giovedì 31 maggio 2012

«Quello che Berlino impone ad Atene non ha senso né politico né economico» - Corriere.it

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Social Democracy and the Network — Social Europe Journal

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The Eurozone Crisis and Austerity — Social Europe Journal

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SEA, BISCARDINI (PSI), PER I SOCIALISTI DEVE RIMANERE LA MAGGIORANZA PUBBLICA «

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Euro, terminus ? - Les blogs du Diplo

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Primarie ma anche idee nuove. Le lezione di Como, l’ex “Mugello del centrodestra” | Italia2013

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François Hollande doit entendre la révolte anti-austérité des peuples européens

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La « compassion » de Christine Lagarde

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mercoledì 30 maggio 2012

Quei "settari e fondamentalisti" di Syriza

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"In Grecia cresce il senso di responsabilità" - EuProgress

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Luca Cefisi - Il PES e la crisi greca - Avanti della domenica

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Alberto Benzoni - Chiamiamo socialista la 'cosa' di Bersani - Avanti della domenica

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Matteo Morandini - Nencini: ricetta socialista per salvare l’Europa - Avanti della domenica

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Réflexions d’un républicain sur le 15M - La Vie des idées

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It’s the French Exception, Stupid! - Telos

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Guido Martinotti: QUANDO NON SI SA COSA DIRE È COLPA DEGLI AVI | Arcipelago Milano

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martedì 29 maggio 2012

DOPO LA TERZA VIA - Critica Sociale

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Se la sinistra europea va oltre la Terza Via

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| «La Germania non affondi l’Europa. Sarebbe la terza volta in cent’anni» « Nuova Rivista Storica

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Cronache francesi: il passaggio dei poteri - Inchiesta : Inchiesta

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Il PSE sostiene gli Eurobond come “strumento di stabilità e solidarietà nell'Eurozona”

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Felice Besostri: Il socialismo prossimo venturo. Un dibattito -1- | fondazione nenni il blog

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Cosa ci dice Parma | fondazione nenni il blog

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Fabian Society » Obamanomics

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Fabian Society » The Beveridge Report: Eight lessons for today

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L'originalità di Ed Miliband - qdR magazine

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Il modello francese vale la pena - qdR magazine

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CGIL - ISTAT: Camusso, dal rapporto emergono difficoltà per giovani e donne

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I funerali di Rizzotto | Blog di Giuseppe Casarrubea

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Il laboratorio di Parma?

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LA PENTOLA A PRESSIONE DI ANGELA MERKEL

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Franco Astengo: No al presidenzialismo

