venerdì 29 aprile 2022

Slovenia: a resounding no to 'illiberal democracy' and traditional party politics - The Progressive Post

Slovenia: a resounding no to 'illiberal democracy' and traditional party politics - The Progressive Post

La rivista il Mulino: Macron, vincitore in un Paese diviso

La rivista il Mulino: Macron, vincitore in un Paese diviso

Serve una difesa europea, non l’aumento della spesa militare

Serve una difesa europea, non l’aumento della spesa militare

"STORIA DELL’UGUAGLIANZA È STORIA DEL SOCIALISMO"

"STORIA DELL’UGUAGLIANZA È STORIA DEL SOCIALISMO"

"NECESSITÀ DEL SOCIALISMO PER UNA NUOVA EUROPA"

"NECESSITÀ DEL SOCIALISMO PER UNA NUOVA EUROPA"

"SOCIALISMO LIBERALE O BARBARIE"

"SOCIALISMO LIBERALE O BARBARIE"

"PUO' SOPRAVVIVERE UNA DEMOCRAZIA SENZA IL SOCIALISMO?"

"PUO' SOPRAVVIVERE UNA DEMOCRAZIA SENZA IL SOCIALISMO?"

"UN NUOVO UMANESIMO" di Paolo Bagnoli

"UN NUOVO UMANESIMO" di Paolo Bagnoli

I numeri del mancato benessere - Collettiva

I numeri del mancato benessere - Collettiva

Giuliano Amato su UE e Nato

Il Venerdì «Ok l’Unione europea a Est, ma non la Nato»: qualche decennio di Ostpolitik spiegato da Amato editorialista di Gianluca Mercuri Giuliano Amato è uno dei molti leader europei — praticamente tutti — che avevano creduto nella possibilità di dialogare con Putin. Non erano tutti pazzi: partivano dalla necessità di dialogare anzitutto con la Russia, un dialogo stabilito in epoca sovietica e che dunque sembrava comprensibilmente assurdo non coltivare in epoca post-sovietica. Era una Russia reduce dal decennio selvaggio dei ‘90, ma (apparentemente) non ancora in preda al putinismo assassino. Non c’era stata ancora la strage di Beslan, Anna Politkovskaja era ancora viva e i suoi libri non avevano avuto il risalto necessario in Occidente, Emmanuel Carrère non aveva ancora spiegato tutto in Limonov. Più di vent’anni dopo, l’allora presidente del Consiglio — oggi presidente della Corte costituzionale, memoria storica di due Repubbliche attraversate con una sagacia sbrigativamente scambiata per cinismo, il Talleyrand del craxismo ma in realtà coscienza critica di ogni possibile riformismo di sinistra, papabile ogni sette anni al Quirinale e sempre rimasto il più autorevole dei cardinali — non si capacita di come l’uomo che doveva traghettare il più grande Paese del mondo nel terzo millennio l’abbia affossato nelle tragedie e nelle illusioni del secondo: «Oggi vedo questo Putin irriconoscibile, gonfio, che dice delle cose deliranti e compie azioni terribili. Mi ricordo quando nel giugno del 2000 il neopresidente della Federazione russa mi venne a trovare a Palazzo Chigi: era giovane e parlava degli interessi comuni che avremmo dovuto valorizzare per organizzarci insieme. Ecco, quell’opportunità è andata perduta. Lui ora sta sbagliando tutto e trovo intollerabile qualsiasi tentativo di giustificazione. Ma io avverto il peso di un fallimento europeo e dell’intero Occidente». Appuntiamoci questi tre concetti che fanno da pilastri all’intervista di Amato al Venerdì: Putin «sta sbagliando tutto, «qualsiasi tentativo di giustificazione è intollerabile». E però: c’è «un fallimento europeo e dell’intero Occidente». Vale la pena parlarne, mentre Putin invade, bombarda e uccide? Con queste premesse sì, con questa chiarezza certo. Amato fa una distinzione netta: è stato giusto allargare a Est l’Unione europea, è stato sbagliato allargare a Est la Nato, allargarla così tanto, «fino ai confini». Lo spiega così: «L’Ue non poteva lasciare fuori Paesi che facevano parte della storia dell’Europa. Come si fa a escludere la Polonia? Le ballate di Chopin sono un nostro patrimonio. In Lettonia è stato scritto Il Gattopardo». Al tempo stesso, «alla metà degli anni Duemila non era più pensabile un rapporto tra la Nato e la Russia modellato sul rapporto tra la Nato e l’Unione Sovietica. Una volta terminata la guerra fredda, era necessario identificare gli interessi comuni tra europei e russi. E visto che loro erano alla ricerca di una collocazione, bisognava creare un sistema di sicurezza edi difesa comune fondato sugli interessi vitali di europei, russi e americani». Cosa lo impedì? «Diffidenze di ordine politico, sia in Europa che in America. E diffidenze militari nell’organizzare la difesa in modo diverso dall’assetto lungamente sperimentato. Quindi l’errore non fu ampliare i margini dell’Unione fino alla Russia come fece Romano Prodi. Al contrario, l’errore fu essere rimasti chiusi in noi stessi. E aver portato la vecchia Nato ai confini. Fiona Hill, bravissima consigliera di diversi presidenti americani, ha raccontato i suoi colloqui alla Casa Bianca nel 2008 con George W. Bush e con il vicepresidente Cheney. Prima del vertice della Nato a Bucarest cercò di dissuaderli dall’includere nell’alleanza militare Georgia e Ucraina, scatenando l’ira di Cheney ela reazione contrariata di Bush, il quale replicò dicendo che lui amava la “diplomazia vigorosa”. Quanto vigorosa l’avevamo visto qualche anno prima con la sciagurata invasione dell’Iraq. Sappiamo poi come sono andate le cose». Sono andate così: Ucraina e Georgia non sono entrate ma la riluttanza europea non ha compensato le aperture americane, l’effetto-calamita verso Ovest non si è attenuato, in nome dell’Ovest l’Ucraina si è prima spaccata e poi ricompattata, la profezia della necessità di tutelarsi da Putin si è autorealizzata, ma troppo tardi. Non può non colpire che l’analisi di Amato vada in direzione contraria rispetto a quella del leader del centrosinistra ufficiale: il giorno dopo l’invasione, il 25 febbraio, a precisa domanda di Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa — «La Nato si è allargata troppo a Est provocando questa reazione?» — il segretario del Pd Enrico Letta rispose così: «È l’opposto. Quello che è successo dimostra che la Nato doveva far entrare l’Ucraina prima». In quegli stessi giorni, Paolo Mieli e Federico Rampini scrissero sul Corriere editoriali molto fermi contro la tesi «meglio non troppa Nato a Est», il cui caposcuola — in un testacoda divertente che è sempre utile ricordare — è Henry Kissinger. L’ex segretario di Stato Usa, l’«Amerikano» per antonomasia, ha predicato (invano) le stesse cose di Amato: Ucraina nella Nato no ma Ucraina nell’Unione europea sì. Che poi era l’auspicio-previsione che il nostro Franco Venturini espresse nel suo ultimo articolo. Amato cita come paradigmi di questa politica il socialista spagnolo Javier Solana, ai tempi in cui fu Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue; e la Ostpolitik, «ossia una politica di distensione verso Mosca»: tendenze e pratiche dell’eurosocialismo e poi di leader come Prodi e Merkel, fino a Macron. È stato insomma il credo dell’establishment europeo per decenni, e oggi il punto è capire se non ci abbia creduto abbastanza o ci abbia creduto troppo.

giovedì 28 aprile 2022

The French Left Is Uniting Around Jean-Luc Mélenchon’s Radical Agenda

The French Left Is Uniting Around Jean-Luc Mélenchon’s Radical Agenda: After years of division, left-wing parties are in talks to run together in June’s French parliamentary elections. Jean-Luc Mélenchon’s strong presidential bid has placed him at the heart of the Left — and an alliance that could deny Emmanuel Macron a majority.

