domenica 22 febbraio 2009

Vittorio Melandri: hic opus, hic labor

Stando al poeta Giovanni Raboni, il poeta Paolo Volponi è “l’unico ad aver cantato il dramma antropologico del nostro tempo – lo scontro mortale fra il mondo della natura e della laboriosità umana e il mondo del capitale e del lavoro alienato…..” Domenica 22 febbraio mi è capitato di leggere su l’Unità Vincenzo Cerami, evocare quel concetto per cui “non esiste parola che non significhi più cose”, e mi ha così suggerito che non esiste “cosa” che non sia possibile evocare con più parole. Sono così tornato all’emistichio virgiliano - hoc opus, hic labor – tradotto in, “questo il lavoro, questa la fatica”. Da ignorante mi ero detto, a quanto pare i nostri avi usavano il termine opus, per indicare il concetto di lavoro, opera, occupazione, mestiere, ed il termine labor, per indicare la fatica, lo sforzo. Perché nella nostra lingua odierna, è il secondo termine che ha assunto prioritariamente il significato di lavoro, perché non diciamo opera, operare, ma lavoro, lavorare? “Il mondo del capitale”, anche in questi tempi di crisi, anzi forse più che mai in questi tempi di crisi, coincide con il “mondo del potere dominante”; e questo da sempre, insieme alle bombe che devastano le carni, usa con maestria quella bomba molto più “definitiva”, per le sorti di qualsiasi conflitto, che è il linguaggio. Forse sarebbe il caso che una classe dirigente che si vuol proporre di cambiare lo stato delle cose a favore dei più deboli (pur, in ossequio alla laica democrazia, senza far torto ai più forti), si mostrasse capace di lottare per separare il significato della parola lavoro, dal significato della parola alienazione, e della parola morte. Forse sarebbe il caso che la nuova classe dirigente di cui sopra, quando si trovasse nella pratica impossibilità di separare la parola lavoro dal significato della parola fatica, si mostrasse però capace di riconoscere separatamente i diritti insiti nel lavoro e quelli insiti nella fatica. Penso che una classe dirigente che si rivelasse capace di schierarsi nel novero dello “scontro mortale fra il mondo della natura e della laboriosità umana e il mondo del capitale e del lavoro alienato”, dalla parte di chi vorrebbe abitare nel primo mondo, e sottrarsi al dominio del secondo, troverebbe molti più consensi, anche funzionali al proprio esistere, di quanti riesca a trovarne una classe dirigente che di quel conflitto arriva addirittura a negare l’esistenza.



Vittorio Melandri

Nessun commento: