martedì 31 maggio 2011

Silvio Berlusconi’s Hedonism : The New Yorker

Silvio Berlusconi’s Hedonism : The New Yorker

A Milano la sfida comincia ora - qdR magazine

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La critica del sistema EURO ed il dovere del movimento Socialista Europeo.

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Franco Astengo: Risultati elettorali

RISULTATI ELETTORALI, INEDITI SCENARI POLITICI, TEMI REFERENDARI
L'eccessiva schematicità delle note che seguiranno impone di rivolgere, a quanti avranno la ventura e la pazienza di leggerle, vive scuse: pur tuttavia ci sono momenti in cui può anche essere utile ridurre all'osso il filo del ragionamento al fine di fissare al meglio lo stato delle cose in atto, tentando di produrre una analisi minimamente fondata sulla quale avanzare una proposta politica.
Il risultato elettorale dei ballottaggi svoltisi, tra il 29 ed il 30 Maggio, in alcune città italiane per il rinnovo dei Sindaci e dei Consigli Comunali hanno confermato la tendenza di voto emersa al primo turno: per la prima volta dopo molti anni emerge una consistente volatilità elettorale, pur in un quadro di forte crescita dell'astensione, in una dimensione inusitata per quel che riguarda il “caso italiano”, una volatilità che pare (usiamo sempre il condizionale,per prudenza e per la necessità, nei prossimi giorni, di analizzare con maggiore attenzione i dati) dirigersi verso la sinistra.
Insomma: sta aprendosi un varco, dal punto di vista del consenso popolare, al riguardo del regime populista di destra che governa ormai da molto tempo questo Paese.
Egualmente l'elettorato italiano è chiamato, fra pochi giorni 12 e 13 Giugno, ad un'altra prova di fondamentale importanza: quella relativa ai referendum in particolare al riguardo del nucleare e della necessità di respingere il processo di privatizzazione nella gestione e nell'uso dell'acqua.
Perché i due dati, lo spostamento a sinistra nel voto amministrativo e l'esito referendario risultano così strettamente intrecciati?
Esiste, sotto questo aspetto, un motivo fondamentale: la scelta anti-nucleare e l'acqua pubblica rappresentano due punti fondamentali, in caso di esito positivo della consultazione referendaria, da affrontare in chiave di programma per una futura alternativa di governo.
Non ci dilunghiamo molto su questo punto riassumendo al massimo: appare evidente, però, che il rifiuto del nucleare richiama la necessità di un progetto di grandissime dimensioni dal punto di vista delle energie alternative (si veda il caso della Germania) e l'acqua pubblica implica anch'essa un intervento, altrettanto pubblico, in un campo molto vasto, comprensivo anche del rifacimento delle rete idrica (un tema non molto dibattuto ma che, invece, rappresenta il fulcro del problema, soprattutto dal punto di vista economico e dei rapporti tra centro e periferia, tra Stato e istituzioni locali).
Entrambi i temi, energia e acqua, infatti richiamerebbero, in caso di esito positivo del referendum, alla necessità di un intervento programmatorio del “pubblico”: un tema già ampiamente sollevato analizzando il corso della crisi economica e non ancora compiutamente affrontato.
L'ipotetico scenario appena delineato avrebbe ripercussioni fondamentali sul piano politico: per la prima volta, nella storia d'Italia, di fronte ad una situazione di questo tipo toccherebbe al “centro” (quello vero e quello costruito artificialmente sulla crisi della “sinistra storica”) avere di fronte il dilemma di allearsi con una sinistra capace di esprimere – appunto – quei contenuti alternativi, proprio sul piano del rapporto pubblico/privato cui abbiamo appena accennato, spezzando la catena liberista a cui proprio questo “centro” si è consegnato nel corso degli anni.
Insomma potrebbe verificarsi un inedito scenario politico rispetto ad altri passaggi fondamentali nella storia della Repubblica (dal primo centro-sinistra, alla solidarietà nazionale, allo stesso Ulivo).
Ovviamente il tutto si sta verificando nel quadro di una crisi verticale sul piano internazionale e di uno scenario interno caratterizzato dal permanere di quel governo di destra cui abbiamo accennato: governo che, con ogni probabilità, intensificherà la sua azione distruttrice, attaccando ancora la Costituzione ed accentuando i propri caratteri rivolti verso la diseguaglianza sociale.
E' pronta la sinistra ad assumere una sfida di questa genere: a proporre una larga alleanza utile per rovesciare la destra e aprire la strada ad una fase di transizione al termine della quale possa emergere, davvero, una proposta di governo alternativo?
Si apre, a questo punto, il capitolo di una riflessione che, a nostro giudizio, rimane tutta da sviluppare, prestando attenzione alla necessità, ancora completamente da assolvere, di offrire un modello assolutamente alternativo a quello populistico in voga di “far politica”, recuperando il senso unitario di costruzione di una nuova soggettività politica, capace di svolgere insieme una funzione di governo, di recupero della capacità di compromesso e, insieme, di funzione di integrazione per vasti settori sociali, in particolare giovanili, che reclamano (anche sulla scorta di analoghe esperienze fuori d'Italia) una nuova qualità dell'agire politico.
Nella nostra storia, quella della sinistra italiana, è bene ricordarlo ci sono tutti gli elementi per muoverci in questa direzione.
Savona, li 31 Maggio 2011 Franco Astengo

Paneacqua.eu: Aria nuova al Nord

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Milano, festa arancione per Pisapia | Redazione Il Fatto Quotidiano | Il Fatto Quotidiano

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venerdì 27 maggio 2011

Paneacqua.eu: Altri Riformismi

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La svolta di Gotesborg | Tau Zero

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spazio lib-lab » Lo spettro sbiadito della paura.

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Gim Cassano: spazio lib-lab » Milano, Napoli, Trieste, Cagliari…..: il 29 maggio sia l’inizio della fine.

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Taking Social Democratic History Seriously

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Un’altra Milano | Il Post

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Eddyburg.it - Trema la lobby del cemento. In bilico insieme alla Moratti un piano da settanta miliardi

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Ammortizzatori; la proposta della CGIL

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giovedì 26 maggio 2011

felice besostri: spagna 2011-2012

SPAGNA 2011-2012




Prima di analizzare i risultati delle ultime elezioni municipali (in tutta Spagna) e autonomiche (in 13 Comunità su 17) appare opportuno fare alcuni cenni sul sistema elettorale spagnolo. Una sola Ley Organica (categoria di legge sconosciuta al nostro ordinamento, che si colloca tra una legge costituzionale e una legge ordinaria) per il parlamento, i municipi, le province, i Cabildos delle Canarie e le europee. Le elezioni autonomiche sono, invece, regolate dalle singole Comunità in conformità a propri Statuti, alla Costituzione e in conformità ai principi generali della Ley Organica. C’è una soglia di sbarramento apparentemente bassa del 3% per il Congresso dei Deputati e del 5% per i Municipi. Per il fatto che le circoscrizioni parlamentari sono piccole, corrispondendo alle province, che sono 50 e che eleggono in media 7 deputati, distribuiti con il metodo d’Hondt, sono favoriti i partiti maggiori e quelli regionali, mentre sono sfavoriti i partiti nazionali minori. Nelle circoscrizioni più piccole, che sono la maggioranza, la soglia di esclusione di fatto si avvicina al 10/12%. Nei Municipi è favorito il partito di maggioranza relativa, a meno che gli altri partiti, non concludano un accordo di coalizione, che raggiunga la maggioranza assoluta.

La stabilità è stata assicurata e una democrazia dell’alternanza, anche se la maggioranza assoluta di un solo partito sarà sempre più difficile: proprio per il peso crescente dei partiti regionalisti, confermato da queste elezioni. La sconfitta del PSOE e la vittoria del PP in bastioni rossi storici, come Barcellona e Siviglia per i socialisti e Cordoba per i comunisti, ha messo in ombra la sconfitta del bipolarismo, che si annuncia. In Spagna si registra lo stesso fenomeno italiano: i bipolarismi imposti con ingegneria elettorale non reggono. La Spagna è ancora più significativa dell’Italia, perché in quel paese il bipolarismo era, almeno, di tipo europeo con un partito socialista democratico appartenente al PSE e un partito conservatore del PPE. In Italia il maggior partito di opposizione, il PD, non appartiene ad alcuna famiglia politica, e il partito di maggioranza, il PdL, è un miscuglio di populismo, leaderismo e confessionalismo, senza paragoni in Europa e la cui appartenenza formale al PPE non ne cambia la natura. Grazie al meccanismo elettorale (incostituzionale, non bisogna mai stancarsi di ripeterlo) del premio di maggioranza è anche l’unico caso di alleanza stretta con un partito regionalista: in Spagna se la catalana CiU o il basco PNV si alleassero con il PP perderebbero ogni influenza nelle rispettive Comunità Autonome. Il processo sta iniziando per la Lega, che dalla collaborazione governativa ha tratto vantaggi di pura immagine, come il federalismo parolaio, e di sottogoverno, ma in compenso ha accentuato il centralismo della finanza pubblica, riducendo o abolendo le imposte municipali (ICI) e regionali (IRAP). Roma “ladrona” è diventata capitale costituzionale d’Italia e con un fiume di denari grazie ad una legge speciale. In Spagna veri partiti regionalisti/federalisti non chiedono il trasferimento di sedi di ministeri nelle loro regioni, ma il trasferimento delle loro competenze.

Nel 2007 il PSOE controllava 24 capoluoghi provinciali e il PP 23, nel 2011 il PP passa a 33 e il PSOE crolla a 10, ma più che raddoppiano, da 3 a 7, i capoluoghi controllati da altre formazioni. Le Comunità autonome guidate dal PSOE erano 7 nel 2007 e saranno 3 nel 2011, perché in due non si è votato il 22 maggio. Il PP, che ne aveva 6, quasi le raddoppia con 10, strappandone 3 al PSOE, Baleari, Aragona e Castilla-La Mancha, e una, la Cantabrica, ad una formazione locale. I regionalisti controllano ora 4 Comunità, che diventeranno 5 appena si voterà nel Paese Basco. Proiettando i risultati delle amministrative sul Congresso dei Deputati, il PSOE, 169 deputati, ne perderebbe 53, di cui soltanto 10, guadagnati dal PP, che ne ha 154 e che non avrebbe garantita la maggioranza assoluta di 176. La frammentazione, grazie al meccanismo elettorale crescerebbe in modo esponenziale da 10 partiti, di cui 5 con due o un deputato, a 19, di cui 11 con uno o due deputati. La crisi del bipolarismo è evidente, come anche è segnalata da un 4,24% di voti bianchi o nulli, che son aumentati, di più di un quarto, dovunque tranne che nel Paese Basco dove, invece, sono diminuiti. Questo è probabilmente effetto del movimento degli “Indignados” o movimento 15-M, troppo affrettatamente paragonati ai nostri Grillini. Tre nuovi soggetti politici meritano attenzione, due sulla destra e uno a sinistra, rispettivamente UPyD e PxC e Bildu. UpyD è una scissione del PP, ma che a Madrid ha sottratto voti ai socialisti e dei nuovi soggetti l’unico con proiezione nazionale avendo eletto consiglieri municipali in 5 capoluoghi di Provincia da Nord a Sud. Piattaforma per la Catalogna è una formazione xenofoba contigua con Fuerza Nueva. Bildu è la nuova espressione della sinistra abertzale basca, che in un colpo ha conquistato 1.138 consiglieri municipali, conquistando la maggioranza assoluta in 88 Municipi e quella relativa in altri 27, tutti nei Paesi Baschi e Navarra, diventando il primo partito nella capitale San Sebastian. Questo successo è il frutto della rottura politica della sinistra basca con ETA grazie al processo di pace, che è uno dei meriti di Zapatero. Il PSOE è al livello più baso di consenso da quando la Spagna è diventata democratica ed è di poca consolazione constatare, che nella sconfitta si conta sempre con un 27.79% dei consensi, quando la sinistra italiana non è rappresentata nel Parlamento. Il PSOE ha perso 1.558.000 voti, cioè un -7%, e il PP ne ha guadagnati 558.000, quindi un non entusiasmante +1,9% . Il PSOE ha perso voti a favore del PP in Andalusia e Castilla La Mancha e il PSC a favore di Esquerra Republicana e addirittura del PP in Badalona e di PxC. Lo spostamento di voti a sinistra verso IU è compensato da quello a favore di URyD.

Le ragioni della sconfitta sono di diverso tipo, sia generali, che locali. La perdita della Catalogna nelle elezioni autonomiche del novembre 2010 ha trascinato con sé quella di Barcellona e delle altre città catalane. La vittoria dei nazionalisti di CiU ha demoralizzato quella consistente parte dell’elettorato socialista del cinturone industriale di Barcellona, composto da emigrati da altre regioni della Spagna. La Catalogna è stata persa perché il governo di coalizione di sinistra non era stato coeso e si era drammaticamente diviso sulla riforma dello Statuto. Nei Paesi Baschi la presidenza socialista si appoggiava sul voto determinante del PP, un bacio della morte in una fase di ascesa della sinistra abertzale, che prima non partecipava al voto o che votava per i baschi socialisti. Nella Comunità madrilena ha giocato la divisione interna al PSOE con primarie, che, per essere sintetici, possiamo definire alla napoletana. In termini assoluti il PSOE ha perso un milione di voti in sole 5 Comunità e la metà in Andalusia e Madrid: la geografia delle aree di crisi con alto tasso di disoccupazione è rispettata. La ricetta per uscire dalla crisi non è facile, anche perché non sono univoche le ragioni della disaffezione. In Germania le perdite della SPD erano facilmente rintracciabili: 2/3 verso l’astensione e 1/3 verso Verdi e Linke. Ricentrare la politica verso sinistra ha consentito in tutte le elezioni nei Land successive alle federali del 2009 di recuperare le perdite. Il PSOE non ha alleati a sinistra con peso elettorale nazional e non può averli se non cambia la legge elettorale con una maggiore dose di proporzionalità a livello delle Comunità Autonome: la xenofoba PxC avrebbe eletto un deputato, mentre IU fatica ad eleggere con più voti in Castilla La Mancha. IU ha aumentato i voti alle Municipali di un 176% e del 254% alle autonomiche, raccogliendo una parte minore di elettori PSOE. I socialisti devono affrontare un’alternativa diabolica, se non cambiano la legge elettorale la vittoria del PP è scontata, se la cambiano finisce l’effetto del voto utile a sinistra sul quale, come il PD in Italia, sia pure con minor successo di quest’ultimo, ha costruito la sua fortuna. La risposta può essere solo politica e di politica economica in particolare: gli interessi di partito devono passare in secondo piano, se si vuol riannodare un rapporto con la società, che in Spagna si è rotto per l’austerità imposta dal sistema finanziario internazionale.

Felice Besostri

Direzione Nazionale PSI, Network per il Socialismo Europeo

TRACCE PER LA POLITICA ECONOMICA DI MILANO | Allarme Milano - Speranza Milano

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Pennacchi: il doppio paradosso dell'Europa - Rassegna.it

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The Labour Tradition and the Politics of Paradox

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Stefano Rolando: MONDOPERAIOBLOG: MILANO METAFORA DI NUOVI EQUILIBRI POLITICI NEL PAESE?

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La Milano che non può votare | Italia2013

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Fa quel che devi | fondazione nenni il blog

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Eddyburg.it - Bassetti: «Milano, la Chiesa e le imprese voltano le spalle a Berlusconi»

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Pia Locatelli - Il 17 maggio, una giornato davvero speciale - Avanti della domenica

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Roberto Biscardini - Il ventennio del predellino - Avanti della domenica

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Bobo Craxi - Un voto per cambiare - Avanti della domenica

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mercoledì 25 maggio 2011

Pia Locatelli: La maturation de la démocratie européenne - LeMonde.fr

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Paneacqua.eu: Lo spettro sbiadito della paura

Paneacqua.eu: Lo spettro sbiadito della paura

aldo penna: ballottaggi, bugie e nuove speranze

I ballottaggi possano dare la spallata decisiva al pifferaio che sta trascinando gli italiani verso le acque infide che li inghiottiranno. Nonostante un potere mediatico straripante e la fiction che rappresenta ossessivamente un solo eroe e un unico salvatore, la gente sembra aver capito che il faro verso cui rivolgeva lo sguardo era solo l'abbaglio che celava miserie. Se c'è una colpa che su tutte va addossata all'impostore che ha spadroneggiato nella politica italiana è la distruzione della speranza.
Famiglie impoverite, ragazzi senza prospettive, uomini e donne che hanno radicalmente cambiato in peggio le proprie abitudini di vita mentre i privilegi della casta politico - amministrativa sono rimasti intatti. Nel momento in cui le piazze spagnole subiscono la contaminazione della rivoluzione gentile che ha infiammato i popoli arabi e reclamano cambiamenti nel sistema politico, l'immondo sistema elettorale italiano costruito umiliando decine milioni di elettori referendari si consolida.
L'autocrazia che domina la destra politica sarà probabilmente spazzata da una congiura di palazzo o come altri despoti che non accettano l'ineluttabile cadrà in un bunker sotterraneo, ma l'oligarchia che signoreggia il principale partito d'opposizione non può pensare di sopravvivere al nemico che l'ha tenuta in piedi. Come Milano è la rappresentazione del fallimento di quindici anni di destra bolsa e populista, Napoli rappresenta il fallimento di certa sinistra meridionale la cui inazione ha lasciato sulla pelle della città le stesse piaghe infette che 40 anni prima aveva trovato.
Se il capo del maggior partito di opposizione ha avuto il merito di aderire senza riserve al metodo delle primarie che un suo predecessore voleva ciecamente ridurre a una pratica autoreferenziale, a Napoli le primarie le ha fatte la gente spazzando via i candidati dei partiti e individuando un uomo che la tirasse fuori dal pantano camorristico e affaristico che ha contagiato buona parte della classe dirigente.
Nel 2006 il centrosinistra al governo, dopo il durissimo quinquennio berlusconiano, dimenticò di restituire la speranza al suo popolo e promise le stesse lacrime e lo stesso sangue che la pratica del governo precedente gli aveva fatto versare. Nei prossimi mesi il centrosinistra può governare questo paese se si monda dai vizi del berlusconismo che lo hanno profondamente intriso, e se sceglie metodi e strategie di condivisione e partecipazione.
Se le primarie vere sono un valore aggiunto si applichino ad ogni livello, anche nella scelta del candidato premier. Zapatero ha annunciato che non si ricandiderà, Aznar è il passato della destra spagnola che ha già nuovi leader per la sfida con il Psoe, perché in Italia da 20 anni le stesse facce si succedono come in un gioco dei 4 cantoni?

Aldo Penna

Peppe Giudice: Spagna e Germania

Spagna e Germania
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno lunedì 23 maggio 2011 alle ore 22.59.





La dura sconfitta del Psoe nelle elezioni amministrative demolisce quello che io chiamo l’ “equivoco Zapatero”.

Certo la sconfitta è la conseguenza di una crisi gravissima frutto dell’orgia monetarista che affligge l’Europa fin da Maastricht e che oggi sta mostrando il suo volto più odioso tramite la vera e propria demolizione della economia e società di paesi come la Spagna e la Grecia (a cui hanno chiesto addirittura di privatizzare le isole).

Ma che centra Zapatero? Centra perché nonostante le illusioni di un pezzo importante della sinistra italiana (sempre alla spasmodica ricerca di un modello salvifico esterno) il leader spagnolo è l’ultimo dei “baliriani”, vale a dire esponente di quella deriva neoliberale che tanti danni ha fatto al socialismo europeo. Sì magari Zapatero ha fatto incazzare la Chiesa Cattolica: basta questo ad una sinistra postmoderna fondata su emozioni effimere e non sulla ragione per esultare, dimenticando che una cosa è Matteotti o LOmabrdi, ben altra cosa Pannella. E certamente mi sento molto più vicino ai cattolico-socialisti Delors e Carniti che ai neoliberali non-socialisti Zapatero e Martelli.

Non socialista di fatto perché Zapatero si ben guardato dal mettere in discussione (similmente a Blair) il meccanismo neoliberista che regolava l’economia spagnola, fondata sulla bolla del mercato immobiliare e l’indebitamento privato. E per questo si trova in grande difficoltà a contrastare i crimini monetaristi imposti dalla BCE e dalla Merkel.

Insomma Zapatero è parte integrante di quella sinistra perniciosa (comprendente Blair, Schroeder, ed ancor di più Veltroni, D’Alema e Prodi) che ha avuto un atteggiamento apologetico verso il processo che ha prodotto la più grave regressione sociale, nonché la liquidazione della politica: la globalizzazione del capitalismo liberista che aveva tra i suoi principali obbiettivi proprio la liquidazione delle grandi conquiste sociali della socialdemocrazia.

Con l’eccezione forte dei socialisti francesi, di Lafontaine ed in parte dei socialisti scandinavi, la sinistra “riformista” europea ha subito una terribile regressione culturale. Ma qualcuno, a parte Delors, Lafontaine e lo stesso Craxi, ha mai dubitato sui risultati negativi della rigidità del Patto di Stabilità? La Germania si è sviluppata di più perché di fatto non l’ha mai rispettato. Vi ricordate le facce lesse di Prodi e Visco indignate verso chi non rispettava il patto capestro? Anche perché l’incremento del debito pubblico degli anni 80 è un altro prodotto perverso della logica monetarista delle banche centrali. L’incremento del debito è stato in larga parte dovuto alla crescita degli interessi sul debito, in quanto i tassi di sconto sono rimasti costantemente alti, nonostante nella II metà degli anni 80 vi sia stata una considerevole caduta del tasso d’inflazione.



Oggi il PSF, la SPD ed il Labour di Miliband rifanno proprie le tesi di Delors e Lafontaine sulla esigenza di una lotta senza quartiere contro la terribile scoria del capitalismo liberista crollato: il monetarismo.

Ed infatti in Germania le cose vanno ben diversamente che in Spagna. Pur in presenza di una robusta crescita economica (dovuta in gran parte alle esportazioni) che però non produce ricadute positive sul piano sociale, la Merkel sta registrando una serie di rovinose sconfitte a livello di Lander. Dalla Westafalia, alla Renania.Platinato, al Baden Wuttenberg, a Amburgo e Brema.

Faccio presente che i lander che costituiscono la regione storica della Renania (Nort-Reno Westfalia e Renania- Palatinato) in cui abita circa il 30% della popolazione tedesca la SPD ha il 35% (recuperando il 5% rispetto alle rovinose elezioni politiche del 2009). Ad Amburgo prende il 48% ; a Brema il 39%. Certo c’è una forte crescita dei verdi che prendono voti al centro. Ma la Spd recupera molti voti andati sia alla Linke che all’astensione. Questo significa che quando si recupera la propria identità perduta di socialisti i risultati si vedono.

La deriva neoliberale dei Blair, Zapatero ecc, è spesso servita come arma polemica nei confronti di tutta la socialdemocrazia sottovalutando e svalutando il suo grande ruolo storico. A costoro si potrebbe ricordare che il programma di Rifondazione era una versione moderata ed edulcorta di quello di Bad Godesberg, e che comunque essi hanno appoggiato il più a destra dei governi di centrosinistra europei: quello dell’Ulivo.

La rifondazione del socialismo democratico è la via maestra per la lotta contro il monetarismo e la costruzione di un ordine economico e sociale più giusto.



PEPPE GIUDICE



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Co-production

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PISAPIA, SINISTRA E SICUREZZA A MILANO | Arcipelago Milano

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LA MORATTI E IL BARILE DI GRASSO DI MAIALE | Arcipelago Milano

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MILANO MINISTERIALE: L’OSSIMORO | Arcipelago Milano

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martedì 24 maggio 2011

Quei borghesi autoconvocati che a Milano tifano Pisapia - Repubblica.it

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Paneacqua.eu: Elezioni amministrative, i socialisti perdono in tutta la Spagna

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Paneacqua.eu: Milano - Napoli, solo andata

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Politica e società civile: il caso Milano - qdR magazine

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Emanuele Macaluso: la sconfitta dei socialisti in Spagna ci riguarda

Il Riformista

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Moratti, 5 anni di malgoverno - micromega-online - micromega

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Socialismo democratico e crisi di civiltà

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Altiero Spinelli quando l'Europa aveva un cuore - LASTAMPA.it

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lunedì 23 maggio 2011

«Spagna, se gli indignados 'premiano' il nemico» - Mondo - l'Unità

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La Moratti è liquida, noi no | Italia2013

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Pil, Istat: “Italia fanalino di coda dell’Ue”Crescita peggiore di tutti nell’ultimo decennio | Redazione Il Fatto Quotidiano | Il Fatto Quotidiano

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Gim Cassano: spazio lib-lab » Verso i ballottaggi: Milano come Stalingrado.

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Rivoluzione Pisapia: a Milano meno assessorati - Italia - l'Unità

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Spagna al voto, batosta per Zapatero | Linkiesta.it

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Lanfranco Turci: I leghisti e la Padania

trascrivo in merito la mia lettera pubblicata dal riformista giovedì scorso

Caro direttore vedo che Ricolfi oggi sul suo giornale ripropone il tema del rapporto PD-Lega.E’ una tentazione che non mi stupirei di vedere riemergere nel PD.In proposito io la penso in modo molto diverso.

Credo che per la Lega stia diventando sempre più difficile la doppia linea di partito di lotta e di governo,soprattutto di governo di coalizione con Berlusconi.L’elettorato leghista è populista e popolare,barricadiero e razzista. Non ama i salotti,i troppo ricchi,i frequentatoti dei palazzi e le dame di regime.D’altro lato il federalismo fiscale finora elaborato è un grande casino amministrativo,che la Lega fin che può agiterà come metafora di autogoverno salvo riproporlo domani in termini di secessione .Alla lunga il gioco non tiene.Credo che la Lega più prima che poi lascerà il Berlusconi perdente e si ributterà nel radicalismo tipico delle altre destre razziste e scioviniste d’Europa. Bisogna parlare al suo elettorato popolare con una proposta di sinistra che sappia recuperare le ragioni del conflitto sociale proprio mentre la crisi si va aggravando, e proporre una alternativa economica e sociale al posto della contrapposizione razzista e localista.Tutt’altra cosa che le strizzatine d’occhio fatte ancora recentemente da Bersani.Per non parlare dell’equivoco della costola della sinistra,in cui si scambiava il dato sociologico con le idee e i valori di cui la Lega è portatrice.

Lanfranco Turci

sabato 21 maggio 2011

Giorgio Bocca: Da Milano una felice sensazione di libertà - micromega-online - micromega

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Caro Grillo, non sono tutti eguali - micromega-online - micromega

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A chi servono le bugie sulla crisi / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Beni pubblici nel voto di Milano / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Europa, ultimo appello / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Alfonso Gianni: Paneacqua.eu: Prima i ballottaggi, poi evitiamo di ripetere gli errori del passato

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Referendum Popolari 12 e 13 Giugno. I socialisti votano 4 SI «

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nelMerito.com - POLITICA E SOCIETÀ CIVILE: IL CASO MILANO

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Pisapia-Moratti, analisi del voto | Libertà e Giustizia

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Sol dell’avvenire | Italia2013

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La solitudine di un liberista. A Milano (come in Italia) destra e sinistra restano agli antipodi del mercato - Il Sole 24 ORE

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Giuliano Pisapia, un uomo perbene - Cadoinpiedi

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Patrick Macfarlane - Looking again at blue Labour | Compass

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giovedì 19 maggio 2011

Felice Besostri: Quale futuro per i socialisti e la sinistra in Italia?

Quale futuro per i socialisti e la sinistra in Italia?
.pubblicata da Felice Carlo Besostri il giorno giovedì 19 maggio 2011 alle ore 18.55.Questa direzione nazionale del PSI è stata opportunamente convocata dopo il primo turno di elezioni amministrative locali, che hanno assunto un significato nazionale. Gli elettori coinvolti sono in numero di poco superiore ai 13 milioni, 11 le province, ma soprattutto 4 grandi città, Milano, Napoli, Torino e Bologna, geograficamente distribuite , come anche altre 24 città capoluogo di Provincia, di cui 11 con più di 100.000 abitanti. Una sola grande regione era esclusa dalla consultazione, la Sicilia, in cui si voterà alla fine del mese, insieme con i 35 ballottaggi comunali e provinciali significativi. Le somme potranno essere tirate soltanto alla fine in base ai criteri delle città perse o guadagnate e della popolazione complessivamente amministrata.

Tuttavia, a prescindere da quel bilancio, è un fatto che i risultati di Milano hanno occupato la scena per il significato politico e simbolico, che trascende i confini cittadini. Le ragioni son di diverso ordine, la prima è stata la decisione di Berlusconi di attribuire alle municipali di Milano un significato di testo sul suo consenso, nel paese e nella città in cui si celebrano i suoi processi. Il ballottaggio era dato per certo con la presentazione del Terzo Polo e del movimento 5 Stelle, che avrebbero alzato il quorum, ma non il sorpasso e soprattutto la sua entità. Se Pisapia avesse preso in assoluto i voti del Prefetto Ferrante ( mi sia consentito di dire che c’è Prefetto e Prefetto, senza toglier nulla alla personalità di Morcone) avrebbe sfiorato l’elezione diretta. Il risultato di Pisapia è stato una smentita delle previsioni fatte anche nel partito, che Pisapia non era il candidato più idoneo a vincere la sfida, come invece ritenuto da altri soggetti dell’area socialista in senso lato, in particolare dei Circoli libertari e socialisti aderenti al Gruppo di Volpedo. Proprio Volpedo era stata scelta da Pisapia, allora soltanto auto-candidato alle primarie, per annunciare una sua candidatura, che collegava espressamente, e per la prima volta a Milano dopo il 1992, un esponente della sinistra, alla tradizione delle Giunte a guida socialista, non solo del periodo prefascista, ma del dopoguerra, a cominciare da Greppi fino a Tognoli passando per Aniasi, l’indimenticabile comandante partigiano Iso. Il riferimento ai valori socialisti non si fermava all’Italia, perché l’altra sua fonte d’ispirazione sarebbero state le amministrazioni socialiste delle grandi città europee, Berlino, Parigi e Barcellona per essere precisi nella sua citazione: profonda convinzione o solo tattica, come denunciato dai suoi detrattori? Comunque un segno epocale ricordando il clima di Milano, quando Nando Dalla Chiesa candidato sindaco “progressista” guidava le manifestazioni di giustizialisti assatanati sotto la sede socialista di Corso Magenta. Pisapia, che conosce bene Milano, non poteva farsi etichettare come un esponente della sinistra estremista e perciò il riferimento alla tradizione socialista l’ha fatto anche nel comizio con Vendola, cioè del leader di un partito, che non è stato in grado di sciogliere il nodo dei suoi rapporti con il PSE. Ritengo che il nuovo clima abbia in qualche modo contribuito all’ottimo risultato del segretario provinciale, compagno Roberto Biscardini, nella lista del PD, benché tale collocazione non fosse una scelta unanimemente condivisa. Con la vittoria di Pisapia al ballottaggio ci sarà finalmente di nuovo un socialista in Consiglio comunale, nella città simbolo delle nostre virtù municipali, che Tangentopoli aveva cancellato. Tutti dobbiamo congratularci per questo risultato, che con un maggior impegno e minore dispersione poteva essere raddoppiato. Bisognerà rapidamente ricostruire sinergie tra il partito e la più vasta area socialista, affinché si possano tradurre in atto i contributi programmatici dei socialisti al programma elettorale di Pisapia.

Queste elezioni possono segnare un punto di non ritorno della crisi del berlusconismo e dei rapporti PdL-Lega , se sapremo interpretarle in tutte le loro contraddittorietà e assegnare un ruolo al nostro partito e all’area socialista, che è ben più vasta, almeno potenzialmente, del nostro bacino elettorale.

Due letture semplificatrici vanno respinte:la prima che mette insieme Pisapia,(Milano), Zedda (Cagliari) e De Magistris (Napoli) per dire che i migliori risultati si hanno con candidati alternativi a quelli del PD e la seconda, che il bipolarismo è ormai definitivamente acquisito e che pertanto il futuro del centro-sinistra è una riaggregazione intorno al PD o addirittura nel PD. Pisapia va al ballottaggio, ma con più di 6 punti di vantaggio. Zedda (44,7%) e Fantola(45,1%) sono testa a testa, De Magistris è 12 punti sotto a Lettieri. I primi sono candidati di primarie di coalizione, anzi Pisapia ha aggregato altre liste, il terzo è invece il frutto del fallimento di primarie del PD e si pone tuttora, anche in vista del ballottaggio, come fattore di divisione. Pisapia e Zedda sono espressione di un’alleanza coesa di forze, cui hanno aggiunto un plus del loro consenso personale. De Magistris ha, invece, surclassato persino le liste che lo sostengono e diviso SEL.

L’unico dato comune è che nelle loro città il successo dei “Grillini” è sotto la media: le liste 5 Stelle hanno il massimo di successo dove il candidato, non solo è del PD, ma è anche percepito come un apparatniki espressione della sua nomenklatura(Bologna e Ravenna 9/10%, Rimini 11,11, all’eclatante 14,55% di Cesenatico), costringendo il Centro-sinistra, tranne che a Bologna, a problematici inusuali ballottaggi.

Il Terzo Polo è andato male, a prescindere che non si quasi mai presentato sotto tale nuova veste, ma come sommatoria di sigle e in varie occasioni addirittura in coalizioni concorrenti. Questo deludente risultato ha sicuramente un merito, per quanto ci riguarda, di non costituire più un’attrazione centrista per socialisti, che non credono nella sopravvivenza del partito e, perciò nella sua idoneità a essere il veicolo per le loro attese elettorali o, più volgarmente, di carriera nelle istituzioni. Dalla sua il PD ha la forza dei numeri: Enrico Letta a Porta a Porta ha ricordato, che sono del PD i 2/3 dei voti del Centro-sinistra e Anna Finocchiaro a Ballarò che 27 ( per Bersani 28) candidati in ballottaggio su 35 sono del suo partito. Non contesto i dati quantitativi, ma se vogliamo esaminare i trend, hanno importanza anche dati qualitativi. Trovare un’intesa su un programma amministrativo non sempre è facile ( a Napoli, per esempio, il ballottaggio sarà deciso dal partito trasversale per l’inceneritore, cui De Magistris si oppone), ma non impossibile. Diversa è la situazione per un’alleanza/confluenza in vista di elezioni politiche anticipate, come probabile se Pisapia vince a Milano e Lettieri non vincesse a Napoli, o a scadenza naturale. La natura composita del PD e il suo orizzonte nazional-provinciale ( non fa parte di nessuna formazione politica europea e neppure di un unico gruppo del Parlamento Europeo) non lo caratterizzano su grandi scelte come la politica economica e non è univoco, cioè è equivoco, in argomenti come il testamento biologico, la laicità delle istituzioni , i rapporti con il Vaticano e la gerarchia cattolica, la legge elettorale o le riforme istituzionali.

Il PD è il soggetto più forte, ma di un’opposizione debole, cioè che agli occhi degli italiani non è ancora un’alternativa credibile allo sgretolamento del sistema di potere berlusconiano. Per responsabilità del PD la sinistra, e in essa i socialisti, è stata, caso unico in Europa, esclusa dal Parlamento nazionale e da quello europeo. L’IdV, che perdeva regolarmente consensi da un’elezione all’altra, è stata salvata e rafforzata dall’apparentamento, il solo concesso, con il PD, che, invece, scientemente l’ha negato a una formazione di sinistra riformatrice d’ispirazione socialista. Non si fa una storia con i se, ma con il ricatto del voto utile si è spinto nel 2008 settori di elettorato di sinistra a votare PD o di astenersi o di disperdersi in liste, che non hanno raggiunto il quorum. Si è regalata una maggioranza molto più ampia all’alleanza PdL-Lega alla Camera e al Senato, in quest’ultima Camera ripetendo gli errori del 2001 (errori politici e di ignoranza costituzionale che nessuno dei responsabili ha mai pagato). Una scelta diversa avrebbe portato ad una coalizione PD, IdV, Sinistra riformatrice un maggiore consenso, con un effetto di trascinamento sulle elezione europee dell’anno successivo. Il sistema bipolare, che secondo il nostro segretario Riccardo Nencini, esce rafforzato da questa tornata amministrativa, esiste soltanto grazie ai premi di maggioranza incostituzionali (l’ha rilevato in ben due sentenze del 2008 la stessa Corte Costituzionale) per l’elezione della Camera dei Deputati e dalla combinazione di elezione diretta e premio di maggioranza per gli enti locali e per le regioni, per quest’ultime aggravato dall’assenza di ballottaggio. Questo bipolarismo artificiale costringe ad alleanze non trasparenti, cementate da squallidi accordi su liste bloccate. I parlamentari, la cui elezione non dipende dal consenso degli elettori, possono passare con maggior disinvoltura da uno schieramento all’atro: cioè ricercare il nuovo padrino, che garantisca un posto utile nella lista bloccata. Meccanismi di stabilità son stati pagati in termine di degrado delle assemblee elettive, che non sono più luoghi di selezione della classe politica. Senza un bipolarismo artificiale la Lega Nord si sarebbe smarcata da qualche tempo da un’alleanza col PdL. Senza premio di maggioranza e liste bloccate i dissensi nel PdL, ispirati da Fini, sarebbero stati più consistenti e non si sarebbero trovati così tanti “responsabili” e “volonterosi” a puntellare il governo. I successi dei “Grillini” e di movimenti regionali son un segno del rifiuto del bipolarismo forzato, come l’espansione della Lega a sud del Po. Altro indicatore è l’aumento delle astensioni o il tentativo di creare una forza a sinistra del PD, come SEL o la Federazione della Sinistra o l’eterna tentazione di un blocco laico, liberal-libertario, social-riformista. Tutte risposte parziali e deludenti al problema, che in Italia non c’è un partito di sinistra in grado di proporsi alla guida del paese con suoi leader e programmi. Nel 1972 PCI e PSI avevano il 36,76%, che sale al 44,01% nel 1976. La sinistra, pur escludendo DP e incorporando i Verdi, è sopra il 40% nel 1983 e 1987 e sfiora il 50% nelle Europee del 1989. Nelle elezioni successive a cominciare da quelle del 1992 la sinistra, grazie alla quasi scomparsa del PSI, è sempre sotto il 30%, pur facendo una somma politicamente impossibile tra PDS e Rifondazione, partito quest’ultimo, che comunque non supererà mai il 9%. Nel 2001 DS, Rifondazione e PdCI non raggiungono il 25% nella parte proporzionale. La debolezza socialista (1%) nel 2008 è un segno della debolezza della sinistra. Se questo è il problema del nostro sistema politico, non ha senso rafforzare il bipolarismo di coalizioni necessitate dalla legge elettorale, perché mancano di appeal e di coerenza programmatica. Diverso sarebbe un bipolarismo di tipo tedesco con CDU-CSU/FDP da un lato e SPD/Verdi dall’altro, che se fosse estensibile alla Linke sarebbe addirittura maggioritario. La legge elettorale vigente consente di mascherare scelte politiche come stati di necessità: se ci si vuol alleare con UDC e Fli si dica perché e si enunci chiaramente il programma. Una tale alleanza non può essere fatta che in funzione anti-Berlusconi e con obiettivi limitati di riforma della legge elettorale e costituzionale. Ritengo che i problemi dell’Italia e degli italiani siano altri: l’uscita dalla crisi, con una diminuzione delle diseguaglianze sociali, di reddito e territoriali l’estensione dei diritti civili, di libertà e di partecipazione, investimenti nell’istruzione, formazione, ricerca e innovazione e un modello di sviluppo eco-compatibile e una politica di sicurezza, cooperazione e pace, che affronti a livello continentale le cause strutturali del sottosviluppo e delle migrazioni di massa e il controllo dei mercati finanziari. Il PSI come espressione dei socialisti organizzati in Partito, ma con l’ambizione di rappresentare qualcosa di più dei socialisti anagrafici, deve decidere cosa vuol fare, cioè giocare a tutto campo nella scomposizione e ricomposizione della sinistra italiana in un’ottica e con respiro europeo e internazionale ovvero fare da agenzia di collocamento per un gruppo dirigente in liquidazione. Il nostro segretario ha evocato un’Epinay italiana. L’immagine mi piace per lqa sua grande forza evocativa e simbolica e poiché è una persona seria intelligente, non avrà voluto attribuire a Bersani il ruolo, che già fu di Mitterrand in Francia: non ne ha lo spessore “fiorentino”, caratterizzato come è da una bonomia tutta emiliana. Un’Epinay italiana, se vuol essere una cosa minimamente seria, non può essere un processo di qualche mese tra gruppi dirigenti e una bella riunione con bandiere (rosse, rosa, arancioni, biancogialle o tricolori?) per una o più reti televisive, ma coinvolgere tutta la sinistra senza esclusioni a priori e perciò anche SEL e settori della Federazione della Sinistra, nonché circoli, associazioni o altre forme aggregative tematiche e/o territoriali e i loro coordinamenti associazioni e prevedere in tutti i soggetti interessati un passaggio congressuale, inevitabile per ragioni politiche e vincoli statutari.

Felice Besostri

intervento preparato per la DN del PSI Roma 18 maggio 2010

Chi siamo | Allarme Milano - Speranza Milano

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mimmo merlo: com'è bello tornare a risentire parlare di socialismo a milano

"Sapessi come é strano scoprirsi comunisti a Milano", così con il suo stile alla Fortebraccio, il liberal Gramellini, vice direttore de La Stampa, inizia il suo quotidiano "Buongiorno" di ieri.
Credo che sulle note della simpatica canzone i socialisti di Milano dovrebbero oggi cantare : sapessi come é strano ma bello potersi riscoprire socialisti a Milano,
Oggi finalmente dopo lustri di profondo buio, di navigazione sotto coperta e di riferimenti al socialismo milanese più opportunistici che metabolizzati, sentire il sindaco in pectore affermare che per governare ispirerà ad Antonio Greppi, socialista riformista e primo sindaco socialista a Milano dopo la lunga e perniciosa reggenza antidemocratica esercitata dai podestà, rappresenta e deve rappresntare motivo di gioia e speranza per i milanesi e di orgoglio per i socialisti, soprattutto per tutti coloro che in Giuliano hanno creduto subito.
Il percorso di Giuliano verso l'approdo del riformismo ampio e pieno del socialismo meneghino, é iniziato tamite la contaminazione promossa dai circoli socialisti milanesi, Porto Franco e Rosselli in primis, agli albori della sua decisione di proporsi come candidato alle primarie, e successivamente con l'adesione degli altri circoli Volpediani milanesi. La partecipazione di Giuliano al convegno annuale dei socialisti a Volpedo e soprattutto il suo tutt'altro che strumentale riconoscimento del valore strategico per lo sviluppo di Milano assicurato dai sindaci Greppi, Aniasi e Tognoli ha posto fine all'ostracismo verso i scilisti del centro sinistra milanse.
I Circoli rafforzarono il loro convincimento che finalmente con Giuliano si poteva finalmente sperare di cambiare Milano, sappiamo che non fu così per tutto il socialismo milanese, almeno per larga parte di quello "istituzionale", ma pazienza non vi era mala fede bensì una divergenza di fondo, anche se profonda, sulla visione della dinamica degli scenari che di li ha poco si sarebbero sviluppati e sul ruolo della politica e dei partiti nella società del terzo millennio che non poteva più essere recintata in vecchi stereotipi.
Il successo delle primarie, stupì solo coloro che non riuscivano a comprendere i segnali che il vento stava cambiando e che non si poteva continuare a occhieggiare la società da una visione dei soli rapporti di forza e delle mediazioni da cogliere: il segnale prmonitore del cambiamento stava proprio nella vittoria di Pisapia alle primarie, un successo esteso che andava ben oltre l'organizzazione per comparti della politica cui aspirerebbero miopi visioni del concetto di primarie di coalizione.
Da lì in poi é solo stato un crescendo, per la prima volta negli ultimi vent'anni la diaspora e la competiotività nella sinistra milanese é stata messa nel cassetto con la speranza che vi resti a lungo, Giuliano ed il suo team hanno ripercorso i metodi già a suo tempo adottati dai sindaci Aniasi, con l'allargamento della maggioranza formale e virtuale negli anni 70 e da Tognoli successivamente; perché a Milano il rito della politica ambrosiana, tranne che duranhte il ventennio fascista, e la lunga stagione del "berluscottimismo" é sempre consistito in un un laboratorio senza pregiudizi nei confronti di tutti coloro che volessero concorrere in modo propositivo ed equilibrato allo sviluppo della città, dove per equilibrato si intendeva sobrietà e solidarietà, in particolare verso i più deboli e ed i diversi senza in questo penalizzare lo sviluppo competitivo della città: si ricordi il vecchio adagio " chi volta il cu a Milan volta il cu al pan".
E' giusto anche rimarcare come il "laboratorio" disponeva assai spesso del conforto e del sostegno propositivo e stimolante esercitato dai Vesovi di Milano: Montini, Martini e Tettamanzi: dando così vita ad uno scenario virtuoso dove religiosità e sobria laicità trovavano nel sociale il grande denominatore comune.
I circoli socialisti, proseguendo nel loro percorso di tesimonianza di un passato riformista coniugato senza retorica, e la necessità di intraprendere e promuovere percorsi nuovi di aggregazione hanno concorso con assoluta convinzione alla costruzione ed al sostegno della Lista Milano Civica per Pisapia. Siamo stati bravi a comprendere e metabolizzare che non si trattava di un escamotage "politicista" ma di una cosa nuova diversa, pulita, che avrebbe potuto concorrere in modo originale al successo di Pisapia ed a costituire anche uno sbocco nuovo per la città, ovvero un contenitore laico rispetto ai partiti ed alla loro ortodossia fatta più di retorica dell'organizzazione che non di progettualità. Un'esperienza che già manifesta i germi della sua prosecuzione e quindi una "ooficina" ulteriore alla elaborazione progettuale, non necessariamente in contrasto con i partiti ma per converso non certo condizionabile dalle "eventuali ragion di stato".
Il risultato di Milano Civica X Pisapia, é stato notevolissimo, é il terzo "partito" della colaizione: un risultato ottenuto senza disporre di sezioni territoriali, di candidati ai consigli di zona, senza un budget da finaziamento pubblico o privato, senza una platea di operatori dell'informazione interessati alla iniziativa e ultima novità nello scenario ormai inflazionato delle liste civiche, senza essere la Lista di qualcuno, bensì dei suoi partecipanti.
Due socialisti erano presenti in questa lista, il loro contributo ed il loro lavoro é stato essenziale, e di questo devono sentirsi innanzituto orgogliosi e i circoli devono essere loro grati sia a Giuliana che ad Alberto, così come tutti i componenti della lista Milano Civica X Pisapia per il contributo e per l'impegno profuso, per il risultato ottenuto e con la speranza che questa esperienza possa continuare la propria attività.
I circoli non hanno eletto nessun socialista a palazzo Marino, con la vittoria di Pisapia, il segretario della federazione socialista di milano siederà in Consiglio Comunale e di questo ci feliciteremo con lui, ma come la lunga cronaca degli eventi di questo meraviglioso anno politico milanese evidenzia, non sno più i partiti il "kernel" della progettualità politica, il laboratorio delle idee, perché superate dalle officine,dai circoli dalla dinamica autonoma della società esterna al circuito della politica tradizionale a cui chiede segnali coerenti.
A Milano finalmente é arrivato il vento, si sta rimuovendo l'inquinamento politico, i valori autentici della sua storia sembrano poter riemergere e mostrare il meglio della milanesità solidarietà, libertà, l'amore per il bello e per il nuovo, la sobrietà e sconfiggere droga e l'indifferenza: le due vere metastasi di Milano.
Come circoli e come socialisti ci tocca ora l'ultimo sforzo, adottare almeno un socialista pentito, incerto e/o "un già socialista". Suona strano vedere i protagonisti di una lunga stagione del riformismo milanese fare gli struzzi nascondere la testa sotto la sabbia, non rivendicare con orgoglio il proprio operato, assistere senza indignarsi e non distinguere che fare una "marchetta" elettoralistica sulla tomba di Greppi, é ben atra cosa dlla evocazione e dalla dichiarazione impegnativa di volersi ispirare al modello di governo di Greppi così come a quello di altri sindaci socialisti milanesi.
Solo con Pisapia il socialismo milanese ha potuto ritrovare lo scenario dove riesibire il proprio orgoglio identitario sottraendosi al rischio di esistere come un semplice apostrofo nel dibattito culturale e sociale della città e sottrarsi ad una rapida archiviazione nella storia della città.
Oggi, più che mai tutti coloro che quella stagione hanno vissuto e i cui sono stati protagonisti, dovrebbero avere l'intelligenza di rimuovere lutti e rancori, il coraggio e l'orgoglio di riappropriarsi delle cose positive realizzate e concorre nel sostegno di un candidato sindaco, non ostaggio delle coalizioni a sostegno, così come lo erano i sindaci socialisti del passato e che si candida a riannodare in versione aggiornata quei fili della storia riformista di Milano, perché Giuliano Pisapia é un riformista e dfiu questo se ne sonno accoirti la maggioranza, quasi assoluta dei milanesi che sono andati a votare.

Mimmo Merlo

Franco Astengo: Amministrative 2011

AMMINISTRATIVE 2011: UN'ANALISI EMPIRICA “VECCHIO STILE”
L'attesa, nel momento in cui scriviamo è tutta per i ballottaggi che segneranno l'esito definitivo di questa tornata elettorale amministrativa 2011: il ritorno dei “ballottaggi”, fra l'altro, dopo qualche anno di oblio appare indicativo di una situazione elettorale sicuramente tornata in movimento.
Abbiamo così pensato di utilizzare questo intervallo per sviluppare una analisi, sicuramente empirica e basata su dati fortemente discutibili dal punto di vista dell'esame scientifico dei dati elettorali, ma che riteniamo di un qualche interesse al fine di valutare il “trend” reale delle forze politiche, al netto del peso delle coalizioni e delle candidature personali che sono state in gioco, e lo saranno ancora in certi casi, nei confronti diretti per l'elezione a Sindaco o a Presidente della Provincia.
Sono stati, così, analizzati i risultati relativi ai Comuni capoluogo e alle province (un totale di 4.492.505 voti validi per 26 comuni capoluogo, esclusa Villacidro, e 11 province: un test sicuramente più probante dei sondaggi abitualmente usati per sondare la temperatura “politica” del Paese, anche perché la dislocazione geografica delle città in cui si è votato ha interessato praticamente tutta l'Italia esclusa la Sicilia. In Sicilia si voterà a parte per alcuni elezioni comunali e si tratterà di un “test” assai probante essendo l'Isola, in questa fase, probabilmente il test politico più interessante).
L'analisi di questi risultati ha interessato le nove formazioni politiche che possiamo definire di dimensione “nazionale”, virtualmente in grado cioè di conseguire il “quorum” alla Camera anche in caso di presentazione al di fuori dalle coalizioni (il 4%) e precisamente: PD, SeL, IDV, FdS, UDC e FLI(calcolati assieme nonostante diverse presentazioni separate), PDL, Lega Nord, Movimento Cinque Stelle.
Nei casi presi in esame queste forze politiche, complessivamente, hanno raccolto il 72,03% dei consensi, lasciando a liste minori, locali (magari espressione delle stesse coalizioni come le liste di appoggio di tipo “civico” ai candidati Sindaci, oppure frutto dell'impegno di imprenditori politici “minori” e, ancora, di forze politiche come i Socialisti o i Verdi presentatisi in forme differenziate) il 27,97% dei suffragi.
Considerato che la partecipazione al voto è ormai assestata al 70%, in questi casi (sarà interessante vedere, in eventuali e future, elezioni politiche di quanto questa percentuale potrà elevarsi) possiamo affermare che , in questo momento, le 9 formazioni politiche indicate rappresentano, sommate assieme, circa il 60% dell'intera platea elettorale: un dato che indica, senza bisogno di grandi commenti, l'articolazione esistente nel rapporto politica/società e le difficoltà del sistema politico in quanto tale; difficoltà che accomunano, a nostro avviso, sia quanti scendono nell'arena per governare, sia quanti si misurano in funzione della cosiddetta “antipolitica”.
Allora veniamo ai dati, valutati per l'appunto “vecchio stile”, alla Celso Ghini per intenderci, cioè nel più puro spirito “proporzionale” (almeno sotto l'aspetto dell'analisi).
E' vero che qualcosa si sta muovendo, certamente di non definitivo come indirizzo di fondo, ma un certo tipo di “trend” pare essersi invertito: il PD, pur non decollando, si assesta in percentuale nelle situazioni che abbiamo indicato al 24,98% (più o meno la quota che viene indicata dai sondaggi sul piano nazionale complessivo); arretra invece il PDL (che soffre probabilmente della presenza di tante liste e listarelle di contorno che, magari, alle elezioni politiche confluiranno sotto il capace ombrello del maggior partito). La “performance” del PDL in quanto tale è del 19,53%: un dato che, lo si giri come si vuole, indica -appunto – un segnale di sicuro arretramento.
Per quel che riguarda la Lega Nord (presente in 13 capoluoghi e 9 province) la percentuale complessiva è del 7,22% (quindi al di sotto di quel 10% che la Lega ottiene nazionalmente da tempo, grazie alle alte percentuali del Nord e in questo caso c'erano Milano, Pavia, Treviso, Novara, Mantova, Trieste, Torino): davvero non si è realizzata quella “strategia delle sinedocche” cui accenna sulle colonne di Repubblica Ilvo Diamanti.
Abbiamo esaminato unitariamente i dati di UDC e FLI che assommano (con diversi tipi di presentazione) al 5,32%: l'impressione è che l'operazione FLI sul piano elettorale morda molto poco e che i rischi per il “Terzo Polo” siano molto alti.
Egualmente occorre molto cautela nel valutare il dato di SeL (c'è una sola località pugliese: Barletta e la percentuale non è esaltante). SeL si assesta al 4,50%, più o meno la metà di quanto si trova accreditata dai sondaggi di dimensione nazionale: si apre, in questo caso, come in quello dell'IDV ( collocata al 4,23%) il tema del rapporto tra partito personale, candidature emblematiche (vedi per quel che riguarda l'IDV, ovviamente, il caso di Napoli), costruzione del soggetto politico; un tema urgente da affrontare, in particolare per SeL, se questa pensa di rappresentare il punto di riferimento di una nuova aggregazione a sinistra oppure puntare ad essere “laboratorio” di una concezione “alternativa” sul terreno della personalizzazione della politica, da considerare quale fattore pressoché esaustivo in quadro di azione quasi esclusivamente svolta sul piano elettorale.
A rendere, paradossalmente ma non troppo, difficile la risoluzione del nodo per SeL, troviamo il risultato della Federazione della Sinistra che si colloca al 3,96%, ben oltre quanto era stata stimata dai sondaggi, a dimostrazione di una presenza territoriale diffusa e sufficientemente consistente (certo passi ne sono stati perduti in questi anni, ma da lì a sparire completamente come era apparso ad alcuni commentatori dopo il congresso del PRC seguito alle elezioni del 2008 con la successiva scissione, ce ne corre).
Il dato di SeL e FdS indica come resti sul tappeto, a nostra giudizio, il tema della ricostruzione unitaria di una soggettività politica rappresentativa della sinistra italiana, fuori da steccati e pregiudizi, in grado di offrire una idea alternativa non soltanto sul piano della progettualità (come dovrebbe essere ovvio, anche se la discussione di fondo non è stata ancora aperta) ma soprattuto sul terreno dell'agire politico: i dati forniscono la sensazione che le due formazioni, SeL e FdS, non risultino ciascuna per sé stessa autosufficiente per quel salto di qualità a sinistra che il PD non appare proprio in grado di compiere, sia per collocazione politica complessiva, sia per la forza dei numeri che lo confermano sicuramente il primo partito dell'opposizione, ma non nella dimensione tale da poter proporre una convinta egemonia (un ritorno alla “vocazione maggioritaria” in questo momento apparirebbe poi un vero disastro).
Infine le “5 Stelle”, né di destra, né di sinistra, come stanno confermando i suoi esponenti in queste ore di ballottaggio (vedremo, però, come risponderà l'elettorato): il movimento raccoglie il 2,29% complessivamente, ma non essendo stato presente alle elezioni provinciali, la percentuale deve essere rapportata alle sole elezioni comunali e diventare, quindi, correttamente del 3,77%. Una quota che indica come la scalata al Parlamento potrebbe essere possibile anche in forma autonoma.
Queste, dunque, alcune indicazioni ottenute attraverso valutazioni del tutto empiriche ed anche attraverso qualche forzatura metodologica, che non ci è abituale: nella convinzione, però, che si tratti di dati sui quali le forze politiche possano un poco meditare.
Savona, li 18 Maggio 2011 Franco Astengo

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peppe giudice: la liberazione del socialismo

La liberazione del socialismo





Il socialismo democratico ha rappresentato una alternativa concreta al capitalismo liberale fondato contestualmente sul rifiuto del collettivismo burocratico sovietico.

Massimo Salvadori mette in rilievo come il socialismo democratico non è affatto stato una “variante debole” del comunismo come sostengono molti teorici neoliberali ma una alternativa forte ad esso all’interno della sinistra.

La prima guerra mondiale e la crisi del 29 segnano la fine della civiltà liberale incapace di dare risposta alle gravi contraddizioni del capitalismo che provocano le due guerre mondiali, inframmezzate dalla crisi del 29 e dall’avvento del comunismo e del fascismo.

Un grande esponente del socialismo umanistico nonché fondatore di una nuova disciplina, quella dell’antropologia economica, Karl Polanyi, un ungherese che è poi vissuto in Austria, Inghilterra ed Usa, è quello che ha analizzato meglio il fenomeno della crisi del capitalismo liberale che di fatto fa terminare il lungo XiX secolo che si prolunga per parte del XX. E lo fa in un libro che ha avuto molta fortuna in Francia ed in Germania “La grande trasformazione”, meno in Italia dove lo ha fatto conoscere poco più di venti anni fa, Giorgio Ruffolo.

Polanyi sottolinea in aperta polemica con gli economisti liberali neoclassici il carattere storico e non naturale del mercato e dei suoi rapporti mutevoli con la società. Egli non identifica (come fecero i comunisti) mercato e capitalismo perché quest’ultimo non coincide con la pura esistenza di uno spazio di scambio mercantile quanto piuttosto nella cosiddetta “società di mercato” in cui il mercato diventa il centro della società e la misura di tutte le cose. Polanyi sottolinea il carattere umanamente distruttivo e socialmente disgregante del capitalismo. Ma in alternativa ad esso egli rifiuta (come abbiamo visto) il modello comunista, ma opta chiaramente per un socialismo democratico ed umanista che piuttosto che abolire il mercato lo sottopone ad una forte regolazione sociale per farlo essere non più il centro della società ma qualcosa che la società tiene sotto controllo per potersi autodeterminare liberamente senza essere eterodiretta dai rapporti di forza che si creano nel mercato capitalistico. Il socialismo di Polanyi è in forte sintonia con i suoi cari amici Otto Bauer (leader del socialismo austriaco) George H. Cole (ledaer della sinistra laburista inglese) che immaginavano un socialismo fondato sull’autogestione, lo sviluppo della cooperazione sociale partecipata, le comunità civiche ed il mutualismo e richiama le idee di un grande socialista utopista inglese, Robert Owen. Polanyi in un altro suo libro, “la libertà in una società complessa” mette in rilievo i forti limiti della idea di libertà dei liberali (la libertà negativa). Pur conservando il nucleo positivo della idea di libera esplicazione della personalità dell’individuo (più Kantiana che liberale) egli considera astratto ed inconcludente il meccanicismo atomistico e utilitaristico che informa la concezione della società propria dei liberali. Così come l’organicismo sociale del leninismo. La società complessa, per Polanyi fa giustizia di tali approcci unilaterali, in quanto gli individui non sono né atomi separati ne appendici di una megamacchina ma sono interdipendenti ed interagenti per cui libertà, coesione e giustizia sono strettamente connessi.

Il pensiero di Polanyi e di altri socialisti democratici, sia di matrice marxista che non, si incontra naturalmente con quello degli economisti postkeynesiani (i keynesiani di sinistra) – Nicholas Kaldor , Joan Robinson ed altri – i quali interpretano correttamente Keynes come esplicita rottura rispetto alla economia neoclassica liberale. Tra Marx ed i postkeynesiani c’è una convergenza esplicita nel rifiutare il capitalismo come sistema “naturale” ed eterno, sottolineando la sua transitorietà e storicità.

Marx ha insegnato ai socialisti a fare i conti con quelli che sono i reali rapporti di forza nella storia e nella società. La sua critica al socialismo utopistico (Fourier ed Owen) non sta nel contestarne il progetto, ma nel pensare che basti una idea giusta per trasformare la società. Occorre invece analizzare scientificamente la dinamica e le contraddizioni del capitalismo, insomma i concreti rapporti di forza che condizionano la nostra volontà. In modo errato si è creduto che Marx pensasse che l’agire umano fosse primariamente guidato da fattori economici. Niente di più falso: in realtà Marx vuole liberare l’uomo dalla necessità derivante dal primato dell’economia. Come ha spiegato Erich Fromm l’elemento economico è un fattore fortissimo di condizionamento in senso sociologico, ma non costituisce affatto la motivazione (in senso psicologico) dell’agire umano (che è la risultante di elementi complessi). Quest’ultima tesi è invece quella propria degli economisti liberali e borghesi.

Marx ha ben visto che il capitalismo non è un sistema in equilibrio; la sua tesi della concentrazione e centralizzazione dei capitali (fino alla comparsa degli oligopoli e dei monopoli) è stata confermata dai fatti, così come l’esistenza dei cicli economici che portano alle crisi strutturali. Il limite del marxismo è quello di aver inserito tale analisi nello schema deterministico e finalistico della filosofia della storia di Hegel. Ma probabilmente questo non è un limite di Marx quanto del pensiero marxista successivo ed in particolare dell’hegelo-marxismo che ha caratterizzato il comunismo della III Internazionale. In realtà molti ritengono che quelle di Marx siano leggi “di tendenza” e non leggi assolute dello sviluppo storico (come è in Hegel). Insomma la storia non è una costruzione arbitraria ma in essa non si sono affatto percorsi obbligati. E questo dà spazio alla capacità di scelta degli uomini ma senza ignorare gli elementi di condizionamento oggettivi.

Un altro limite in Marx è la non considerazione dei fattori antropologici (che ben analizza Polanyi) e del ruolo dell’immaginario sociale (Castoriadis) che Marx relega a fattori sovrastrutturali.

Per questo è necessario che il pensiero di Marx non venga considerato autosufficiente (come fanno i marxisti ortodossi di tutte le epoche) ma venga integrato e corretto dal pensiero keynesiano e dagli studi di Polanyi per meglio capire il capitalismo contemporaneo.

Il forte pregiudizio verso la socialdemocrazia e verso lo stesso stato sociale dei marxisti ortodossi è il frutto di questa pretesa autosufficienza (con tutto il dogmatismo che si porta appresso).

Ma facciamo un altro passo in avanti per capire il ruolo del socialismo democratico nel 900. E’ girata spesso la panzana o la leggenda metropolitana della matrice liberaldemocratica del Welfare. E questo perché Lord Beveridge (un liberale progressista inglese) presiedette la commissione che elaborò il progetto di stato sociale poi applicato dal governo laburista di Clement Attlee dal 1945 al 1951. In quella commissione, guarda caso, c’erano due autorevolissimi economisti socialisti Nicholas Kaldor (di cui abbiamo già parlato) e Tawney i quali furono quelli che materialmente svilupparono i contenuti del welfare inglese.

Ma dieci anni prima in Svezia il welfare moderno fu realizzato dai socialdemocratici sulla base delle idee del grande economista socialista Gunnar Myrdal , che nel suo pensiero sintetizza Keynes (alcuni lo ritengono un suo precursore) e Polanyi. Le radici del welfare sono profondamente socialiste.

Sono stato costretto a fare questo ampio escursus storico per smontare pregiudizi e mistificazioni che in Italia sono entrati nel senso comune. Insomma sia i comunisti che i liberali hanno profondamente distorto il significato del socialismo. I secondi (prigionieri dell’utilitarismo economicistico) hanno visto nel socialismo solo un modello economico fondato sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione e sulla pianificazione centralizzata. I marxisti-leninisti hanno concepito invece il socialismo come un modo di produzione transitorio tra capitalismo e comunismo fase in cui con la distribuzione del prodotto secondo i bisogni lo stato si estingue – o meglio si trasforma da apparato politico ad apparato amministrativo.

Questa visione è figlia di quella filosofia della storia deterministico-finalistica hegeliana che è il principale limite del marxismo.

Marx usava i termini socialismo e comunismo come intercambiabili. Nella “critica al programma di Gotha” – era stato scritto in polemica con Lassalle – Marx delinea due stadi successivi di sviluppo della società socialista. Il primo in cui il prodotto sociale si distribuisce sulla base del lavoro prestato da ciascuno ed il secondo sulla base dei bisogni. C’è anche da dire che Marx questo secondo stadio lo vedeva molto lontano nel tempo “ quando le sorgenti della ricchezza sociale scorreranno liberamente ed il lavoro sarà diventato il primo bisogno dell’uomo, la società può scrivere sulle sue bandiere: “da ciascuno secondo le sue capacità; a ciascuno secondo i propri bisogni”. Lenin abusivamente definì socialismo la prima fase e comunismo la seconda. Il povero Marx non immaginava evidentemente che tale frase sarebbe stata ripetuta pappagallescamente da tribù di idioti (che non ne comprendevano magari il significato – Finardi quando faceva il rivoluzionario da strapazzo la inserì addirittura in una sua canzone).

In Italia Riccardo Lombardi è quello che mi ha fatto capire i limiti di tale idea di transizione. Lombardi mette in evidenza come una economia in grado di soddisfare tutti i bisogni emergenti deve fondarsi su uno sviluppo illimitato delle forze produttive “quando le sorgenti della ricchezza sociale scorreranno liberamente” . Il che presuppone un dominio totale ed assoluto dell’uomo sulla natura. Paradossalmente Lombardi rilevava che Marx in tale punto mostrava una sostanziale convergenza con gli economisti borghesi (anch’essi fautori dello sviluppo illimitato). Lombardi (come altri socialisti in Europa) fu uno dei primi a rendersi conto dei limiti sia sociali che fisici della crescita economica. Non occorre certo essere fautori della teoria estrema della decrescita per rendersi conto che non è possibile una crescita illimitata in un ambiente limitato.

Per Lombardi il fine del socialismo non è la crescita illimitata delle forze produttive, ma il mutamento qualitativo del meccanismo e degli obbiettivi dello sviluppo. Keynes, ottanta anni fa, aveva parlato dello “stato stazionario” dell’economia in cui il prodotto si modifica qualitativamente, ma resta stabile in termini quantitativi.

Il tema della distribuzione sociale del prodotto non può quindi essere affrontato tramite due fasi distinte nel tempo, ma contemperando i principi della distribuzione secondo il lavoro e secondo i bisogni. La più avanzata politica socialdemocratica ha infatti cercato questa mediazione. L’aggancio dei salari alla produttività soddisfa il principio della distribuzione secondo il lavoro, il welfare (assegni familiari, indennità di disoccupazione fino al reddito di cittadinanza, integrazioni al reddito) soddisfano quello del bisogno.

Quindi il socialismo non è definibile in termini economicistici. Anzi esso rappresenta il riequilibrio tra economia e società squilibrato dal capitalismo. Era del resto questo il senso delle prime teorie socialiste di Fourier ed Owen (espresso magari in forma primordiale). E questo senso è stato ribadito da Polanyi nel 900. Il superamento del capitalismo è il superamento della centralità del mercato nella società che definisce il capitalismo stesso.

Certo per operare questo superamento occorre trasformare l’economia, i rapporti di forza e di potere entro di essa. In questo la lezione di Marx resta ineguagliabile. Ma con l’obbiettivo di far sì che l’economia sia al servizio della società e non passi da un padrone ad un altro.

La stessa lotta di classe cos’è se non la battaglia dei lavoratori per superare la loro condizione di strumenti dell’economia?

Se siamo d’accordo su tale modo di definire il socialismo, possiamo guardare meglio alla esperienza socialdemocratica del 900. Io direi di distinguere il socialismo democratico come progetto dal modello socialdemocratico storicamente determinato.

La socialdemocrazia ha realizzato solo in parte il progetto socialista. Lo stesso programma di Bad Godesberg della SPD è stato realizzato molto, ma molto parzialmente. Nondimeno ha creato il modello sociale più avanzato mai visto. E soprattutto è stato essa un elemento costitutivo della identità europera e della sua coscienza sociale. Il socialismo reale ha invece prodotto solo macerie e gente come Putin.

Contro questo si è mosso la reazione capitalistica che ha utilizzato le teorie decrepite (e smentite dalla storia) dei Friedman e degli Hayek come copertura ideologica ad un processo radicale di mutamento dei rapporti di forza a favore di un capitalismo feroce.

Il fallimento del comunismo ha dato forza ideologica a questa mutazione capitalistica ma non ne è la causa.

In realtà il capitalismo ha preteso di mettere in discussione tutta la storia dal 1930 in poi e tutto il processo di evoluzione democratica che ne è seguito.

Ma i processi storici sono irreversibili. La globalizzazione , ha spiegato bene Gallino, è tutt’altro che un processo lineare e naturale; è una costruzione politica fondata su rapporti di forza determinati dal dominio strutturale del capitalismo finanziario. E questo, oltre a provocare un aumento terribile delle diseguaglianze, a svalorizzare e rimercificare il lavoro, ha innescato meccanismi autodistruttivi nel capitalismo stesso, fino a determinare una pesante crisi strutturale.

Ma c’è un altro elemento che da pianamente ragione alla analisi di Polanyi. Il carattere umanmente e socialmente distruttivo dell’economia di mercato non socialmente regolata.

La profonda regressione morale , culturale, sociale che riscontriamo nelle nostre società è il frutto avvelenato dei processi incontrollati di mercatizzazione, che incide fortemente sulla politica ridotta ad una variabile dipendente del mercato.

Il comunismo è stato un mito dei nostri tempi (Wallerstein), il liberalismo è l’ideologia della mercatizzazione. Il socialismo democratico ed umanistico è l’unica via concreta per uscire dalla grave crisi di civiltà ed all’imbarbarimento che l’Occidente sta vivendo.

Per questo al di là di PSE sì Pse no, il socialismo democratico è ciò che da senso alla speranza e cioè alla sinistra.





PEPPE GIUDICE

mercoledì 18 maggio 2011

francesco maria mariotti: i cittadini stanchi

Ciao,

sono molto contento per Pisapia che avevo votato alle primarie, e che mi pare dia un segnle forte anche di "stile" politico, interessante non solo a sinistra.

Il dato complessivo del voto di ieri è da valutare tenendo anche conto di altri fattori e guardando anche ai voti dei partiti.

In ogni caso, trovo che la riflessione di oggi di Ricolfi possa aiutare anche a "demitizzare" queste vittorie, restituendo alcune caratteristiche del voto di domenica che in questo momento possono sfuggire

http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=10DEL5

Buon tutto

Francesco Maria

DSK perso, PS disorientato - qdR magazine

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Milano gioiosa - qdR magazine

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Meglio Milano | Storia Minima

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PISAPIA, BISCARDINI (PSI): CON PISAPIA VINCE TUTTA LA COALIZIONE «

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LA MIA IDEA DI SOCIALISMO. Intervento di Mario Michele Pascale | Libertà ed Eguaglianza

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Dedicato a Massimo Cacciari | Gad Lerner

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Chi si rivede, i socialisti di una volta - europaquotidiano.it

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Ripensare la sinistra | EU Progress

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Diritti Globali - E Giuliano pensa allo sprint finale "Adesso non facciamo errori il berlusconismo si può battere"

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Intervista a Lanfranco Turci. Considerazioni sul voto Amministativo

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IL VOTO A MILANO: LA RIVOLTA CONTRO L’INDECENZA | Arcipelago Milano

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PISAPIA “TRASCINA” LA FORZA GENTILE DELLE DONNE | Arcipelago Milano

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www.arcipelagomilano.org

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TUTTI I NUMERI DELLE COMPETIZIONE | Arcipelago Milano

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ELEZIONI. IL “RITORNO” DEI MILANESI | Arcipelago Milano

ELEZIONI. IL “RITORNO” DEI MILANESI | Arcipelago Milano

martedì 17 maggio 2011

Milano, trionfa Pisapia. Le ultime parole famose - Cronache Laiche

Milano, trionfa Pisapia. Le ultime parole famose - Cronache Laiche

Paneacqua.eu: Al Nord, aria nuova

Paneacqua.eu: Al Nord, aria nuova

gim cassano: milano dice no a berlusconi

Milano dice NO a Berlusconi.

Mancano ancora i dati di molte città e quelli delle singole liste, ed è presto per sviluppare analisi dettagliate. Ma una cosa è possibile dirla sin d’ora: Milano e Torino, le capitali del progresso economico, civile, sociale politico, hanno detto no a Berlusconi ed al berlusconismo, all’imbarbarimento della lotta politica, all’assalto alla Costituzione ed alle Istituzioni. L’Italia civile e democratica può tirare un sospiro di sollievo: comunque si voglia metterla, questi dati implicano una battuta d’arresto per una destra che ha passato il segno.

Adesso, per il centrosinistra, si tratta di non cadere nel trionfalismo, di impegnarsi seriamente per i ballottaggi, di non riporre ogni futura prospettiva nell’eventuale sganciarsi della Lega dal sistema solare berlusconiano, di perseguire l’obbiettivo non ancora realizzato di costruire una propria credibile proposta politica per il Paese.

Gim Cassano (Alleanza Lib-Lab), 16-05-2011

stefano rolando: ieri sera a milano

Dunque, è tardi, lo so. Ma i più leggeranno - se avranno voglia - domattina. A qualcuno sto rispondendo ora. Chi si è rallegrato, chi ha mandato foto (una l'accludo, quella della composta e festosa lunga accelerazione dei dati al Teatro Puccini a Milano), chi ha colto la discontinuità di un sistema ormai così prudente nell'ottimismo da non aver neppur immaginato (non dico previsto, malgrado la quantità di scienziati sociali e demoscopici circolanti) l'esito, ora acquisito.
I più avranno visto i risultati che ormai sono in completamento reale: 48,1 contro 41,5 (1121 seggi su 1251). 6,6 punti di distacco. In un contesto del centro-nord (i dati del prof. D'Alimonte questa sera all' Infedele erano la prima vistosa contestualizzazione del "caso Milano" dentro un arretramento complessivo di Lega e Pdl nel territorio in cui per anni si è parlato solo di avanzata del centro destra.
Con Piero Bassetti prima al Puccini, poi a Palazzo Marino poi in giro per una città sensibile a pelle al dato del cambiamento possibile (altra sensazione un po' dimenticata, questa volta segnata da una reazione diffusa alle diverse forme dell'abuso del potere), non sono mancate tante dichiarazioni alla stampa: un risultato collocato nell'allargamento del dialogo sociale e politico che Pisapia ha saputo svolgere con indipendenza, pacatezza, tenacia.
Poi un messaggio a tutti coloro che hanno dato vita, contribuito, interagito ad Iniziativa per il 51:
"Abbiamo fatto la prima frazione. Un applauso a Giuliano Pisapia. Adesso ci aspetta la seconda. Nessuno si sieda sugli allori. Il traguardo resta sempre il 51%. Con l'avvertenza che con il 51% si fa il sindaco, ma ci vuole di più per guidare una Milano davvero partecipata nel suo sviluppo. Voglio dire grazie a tutti, considerandoci impegnati anche oltre il 29 giugno".
SR

domenica 15 maggio 2011

Felice Besostri: Abrogate il porcellum

dall'avvenire dei lavoratori

PERISCOPIO SOCIALISTA


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ABROGATE

IL PORCELLUM


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I parlamentari in carica, i senatori a vita, i giudici costituzionali emeriti e i più illustri giuristi democratici Italiani devono moltiplicare le iniziative, possibilmente in ogni circoscrizione di Tribunale, per ottenere il rinvio alla Corte Costituzionale delle norme della legge elettorale.


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di Felice Besostri


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Rino Formica ha posto il problema della riconferma di Giorgio Napolitano alla carica di Presidente della Repubblica nel maggio 2013. Poiché queste Camere sono state elette il 29 aprile 2008, è pacifico che il prossimo presidente sarà eletto dopo nuove elezioni politiche. Per il centro-sinistra eleggere un proprio candidato salvo una vittoria con premio di maggioranza è più difficile che ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi (2009) e Giorgio Napolitano (2006): nei delegati regionali c’è una netta prevalenza della destra dopo le elezioni del 2010. Nel 2006 il premio di maggioranza favorì un’Unione che si sarebbe rivelata instabile e rissosa: non si può sperare nelle crescenti difficoltà di Berlusconi per aspirare di vincere le elezioni e quindi rientrare in gioco per l’elezione del Presidente.

La strada maestra è l’abolizione di un premio di maggioranza di sospetta costituzionalità, poiché svincolato da ogni quorum in seggi o percentuale di voti.

La Corte Costituzionale l’ha denunciato in due sentenze del 2008 , ma l’invito a sottoporle la questione di costituzionalità è stato ignorato dalla magistratura ordinaria e amministrativa.

Il TAR Lazio, sez. II bis (sent. 1855/2008) e il Consiglio di Stato, sez. IV (sent. 1053/2008) sfuggirono al problema dichiarando la carenza assoluta di giurisdizione nei confronti dell’impugnazione dei decreti di convocazione dei comizi.

Il Tribunale di Milano, sez. I (sent. 5330/2011) in composizione monocratica, ha blindato la legge elettorale, dichiarando manifestamente infondate (!) le questioni di costituzionalità, compresa quella valutata come problematica dalla Corte Costituzionale stessa (sent. 15 e 16 del 2008).

Le potenzialità scardinatorie della legge elettorale, che ha sovvertito la forma di governo delineata dalla Costituzione, finora non si sono potute esprimere al massimo grado per una pura coincidenza, ancorché pilotata con lo scioglimento delle Camere elette nel 1996. L’attuale maggioranza, eversiva dell’ordinamento costituzionale, cioè magna parte quella che approvò la legge 270/2005 (detta “Porcellum”), non ha mai potuto eleggere un Presidente della Repubblica. Se avesse potuto farlo, è legittimo ritenere che sarebbe poi proceduta – in forza di una legge ordinaria – a scardinare gli stessi istituti di garanzia previsti in Costituzione: Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale.

Grazie al premio di maggioranza una maggioranza relativa, cioè una minoranza assoluta, si trasforma alla Camera in una comoda maggioranza del 54%. Sarebbero così a portata di mano i due terzi dei voti necessari a modifiche costituzionali senza referendum confermativi (scenario più volte segnalato su queste colonne, da ultimo nell'Editoriale del 20 settembre scorso, vai al sito), ma anzitutto sarebbe a portata di mano un’elezione a colpi di "premio di maggioranza" del Presidente della Repubblica.

Un così eletto Capo dello stato, smaccatamente di parte, sarebbe poi Capo delle Forze Armate e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. In tal veste nominerebbe cinque membri della Corte Costituzionale, che si aggiungerebbero a quelli eletti dalla artificiale maggioranza parlamentare, e che farebbero dieci membri su quindici, con forti capacità di influire anche sul restante terzo, esondando cioè sulle supreme magistrature ordinaria e amministrativa.

L'unica residua resistenza a un assoggettamento immediato della Corte Costituzionale all’esecutivo risiederebbe nella sola durata in carica per nove anni dei giudici costituzionali, il cui rinnovo è dunque diluito nel tempo. Troppo poco per garantire la salvezza della Repubblica!

Poiché il vigente premio di maggioranza è di dubbia costituzionalità mentre i tratti di incostituzionalità sono destinati ad aggravarsi se passassero progetti di premio di maggioranza nazionale anche per il Senato, l’unica scelta, che si impone, è l’abrogazione della legge.

Le forze per farlo in Parlamento non sembrano esserci, dato il vincolo di maggioranza PdL-Lega Nord, meglio detto Berlusconi-Bossi.