lunedì 25 aprile 2022

Franco Astengo: Secondo turno dalla Francia

SECONDO TURNO DALLA FRANCIA di Franco Astengo L'esito del secondo turno delle elezioni presidenziali francesi che hanno segnato la riconferma di Macron merita alcune, sia pure parziali e provvisorie, considerazioni aggiuntive. Nel complesso si può fornire una indicazione di carattere generale che appare evidente: rispetto al 2017 la candidatura Le Pen è avanzata e quella Macron diminuita in termini di numero assoluto di suffragi raccolti e non soltanto in percentuale. Andiamo per ordine partendo dalla partecipazione al voto. In partenza si registrava una crescita negli aventi diritto al voto: al ballottaggio 2017 erano 47.568.693, domenica scorsa 48.752.500. Si è rilevato un notevole incremento di schede bianche che hanno implementato la non espressione di voto (in questo caso elemento di valutazione diverso da quello della diserzione dalle urne), fenomeno che aveva già interessato il turno di ballottaggio del 2017: in quell'occasione infatti al primo turno le schede bianche erano state 659.997 salite a 3.021.499 nel secondo; nel 2022 al primo turno 543.609 in crescita a 2.228.044. Nel complesso quindi da registrare un calo di schede bianche tra il primo e il secondo turno tra il 2017 e il 2022. Nel complesso l'espressione di voto, compresa quella del voto bianco e nullo, fa registrare un calo contenuto: nel 2017 al primo turno si registrarono 37.003.728 votanti calati al secondo a 35.467.327, con una differenza di 1.536.401 in meno; nel 2022 al primo turno 35.923.707, al secondo 35.096.391, una differenza in calo di 827.316 espressioni di voto. Da considerare allora con attenzione il numero di voti a disposizione espressi per altri candidati al primo turno: nel 2017 assommavano a 12.659.606 , il 26,61% dell'intero corpo elettorale. 2022: i voti degli esclusi salivano a 17.261.061 (indice di crescita della dispersione) pari al 35,31% dell'intero corpo elettorale (astenuti, schede bianche e nulle inclusi). Alla luce di questi dati consideriamo allora l'esito delle due diverse candidature riprodottesi tra il 2017 e il 2022. 2017 Candidatura Macron salita da 8.656.346 voti al primo turno ( 18,19% sull'intero corpo elettorale) a 20.743.128 nel secondo ( 43,60% sull'intero corpo elettorale). Una crescita di 12.086.782, frutto dello "spirito repubblicano", si direbbe quasi il pieno dei voti disponibili lasciati dai candidati esclusi. Candidatura Le Pen salita da 7.678.491 voti al primo turno ( 15,74% sull'intero corpo elettorale) saliti a 10.638.475 suffragi al secondo turno ( 22,36% sull'intero corpo elettorale) con un incremento di 2.959.984 tra un turno e l'altro. Alla fine il distacco percentuale tra le due candidature calcolato sull'intero corpo elettorale è stato del 21,24%) 2022: Candidatura Macron salita da 9.783.058 al primo turno (20,06% sull'intero corpo elettorale) a 18.779. 641 al secondo ( 38,52% sull'intero corpo elettorale) Lo "spirito repubblicano" in 5 anni ha perso, in sostanza, il 5,08%. La crescita in cifra assoluta della candidatura Macron è stata di 8.995.583, con una ridotta capacità di incidenza sul complesso dei voti lasciati dai candidati esclusi, ricordando i 7.712.520 voti raccolti dalla candidatura Melenchon, quella di Anne Hidalgo che con 604.203; il comunista Roussel con 799.352 voti; i Verdi con Jadot 1.587.541 e le due candidature trotzkiste complessivamente 461.720 voti. Nell'insieme a sinistra un totale di 11.165. 336 voti che lo "spirito repubblicano" ha recuperato solo parzialmente. Oltre 11 milioni di voti che ci dicono come la sparpagliata sinistra francese non sia comunque scomparsa e che potrebbe avere un peso nelle prossime elezioni legislative. Candidatura Le Pen salita da 8.133.828 al primo turno ( 16,68% sull'intero corpo elettorale) a 13.297.760 voti al secondo turno ( 27,27 sull'intero corpo elettorale). Naturalmente nell'incremento avuto dalla candidatura Le Pen ( 5.163.392 voti) hanno giocato i suffragi lasciati al primo turno dalla candidatura Zemmour (2.485.526): in ogni caso è rimasto per la candidatura Le Pen un ulteriore recupero di 2.677.866 voti che probabilmente inglobano gran parte dell'elettorato gollista (al primo turno, la candidatura Pécresse ferma a 1.679.001)ma non si escludono voti provenienti da altra direzione. In sostanza si può affermare: 1) Una crescita quasi fisiologica dell'astensione tra il primo e il secondo turno; 2) Un'avanzata concreta e non fittizia della candidatura Le Pen che ha spostato ulteriormente verso l'estrema la destra francese, come si era già intuito al primo turno; 3) Un arretramento della candidatura Macron che ha corrisposto a una perdita dello "spirito repubblicano" tradizionale a sinistra nei casi in cui ci si fosse trovati senza candidatura al ballottaggio (accade con Chirac e con lo stesso Macron nel 2017, adesso ha funzionato molto meno). Tutto questo porta a una situazione complessa verso le legislative, mai apparse così incerte e importanti rispetto al passato: Macron e Melechon non dispongono di partiti strutturati avendo puntato tutto sulla personalizzazione. Come funzionerà la faccenda a sinistra, dove Melenchon sta tentando un recupero unitario, e tra il centro e la sinistra nel secondo turno appaiono le due principali incognite da valutare, considerato che l'estrema destra appare più strutturata.

La Francia ferma Le Pen, bis di Macron: "Ora cambiamo metodo". Mélenchon si candida a premier - Strisciarossa

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Elezioni Slovenia, battuto il premier Jansa. Trionfa il nuovo partito di Golob, ex manager pubblico che punta sull'ambiente - Il Fatto Quotidiano

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Canada’s Left Shouldn’t Cede Populist Politics to the Right

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The French Left Is on the Way Back

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Vince Macron: la Francia nel segno della continuità

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Quella “impossibile” riforma del catasto - terzogiornale

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Résultats de l’élection présidentielle 2022

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domenica 24 aprile 2022

Franco Astengo: Resistenza e repubblica

ESISTENZA E REPUBBLICA di Franco Astengo La retorica mainstream sulla guerra, la polemica distruttiva verso l’ANPI, il goffo tentativo di distorcere la realtà storica della Resistenza Italiana ci hanno privato, in questo drammatico 2022, di poter esplicitare fino in fondo la storia e il senso di quello che fu il momento fondativo della nostra Repubblica. La Resistenza come guerra civile, come individuato a suo tempo da Claudio Pavone nel suo fondamentale saggio sulla “moralità della Resistenza”, è stata percorsa da una categoria di fondo, quella della “non legittimità” nell’origine del potere statuale del fascismo e quindi dalla necessità “storica” del combattere quel potere distinguendo tra Nazione (Patria) e Stato . Il ventennio era stato così percorso da una lotta antifascista sicuramente minoritaria nei numeri e i cui protagonisti anch’essi divisi nelle opzioni ideali proprio secondo lo schema poi usato da Pavone e successivamente dal più recente lavoro di Franzinelli e Flores. Al momento dello scoppio della guerra era entrata in scena, nella coscienza di molti, la categoria del “tradimento”: tra grandi tormenti ideali infatti l’antifascismo italiano era stato percorso dalla convinzione che fosse necessaria la sconfitta militare per eliminare il fascismo. I comunisti(e anche gli azionisti, mi pare) non nutrirono dubbi al proposito (alcuni, pur nel dramma, tirarono un sospiro di sollievo quando iniziò l’operazione Barbarossa) ma in altri settori dell’antifascismo sicuramente il problema si pose. La questione del “tradimento” entrò potentemente nel dibattito dell’epoca alla data dell’8 settembre: la “fedeltà” era posta su tre piani, quella della continuità antifascista per chi l’avesse conservata con coerenza durante il ventennio, quella del mantenere il giuramento al Re (nonostante la fellonia della fuga), quella di stare dalla parte della “Nazione (Patria) ” che era stata e tornava ad essere quella fascista. Una generazione intera si trovò di fronte ad un vero e proprio “spartiacque morale” e dopo vent’anni di fascismo ci fu chi trovò intelligenza e coraggio per compiere una scelta che poteva anche essere considerata come contraria alla Patria. Esaminando i vari aspetti riguardanti le scelte e le opere resistenziali Flores e Franzinelli affrontano questo quadro con grande vigore: anche i punti che, sotto l’aspetto di una certa agiografia possono essere considerati come “scomodi”sono valutati tenendo sempre ben conto l’elemento della reciprocità dell’accusa di aver tradito lanciata da entrambe le parti in lotta. L’appoggio all’invasione tedesca è la ragione per la quale la Repubblica di Salò non può essere considerata parte della continuità dello Stato: aver intuito questo elemento contribuendo al riconoscimento del governo Badoglio come governo legittimo nella linea di prosecuzione dell’identità statuale è stato il grande merito del CLN (o almeno della maggioranza dei suoi componenti) e della “svolta” togliattiana. La scelta del riconoscimento del governo Badoglio e la formazione della Resistenza consentirono una rilegittimazione dello Stato assolutamente decisiva per l’avvenire, anche se la legittimazione della Patria fu conquistata soltanto al momento della Liberazione delle grandi città del Nord da parte dei partigiani Non si tratta di una distinzione capziosa: il 25 aprile Stato e Patria si ricongiunsero ponendo le basi per la formazione di una democrazia posta al di fuori da un binario di mera prosecuzione con quello che era stato l’antico Stato liberale frutto dell’incompleto Risorgimento (come ben intuito da Gramsci nei “Quaderni”). La gran parte della classe operaia non ebbe tentennamenti: nelle 5 giornate di Napoli, a Roma a Porta San Paolo, al Nord nelle grandi fabbriche a partire dagli scioperi del Novembre 1943, poi del Marzo 1944 fino al segnale dell’insurrezione generale del 24-25 aprile dato con il suono delle sirene di fabbrica. L’esito del 25 aprile consentì di ricostruire la democrazia e arrivare nel giro di pochi mesi a libere elezioni nel marzo – aprile 1946 quelle amministrative, il 2 giugno elezioni per l’assemblea costituente e referendum istituzionale. Le contraddizioni non mancarono e il testo di Flores e Franzinelli ma rimane il dato prevalente di uno Stato ricongiunto alla Nazione (Patria) che poteva ben essere considerato, a questo punto, come sorto dalla Resistenza. A questo punto però sorge una domanda rivolta nel senso di approfondire il concetto di rilegittimazione dello Stato. La Repubblica è nata solo dalla Resistenza, sciogliendo il nodo del “tradimento” oppure anche dalla crisi del tipo di “Stato – Nazione” (Patria) costruito dal fascismo? La crisi del fascismo colpì più la nazione (Patria) che lo Stato di cui molto fu conservato, come scrive ancora Franzinelli in un suo recentissimo saggio: l’Italia è stata com’è ben noto, zona di frontiera tra il blocco occidentale e quello orientale, ed è stata attraversata al suo interno da una sorta d’invisibile confine che ne ha condizionato lo sviluppo democratico addirittura dividendo il sistema politico in due sottosistemi: l’arco costituzionale e l’arco di governo al riguardo del quale vigeva la “conventio ad excludendum” rivolta agli opposti estremismi anche se PCI e MSI furono di volta in volta associati alla maggioranza (Governo Tambroni 1960, governo Andreotti 1978). Il tipo di democrazia repubblicana disegnato dalla Costituzione fu pensato come adatto a quel tipo di situazione mentre al momento della caduta del Muro si era ritenuto che ormai si potesse superare quel tipo di assetto e riunificare il sistema politico “sbloccandolo”. Invece il tema della rilegittimazione dello Stato e la differenza tra il concetto di Stato e quello di Patria erano ancora d’attualità e non risolvibile in una prospettiva sovranazionale come molti avevano ritenuto potesse essere possibile. Oggi si può dire che tutto sommato è ancora valido il tipo di mediazione raggiunto dai grandi partiti di massa prima tra l’8 settembre e il 25 aprile e poi tra il 25 aprile 1945 e il 18 aprile 1948. Una mediazione tutto sommato ancora valida perché la Repubblica è quella nata dalla Resistenza riunificando con grande difficoltà e molte incertezze Stato e Nazione (Patria). La sparizione dei partiti che avevano realizzato, essenzialmente attraverso il lavoro della Costituente, quel momento unitario non ha lasciato comunque nessuna nuova possibilità di legittimazione per un’eventuale “Seconda Repubblica” che si era pensato di fondare modificando il sistema elettorale e aderendo al processo di presunta unificazione europea sull’onda dell’euforia del grande equivoco della “fine della storia”. La Resistenza come fatto fondativo e costituente invece non ha avuto eredi e l’eterna transizione che è seguita all’89 ne è ancora testimonianza. Tentare di modificare quest’assetto primario magari cambiando la Costituzione ha via via causato una fragilità del sistema che dovrebbe rappresentare l’immediata preoccupazione di un ceto politico sempre più in difficoltà nella sua capacità di esprimere assieme identità per i diversi soggetti e valori riunificanti che rendano Stato e Nazione (Patria) soggetti credibili agli occhi delle nuove generazioni.

venerdì 22 aprile 2022

Le polemiche sull'ANPI, anche da noi serve una de-escalation - Strisciarossa

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Ecosocialismo digitale: spezzare il potere del big tech | Global Project

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Conseguenze della guerra: scenari per l’economia italiana - Lavoce.info

Conseguenze della guerra: scenari per l’economia italiana - Lavoce.info

Franco Astengo: 1962

1962: SESSANT'ANNI FA UN PUNTO DI SVOLTA PER LA CLASSE OPERAIA di Franco Astengo La dolorosa scomparsa di Piergiorgio Bellocchio ha fatto riscoprire la storia di “Quaderni Piacentini”. Il primo numero dei “Quaderni piacentini” uscì appunto a marzo del 1962, ciclostilato in proprio; come pure il secondo, apparso il mese successivo. A fondare la rivista furono due giovani intellettuali appartenenti alla borghesia piacentina, Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi (entrata ufficialmente nella direzione con il n. 16), che tra il 1958 e il ’60, insieme ad Augusto Vegezzi e ad un gruppo di giovani studenti (composto da ex comunisti, radicali, socialisti delusi, anarchici, ecc.), nella loro sonnolenta città avevano dato vita al circolo culturale “Incontri di cultura”. Quella esperienza ebbe una particolare importanza per la loro formazione e la loro maturazione culturale e politica, in quanto ebbero l’opportunità di conoscere e di frequentare scrittori e studiosi del calibro di Vittorini, De Martino, Paci, Dolci e Fortini. Per l’orientamento teorico e politico dei direttori dei “Quaderni piacentini” una considerevole importanza ebbe anche l’incontro con Raniero Panzieri, caldeggiato dallo stesso Fortini e avvenuto dopo i fatti di Piazza Statuto, e la conoscenza di Danilo Montaldi, che però non ha mai collaborato direttamente all’attività della rivista. Oltre alla durissima critica della società neocapitalistica, del centrosinistra, del regime sovietico e della strategia della “coesistenza pacifica”, allora in voga, ciò che accomunava personalità così diverse era l’adesione alle aspirazioni e alle istanze autonome e libertarie delle classi subalterne, alle esperienze del comunismo di sinistra e consiliare, basate sulla democrazia di base e sulla partecipazione diretta delle masse, in netta contrapposizione all’assetto burocratico dei gruppi dirigenti della sinistra ufficiale. I fatti di Piazza Statuto a Torino costituirono un punto di svolta nella storia del movimento operaio e della lotta di classe in Italia: la piazza fu sede di uno dei primi grandi scioperi operai del dopoguerra. Durante la stagione dei contratti dell'industria metalmeccanica, decine di migliaia di dimostranti provenienti dalla Fiat e dalla Lancia, a ondate successive, si riversarono in Piazza Statuto fra il 6 e il 10 luglio 1962, per protestare contro il sindacato della UIL, che qui aveva sede e che aveva firmato un accordo separato con la Fiat. Seguirono gravi e prolungati scontri con la polizia e centinaia di fermi e arresti tra i manifestanti. Erano gli anni del miracolo economico, dei primi governi di centro-sinistra, dell’ondata di migranti, soprattutto giovani, che abbandonavano le campagne e le periferie meridionali per cercar fortuna nel “triangolo industriale” Torino-Milano-Genova. Erano anche gli anni di una forte invadenza politica delle destre, che, quando la Dc di Tambroni osò pensare a un governo che includesse il MSI nell'area di governo, provocarono nel luglio del ‘60 una grande sollevazione operaia e giovanile. Ci fu chi la chiamò la rivolta delle “magliette a strisce”, per via della povera moda che univa, quasi una divisa comune e non programmata, una generazione di giovani proletari e studenti. Gli scioperi nei molti stabilimenti Fiat di Torino, i primi dopo anni e anni di silenzio, erano stati preparati da quelli di molte piccole fabbriche e in particolare da quelli della Lancia, e furono esplosivi, entusiasmanti. In occasione degli avvenimenti di Piazza Statuto, «Quaderni piacentini» pubblica una cronaca dei fatti attraverso la stampa 3 , criticando le posizioni dei giornali, dei partiti di cui sono espressione, dei singoli esponenti degli stessi e di tutti i sindacati, salutando con favore l’ intervento di quei gruppi di operai, in maggioranza immigrati, che sono i protagonisti di questi avvenimenti e che non sono facilmente inquadrati. Sarà proprio da questo momento che la rivista dedicherà uno spazio sempre maggiore alla posizione dei giovani operai immigrati considerati come una forza innovativa capace di modificare il sistema in quanto non fortemente integrata in esso. Si affronta inoltre il tema del legame tra le lotte operaie e quelle studentesche, sostenendo che tale legame, vada sostenuto ma non affrettato, soprattutto viene segnalata la necessità di un’ attenta analisi e considerazione delle diversità dei due gruppi, per fare in modo che questa unione risulti forte e sostanzialmente duratura. Allo stesso tempo viene rilevato il carattere di fondamentale innovazione del movimento studentesco, argomento a cui «Quaderni piacentini» dedica molto spazio intravedendone le possibilità fin dalle prime mobilitazioni. La società italiana e soprattutto, all’ interno di essa, il perpetuarsi di una struttura classista, viene vista come il frutto di tutta una serie di avvenimenti storici che partono dall'avvento del fascismo. Per trarre insegnamento da quelle esperienze era necessario comprenderle a fondo, demitizzarle, ma soprattutto riattualizzarle. «Quaderni piacentini», che rappresenta il parere più autorevole della Nuova Sinistra italiana di quel momento, cioè di quella cultura politica che si andava formando intorno agli anni ’ 60, totalmente ostile alle scelte «revisioniste e riformiste dei partiti operai ufficiali» , è invece favorevole alla stretta collaborazione con le forze giovanili e studentesche per la protesta e la progettazione rivoluzionaria. Il collettivo di lavoro riunito attorno a questa rivista si caratterizza anche per la sensibilità e l'analisi critica rivolte ai temi di politica internazionale, e soprattutto ai metodi di interpretazione, ritenuti incompleti e inadeguati, portati avanti dalla sinistra ufficiale intorno a questi temi. Viene messa in luce l'indifferenza delle coscienze di fronte alle violenze e ai massacri perpetrati nelle lotte di liberazione nel Terzo Mondo, indifferenza prodotta dall’ abitudine e dal senso di impotenza di fronte ad essi. Ed è proprio in questo senso di impotenza, di fronte a violenze che appaiono troppo lontane e incomprensibili, che le coscienze vengono fatte vittime, secondo la rivista, di una diversa ma non meno profonda forma di violenza. Fu esplicitata una forte critica alla posizione del PCI, del PSI, della CGIL che videro in quei fatti e in quelle posizioni elementi di provocazione, senza riuscire a leggere il nuovo disagio sociale che derivava dalla modernizzazione capitalistica e dalla conseguente ristrutturazione nei rapporti di classe e nella metodologia della vita quotidiana ormai impostata su di un processo di gigantesca "rivoluzione passiva" fondata sul consumismo non si realizzò un incontro "politico" con le altre posizioni di critica radicale a sinistra di ciò che stava accadendo. Emerse in quel periodo anche la critica portata avanti dall’operaismo di Panzieri ,che pure su Piazza Statuto aveva assunto posizioni lontane da quelle di "Quaderni Piacentini" . Panzieri era promotore di una riscoperta della democrazia consiliare e del primato del “soggetto classe” sul predicato partito, critico tanto dell’ideologia della stagnazione quanto dell’ideologia tecnocratica della programmazione, che riduceva la questione sociale a un problema tecnico e identificava il capitalismo con la società industriale e l’illimitato sviluppo della produttività. Panzieri era anche fortemente critico con l’impostazione togliattiana della celebrazione del nazional-popolare, del recupero storico-culturale della tradizione democratica e soprattutto dello “scarto evidente, nei partiti storici della sinistra, fra il primato esteriore dell’ideologia e la pratica quotidiana di pura amministrazione” ( così si identifica, rispetto alla scontro interno al PCI, la posizione di Amendola). La scomparsa prematura di Panzieri, il disinteresse del PSI ormai impegnato nell’operazione centrosinistra (la “politique d’abord di Nenni) la debolezza teorica e politica dello PSIUP non consentirono a questi importanti spunti di analisi di rappresentare la base per una soggettività politica rappresentativa di un vero e proprio contraltare teorico allo storicismo togliattiano, che del resto non fu mai contestato fino in fondo. Nella Nuova Sinistra in formazione, infatti, si affermò che era necessario andare "oltre Togliatti" e non "contro Togliatti". Nel PCI, dopo che nel 1962 al convegno dell'Istituto Gramsci sulle "Tendenze del capitalismo italiano" Trentin e Magri avevano aperto il fronte nei riguardi, proprio delle posizioni amendoliane in nome di una lettura avanzata del processo di ristrutturazione capitalistica in Italia, una volta morto Togliatti e poi spenti i fuochi dell’XI congresso e radiato il gruppo del “manifesto”non risultò possibile di aprire un confronto di fondo portando avanti il dibattito aperto ad iniziativa di quella che poi sarebbe stata definita “sinistra comunista”: iniziativa avviata essenzialmente grazie ad una riflessione di Rossana Rossanda e Lucio Magri . I due fondatori del “Manifesto”rimproveravano, sostanzialmente, allo storicismo di aver oscurato il nocciolo teorico di Labriola e Gramsci (Magri riprende il tema nel “Sarto di Ulm”, testo fondamentale da confrontare soprattutto nella definizione del “genoma” Gramsci e per affrontare seriamente quello che può essere ancora definito come “lascito inevaso”) . Secondo Magri e Rossanda nel post – togliattismo il marxismo era stato annacquato nel quadro di una tradizione dai contorni imprecisi . Il PCI nella fase turbinosa degli anni’60 aveva così stabilito un primato del politico sull’economico smarrendo il nesso tra teoria e prassi, tra scienza e storia, oscillando così tra il riferimento di una realtà di pura empiria ( ancora attribuita all’ala amendoliana del partito) e di un semplice finalismo volontaristico e non riuscendo ad individuare così lo svilupparsi di nuovi livelli di espressione della contraddizione di classe e di profonda modificazione nel rapporto tra struttura e sovrastruttura. Entrambi i due punti di osservazione critica fin qui citati , quello dei “Quaderni Rossi” e quello del “Manifesto” affrontarono anche il nodo di fondo del rapporto tra il partito e la classe, mettendo in discussione la forma sostanziale del “centralismo democratico” e inerpicandosi per diversi sentieri nella ricerca della “via consiliare”.Non si riuscì però a realizzare un sufficientemente incisivo dato di contrasto e, alla fine, si scoprì che all’interno del PCI proprio il modello del “centralismo democratico” aveva scavato un vuoto di dibattito che risultò esiziale, nella contrapposizione delle mozioni, al momento di affrontare le proposta di scioglimento. Dai "Quaderni Piacentini" ai “Quaderni Rossi”al “Manifesto” restarono così punti irrisolti di dibattito che forse avrebbero dovuto essere sviluppati con una capacità critica portata molto più a fondo di quanto non fu possibile concretamente realizzare in quel tempo. Quegli spunti di dibattito appena citati incontrarono, del resto, limiti forti di vero e proprio politicismo allorquando nel PCI emerse la linea del “compromesso storico”, elaborata attraverso una ipotesi di non semplice intento di determinare equilibri tattici dettati dal momento storico (golpe cileno) ma come frutto di una lettura che arrivava direttamente dall'antico fronte antifascista ma ormai insufficiente e fortemente ritardata del rapporto che si era modificato tra sistema politico e società italiana nella fase più acuta di passaggio dalla ruralità all'industrializzazione e di modernizzazione del capitalismo. Modernizzazione del capitalismo che avrebbe dovuto prima di tutto essere considerata nella nuova logica della globalizzazione e della scarsità di risorse (ritardo di analisi che poi emerse in tutta la sua crudezza al momento della crisi energetica del '74, cui Berlinguer rispose tardi invocando una ipotesi di "austerità" interamente sovrastrutturale). Il PCI (e non solo) ripiegò allora, dopo le elezioni del '76 sulla traduzione al ribasso della solidarietà nazionale portando avanti un politicismo esercitato al punto che sviluppato una sorta di mal interpretato “primato della politica” condusse al collasso della teoria: ciò avvenne ben in precedenza alla stagione degli anni’80 nel corso dei quasi per via obbligata si arrivò alla liquidazione del partito segnandosi un sorta di destino ineluttabile nel collegamento con il fallimento dei fraintendimenti marxiano-leninisti dell'inveramento statuale. Intanto i gruppi post-'68 avevano intanto percorso tutt'altra strada. Una divaricazione perniciosa e per certi tratti pericolosa (nella quale era emerso anche un terrorismo frutto di una torsione idealistica e radicale della soggettività). Una divaricazione che forse era già stata tracciata in quell'analisi divergente sui fatti del 1962, sessant'anni fa e al riguardo della quale erano risultate impotenti "minoranze illuminate", incapaci anch'esse di cogliere il senso pieno della contraddizione di massa.

