domenica 15 febbraio 2009

Fulvio Papi: etica e capitalismo

dal sito dell'avvenire dei lavoratori

Le idee
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ETICA E CAPITALISMO

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Esistono a livello scientifico analisi storiche fatte molto bene sulle vicende del capitalismo contemporaneo. Latitano invece nella pubblicistica corrente. Uno dei maggiori pensatori italiani si cimenta con questo compito divulgativo mostrando il rovesciamento etico della "tempesta perfetta" nella quale s'è manovrato il turbo-capitalismo globale.

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di Fulvio Papi *)

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Esistono a livello scientifico analisi storiche fatte molto bene sulle vicende del capitalismo contemporaneo. Latitano invece nella pubblicistica corrente. Quivi i massimi tromboni della economia di mercato considerata al modo in cui Manzoni, almeno nel romanzo, descriveva la divina provvidenza ora, di fronte alla crisi, sostengono che quando si cercano rimedi non si sa nemmeno di che cosa si sta parlando. La verità, la coerenza intellettuale e la vergogna (non il pentimento che è un rituale) non sono beni di scambio. Si sapeva, ma anche questa è una crisi.
Quando si parla di nascita del capitalismo viene subito in mente Max Weber che ha mostrato come il "processo di accumulazione primaria" secondo Marx poteva avere luogo solo in derivazione da un organico modello culturale, quello dell’etica protestante. Weber mostrava come un evento storico che trasformava il mondo, la nascita l'affermazione e la diffusione del capitalismo non erano concepibili se non in stretta relazione con uno stile di vita improntato a una rigorosa religiosità. Quivi è dominante la figura dell’asceta mondano. Una figura che in sintesi descrive una società dove sono determinanti valori simbolici come la parsimonia, il risparmio, una rigorosa moralità pubblica, un consumo privato che può arrivare al decoro senza assumere alcuna tratteggiatura edonistica, la convinzione che l'operare contemporaneamente con successo e bene nel campo economico poteva addirittura essere segno della grazia divina. Rispetto all'angosciosa incognita agostiniana sulla grazia, era una misura etica abbastanza rassicurante. Dal punto di vista dell'obiettività economica in una società del genere (adesso non discuto il livello di idealizzazione) la riproduzione del capitale avveniva attraverso regole che non venivano da un potere esterno alla società civile, ma costituivano il patrimonio morale di ogni persona. Proviamo ad immaginare il problema del credito in un ambiente sociale di questo tipo. In questo caso vediamo il risparmio personale come stile di una esistenza che comunque deve considerarsi con una giusta umiltà a fronte di Dio. Poi l'erogazione del credito a chi ha la certezza morale intorno alla propria possibilità (volontà) di onorare il debito, il che, come misura morale, favorisce anche il calcolo economico. In ogni caso la dimensione del credito è assente nella dimensione dei consumi privati quotidiani. Quando si analizza l'individualismo moderno si ha spesso in mente il tema della libertà in Stuart Mill, tuttavia non sarebbe male ricordare che all'origine del capitalismo questa libertà (come del resto nell'Inghilterra del filosofo) trovava il proprio limite in una moralità personale molto rigorosa, e la sua trasgressione in una "volontà di punire" molto forte. E quando storicamente si nota come la cultura puritana sia stata l’ethos che ha accompagnato l'emigrazione dall'Europa e sia divenuta, con il solo sussidio libresco della Bibbia, la radice della tradizione americana, si dice una cosa profondamente esatta. Una nozione, questa, che può spiegare anche quali siano le origini dell'individualismo americano. L'individuo come è solo di fronte a Dio così è solo di fronte alla propria coscienza che giudica il modo in cui egli ha saputo stare nella sua comunità. La democrazia come forma politica nasce da questa relazione "fondante", e questa forma di individualismo è la medesima con cui ognuno appare nel mercato, e quivi cerca di ottenere la propria affermazione. L'individualismo non è solo un valore condiviso, ma un criterio che mette in crisi persino il concetto di ereditarietà, che viene considerato come una forma sociale tipica di una società aristocratica. La proprietà quindi non ha una relazione con la famiglia, può essere solo il risultato di un lavoro individuale, il saper produrre onestamente, secondo la legge di Dio che è l'etica condivisa, la ricchezza.
Se consideriamo la crisi attuale nella sua morfologia più profonda ci troviamo in una situazione simmetricamente rovesciata rispetto a quella d'origine. Che cosa può diventare il credito in una società di massa costituita da individui che identificano se stessi - al di là di ogni umiltà nei confronti di Dio - in una appropriazione di beni, cioè in una sempre più attiva partecipazione al consumo? Esso diviene certamente il mezzo per soddisfare ora il contenuto di desideri che vengono promossi ed educati da tutto il sistema comunicativo esistente. Sappiamo tutti che la valorizzazione del capitale è tanto maggiore quanto più è ridotto il tempo della circolazione del capitale, cioè elevata la velocità del consumo. Ma questa dimensione del tempo è del tutto superata da una modalità di credito rappresentata da una ideologia relativa alla riproduzione identica e indefinita del momento socio-economico in cui viene erogato il credito. Se i luoghi comuni sono transitati dai filosofi ai ripetitori mediatici sulle ideologie relative alla temporalità (il sole dell'avvenire) qui ci troviamo di fronte a una particolare ideologia, quella della indefinita riproduzione del presente, anche al di là di ogni calcolo razionale sugli effetti di un determinato comportamento finanziario. Un irrazionalismo che è al fondo degli operatori del campo e della loro capacità di calcolo relativa solo alla immediatezza dei loro profitti. Questo è il rovesciamento totale dell'etica puritana, incompatibile con lo sviluppo economico sociale e psicologico che ha avuto luogo nella storia del capitalismo, per lo meno relativamente ai "grandi numeri". Se si ipotizzasse un comportamento razionale relativo allo sviluppo, si dovrebbe pensare che quelle regole che all'origine erano immanenti al modo d’essere individuale e sociale, distinguendo subito l'onesto dal disonesto, avrebbero dovuto diventare regole pubbliche promosse e tutelate dal potere legittimo della struttura statale. E tutti sanno che è avvenuto proprio il contrario che ha segnato la catastrofe pratica e intellettuale del neoliberismo. Il che dovrebbe portare a riflettere sull'idea stessa di libertà e sui luoghi e sui modi della sua espansione con una distinzione netta tra processi di liberazione ed esercizio egoistico e smodato dei propri poteri.
Ritornando a Max Weber, è stato un errore quello di trasformare una analisi storica in una precondizione necessaria ad ogni sviluppo capitalistico. Il sistema di mercato, dove agisce la riproduzione allargata del capitale come modello di sviluppo, può affermarsi in condizioni del tutto diverse. L'esempio cinese è particolarmente eclatante. Un sistema politico autoritario può promuovere con risultati straordinari il funzionamento del mercato poiché detiene il controllo dell’insieme di elementi che concorrono alla sua formazione, e, forse, è persino in grado, a un certo momento dello sviluppo, di addomesticare gli effetti profondamente negativi che si sono provocati nell'ambiente naturale e nella vita sociale. Il "forse" è obbligatorio per il nuovo "modo di produzione asiatico" poiché nessuno è in grado di immaginare il futuro. Tuttavia questo riferimento alla centralità delle decisioni economiche introduce un problema facilmente visibile, ma di difficile realizzazione. E’ facile dire che, poiché a livello economico esiste una globalizzazione del mondo, dovrebbe esistere un potere decisionale che abbia le medesime proporzioni e le cui regole non servano solo per stabilire un rapporto corretto tra credito e produzione, ma interessino anche gli oggetti della produzione, i metodi del produrre, dall'agricoltura all'energia agli stili di vita. E' in questa dimensione globale che avrebbe un senso pieno porre il rapporto tra etica ed economia. Gli eventi attuali mostrano piuttosto che a fronte di una catastrofe globale tendono a prevalere le dimensioni locali e quindi la disseminazione di misure che interessano i circuiti economici nazionali, si capisce in relazione alla dimensione internazionale. Tuttavia, indipendentemente dai perimetri nazionali o internazionali, è facile prevedere una radicale conflittualità tra chi desidera restaurare con il tempo le condizioni complessive di pre-crisi e chi immagina molto giustamente che produzione, credito e consumo devono diventare compatibili con l'ambiente planetario e in condizioni di giustizia per l'accesso ai beni dei suoi abitatori. Il che non vuol dire l'uscita dal mercato, che è il modo storico contemporaneo dell'economia, ma l'uscita da un mercato dominato dallo spirito più unilaterale e aggressivo del capitalismo contemporaneo. E, in questa prospettiva, al di là del "salvataggio" delle banche, ha un senso preciso porre politicamente il problema di un controllo del credito non solo per evitare "bolle finanziarie" ma per indirizzare gli investimenti al fine di realizzare una economia dove libertà e socialità siano in equilibrio. Del resto l'idea di un controllo "qualitativo" del credito fu elemento molto importante nel quadro della programmazione economica in quella prospettiva politica che fu propria del socialismo italiano al tempo del primo centro sinistra.
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*) Fulvio Papi (Trieste, 1930), direttore dell'Avanti! nei primi ammi Sessanta, professore emerito di filosofia teoretica dell’Università di Pavia, è uno tra i maggiori filosofi italiani contemporanei. Erede della scuola di Milano, ne ha elaborato i criteri in modo originale e proprio. Ha pubblicato autorevoli testi di storia della filosofia, filosofia morale, estetica e politica: circa venticinque volumi, tra i quali Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno (Firenze, 1968), Utilità, oggetto e scrittura in Marx (Milano, 1983), Lezioni sulla Scienza della logica di Hegel (Milano, 1998). Attualmente ha in corso un’opera dal titolo Il lusso e la catastrofe. Nel 2000 è stato insignito dell'Ambrogino d'oro quale cittadino benemerito della Città di Milano.

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