessarie delle soglie d’accesso per impedire che rientrassero in gioco le forze politiche eliminate dal Parlamento nazionale nel 2008. Noi dovremmo avere altre idee anche per raccogliere la sfida del crescente astensionismo elettorale

Un reddito minimo possibile

Un reddito minimo possibile

L’incoerenza della Lettanomics - micromega-online - micromega

L’incoerenza della Lettanomics - micromega-online - micromega

Oltre il rigore. Ecco come investire l’avanzo primario nella crescita - micromega-online - micromega

Oltre il rigore. Ecco come investire l’avanzo primario nella crescita - micromega-online - micromega

La Germania bifronte in scena a Karlsruhe - micromega-online - micromega

La Germania bifronte in scena a Karlsruhe - micromega-online - micromega

mercoledì 12 giugno 2013

Il futuro nel capitalismo manageriale. Intervista a Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini

Il futuro nel capitalismo manageriale. Intervista a Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini

Un percorso per l’Europa

Un percorso per l’Europa

Il fantasma di Keynes turba i sonni del FMI (ma non della BCE) | Keynes blog

Il fantasma di Keynes turba i sonni del FMI (ma non della BCE) | Keynes blog

Uragani, terremoti e previsioni economiche | Keynes blog

Uragani, terremoti e previsioni economiche | Keynes blog

Turchia. Nuove polarizzazioni, nuove coalizioni, nuove fratture

Turchia. Nuove polarizzazioni, nuove coalizioni, nuove fratture

Fiscalità in Italia e in Europa | La Prima Pietra

Fiscalità in Italia e in Europa | La Prima Pietra

Elezioni romane chi ha vinto e chi ha perso | La Prima Pietra

Elezioni romane chi ha vinto e chi ha perso | La Prima Pietra

La sinistra ha vinto, viva la sinistra? | La Prima Pietra

La sinistra ha vinto, viva la sinistra? | La Prima Pietra

Austerità e moltiplicatori: alcune lezioni della crisi | Aspenia online

Austerità e moltiplicatori: alcune lezioni della crisi | Aspenia online

L'eredità neolaburista qdR magazine

qdR magazine

lunedì 10 giugno 2013

Vittorio Melandri: Parlamento impotente?

Parlamento impotente?? Il Sig. Presidente della Repubblica ha dichiarato al suo amico Eugenio Scalfari di aver accettato di essere rieletto, perché si è trovato innanzi all’impotenza del Parlamento. Detto da un Presidente della Repubblica, cui la nostra Costituzione assegna il compito di esserne garante (non da Beppe Grillo), credo che l’affermazione dovrebbe raggelare, e non passare come se “nulla fudesse”, anche perché quel Parlamento supposto impotente, è ancora lì, e a quanto pare così impotente non si è mostrato alla prova dei fatti, dato che è stato capace di produrre due prestazioni da record: per la prima volta ha rieletto lo stesso Presidente uscente, e per la prima volta ha espresso la fiducia ad un governo organicamente composto da forze politicamente opposte. Ma restando al giudizio espresso dal Presidente Giorgio Napolitano che si è piegato alla possibilità di essere rieletto al 6° scrutinio, viene in mente che Saragat è stato eletto dopo 21 scrutini, Leone dopo 23, Pertini nel 1978, dopo 16, e nel caso di quest’ultimo si era in piena emergenza terrorismo, e Scalfaro il 28 maggio 1992 anche lui fu eletto dopo 16 scrutini, e si era in piena emergenza “mafiosa”, la strage di Capaci era avvenuta solo cinque giorni prima. Eppure mai a nessuno venne in mente di considerare “impotente” il Parlamento perché si continuava a votare, e di correre in ginocchio dal predecessore per chiedere di accettare la sua rielezione, e se è vero che Segni era malato, Leone caduto in disgrazia, e Cossiga rimasto sotto le macerie dei suoi colpi di piccone, Saragat avrebbe accettato di corsa. Ma a quanto pare, in Italia, il “culto della personalità” sopravvive a tutte le esperienze storiche, ed appena se ne presenta l’occasione, trionfa. Anche per questo penso che l’adozione di un sistema presidenziale o semipresidenziale alla francese, sia da rifiutare con molta decisione, perchè non credo siano ancora venute meno sul piano “storico-culturale”, le ragioni che spinsero i “Costituenti” con la maiuscola del 1946-47, a scegliere il sistema Parlamentare al posto di quello Presidenziale, e per quanto “semi” possa essere quello che si potrebbe scegliere oggi, un “Capo dello Stato” eletto direttamente dal Popolo, avrebbe sul Parlamento una supremazia che mal si addice ad uno Stato ancora così fragile come risulta il nostro, soprattutto nel modo di essere percepito dal popolo che lo abita ma che il “suo Stato” continua a non amarlo. E se poi si considera con la dovuta attenzione l’affermazione del Presidente Napolitano, e si fosse davvero convinti che questo Parlamento è “impotente”, con maggiore forza si dovrebbe chiedere l’immediato varo di una nuova legge elettorale e l’immediato ritorno alle urne, perché non si vede proprio come un Parlamento impotente possa affrontare una qualsiasi emergenza che non sia la sua egoistica sopravvivenza. Purtroppo per noi cittadini italiani, è un’altra l’immagine che meglio si addice a questo Parlamento, la mutuo da Simenon, che del suo Maigret impegnato ne “Il caso di Boulevard Beaumarchais”dice: “tornava continuamente sulle stesse domande come i cavalli di una giostra che girano sempre in tondo senza mai trovare un uscita”. Proprio come i nostri politici, che tutt’altro che impotenti, da decenni, “come i cavalli di una giostra che girano sempre in tondo”, sono ben decisi a non trovare mai per sé un uscita. vittorio melandri