lunedì 18 aprile 2022

Franco Astengo: 18 aprile 1993

L'ALTRO 18 APRILE (1993) La bocciatura in due occasioni consecutive (2014 e 2017) da parte della Corte Costituzionale della formula elettorale scelta dal Parlamento Italiano per essere adottata in occasione delle elezioni politiche generali, l'adozione di una formula mista maggioritaria e proporzionale a separazione completa, altre modifiche del sistema come quelle riguardanti il voto all'estero hanno contribuito nel corso di questi ultimi anni a portare il sistema politico italiano in un quadro di crisi verticale. Una crisi sistemica derivante essenzialmente dall'esasperazione del personalismo, dalla caduta di ruolo dei partiti, dallo spostarsi del termini concreti dell'agire politico verso la governabilità in luogo della rappresentanza con conseguente riduzione di funzioni, ruolo, status dei consessi elettivi, in primis di quelli legislativi centrali. Un fenomeno questo riguardante il Parlamento nei suoi due rami che ha raggiunto l'apice della distruzione di senso con la riduzione del numero dei deputati e dei senatori da eleggere portando al lumicino la possibilità di rappresentanza territoriale e politica. Per questa vera e propria "difficoltà sistemica", collocata al centro di fenomeni epocali di trasformazione economica, sociale, tecnologica, si può individuare una data d'inizio indicandola nel 18 aprile 1993, ventinove anni anni fa. Nella storia d’Italia la data del 18 aprile ha rappresentato per ben due volte l’occasione per segnare una svolta epocale: nella prima occasione, quella del 1948 quando si svolsero le elezioni per la Prima Legislatura Repubblicana con il successo della Democrazia Cristiana e la sconfitta del Fronte Popolare. In un’occasione successiva, quella del 1993, le urne furono aperte per un referendum che (tra altri convocati in quell’occasione) interessava la legge elettorale del Senato. La riforma elettorale era considerata allora, semplicisticamente, la chiave di volta per modificare l’intero assetto del sistema politico. C’era chi, come il movimento capeggiato da Mario Segni oppure parte del PDS proclamava che l’adozione di un sistema elettorale maggioritario avrebbe semplificato il sistema, resa stabile la governabilità, fatta giustizia della corruzione, reso trasparente il rapporto tra eletti ed elettori. Mai promesse da marinaio come quelle enunciate all’epoca hanno causato una vera e propria distorsione nella capacità pubblica di disporre di una corretta visione politica. L’esito referendario del 18 aprile 1993 significò un punto di vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese, considerato che dalle elezioni del 1994 in avanti il corpo elettorale non ha mai avuto la possibilità concreta di scegliere i propri rappresentanti. Si è passati da un sistema misto di collegi uninominali e liste proporzionali bloccate a un sistema proporzionale interamente formato da liste e ,dopo aver tentato addirittura di proporre un sistema che avrebbe fornito la maggioranza assoluta con liste bloccate senza alcuna soglia da raggiungere sul modello della legge fascista Acerbo del 1924, ad un altro sistema misto con collegi uninominali e liste ancora bloccate. L’esito referendario del 18 aprile 1993 significò un punto di vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese, considerato che dalle elezioni del 1994 in avanti il corpo elettorale non ha mai avuto la possibilità concreta di scegliere i propri rappresentanti arrendendosi all'idea del prevalere di una logica di "voto di scambio" di massa elargito sulla spinta di una crescente sfiducia nelle istituzioni repubblicane. Franco Astengo

venerdì 15 aprile 2022

Rocketing Prices Test Europe’s Political Resolve in Confrontation With Russia - WSJ

Rocketing Prices Test Europe’s Political Resolve in Confrontation With Russia - WSJ

Sweden’s Nato decision isn’t just about security - New Statesman

Sweden’s Nato decision isn’t just about security - New Statesman: The Nordic country looks set to join Finland in applying for membership, but the debate in Stockholm is far from straightforward.