NO AL PRESIDENZIALISMO
“No al Presidenzialismo”: un “no” da avanzare immediatamente, proprio in questo momento, in cui la proposta dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica viene “rilanciata” dall’agonizzante centrodestra e dal suo “antico” leader (sulla differenza tra presidenzialismo e semipresidenzialismo torneremo in altra occasione: adesso è il momento di proclamare nettamente, senza se e senza ma come usa dire adesso, una contrarietà di fondo).
Non basta parlare di “strumentalizzazioni”, oppure limitarci al “non c’è più tempo” riferendoci alla declinante legislatura in corso.
Stupisce, neppure troppo in verità, che non si riesca attorno all’idea della Repubblica Parlamentare, di una concezione dell’agire politico fondato sul privilegio della rappresentanza in luogo della governabilità e della personalizzazione, a raccogliere un ampio fronte politico e culturale a sinistra capace di analizzare con chiarezza i cedimenti che ci sono stati su questo terreno e riprendere in mano, con coraggio, l’idea di una politica ”forte”, capace di rovesciare, prima di tutto, il rapporto con l’economia così come questo si è configurato, negativamente, nel corso degli ultimi anni.
Ci troviamo a ridosso della ricorrenza del 2 Giugno, data fondativa della Repubblica Italiana, ed è necessario, più che mai, ricordare alcuni aspetti del nostro assetto istituzionale che, in questo momento, sono oggetto di furibondi attacchi e di proposte di revisione che si rivolgono verso un accentramento dei poteri in poche mani, a completamento del processo degenerativo avviato, a suo tempo, con la crisi dei grandi partiti di massa e l’adozione del sistema elettorale maggioritario.
Non è il caso di ricordare, se non per sommi capi, che l'Italia è una Repubblica Democratica per volontà del popolo che ne ha votato la forma di Stato in un Referendum, dopo che per un periodo non breve le forze politiche uscite vittoriose dalla lotta di Liberazione avevano oscillato tra l'idea di affidare al popolo la scelta decisiva oppure di attribuirla all'Assemblea Costituente che sarebbe stata eletta nella stessa data del 2 Giugno 1946 (il decreto che fissa il referendum istituzionale porta la data del 10 Marzo 1946: l'obiettivo era quello che, una volta sgombrato il campo dal nodo della forma dello stato, l'Assemblea Costituente sulla base del mandato ricevuto dai cittadini avrebbe potuto dedicarsi completamente alla redazione della nuova Carta Costituzionale).
La scelta referendaria, inoltre, corrispondeva ad una ulteriore esigenza: quella di completare il processo unitario risorgimentale, considerato nell'analisi gramsciana, in una qualche misura “monco” per la mancata partecipazione delle masse popolari.
Si sanciva così, per via diretta, l'unità del Paese, dopo che – nei tragici mesi trascorsi tra l'8 Settembre ed il 25 Aprile- l'Italia era rimasta divisa.
Si tratta di elementi che vanno sottoposti, ancor oggi, alla riflessione di tutti: in una fase in cui appunto sembrano riemergere spinte verso forme presidenzialistiche, che in un momento di totale incredibilità dell’intero sistema dei partiti potrebbero anche aprire la strada ad avventure pericolose.
E' mutato, soprattutto, il ruolo del Parlamento, con un passaggio “forte” nella capacità di proposta legislativa nelle mani del Governo (governo attualmente composto da persone, ricordiamolo, mai elette in alcuna competizione elettorale: del resto i parlamentari sono stati, con questo sistema elettorale, “nominati” ed è viva la discussione su di una delegittimazione di fatto del Parlamento), attraverso un uso immotivato dello strumento dei decreti legge (uso immotivato che, ormai, risale nel tempo fin dai primi anni'80 del secolo scorso: quando cioè si cominciò a parlare di “Grande Riforma” da attuarsi in nome di un cosiddetto “decisionismo”).
Vale allora la pena, proprio in occasione della ricorrenza del 2 Giugno, recuperare i passaggi fondamentali che, sulla materia del ruolo del Parlamento, furono compiuti in sede di Assemblea Costituente.
La Costituente accettò (in linea con l'esito referendario) l'individuazione antifascista delle responsabilità per le origini della dittatura nell'atteggiamento antiparlamentare della monarchia, sancendo così il definitivo primato delle Camera nel sistema, dando così vita ad una “repubblica parlamentare”.
Concentrando, infatti, nelle due Camere, rese entrambe elettive e pari nelle attribuzioni, i maggiori poteri, la Costituzione Repubblicana pose il Parlamento in una posizione di evidente supremazia rispetto agli altri organi dello Stato.
Il Governo, infatti, appare ad esso sottoposto sul piano formale, sia per il voto di fiducia che lo lega alle Camere in un rapporto di dipendenza politica, sia per il costante esercizio della funzione ispettiva e di controllo sui suoi atti da parte delle Camere stesse.
E' anche nella determinazione delle modalità di esercizio della funzione legislativa che la Costituente parve voler impedire ogni pericolo di usurpazione da parte del Governo del potere normativo, memore sia dell'esperienza vissuta in età liberale sia di quella, ben più pesante al riguardo, dei tempi della dittatura fascista.
Tutto questo oggi, ripetiamo, è messo pesantemente in discussione e va ricordato, perché l'osservanza costituzionale è ancora legata a questi fondamentali principi che si sono manifestati nell'articolato della Carta Fondamentale, sottolineando ancora come la Costituzione stabilisca che le Camere non possono procedere alla modifica o alla riforma del testo costituzionale senza l'osservanza di un preciso procedimento di revisione (articolo 138); in secondo luogo ha, poi, assoggettato l'attività legislativa a un sindacato di legittimità costituzionale davanti a un organo speciale, la Corte Costituzionale, al fine di evitare l'introduzione nell'ordinamento stesso di norme contrarie ai principi essenziali che lo ispirano; in terzo luogo ha fissato il ruolo delle comunità intermedie, in particolare delle Regioni, modificando la tradizione accentratrice dello Stato risorgimentale ma, nello stesso tempo, garantendo l'unità statuale; infine va rammentata l'introduzione del referendum costituzionale e del referendum abrogativo delle leggi approvate dal Parlamento, il primo a eventuale garanzia popolare contro una revisione della Costituzione che non fosse approvata da una maggioranza parlamentare troppo ampia, il secondo a tutela delle aspirazioni e degli interessi dell'elettorato contro un’attività legislativa ritenuta impopolare, affiancando così alla democrazia rappresentativa caratterizzante il sistema, un istituto di democrazia diretta, stabilendo nel contempo una sorta di controllo popolare sull'operato normativo della classe politica.
Non si trova, com’è noto, in Costituzione un capitolo riguardante le leggi elettorali: ma l'idea di un Parlamento sovrano richiederebbe una legge elettorale tale da consentire il massimo possibile delle espressioni delle culture e delle sensibilità politiche presenti nel Paese; si può ben dire che le modifiche alla legge elettorale avutesi nel 1993 e nel 2005 siano andate in direzione contraria, tentando di affermare il primato della governabilità rispetto a quello del dibattito parlamentare.
Il sistema elettorale proporzionale risulta essere, di conseguenza, quello più coerente con l’idea di impianto istituzionale contenuto nella Costituzione Repubblicana.
Ecco: abbiamo ricordato, forse pedantemente, queste cose al riguardo del ruolo del Parlamento perché si abbia chiaro, all'interno della ventata populistica e della cosiddetta “antipolitica” che stiamo subendo, ciò che di più prezioso è necessario difendere nell'ambito della nostra democrazia repubblicana.
Su queste basi andrebbe recuperato, a nostro avviso, un discorso unitario da parte delle forze che intendono opporsi a questo pericoloso stato di cose: si tratta di contenuti di assoluta discriminante in questa fase per tracciare un solco d’identità e di autonomia politica per un nuovo, indispensabile, discorso a sinistra.
Le forze politiche ancora esistenti (PD, SeL, FdS) sarebbero chiamate a fornire una risposta sul da che parte stare: da un lato la Repubblica parlamentare disegnata dalla Costituzione, dall’altra l’americanizzazione (termine usato tanto per intenderci alla svelta) composta da presunto decisionismo reclamante una governabilità senza principi
Una frontiera non da poco rispetto a una discriminante decisiva nella qualità dell’azione politica che, dal nostro punto di vista, intendiamo difendere e rilanciare.
Savona, li 26 maggio 2012 Franco Astengo