How To Finance A Social Europe?

How To Finance A Social Europe?

PIERFRANCO PELLIZZETTI – Liberisti a Taranto: viste le privatizzazioni? » LA PAGINA DEI BLOG - MicroMega

PIERFRANCO PELLIZZETTI – Liberisti a Taranto: viste le privatizzazioni? » LA PAGINA DEI BLOG - MicroMega

Renewal | Mark Wickham Jones, James Cronin | What’s left of the left? Democrats and social democrats in challenging times

Renewal | Mark Wickham Jones, James Cronin | What’s left of the left? Democrats and social democrats in challenging times

Livio Ghersi: La garanzia costituzionale dell'equità dei sacrifici

La garanzia costituzionale dell'equità dei sacrifici. Intervistato dal "Corriere della Sera" a proposito delle proposte di modifica della Forma di governo della Repubblica, l'ex Presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha ricordato un modo di dire, secondo cui: «la destra propone, la sinistra segue; ma solo la destra sa quel che si fa» (si veda l'edizione del Quotidiano del 5 giugno 2013, pp. 8-9). Nel bene e nel male, il Partito comunista italiano (PCI) aveva una precisa identità ed era chiaro cosa volesse. Le formazioni politiche che dal PCI sono derivate hanno mostrato, invece, di non avere una fisionomia ideale altrettanto definita, fino ad arrivare alla Babele dell'attuale Partito democratico. Il Partito democratico della Sinistra (PDS), costituitosi nel 1991, era indubbiamente una formazione di sinistra democratica. Il suo indirizzo politico era ben rappresentato dai suoi vertici: il Segretario politico Achille Occhetto (nato nel 1936), che era stato l'ultimo Segretario del PCI ed aveva guidato la conclusione formale di quell'esperienza storica; il Presidente Stefano Rodotà (nato nel 1933), ex radicale dei tempi del settimanale "Il Mondo" diretto da Mario Pannunzio, poi per più legislature eletto nelle liste del PCI come indipendente di sinistra ed autorevole capogruppo del Gruppo parlamentare della "Sinistra indipendente" alla Camera dei deputati. Da quando Massimo D'Alema diventa Segretario del PDS, nel 1994, inizia una deriva politicista, purtroppo poi dimostratasi inarrestabile; è un dato di fatto, anche se bisogna riconoscere allo stesso D'Alema di avere intelligenza e cultura politica superiori rispetto alla media della classe politica odierna. Per deriva politicista intendo il fatto che, pur di conquistare e di mantenere il potere, si sia disposti a trattare con tutti, compagni ed avversari politici, senza porre alcun limite di contenuto alla trattativa. Deriva politicista significa, in estrema sintesi: "tutto è possibile", purché i negoziatori ne traggano un concreto e reciproco vantaggio. A spese di chi? A spese del buon funzionamento delle Istituzioni (lottizzate fra i partiti ed asservite alla partitocrazia); a spese della buona tenuta dei conti pubblici (con una costante crescita della spesa pubblica, la quale, peraltro, non si traduce in vantaggi diffusi per l'intera popolazione, ma si concentra verso determinati destinatari); a spese del degrado del territorio (lasciato senza effettiva tutela rispetto alla volontà di sfruttamento da parte degli interessi privati, sia che si tratti di inquinamento ad opera delle industrie, sia che si tratti di speculazione edilizia, sia che si tratti di gestione dei rifiuti). Ciò non significa che i dirigenti del vecchio PCI fossero tutti virtuosi; anche ai tempi della cosiddetta prima Repubblica si raggiungevano compromessi discutibili, tanto nelle Aule parlamentari, quanto a livello locale. Allora, però, si era più attenti all'immagine del Partito: si distingueva tra la teoria, che formalmente doveva essere coerente con certe premesse ideali, ed eventuali comportamenti, comunque giudicati "devianti" quando scoperti. Nel 1997, in occasione della Commissione Bicamerale presieduta da D'Alema, emerge plasticamente che gli ex comunisti sono disponibili a tutto, anche laddove si discuta di come ridisegnare la Costituzione della Repubblica. Non sono più difensori della Forma di governo parlamentare, ma aperti all'esigenza di rafforzare il Governo, l'Esecutivo, come chiedono le destre. Non sono più difensori di leggi elettorali rigorosamente proporzionali, ma accettano con sempre