The war in Ukraine is part of the struggle for a new world order. But how will it look like? – Economy and ecology | IPS Journal

The war in Ukraine is part of the struggle for a new world order. But how will it look like? – Economy and ecology | IPS Journal: Russia’s invasion of Ukraine has upended the existing world order — and with it the global energy, production, distribution, and financial systems

Povertà transitoria e persistente: un’analisi delle disparità territoriali in Italia - Menabò di Etica ed Economia

Povertà transitoria e persistente: un’analisi delle disparità territoriali in Italia - Menabò di Etica ed Economia

Vecchie e nuove asimmetrie: l'Europa di fronte alla guerra - Menabò di Etica ed Economia

Vecchie e nuove asimmetrie: l'Europa di fronte alla guerra - Menabò di Etica ed Economia

giovedì 14 aprile 2022

Franco Astengo: Per la sinistra. Ripartire da Zimmerwald

PER LA SINISTRA: RIPARTIRE DA UNA ZIMMERWALD DEL XXI SECOLO di Franco Astengo Un tentativo di riattualizzazione di analisi del quadro politico ci impone di sviluppare due considerazioni preliminari: 1) Al di là di qualsiasi possibile esito sul campo rispetto all’invasione russa dell’Ucraina il tema dei nuovi equilibri internazionali rimarrà dominante per qualsiasi scelta politica nel periodo; 2) Pur nella piena consapevolezza delle difficoltà del momento la sinistra dovrà cercare di sviluppare ogni azione possibile per realizzare e mantenere una presenza istituzionale: in questo senso ormai imminente prospettiva delle elezioni legislative generali in Italia dovrà essere esaminata con grandissima attenzione e impegno a tutti i livelli. Ciò premesso nel tentativo di aprire una discussione di merito tra i diversi soggetti non soltanto partitici che fanno parte della mappa dell’esistente a sinistra sarebbe importante tracciare alcune coordinate di fondo: a) il punto di ripartenza potrebbe essere costituito da un’opposizione alla logica della guerra il cui senso potrebbe essere riassunto nell’indicazione di una “Zimmerwald del XXI secolo”. Un incontro tra forze diverse nel corso del quale porre due questioni fondamentali: quella della neutralità e quella della sovranità europea. Quella della neutralità rappresenterebbe una controindicazione fortissima rispetto alla corsa all’allineamento con la NATO che si sta verificando nella logica di acconsentimento alla ri- costruzione di una logica dei blocchi; la proposta di acquisizione della sovranità europea dovrebbe essere portata avanti in complementarietà con l’idea neutralista ( con smilitarizzazione dell’area centrale europea); b) l’idea della neutralità europea dovrebbe accompagnarsi con la prospettiva ecologista. I concetti di pace e ambiente dovrebbero essere declinati in una forma di vera e propria proposizione di “pedagogia politica. Una forma pedagogica di iniziativa politica da raccogliere attorno ad un progetto evitando approcci meramente populisti che pure da più parti si sarà tentati di portare avanti anche in forza di un processo di imitazione derivante dall’esito delle elezioni francesi; c) l’asse pacifismo/ecologismo non risulterà però sufficiente per stabilire una piattaforma adatta per lo scontro elettorale che si sta prefigurando in Italia. Emergono, infatti, anche questioni fondamentali rispetto all’assetto economico, sociale,tecnologico, istituzionale. Occorre riflettere sulla nuova qualità delle contraddizioni emergenti nella forza di incidere sul corpo vivo di una società squilibrata e sfibrata che sembra – in maggioranza – in attesa di un regime posto al di fuori dalle coordinate di democrazia repubblicana poste dalla Costituzione. Rimanendo, per un’ultima considerazione, all’interno del quadro prospettico riguardante le elezioni politiche italiane previste per il 2023 ci sarà da considerare il peso che avrà la formula elettorale sulle scelte che saremo chiamati a compiere: nel caso in cui rimanga in vigore la formula attuale è evidente che dovrà essere valutata ogni possibilità per riuscire a realizzare (tenuto conto della riduzione del numero dei parlamentari) il risultato della presenza istituzionale: si pone così il tema molto delicato della forma di presenza nella parte riservata ai collegi uninominali nella quale il sistema di alleanze avrà un peso preponderante.

C’E’ UN FUTURO PER IL SOCIALISMO? -

C’E’ UN FUTURO PER IL SOCIALISMO? -

martedì 12 aprile 2022

Europe’s Economy on a Knife Edge by Barry Eichengreen - Project Syndicate

Europe’s Economy on a Knife Edge by Barry Eichengreen - Project Syndicate

Jean-Luc Mélenchon Has a Mandate to Rebuild the French Left

Jean-Luc Mélenchon Has a Mandate to Rebuild the French Left

La guerra in Ucraina: un conflitto globale

La guerra in Ucraina: un conflitto globale

Giovani di città, gli elettori di Mélenchon che Macron deve conquistare - Strisciarossa

Giovani di città, gli elettori di Mélenchon che Macron deve conquistare - Strisciarossa

La riforma del catasto è di sinistra - Articolo21

La riforma del catasto è di sinistra - Articolo21

Mélenchon ridà speranza a tutta la Sinistra europea - Qualcosa di Sinistra

Mélenchon ridà speranza a tutta la Sinistra europea - Qualcosa di Sinistra

lunedì 11 aprile 2022

Le progrès social et humain, il successo di Jean Luc Mélenchon -

Le progrès social et humain, il successo di Jean Luc Mélenchon -

Thank You, Jean-Luc Mélenchon

Thank You, Jean-Luc Mélenchon

Tutti i “buchi” delle sanzioni alla Russia

Tutti i “buchi” delle sanzioni alla Russia

Franco Astengo: Qualche numero dalla Francia

QUALCHE NUMERO DALLA FRANCIA di Franco Astengo Spoglio quasi completato per il primo turno delle presidenziali francesi svoltosi domenica 10 aprile: scriviamo, infatti, al 97% delle schede scrutinate e a questo punto è possibile tentare qualche prima valutazione posta sul piano generale, riservandosi una analisi più approfondita posta sul terreno dell’articolazione territoriale. Molto opportunamente il sito del Ministero dell’Interno francese riporta anche le percentuali sul totale degli aventi diritto: in Italia questo tipo di analisi non si svolge quasi mai e si finisce con lo stravolgere il senso delle percentuali effettive di voto assegnandole soltanto sulla base dei voti validi (sorgono così equivoci come quello clamoroso delle Europee 2014 con il PD attestato a un fasullo 40% ottenuto semplicemente per una massiccia diserzione dalle urne). Nella Francia 2022 l’astensione è ancora cresciuta e questo elemento deforma il valore delle percentuali ottenute dai diversi candidati. Andando per ordine, su questo punto: nel 2017 ci si era attestati sul 77,77% dei votanti con l’1,78% di schede bianche e lo 0,78% di schede nulle. Nel 2022 il totale dei votanti è sceso al 74,86% (meno 2,91% : circa 1.500.000 in più di elettrici ed elettori che non si sono recati al seggio). Nel computo dei voti relativi ai diversi candidati si rileva anche una forte volatilità elettorale (non ancora, però, ai livelli assunti dal fenomeno nelle più recenti elezioni italiane) con la caduta dei due grandi partiti che avevano segnato il bipolarismo francese: il partito socialista e quello gollista (ed eredi) e la grande differenza tra centri urbani e Francia profonda. Considerato che i due candidati che arriveranno al ballottaggio hanno incrementato il loro plafond passando (al 97% dei voti scrutinati) Macron da 8.656.346 voti a 9.560.579 e Le Pen da 7.678.491 a 8.109.802 diventa fondamentale per capire cosa è successo valutare il crollo di gollisti e socialisti facendo presente prima di tutto un elemento. Si tratta della divisione a sinistra: la presenza di 5 candidature (compresa quella dei Verdi, che nel frattempo in Francia hanno assunto una dimensione maggiormente “politica” dai tempi ruralisti di Bovè) ha impedito all’ex-socialista ora radical-populista Mélenchon di arrivare al ballottaggio. La candidatura dell’ex-fondatore di Radio Tangeri è cresciuta in numeri assoluti da 7.059.951 a 7.605.495. Intorno, a sinistra, registriamo: il pauroso arretramento della candidatura socialista, in questo caso Anne Hidalgo che rispetto a quella di cinque anni fa di Benoit Hamon si ferma a 604.203 voti contro 2.291.288; il comunista Roussel (non presente nel 2017) ottiene 799.352 voti; i Verdi con Jadot 1.587.541 e le due candidature trotzkiste complessivamente 461.720 voti. Un’ipotetica candidatura da Fronte Popolare (compresi gli ecologisti) avrebbe ottenuto nel 2017 9.978.128 voti saliti nel 2022 a 10.454.108 a dimostrazione che, dal crollo dei socialisti, non si è avuto uno spostamento a destra ma ,considerato il quadro complessivo, semplicemente un maggiore frazionamento. L’altro punto di caduta che andrà esaminato con attenzione è quello dei gollisti. La candidatura ufficiale dei “Repubblicani” nel 2017, presentata da Francois Fillon aveva ottenuto 7.212.995 suffragi: nel 2022 Valérie Pécresse, presidente dell’Ile de France, è scesa a 1.658.377 voti con un calo di 5.554.618 suffragi. Appare evidente che gran parte di questi voti abbiano rappresentato nel 2022 la base del consenso acquisito da Eric Zemmour, ultradestra, che ha raccolto 2.442.673 voti; un’altra parte dei perduti voti gollisti è da ricercarsi (oltre che nell’astensione) nell’incremento ottenuto dalla candidatura Le Pen. Nella sostanza non c’è complessivamente uno spostamento a destra ma uno spostamento della destra verso l’estrema destra che Macron sta cercando di recuperare corteggiando ( come fa da tempo) l’ala più vicina all’ex-presidente Sarkozy: così la sinistra divisa si limita, pur disponendo di un notevole numero di voti, ad assistere abbarbicata al successo di Mélenchon che verificheremo quanto potrà essere trasmesso e reso efficace nelle elezioni legislative. In sostanza si può affermare che per la prima volta la candidatura Le Pen di estrema destra non ha fatto il pieno al primo turno e dispone (al contrario dello scontro di 5 anni fa) di margini di crescita: oltre ai 2.442.673 voti di Zemmour sono da considerare anche il 1.095.703 voti di Lassalle (erede di Bayerou) e i 718.240 voti di Dupont – Aignan oltre all’incerta possibile divisione dei voti gollisti. Macron ha portato avanti una politica di destra sottovalutando l’ampiezza del bacino della sinistra: Mélenchon ha dichiarato “non un voto per la Le Pen” ma non ha invitato a votare Macron. Esiste allora un margine di incertezza da non trascurare, considerando anche l'articolazione sociale e culturale dell'elettorato di France Insoumise che risulta molto diversa da quella per così dire "classica" di PS, PCF e LO . Sul voto per Mèlenchon sicuramente hanno insistito frange dei tanti "NO" che agitano l'estremismo europeo dall'emigrazione, all'emergenza sanitaria, alla guerra con richiami che, almeno in Italia, hanno assunto aspetti di dannunzianesimo di ritorno come nel caso del M5S che pure tentarono approcci con il movimento dei "gilet gialli". Pesa l'incapacità della sinistra francese di valutare le proprie forze nelle diverse componenti e, di conseguenza, l'impossibilità di costruire una qualche dimensione unitaria. Sarà l’affluenza al secondo turno a decidere il ballottaggio e soprattutto la possibile partecipazione di elettrici ed elettori della sinistra, perché la volatalità elettorale tra il primo e il secondo turno non è così scontata come si verificò invece nel 2002, quando Chirac raccolti 5.665.855 voti al primo turno volò al secondo a 25,537,956 facendo il pieno dell’antifascismo francese e surclassando Le Pen sr. Passato da 4.804.713 a 5.525.032 ( su Chirac si assestarono gli oltre 4 milioni di voti socialisti di Jospin, i quasi 2 milioni del centrista Bayerou, mentre va ricordato che in quell’occasione le due candidature trotzkiste di Lotte Ouvriere e della LCR finirono davanti a quella del PCF).