domenica 27 maggio 2012

La formula Krugman per uscire dalla crisi "Insegnanti e welfare contro la depressione" - Economia e Finanza con Bloomberg - Repubblica.it

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Il declino e la via d’uscita - micromega-online - micromega

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Eurocrisi, l’impasse della politica - micromega-online - micromega

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Reset Online - L'ORA DI GRILLO | Reset - Un mese di idee - Direttore Giancarlo Bosetti

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IL SALTO IN LUNGO DEL GRILLO PARLANTE. Di Norberto Fragiacomo « Mariannetv

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CASA DEI RIFORMISTI? NO GRAZIE. Di Manuel Santoro « Mariannetv

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venerdì 25 maggio 2012

Labour has a problem Policy Network - Opinion

Policy Network - Opinion

After social democracy? Policy Network - Opinion

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A few quick Notes on Argentina — Social Europe Journal

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A Labour Market Perspective of the Austerity versus Growth Debate — Social Europe Journal

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Lavoce.info - ARTICOLI - GREXIT, VALE LA PENA USCIRE DALL'EURO?

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Se l’Europa ricordasse Keynes - micromega-online - micromega

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Ue, un vertice che delude - micromega-online - micromega

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La Francia vede rosa | Lo Spazio della Politica

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Eurobond sì o no | Lo Spazio della Politica

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Publications | Levy Economics Institute of Bard College

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Quale “alternativa verde” all’austerità? « Keynes blog

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La costruzione dell’Euro e il paradigma economico mainstream « Keynes blog

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L’economia italiana verso il peggioramento. La ricetta del rigore non sta funzionando « Keynes blog

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Istat, una spietata radiografia della crisi italiana « Keynes blog

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Europa: una crisi di debito o di bilancia dei pagamenti? « Keynes blog

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E’ necessario un New Deal globale « Keynes blog

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Il libro di Sbilanciamoci.info su precariato e riforma Fornero « Keynes blog

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L’opacità di Mario Draghi « Keynes blog

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Globalist.it | E dopo Atene, in arrivo il crac del Portogallo

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gim cassano: dopo i ballottaggi

Dopo i ballottaggi.

I risultati dei ballottaggi di domenica e lunedì scorsi confermano le considerazioni fatte dopo il primo turno. Anzi, aggiungono ulteriori elementi di conferma a quanto emerso 15 giorni fa (vedi, su “Spazio Lib-Lab”: "Dopo le elezioni amministrative").
Ma, pur tenendo nel debito conto l’importanza di quanto è avvenuto a Palermo, Genova, Parma, va fatta una considerazione. Guardando alle conseguenze sui futuri scenari, ancor più dei risultati dei ballottaggi, il dato politico più significativo è la constatazione della distanza abissale che passa tra un minimo di senso della realtà e di consapevolezza delle attese e delle necessità del Paese da una parte, e le dichiarazioni e le prime mosse dei diversi leaders di partito dall’altra.
Che, tutti, nessuno escluso (neanche Beppe Grillo), non sono riusciti a sottrarsi alla consueta sceneggiata di ogni dopo-elezioni italiano: quella di affannarsi a spiegare ad un Paese che, con tutta evidenza, si suppone fatto di gonzi, come può essere che in una sconfitta si debba invece vedere un “mantenimento delle posizioni” (in quanto si arretra quasi ovunque, ma si “tiene” a Roccacannuccia), e come un catastrofico arretramento celi invece invariabilmente una realtà “più complessa”. Come nei bollettini della guerra fascista, una rotta diventa una “rettifica del fronte”, ed un modesto avanzamento si trasforma invariabilmente una “trionfale avanzata”. Rifiutando i bollettini fascisti, e preferendo quelli dell’Armata Rossa, ma non diversamente, Grillo, identificatosi nei panni di Zhukov, ha parlato di avanzata da Stalingrado a Berlino. Beati loro, maestri nel paese di Vanna Marchi.

Occorre riconoscere che il povero Maroni, dopo la catastrofe leghista, non ha potuto far altro che ammetterla, tanto da farsi tentare dall’idea di rinunciare alla presenza in Parlamento, che con la legge attuale potrebbe anche essere a rischio. Ma, prima ancora, ha pronunciato un’affermazione che, dovrebbe suonare ben strana in una democrazia: che la Lega non è stata “aiutata” dalla diffusione delle notizie relative all’utilizzo di denaro pubblico da parte di Bossi e del suo entourage. Il che è come lamentarsi, alla faccia del “conoscere per deliberare” di Einaudi, del fatto che la conoscenza dei fatti e della verità abbia danneggiato il suo partito; e allora?

Vendola e Di Pietro si sono affrettati a tirar fuori dal cassetto le foto del centrosinistra triforcuto di Vasto (in base all’assunto che dove PD, IdV, SEL marciano uniti, si vince (ma a Palermo, PD e SEL non erano con Ferrandelli e IdV con Orlando, il quale ha vinto proprio rompendo lo schema di un centrosinistra siciliano inesistente sul piano politico?), annunciando, come se fossero i trionfatori di queste elezioni, ulteriori incontri ed iniziative politiche dirette a rafforzare la loro campagna antigovernativa.
In ciò decisi a giocare la carta di un’alleanza che non avrebbe altro terreno comune che il tentativo di condizionare il PD e, certamente con maggior dignità e coerenza nei ragionamenti di Vendola che in quelli di un Di Pietro che si scopre alleato della FIOM, quello di sfruttare in vista delle prossime elezioni politiche la sin troppo facile leva dello scontento generale nei confronti delle politiche di rigore imposte dal governo.

Casini, una volta che gli elettori hanno mostrato di vedere nel progetto del Terzo Polo non molto più che una manifestazione del “Franza o Spagna, purchè se magna” di guicciardiniana memoria (un po’ poco per potervi leggere un “grande” progetto per la repubblica che verrà), archiviato prontamente un progetto che stenta a decollare, e con una malcelata propensione a farsi leader di una destra allo sbando, per il momento si è consolato con Cuneo ed Agrigento, tacendo su tutto il resto.