maggiore convinzione la logica del maggioritario. Nel delineare il modello di Forma di governo delle Regioni, fanno propria la regola in base alla quale le vicende del Consiglio regionale sono indissolubilmente legate a quelle della persona fisica del Presidente della Regione. "Simul stabunt, simul cadent", ossia vengono eletti insieme ed insieme cadranno. Il che significa che l'Assemblea rappresentativa, la quale pure ha una sua indubbia legittimazione democratica essendo eletta liberamente dai cittadini elettori, diventa una sorta di appendice del Presidente: se lui si dimette perché ha problemi di salute, il Consiglio regionale va a casa. Se lui si dimette perché ha disavventure giudiziarie, il Consiglio regionale va a casa. Se lui si dimette perché aspira ad altra carica incompatibile, ad esempio vuole essere eletto al Parlamento europeo, il Consiglio regionale va a casa. Poi si meravigliano perché oggi siamo contrari al passaggio ad un modello semipresidenziale per l'intera Repubblica: conosciamo i nostri polli e sappiamo che non si accontenterebbero di una coabitazione fra un Presidente della Repubblica ed un Parlamento prevalentemente di altro indirizzo politico. No, quello che vogliono (anche se ancora non tutti hanno il coraggio di confessarlo) è che "per legge" la maggioranza parlamentare sia conforme all'indirizzo del Presidente. Gli ex comunisti hanno fatto propria la logica del premio in seggi per assicurare e stabilizzare la maggioranza parlamentare; invenzione tutta italica, a partire dalla legge "Acerbo" con cui si votò nelle elezioni politiche del 1924 e che consentì al Governo presieduto da Mussolini di diventa regime. I tre più noti modelli europei di leggi elettorali, quello inglese, quello tedesco e quello francese, sono molto diversi fra loro ma hanno in comune il fatto di non prevedere alcun premio di maggioranza. Volevano premiare la Lega Nord perché nelle elezioni del 21 aprile 1996 non si era coalizzata con il Centro-destra, consentendo la vittoria elettorale del Centro-sinistra. Così gli ex comunisti ci hanno regalato la più importante riforma della Costituzione finora approvata: la modifica del Titolo quinto della Parte seconda della Costituzione, attuata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Si è fatto finta di dar vita ad uno Stato federale, puntando invece su un modello ancora una volta confuso, teoricamente vocato all'esaltazione del regionalismo e del municipalismo. In realtà, per rispettare il Patto di stabilità interno, derivante dai parametri europei accettati come condizione per l'adesione all'euro, dal 1999 ad oggi si è sviluppato un processo di progressiva compressione dell'autonomia finanziaria di Regioni ed Enti locali. Per questa via si è realizzato il paradosso di un aumento teorico dell'autonomia, però con un'effettiva riduzione delle risorse finanziarie. Soltanto da poco si ha piena consapevolezza delle incongruenze di quella riforma costituzionale e dei guasti che ha comportato. In tempi di crisi economica, di disagi e di sacrifici per la stragrande maggioranza dei cittadini, un partito dignitosamente "di centrosinistra", dovrebbe incentrare il proprio discorso pubblico sulle esigenze di equità e di solidarietà. Per la verità, non ci sarebbe neppure bisogno di essere "di sinistra", perché equità e coesione nazionale stanno naturalmente a cuore a chi si riconosca nella tradizione repubblicana di Giuseppe Mazzini, così come nella tradizione del liberalismo italiano devoto alla Patria: da Cavour a Francesco De Sanctis, da Silvio Spaventa a Benedetto Croce, da Adolfo Omodeo a Guido De Ruggiero. L'ultimo Governo Berlusconi ed il Governo Monti hanno cercato, in qualche modo, di fare i conti con l'equità, almeno per salvare la faccia: ad esempio, bloccando il meccanismo di adeguamento automatico delle retribuzioni dei magistrati ordinari (e di figure assimilate, magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, eccetera); o gravando di un contributo perequativo i trattamenti pensionistici superiori al lordo ad un certo importo annuo. Può darsi che le norme approvate fossero tecnicamente mal scritte. C'è però un problema che, prima di essere di ordine giuridico, è squisitamente politico. La Corte Costituzionale, nel silenzio degli organi di informazione, ha adottato un indirizzo giurisprudenziale che nulla concede alla logica del contributo straordinario a carico di ceti comunque più abbienti per finalità di solidarietà nazionale. Cito al riguardo due pronunce: la sentenza dell'8 ottobre 2012 n. 223; e la sentenza del 3 giugno 2013, n. 116. Entrambe redatte dal giudice Giuseppe Tesauro. Ricordo che, al tempo delle riforme "Bassanini", si teorizzò che occorreva modificare la Costituzione (cosa poi realizzatasi con la riforma del Titolo quinto nel 2001), per dare copertura costituzionale al disegno innovatore delineato dal Legislatore ordinario. Ebbene, i costituzionalisti e giuristi recentemente arruolati come saggi, i parlamentari membri del Comitato bicamerale incaricato di proporre riforme costituzionali, i dirigenti di tutte le forze politiche interessate, riflettano sul fatto che per superare le resistenze della Corte Costituzionale occorre un'esplicita ed inequivoca manifestazione di volontà politica, consacrata in una disposizione costituzionale. Tale disposizione dovrebbe enunciare i seguenti criteri: a) per tutto il tempo in cui l'economia nazionale sia in fase recessiva, o sia comunque gravata da stringenti vincoli europei ed internazionali che impongono l'obbligo di risanare i conti pubblici riducendo il debito pubblico storico, sono costituzionalmente legittime disposizioni di legge che mirino a ridurre, in una misura che può essere determinata tra il tre ed il dieci per cento del totale, i trattamenti pensionistici e le retribuzioni superiori ad un certo ammontare lordo annuo, fissato dalla legge, a titolo di contributo aggiuntivo per fini di solidarietà nazionale, e formulate sempre in modo coerente con il principio della progressività del sistema tributario fissato dall'articolo 53 Cost.; b) fermo restando che i trattamenti pensionistici devono essere rispondenti alla quantità e qualità del lavoro svolto, la Repubblica persegue in via prioritaria gli obiettivi della creazione di nuove opportunità di lavoro per i giovani e del finanziamento degli ammortizzatori sociali per i lavoratori interessati da crisi aziendali. Di conseguenza, sono costituzionalmente legittime disposizioni di legge che blocchino, per un periodo di tempo determinato e per il limite massimo di un triennio, l'adeguamento delle pensioni il cui ammontare lordo annuo sia superiore ad un certo importo, fissato dalla legge. E' lecito scrivere che, in mancanza di una disposizione costituzionale siffatta, la Corte Costituzionale ha dimostrato di ragionare in una logica angustamente e stupidamente "classista", per cui magistrati e membri dell'alta dirigenza burocratica si sono tutelati vicendevolmente, come blocco di interessi che resiste ai sia pure timidi tentativi riformatori della politica? E' lecito scrivere che, in tempi di drammatica crisi economica, i "diritti quesiti" semplicemente non esistono? Non si tratta di negare lo Stato di Diritto. Si tratta di ricordarsi della "giungla retributiva" di cui scriveva Ermanno Gorrieri già nel 1972. Per il personale di supporto degli Organi costituzionali, per l'alta dirigenza dello Stato, per gli amministratori di Aziende ed Enti pubblici, per il personale dell'Assemblea regionale siciliana e per gli alti dirigenti regionali, in particolare nelle Regioni a statuto speciale, i trattamenti economici, anche dei pensionati, sono cresciuti al di fuori di ogni criterio di ragionevolezza, per mera protezione politica, senza che alcuno, per decenni, si preoccupasse di mettere un freno. Non si chiede la restituzione di quanto percepito in passato. Ma è moralmente, oltre che politicamente, insopportabile, non battere ciglio di fronte a proposte come quella di licenziare centocinquantamila dipendenti pubblici in Grecia, e poi opporsi a che in Italia quanti ricevono più di settemila euro di pensione al mese (al netto delle imposte), versino un contributo di solidarietà aggiuntivo di mille euro l'anno, oltre all'imposizione fiscale ordinaria cui sono tenuti. Su una questione discriminante come questa dovrebbe esserci il massimo della chiarezza. Palermo, 9 giugno 2013 Livio Ghersi