Appunti per un Pnrr virtuoso - Collettiva

Appunti per un Pnrr virtuoso - Collettiva

venerdì 8 aprile 2022

L’Europa costretta a ripensare le sue relazioni con la Russia - Pierre Haski - Internazionale

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L’unica speranza di pace si chiama Europa - Il Riformista

L’unica speranza di pace si chiama Europa - Il Riformista: Per alimentare la prospettiva di un‘Europa del disarmo e della pace che riorienti il proprio destino verso la cooperazione e […]

Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, prospettive di memoria | Global Project

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Progressisme et démocratie en Amérique latine (2000-2021) - Fondation Jean-Jaurès

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La dynamique Mélenchon - Fondation Jean-Jaurès

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Obblighi da rispettare per dare armi all’Ucraina - Lavoce.info

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ELEZIONI VERDEORO. LULA VS BOLSONARO - INTERVISTA CON LA PROF. MARZIA ROSTI - GLI STATI GENERALI

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La rivista il Mulino: Perché è necessario un esercito europeo

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Bill Clinton: I Tried to Put Russia on Another Path - The Atlantic

Bill Clinton: I Tried to Put Russia on Another Path - The Atlantic: My policy was to work for the best, while expanding NATO to prepare for the worst.

Whitewashing Nazis Doesn’t Help Ukraine

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Transnational labour and social rights – Susanne Schmidt and Susanne Wixforth

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Fidesz and Orbán triumph in Hungary’s skewed elections – Stephen Pogány

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Landini: insufficienti i 5 miliardi previsti dal Def - Collettiva

Landini: insufficienti i 5 miliardi previsti dal Def - Collettiva: Le parole del segretario generale della Cgil all'uscita dal tavolo di confronto con il governo Draghi

Credevamo di essere i padroni del mondo. Non lo eravamo e non lo siamo

Credevamo di essere i padroni del mondo. Non lo eravamo e non lo siamo

mercoledì 6 aprile 2022

Per una nuova globalizzazione socialista – Transform! Italia

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La rivista il Mulino: Quale spazio post-sovietico?

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LA “DEFORMA” FISCALE -

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La Gauche et l'Ukraine - Institut tribune socialiste - ITS

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Prima la Difesa Europea, poi la spesa al 2% – Gustavo Piga

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Speciale Ucraina: “Dove sono le Nazioni Unite?” | ISPI

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Guerra in Ucraina: cosa pensano gli italiani? | ISPI

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In the Biden Era, Neoliberalism Is Alive and Kicking

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ytali. - Francia, la paura del voto. Conversando con Jean-Jacques Kupiec

ytali. - Francia, la paura del voto. Conversando con Jean-Jacques Kupiec: Un film dell’orrore, terrificante: protagonista Marine Le Pen, nono presidente della quinta repubblica francese. Un incubo o una realtà plausibile? Una paura esagerata? A questi interrogativi inquietanti c’è chi replica…

QUI SESTO A VOI REGIONE |

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M6, VERO PROGETTO O PESCE D’APRILE? |

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IL LABIRINTO DI BEPPE SALA: IL DIBATTITO PUBBLICO SU SAN SIRO |

IL LABIRINTO DI BEPPE SALA: IL DIBATTITO PUBBLICO SU SAN SIRO |

lunedì 4 aprile 2022

Sesto San Giovanni, sorpresa nel centrosinistra: alle primarie vince il segretario di Sinistra Italiana. Battuto il candidato del Pd - Il Fatto Quotidiano

Sesto San Giovanni, sorpresa nel centrosinistra: alle primarie vince il segretario di Sinistra Italiana. Battuto il candidato del Pd - Il Fatto Quotidiano

Orbán's unfair election victory makes a travesty of EU values - New Statesman

Orbán's unfair election victory makes a travesty of EU values - New Statesman: If Hungary's authoritarian prime minister hadn't rigged the system, it is doubtful that he would have won so convincingly.

La rivista il Mulino: Riuscirà il Pnrr a rilanciare l’Italia?

La rivista il Mulino: Riuscirà il Pnrr a rilanciare l’Italia?

Orbán resta al potere, ma si sfascia l'alleanza sovranista di Visegrád - Strisciarossa

Orbán resta al potere, ma si sfascia l'alleanza sovranista di Visegrád - Strisciarossa

Cuperlo: A sinistra abbiamo un problema: la guerra in Ucraina - nuovAtlantide.org

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Non è breve la strada per il distacco dal gas russo - Sbilanciamoci - L’economia com’è e come può essere. Per un’Italia capace di futuro

Non è breve la strada per il distacco dal gas russo - Sbilanciamoci - L’economia com’è e come può essere. Per un’Italia capace di futuro

Stefano Lucarelli: Il Mezzogiorno del PNRR

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Difesa europea, una chimera? - terzogiornale