L’unica strada è il moltiplicarsi delle iniziative, possibilmente in ogni circoscrizione di Tribunale, per ottenere il rinvio alla Corte Costituzionale delle norme della legge elettorale, e in primis del premio di maggioranza.

Finora quest’azione è stata promossa da semplici elettori e avvocati nel totale e irresponsabile silenzio dei mezzi d’informazione, cioè in un clima che favorisce le pressioni sui singoli giudici.

Nelle prossime azioni dovranno essere protagonisti i parlamentari in carica, i senatori a vita, i giudici costituzionali emeriti e i più illustri giuristi democratici. Noi di qui rivolgiamo un esplicito appello alla loro coscienza civile.


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P. S.: L’abolizione del premio di maggioranza è anche un contributo alla chiarezza politica. La legge elettorale consente a liste diverse di adottare prima dell’ elezioni un comune programma di governo e di indicare un capo della coalizione. Una tale indicazione, in caso di accoglimento dell’eccezione di costituzionalità, avrebbe il solo effetto di un’indicazione politica e di far beneficiare le liste coalizzate di una soglia di accesso più bassa (2% in luogo di 4%), ma non più di attribuire un premio di maggioranza. La proposta corre il rischio di travolgere anche le liste bloccate, che sono graditissime ai vertici di tutti i partiti. Ma difendere la Costituzione dovrebbe essere un motivo sufficiente per rinunciare a un potere che la vanifica quanto agli artt. 51 e 67.

Paneacqua.eu: Dl Sviluppo: Napolitano firma, e chiede modifiche

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Paneacqua.eu: L'Italia che ristagna

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Paneacqua.eu: Chiamami ancora Milano. Intervista a Roberto Vecchioni

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venerdì 13 maggio 2011

Roberto Biscardini: Lettera ai compagni prima del voto

Cari amici e cari compagni,
nel descrivere a Salvemini la situazione milanese di metà anni venti, Carlo Rosselli notava come le idee socialiste fossero “una enorme forza in potenza, senza lo strumento per tradurla in atto”. Pur tenendo bene in conto tutte le differenze storiche del caso, a pensarci bene però la situazione odierna della nostra città non pare poi così tanto diversa: il mondo socialista è ricco di fermenti culturali e ideali da proporre alla città, ma non è rappresentato nel consiglio comunale, rendendo in qualche modo afona la nostra voce.
Nella prossima tornata elettorale c’è però una concreta possibilità che un socialista, riconosciuto chiaramente come tale, possa colmare questo vuoto di riformismo, e tornare a rappresentare il nostro elettorato a Palazzo Marino. Per contribuire a rafforzare la qualità della democrazia, per ribadire la centralità del consiglio comunale nelle scelte che riguardano la nostra collettività è fondamentale l’elezione di un socialista, di uno spirito libero. Sarebbe un suicidio per l’intero mondo socialista milanese non cogliere questa occasione per tornare a far sentire la nostra voce a Palazzo Marino.
Forte della mia esperienza politica e amministrativa, ritengo di possedere la forza e le idee per riaffermare il diritto del socialisti di essere presenti nella nostra città.
Diritti, lavoro, idee per una città senza confini, cultura e altro ancora. Questi i temi che riguardano la nostra comunità, per i quali fare sentire chiare e forti le convinzioni di noi socialisti, anche sulla scorta dell’eredità del buon governo dei nostri sindaci e amministratori.

Conosco la Milano di ieri – quando era città internazionale ed europea – e quella di oggi con tutti i suoi limiti. È ora di invertire la rotta per fermare l’involuzione della città, è ora di dare a Milano un contributo socialista per il cambiamento. Per questo motivo ritengo che l’elezione a sindaco di Giuliano Pisapia e la mia a consigliere comunale rappresentino la certezza di una città migliore. Una città di libertà e di progresso per tutti.

Roberto Biscardini

Gim Cassano: spazio lib-lab » Diaspora liberale.

spazio lib-lab » Diaspora liberale.

franco astengo: le modifiche al decreto sullo sviluppo

Il Presidente della Repubblica, da solo, cercando di stare dentro ai limiti della Costituzione, in un momento di grande dificoltà e di attacco alle coordinate di fondo della nostra Carta Fondamentale nel senso della "applicazione di una presunta Costituzione materiale" sta cercando di svolgere un ruolo di contrasto e di tenuta nei confronti del governo e della sua arroganza padronale. I partiti dell'opposizione, fuori e dentro il Parlamento, sono chiamati a rendersi conto di questo stato di cose, intervenire con forza, ristabilire l'equilibrio dei poteri. Serve una azione molto più consapevole della gravità della crisi democratica che stiamo vivendo e della necessità di imprimere una svolta. Da subito, senza attendere l'esito del voto, cercando di valutarlo nel suo complesso e non soltanto nell'immagine immediata che i mezzi di comunicazione di massa vorranno imporre. Grazie per l'attenzione Franco Astengo

Francesco Somaini: Il voto di domenica

Circolo
Carlo Rosselli

Milano



Compagne e compagni, amici amiche,

Mi scuso per l'intrusione, ma desideravo segnalare che questa sera alle ore 21, in piazza del Duomo al comizio di Giuliano Pisapia a chiusura della campagna elettorale milanese, il "Rosselli" sarà presente con le proprie bandiere.
Se credete, potrete convergere là dove vedrete sventolare i nostri vessilli arancioni e neri. Vi aspettiamo.
Mi sembrerebbe in effetti importante che ne potessa uscire una bella e affollata serata.
Un saluto,
Francesco Somaini (pres. del Circolo).


PS: Riguardo al voto di domenica e di lunedì permettetemi invece di ribadire la posizione che come Circolo abbiamo ritenuto di assumere, attraverso un percorso di decisione condivisa, compiuto assieme a diversi altri circoli ed associazioni di area socialista e libertaria della città (sostanzialmente l'area del cosiddetto "Gruppo di Volpedo").
In pratica si tratta di questo. Ferma restando, evidentemente, la libertà di ciascuno di agire come meglio crede e di votare per chi preferisce (il "Rosselli" infatti non è mai stato una chiesa od una caserma, bensì un luogo libero, laico ed aperto dove, pur nella condivisione di alcuni principi politico-culturali di fondo, si è sempre discusso e ci si è sempre confrontati in assoluta libertà senza che nessuno imponesse nulla a nessuno) abbiamo comunque ritenuto di assumere pubblicamente delle posizioni formali (e approvate democraticamente), che ci terrei qui a richiamarvi, nella speranza che le possiate ritenere di qualche interesse.
Innanzitutto abbiamo dunque inteso sostenere con grande convinzione (e sin dal primo momento, ovvero dalle primarie dello scorso autunno) la candidatura di Giuliano Pisapia a sindaco. Abbiamo infatti ritenuto e tuttora riteniamo che sarebbe davvero di grande importanza se da Milano si potesse infine levare un segnale di riscossa e di cambiamento rispetto a questo ventennio di opacità civile e morale della città, e Giuliano Pisapia ci è parso persona adatta per esprimere questo segno di novità e di mutamento di clima.
Del resto è del tutto evidente che una vittoria di Pisapia - il risultato in realtà non è affatto fuori portata, come avrete potuto comprendere anche dal nervosismo e dalla scomposta aggressività della Destra in queste ultime ore - rappresenterebbe un colpo notevolissimo, che potrebbe segnare non soltanto una svolta decisiva per la città, ma anche un fatto politico di portata più generale. In gioco, in queste elezioni amministrative, c'è infatti, naturalmente, la possibiltà di riportare Milano ad una stagione di buongoverno municipale, di partecipazione democratica e di impegno civile, ma c'è anche la possibilità di contribuire ad accelerare potentemente la fuoriuscita di tutto il Paese da questa squallida stagione berlusconiana e di salvare l'Italia da questa congrega di irresponsabili. Anche per questo mi permetto di invitare tutti quanti ad andare a votare e ad esprimere un voto per Pisapia: tanto adesso, quanto nell'auspicabile e decisivo turno di ballottaggio che si potrebbe tenere tra due settimane.
A noi Rosselli del candidato sindaco di Centro-Sinistra sono in effetti piaciute da subito alcune importanti qualità. Ci hanno ad esempio colpito il suo il garbo e la sua pacatezza, ma ne abbiamo fortemente apprezzato anche il coraggio e le determinazione, come pure la cultura ad un tempo garantista e legalitaria, lo slancio solidaristico, e la forte sensibilità democratica e sociale. Di grande valore politico ci sono parse inoltre le sue importanti ed esplicite aperture verso le esperienze amministrative del migliore Socialismo europeo e verso la grande tradizione del Socialismo municipale ambrosiano. Per questo abbiamo deciso di sostenerlo. Per questo lo sosteniamo.
Oltre che a favore di Pisapia, abbiamo comunque ritenuto, come Rosselli, di prendere delle posizioni anche per quanto riguarda le liste e i candidati per il Consiglio comunale, in particolare scegliendo di appoggiare la Lista Civica per Pisapia Sindaco, che si è venuta formando nelle scorse settimane.
Alla nascita di questa lista, tutta l'area dei Circoli di ispirazione socialista e libertaria ha dato infatti un concreto contributo, ed ha anche pensato di esprimervi più propriamente due candidature. Si tratta, come ricorderete, di Alberto Anzalone e di Giuliana Nuvoli: due belle persone, che per quanto mi riguarda ritengo potrebbero ottimamente rappresentare il ritorno di una presenza della migliore cultura del riformismo socialista nel Consiglio Comunale della città. Su entrambe mi sento personalmente di esprimere delle parole di sincero e convinto apprezzamento e dunque di segnalarle alla vostra attenzione (anche se devo naturalmente ricordare che ciascuno di noi potrà in realtà esprimere sulla scheda soltanto una preferenza).
Nel caso di Alberto Anzalone mi permetto peraltro di aggiungere che si tratta, tra l'altro, anche di un socio del "Rosselli".
Accanto a questi due compagni, ritengo comunque giusto e doveroso segnalare anche altri candidati, egualmente vicini alla nostra cultura laica, socialista e libertaria.
Sempre nella Lista Civica per Pisapia Sindaco risulta ad esempio candidata la brava giornalista del "Sole" Anna Del Freo.
E poi, anche nelle altre liste della coalizione di Centro-Sinistra, vi sono persone che come Rosselliani ci permettiamo di segnalare. Vorrei in particolare suggerire, a chi ritenesse di votare PD (Partito Democratico), il nome di Roberto Biscardini, e a chi intendesse votare SEL (Sinistra Ecologia e Libertà) quello di Daniela Benelli. Sono entrambi compagni di solida esperienza politica, e che sinceramente ci auguriamo possano essere eletti.
Al di là delle diverse liste, comunque, a tutti quanti suggerisco davvero di andare a votare, e di votare per Pisapia.
Anzi, permettetemi a questo proposito di dare anche un ultimo consiglio, di tipo cautelativo. Giacchè il clima politico si sta surriscaldando, è forse da mettere in conto anche l'ipotesi che qualcuno possa avere la pessima tentazione di mettere in atto manovre non cristalline per manipolare il risultato del voto, ad esempio intervenendo sulle operazioni di spoglio delle schede. Intendiamoci: può essere che si tratti di timori eccessivi, ma in ogni caso, come misura precauzionale, e a tutela da eventuali brogli e interpolazioni delle vostre scelte, mi permetto di suggerire a tutti quanti di mettere una croce non soltanto sulla lista che vorrete eventualmente sostenere, ma anche e soprattutto in corrispondenza del nome del candidato sindaco. In questo modo avrete quanto meno la certezza che il vostro voto non sarà in alcun modo "alterabile". Grazie per l'attenzione. E buona domenica a tutti.