In quanto ad Alfano, ha cercato di minimizzare la débacle, accontentandosi, contento lui, del fatto che il suo elettorato, pur sbandatosi, non sia comunque passato al nemico, e promettendo grandi novità per tentare di riacchiappare le pecorelle smarrite. Ma il progetto della lista civica nazionale come unica alternativa alla “sinistra” non è che il pallido tentativo di far ripercorrere ad un cavallo imbolsito la strada del ’94, mascherando la crisi profondissima di una destra che, di colpo, si trova a non aver più nulla da proporre, se non il cercare di correggere (solitamente non in meglio) le politiche portate avanti dal governo attuale.
E che, c’è da scommetterci, lungi dal convertirsi alla visione di una destra dignitosamente europea, troverà più comodo far concorrenza a Grillo nel denigrare le istituzioni, i metodi e le procedure della democrazia.

Il PD si crogiola nel fatto di perdere meno elettori di altri, crescendo in percentuale (dove cresce) solo grazie all’enorme aumento degli astenuti, che sarebbero stati ben di più ove le 5 Stelle non avessero raccolto i voti di molti elettori in fuga dalla destra e, in misura inferiore, dal centrosinistra.
Il PD, nelle sei più importanti città d’Italia, ha un solo sindaco: quello di Torino. Nelle altre, sembra esser riuscito ad esser partecipe della vittoria solo se ed in quanto abbia perso le primarie; il che dice molto sulla capacità di quel partito nel formare e selezionare una dirigenza politica e nel definire comportamenti politici a livello locale e regionale seri ed innovativi. E, nonostante un voto che ha certificato il disfacimento della destra, dovuto agli innumerevoli demeriti di questa, il PD non guadagna, ma perde, voti. La propensione al cambiar pagina c’è, ma questo centrosinistra (ed il suo maggior partito) non convincono.
Per citare due casi di rilievo non marginale, in una Sicilia in cui quasi certamente -a seguito delle dimissioni annunciate da Lombardo- si andrà in autunno al voto regionale, quanto è successo a Palermo manda in frantumi la linea barocca ed opportunista dell’appoggio dato al governo Lombardo. Ed a Genova, si vince proprio perché le primarie hanno indicato un candidato ben distante dall’establishment locale del PD. Di Parma, parliamo più avanti.
Arrivare a vedere in tutto ciò una “vittoria senza se e senza ma” (e quindi ritenere di avere già in pugno la vittoria alle prossime politiche), significa non aver compreso cosa stia avvenendo nell’Italia di oggi; e, soprattutto, significa non essere attrezzati a dare al Paese una nuova prospettiva, che consenta di avviarne quella che a tutti gli effetti deve esser vista come la ricostruzione dalle macerie del berlusconismo e della seconda repubblica.

Se queste sono le conclusioni che la nostra politica è stata in grado di trarre da questo voto, c’è poco da stare allegri. In un Paese che è ben lungi dall’aver superato difficoltà gravissime, che l’aggravarsi della crisi greca probabilmente acuirà, le cui aspettative prevedono almeno due anni di piena recessione che non può esser combattuta con incrementi di spesa per investimenti, a meno che a questi non facciano riscontro sensibili riduzioni della spesa corrente, caratterizzato da un prelievo fiscale eccessivo e vessatorio per i più e risibile per altri, e nel quale il sistema politico che dovrebbe guidarlo ha perso ogni credibilità, occorrebbe una capacità di interpretazione della realtà e di dare risposta alle aspettative del Paese ben diversa dalle litanie che abbiamo sentito. Che, prescindendo da chi le abbia pronunciate, sono tutte accomunate dal guardare allo ieri e non al domani, come se niente fosse successo e niente stesse succedendo, e dal non riuscire a tradursi in altro che in tattiche di posizionamento politico.
Chi, come il sottoscritto, in tutti questi anni ha sempre ritenuto che questa destra non fosse meritevole né di credito né di dialogo, e che condizione, non sufficiente, ma certamente necessaria per l’ammodernamento e la democratizzazione del Paese fosse la sconfitta del cavaliere e di coloro che lo hanno supportato o subito passivamente, dovrebbe oggi riconoscere come alla propensione degli elettori a cambiar pagina non si accompagni da parte cel centrosinistra una corrispondente ed adeguata capacità di rinnovamento, di assunzione di responsabilità, e di proposta politica.
Mancando questi elementi, si corre il rischio che le giustificate esecrazioni contro la casta politica vadano a saldarsi con il disagio sociale e con lo scontento per le terapie che il governo Monti sta applicando al Paese. E’ questa una tentazione che non riguarda solo le 5 Stelle di Grillo, ma che riguarda anche estesi settori della destra che già stanno rispolverando il “si stava meglio quando si stava peggio”.
Se il prevalere di demagogia e populismi dovesse render difficile il costituirsi di una reale maggioranza politica capace di avviare e gestire politiche riformatrici tali da ripristinare la coesione sociale e territoriale del Paese, e da rimuovere le cause antiche e recenti dell’arretratezza italiana ed i guasti prodotti in questo ventennio -e tra queste il ridare credibilità in termini non demagogici al nostro sistema politico non è cosa secondaria- diventerà estremamente rimettere in movimento l’Italia.