Difesa europea, una chimera? - terzogiornale

Renato Fioretti: Referendum, ora tocca a noi

REFERENDUM: ORA TOCCA A NOI (prima parte) di Renato Fioretti Quale convinto sostenitore dell'opportunità di esprimere cinque perentori ai referendum cui la Consulta ha recentemente concesso il via libera, accolgo con piacere le intenzioni di voto espresse da coloro che anticipano di condividere la mia scelta; anche se solo in misura parziale rispetto alla totalità dei quesiti proposti. Trovo, però, deprimente rilevare, tra questi, la presenza di soggetti che, ad esempio, voteranno alla “separazione delle carriere” dei magistrati solo perché la definitiva separazione delle funzioni giudicanti e requirenti - attraverso la cancellazione delle già limitate possibilità di passare da un ruolo all'altro - rappresentava, nel corso della c.d. “Prima Repubblica”, una soluzione proposta da Bettino Craxi. La decisione, quindi, sarebbe dettata, più che da una scelta ponderata, dal perdurare di un'antica contrapposizione di tipo ideologico. Mai come in questa occasione, invece, è opportuno evitare di essere trascinati in quello che - strumentalmente, a mio parere - viene presentato quale scontro tra magistratura e politica. Inevitabile corollario: l'esigenza di ridurre il potere della (troppo invadente) Magistratura! Personalmente concordo con coloro che evidenziano, piuttosto, una realtà disarmante. La magistratura - non sempre in maniera totalmente soddisfacente, questo è pur vero - ha l'esclusivo compito di perseguire quegli stessi reati stabiliti dalle leggi votate dai politici, non dalla magistratura, ma ciò determina, sin troppo spesso, reazioni politiche (e del potere economico-finanziario) tendenti ad affermare chissà quale “golpe giudiziario” ad opera di toghe sistematicamente “rosse”! Se le stesse reazioni provenissero da puscher o scippatori, parleremmo di inconsulti ed ingiustificati attacchi a magistrati che si limitano a fare il loro dovere: perseguire i reati! In questo senso, poiché ritengo che dai referendum oggetto della prossima consultazione popolare - ingannevolmente “sponsorizzati” ai fini di “una giustizia giusta che funzioni” - traspaia, in realtà, l'insofferenza del ceto politico rispetto al controllo di legalità e, quindi, il recondito obiettivo che (la giustizia) continui a non funzionare, è opportuno diffidare delle motivazioni addotte dai promotori - e dai sostenitori - tentando di comprenderne al meglio il merito e, soprattutto, le eventuali conseguenze. E' questo, in sostanza, ciò che tenterò di fare. Il primo quesito, relativo alle modalità di presentazione delle candidature dei magistrati per l'elezione al CSM(1) (Consiglio Superiore della Magistratura) - organo costituzionale di autogoverno della magistratura - non richiede particolare approfondimento; nonostante sia stato (pomposamente) presentato quale “riforma del Csm” Si tratta, in effetti, di un intervento di carattere minimale(2). L'eventuale >SI>, infatti, avrebbe l'unica conseguenza di abrogare l'obbligo di un magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme a sostegno della propria candidatura al Csm; senza minimamente incidere sul vigente sistema delle “correnti”, per l'elezione dei componenti togati. Un quesito, quindi, tutto sommato, di scarsa rilevanza “politica”; che sembrerebbe aggiunto agli altri giusto “per fare numero”. Già il secondo quesito presenta, invece, qualche interessante elemento di novità e di non infondato timore. I proponenti il referendum chiedono che i Consigli giudiziari(3), istituiti in ogni distretto di Corte d'appello e composti sia da magistrati che da avvocati, con il compito di valutare l'operato professionale dei singoli magistrati, prevedano che - contrariamente a quanto avviene oggi - anche i rappresentanti degli avvocati abbiano diritto di voto. Al riguardo, è opportuno rilevare che la riforma della ministra Cartabia già consente quanto richiesto; ma solo nel caso in cui il Consiglio dell'Ordine (degli avvocati) abbia segnalato un comportamento scorretto da parte del magistrato sottoposto a valutazione. Personalmente ritengo che quanto già previsto dalla Cartabia possa considerarsi più che sufficiente. Non reputo opportuno, quindi, che, nella valutazione dell'operato professionale di un magistrato, sia, di norma, previsto un voto espresso da un soggetto - l'avvocato - che, per sua natura, svolge il ruolo di controparte. Escludo questa ipotesi per un motivo molto semplice e, credo, altrettanto comprensibile. L'ipotesi è quella di un avvocato, componente il Consiglio giudiziario di un qualsiasi distretto e, contemporaneamente, impegnato in un dibattimento processuale nella stessa sede territoriale. Ebbene, è sin troppo facile dedurne che - anche se inconsapevolmente - il magistrato di turno si ritroverebbe in una condizione di disequilibrio rispetto a chi, un giorno, potrebbe essere chiamato ad esprimere un voto determinante ai fini della sua carriera professionale. In questo senso, non oso immaginare quali nefaste conseguenze avrebbe potuto produrre, rispetto al requisito della terzietà (cui è tenuto ciascun magistrato giudicante), l'eventuale al referendum - fondatamente giudicato inammissibile dalla Consulta, perché considerato “un'innovazione giuridica” - che prevedeva la “responsabilità diretta dei magistrati”. Una giustizia “serenamente” forte con i deboli e “cautamente” debole con i forti! I rimanenti tre quesiti referendari: la c.d. “separazione delle carriere”, la “custodia cautelare” e, dulcis in fundo, l'abolizione della legge Severino, meritano ben altre attenzioni. Relativamente al primo, è opportuno subito rilevare che già il titolo appare inappropriato poiché l'eventuale non comporterebbe la separazione delle carriere tra Pm e giudice, che resterebbero legate allo stesso concorso, allo stesso CSM e alla stessa scuola di formazione. Da malpensante, però, non è infondato immaginare che, se per il momento, i proponenti ed i sostenitori del quesito referendario si accontenterebbero di separare le sole “funzioni” tra magistrati inquirenti e giudicanti - cancellando definitivamente la possibilità(4) di passare dall'una all'altra nel corso dalla carriera - l'obiettivo cui puntano sia proprio quello della netta separazione(5) delle carriere; con concorsi diversi, due CSM e formazione differenziata. Personalmente, come già rilevato in altra occasione(6), concordo con chi (dotato di ben altro prestigio(7) ed autorevolezza), esprimendosi con un netto , ritiene che l'attuale possibilità offerta ai magistrati (di svolgere entrambe le funzioni, nel rispetto di precise limitazioni(8) temporali e territoriali) consenta loro di offrire maggiori garanzie per una migliore amministrazione della giustizia. Al riguardo, mi piace riportare quanto - incautamente, a mio giudizio - già affermavano i rappresentanti della “Lista Emma Bonino” (all'epoca dei venti referendum presentati nel 1999) a sostegno di un quesito sullo stesso tema: “Tra giudicanti e requirenti vi dovrebbe essere una forma mentis assolutamente differente: garante, imparziale, terzo tra le parti, il giudice; parte stessa del processo penale il Pm, che rappresenta l'accusa contro la difesa”! Quindi: da un lato, un giudice, garante dei diritti costituzionali di un imputato, che svolge la sua funzione in ossequio alla imparzialità del ruolo e, dall'altro, un Pm che avrebbe un solo e comunque un unico scopo; la condanna dell'imputato. Si tratterebbe, almeno negli auspici radicali, di una sostanziale “americanizzazione(9)” di un punto nodale del nostro ordinamento giudiziario; con un magistrato requirente “praticamente ricondotto(10) nella sfera dell'Esecutivo. Quindi, in definitiva, sottoposto, a tutti gli effetti, al potere politico”. Senza dimenticare che - come sostiene(11) Piercamillo Davigo, ex magistrato altrettanto prestigioso ed autorevole - “lo stesso Consiglio d’Europa ha raccomandato, a tutti e 47 gli Stati membri, il modello italiano, stabilendo che invece è opportuno che uno passi da una all’altra funzione. Ovviamente non nello stesso processo, perché la cultura comune assicura una migliore amministrazione della giustizia”. Inoltre, per concludere su questo punto, non è superfluo evidenziare che, a parte l'assoluta indecifrabilità del lunghissimo testo del quesito referendario in oggetto - qualcuno lo quantifica in 1.500 parole - all'eventuale affermazione del seguirebbe, tra le altre discrasie, anche l'abrogazione delle norme che regolano la copertura in deroga delle sedi cosiddette disagiate. Ciò produrrebbe l'effetto, secondo il parere di autorevoli esperti(12), “di limitare gravemente la possibilità di coprire sedi giudiziarie poco appetite perché spesso in territori a elevata densità criminale”. Non è azzardato, quindi, ritenere che si tratti di un altro pezzo della tanto invocata “Riforma della giustizia” che corre, invece, il concreto rischio di rappresentare un ulteriore strumento di disagio per la giustizia; attraverso lo smantellamento degli strumenti di contrasto alla criminalità. NOTE 1) E' composto da 27 membri. Di questi, 16 sono eletti dai magistrati, 8 dal Parlamento (tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati), oltre al Capo dello Stato (che svolge la funzione “formale” di Presidente), al primo presidente e al procuratore generale della Corte suprema di cassazione. Tra gli 8 membri “laici”, viene eletto un vicepresidente che svolge, in concreto, tutti i compiti connessi alla presidenza del Collegio. 2) Comporterebbe solo una miriade di candidature rispetto alle attuali. 3) Organi territoriali che svolgono una funzione consultiva nei confronti del CSM. Redigono pareri relativi alla progressione di carriera dei magistrati, al cambio di funzioni e ad altre evenienze della vita professionale degli stessi. 4) Attualmente questa possibilità è consentita 4 volte e a patto che avvenga in un diverso distretto di corte d'appello. La riforma della Cartabia già le riduce a 2. 5) Il che richiederebbe una modifica costituzionale. 6) Fonte: “Referendum: i primi due ”; su www.blog-lavoroesalute.org del 4/07/2021 7) Fonte: “Carriere separate, le ragioni di un no”; di Giancarlo Caselli, pubblicato su “Il Corriere della Sera” del 15/07/2020. 8) La permanenza in una delle due funzioni per almeno cinque anni prima di poter chiedere il cambio, un massimo di quattro “passaggi” da una funzione all'altra e l'obbligo del cambio di Regione in seguito al mutamento delle funzioni. 9) Intendendo così, le modalità procedurali vigenti negli Usa. 10) Fonte: “Sulla scalinata del Palazzaccio”, del 14 giugno 2021, a cura di Nello Rossi, Direttore del sito web “Questione giustizia”. 11) Fonte: Intervista di Giovanni Floris; nel corso del programma televisivo “Di Martedì” del giugno 2021. 12) Fonte: “Centrostudilivatino”; Referendum per la giustizia giusta, del 19/02/2022. REFERENDUM: ORA TOCCA A NOI (seconda parte) di Renato Fioretti Gli ultimi due quesiti costituiscono, però, un caso assolutamente particolare. Non esito a dire che li trovo, entrambi, sconcertanti perché dimostrano - urbi et orbi - la mal celata insofferenza dell'attuale ceto politico nei confronti della legalità! Tra l'altro, l'aspetto più incredibile - se non rappresentasse il tragico affresco della penosa situazione nella quale oggi langue la politica italiana - sarebbe costituito dalla valanga di risate sotto la quale sommergere l'antico slogan leghista: “Roma ladrona” e l'ultimo suo (zotico) condottiero; co-presentatore e ostinato sostenitore dei 5 referendum superstiti. E', infatti, sconvolgente che, dietro la maschera rappresentata dall'opportunità di quella che i promotori del referendum qualificano quale “esigenza di porre dei limiti agli abusi prodotti dall'esercizio della custodia cautelare”, si celi, invece, l'intenzione di intervenire non rispetto ai possibili abusi, bensì per operare una drastica riduzione del campo di applicazione della norma; così come rispetto altre altre misure: cautelari coercitive e interdittive adottate dal giudice penale. In effetti, è, purtroppo, vero che nel nostro Paese il ricorso alle misure di custodia cautelare(13) - cui di norma si ricorre quando si ritiene che ci sia un pericolo di fuga dell'indiziato, il rischio di reiterazione del reato o il pericolo di inquinamento delle prove - presenta indici abbastanza elevati(14), però, porre rimedio a questi ingiustificati ed intollerabili eccessi(15), che costituiscono un vero e proprio “abuso di potere”, tocca solo ed esclusivamente al Legislatore. Non a caso, come già anticipato, un eventuale produrrebbe un unico - deflagrante - effetto. Impedire al giudice di turno la possibilità di ricorrere alle misure cautelari per una lunga serie di reati. Bene, quindi, chiarire che - come diffusamente illustrato da Domenico Gallo(16) - “Esclusi i delitti di mafia e quelli commessi con l'uso delle armi, l'effetto del sarebbe quello di precludere la possibilità di applicare, nei confronti delle persone imputate di gravi reati, misure cautelari di alcun tipo, non solo la custodia in carcere e gli arresti domiciliari, ma anche l'allontanamento dalla casa familiare (nel caso del coniuge o padre violento), oppure il divieto di avvicinamento (nei casi di atti persecutori) così come non sarebbero più possibili le misure interdittive, come il divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali (nel caso delle società finanziarie che truffano gli investitori)”. In definitiva, conclude Gallo “Smantellando gli strumenti di contrasto alla criminalità, non si opera una riforma della giustizia, bensì una riforma contro l'amministrazione della giustizia, contro l'eguaglianza e i diritti delle persone”! E hanno l'ardire di parlare di referendum tesi ad ottenere “Una giustizia giusta”. Si tratta solo di personaggi ignobili, che - a loro uso e consumo - mentono ben sapendo di mentire! Come non sottoscrivere, quindi, le considerazioni di Giancarlo Caselli quando scrive(17) che Matteo Salvini, nel farsi promotore di questo quesito referendario (al pari di quello sulla legge Severino), “è scivolato su una buccia di banana”? “Se questo referendum dovesse essere approvato”, scrive Caselli, “alla prima decisione giudiziaria di un certo rilievo che applichi le nuove disposizioni farà seguito - c'è da scommetterlo, sicuri di vincere facile - un'ondata di malcontento e l'indignazione popolare contro questa magistratura troppo lassista (l'intramontabile ). Magari proprio da parte di quelli che si sono intestati il referendum”! NOTE 13) La custodia cautelare viene disposta dal GIP, su richiesta del PM, o dal giudice presso il quale pende il giudizio 14) .Il sito HuffPost riporta dati secondo i quali il 13/14 per cento dei detenuti è costituito da soggetti in attesa della sentenza di primo grado. Nel 2020, ad esempio, sono state risarcite, per ingiusta detenzione 750 soggetti. 15) In questo senso, la stagione di “Mani pulite” avrebbe dovuto insegnare molto. 16) Fonte: “Referendum, i falsi slogan della ”; pubblicato, in data 18/02/2022, dal sito www.micromega.net . 17) Fonte: “Sul referendum anti-custodia cautelare, è Salvini o un altro”? Pubblicato da “il Fatto Quotidiano”, in data 18/02/2022.

venerdì 1 aprile 2022

I francesi si preparano al voto e cercano un’alternativa a Macron - Internazionale

I francesi si preparano al voto e cercano un’alternativa a Macron - Internazionale

Gianstefano Milani: Sarà l'Europa la guida morale dell'Occidente

Saranno tre i capitalismi a confronto: autoritario, liberista, socialdemocratico Sarà l'Europa la guida morale dell'occidente. Forte di un suo esercito a vocazione solo difensiva Gianstefano Milani Sull'ultimo numero dell'Avanti! la direzione del giornale si è rivolta al segretario generale dell'ONU perchè assumesse una iniziativa volta ad aprire la strada alla pace in Ucraina. Non so se Guterres abbia letto quell'appello. Sta di fatto che il segretario generale ha chiesto il cessate il fuoco umanitario immediato per "consentire il progresso di seri negoziati politici, volti a raggiungere un accordo di pace basato sui principi della Carta dell'ONU". L'invasione dell'esercito russo in Ucraina, ordinata da Putin in aperta violazione del diritto internazionale, è una sfida dichiarata ai principi basilari dell' occidente e all'Europa in particolare. La reazione occidentale è stata immediata e costituisce una prova di unita' forse inattesa; una risposta risoluta alla sfrontatezza dell'invasore che contava sulla divisione tra gli stati nazionali e ignorava o mirava ad infrangere la costituency e la profondita' valoriale che sta alla base dell'integrazione europea, frutto a sua volta della sofferta riflessione seguita alla fine della seconda guerra mondiale. L'auspicio di tutto il mondo civile è che la guerra si concluda con il ritiro dei carri e la fine dei bombardamenti russi e il conseguente avvio di negoziati che sanciscano la sovranita' del governo ucraino sul proprio paese. Tuttavia, comunque si concluda questo terribile conflitto, è certo e universalmente riconosciuto che le relazioni internazionali a partire da ora sono destinate a mutare in modo netto e probabilmente irreversibile. Si profila la fine del primato dell'occidente, emergono a oriente nuove imponenti realta' politiche, economiche, demografiche e militari, determinate ad esercitare un ruolo influente e decisivo in una nuova spartizione delle risorse, della produzione e della ricchezza, oltre che nella nuova configurazione geopolitica del pianeta. L' occidente è e sara' costretto a competere non essendo piu' in grado di dominare: altro che fine della storia, comincia un nuovo ciclo della della storia. Gia', ma come definire oggi l'occidente? E’ davvero quell'entita' compatta che fornisce armamenti ai combattenti ucraini, sostegni e solidarieta' d'ogni genere a quel popolo e a milioni di profughi? Senza dubbio è anche questo. Ma poi? Bastera' rafforzare la NATO per fronteggiare i conflitti militari e non, che inevitabilmente si accumuleranno in una strutturazione multilaterale del potere, laddove a competere saranno quattro forme di capitalismo: quello politico cinese, quello autocratico russo, quello liberista anglosassone e quello che Branko Milanovic definisce socialdemocratico-renano? E' persino scontato che la prima conseguenza dell'invasione in Ucraina sia l'accelerazione del ritmo di integrazione anche militare dell'Unione europea. Infatti al rafforzamento di coesione e unita' interne, la nuova Europa dovra' far corrispondere una piu' attiva autorevolezza e un marcato profilo continentale nel nuovo mondo multipolare. Il che non significa defilarsi dalle alleanze occidentali militari e non, quanto definire e circostanziare il proprio rango nell'insieme delle istituzioni e delle relazioni internazionali. Dobbiamo proteggerci dalle minacce e dall'uso altrui della forza, come accade in Ucraina. Percio' non possiamo apparire ne' essere fragili o ancor peggio indifesi. Dobbiamo essere forti e capaci di difenderci. Forti per difendere, non per offendere. La nuova Europa non puo' non mettere in conto l'esigenza primaria, vitale, esistenziale della difesa comune e pertanto mettere in comune le risorse finanziarie, tecnologiche, materiali, umane necessarie. Nulla di piu',nulla di meno. Nell'ultimo decennio del secolo scorso l'Europa ha cambiato improvvisamente il proprio corso a seguito della caduta del muro di Berlino e successiva riunificazione della Germania. Questo evento ha fatto della Germania il paese leader dell'Unione e ne ha sovraccaricato le responsabilita' politiche. A un trentennio da allora, a causa dell'invasione in Ucraina, è toccato ancora alla Germania valicare il secondo e piu' greve tabu' della storia recente, annunciando il proprio riarmo nell'ambito della costruzione comune del nuovo sistema di difesa europeo .Ed è toccato al cancelliere socialdemocratico Sholz, nel nome della rivendicazione dei valori fondanti delle democrazie europee. Quando si dice l'ironia della storia! Sulla Germania protagonista delle piu' devastanti guerre di aggressione della prima meta' del novecento, fonte dell'ideologia nazionalista che ha alimentato la pretesa di sottomettere l'intera Europa, ricade il compito di riscattare il proprio passato per mettersi alla testa della difesa della democrazia e dello spazio sociale e culturale europeo. di una civilta' fondata sui canoni del rispetto delle liberta', dei diritti, e sulla ricerca dell'equita' sociale. Ebbene,dalla lezione ucraina, l'Europa, nell'occidente potra' e dovra' partecipare con il proprio giudizio alla difesa comune. Ma per la sua storia recente caratterizzata da ottanta anni di pace, cooperazione e progresso, ha il dovere politico di essere il motore ' di una controffensiva della pace ,del diritto, della liberta'. In conclusione, di una estensione di quella civilta' cui aspiriamo come patrimonio universale dell'umanità.

Con la guerra in Ucraina si spacca anche il gruppo di Visegrád - Linkiesta.it

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Ferruccio Capelli: ECOSOCIALISMO E GIUSTIZIA SOCIALE

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Aumentano gli occupati, ma non la qualità del lavoro - Collettiva

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