Quanto è successo a Parma rappresenta, emblematicamente, ed in termini amplificati, questo rischio.
Occorre vedervi ben altro che un fenomeno locale, e non voler cogliere il fatto che i dati di Parma rappresentano, esasperati, una tendenza avvertibile in tutto il Nord ex-leghista, significa soltanto rifiutarsi di guardare la realtà e le tendenze in atto.
Intanto, va fatta una considerazione preliminare. A mio parere, si confermano tutti i dubbi sulle virtù salvifiche delle primarie e sulla loro efficacia come fenomeno di apertura e di partecipazione. I casi di Napoli, un anno fa, e più recentemente, quello di Palermo avevano gettato più di un’ombra sul meccanismo delle primarie, tanto da doverle annullare nel primo caso, e sottoporre ad una verifica che comunque ne ha minato la credibilità nel secondo; ma erano sostanzialmente stati addebitati a caratteri deteriori della politica locale.
A Parma, nulla di tutto ciò è avvenuto, ma il risultato, sia pure col senno del poi, ci mostra come questo meccanismo, in assenza di forti personalità, finisca col favorire chi sia “portato” dagli apparati di partito, a prescindere dalla sua capacità di aver successo nell’elezione “vera”.
Quanto poi è avvenuto al primo turno ha dell’incredibile: il PdL passa da 20.000 (2010) a 3300 voti; la Lega, da 11.500 a 2.100; IdV da 5.600 a 2.000; il PD, da 28.500 a 17.500; le 5 Stelle, da 5.400 a 13.800; i centristi guadagnano voti e le formazioni alla sinistra del PD mantengono il loro elettorato; in più, vi sono circa 6.500 voti per liste civiche di centrosinistra. Gli astenuti arrivano al 64%, e passano da circa 35.000 a circa 50.000.
In altre parole, il vincitore senza se e senza ma (il PD), ha perso 11.000 voti in 2 anni (oltre un terzo del proprio elettorato), che si suppone siano andati ad ingrossar le fila degli astenuti e, in misura molto inferiore, quelle dei grillini, i quali hanno pescato largamente nell’elettorato di destra e leghista in particolare. Cosa poi risultata di assoluta evidenza nel secondo turno, dove Bernazzoli ha sostanzialmente confermato i voti raccolti al primo turno (ma non uno di più), e tutti gli altri (destra, Lega, estrema sinistra) hanno spinto Pizzarotti dal 19% del primo turno sin oltre il 60%.
Il dato significativo di queste elezioni, che a Parma è risultato evidente, è che gli elettori della Lega e della destra, oltre che andare ad accrescere l’esercito degli astenuti, hanno massicciamente votato per le 5 stelle, ed in modo quasi totalitario al ballottaggio; e che il PD perde ovunque elettori in carne ed ossa, che si aggiungono anch’essi agli astenuti, mentre riesce a tenere, ed in qualche caso a crescere in percentuale, ma solo grazie alla ridotta partecipazione al voto.

Il travaso diretto di voti dalla Lega e dal PdL alle 5 Stelle non deve affatto stupire.
Come in altri Paesi, anche nell’Italia repubblicana sono sempre state presenti tendenze e movimenti che non si caratterizzavano sul proporre politiche alternative a quelle di altri partiti, ma semplicemente sull’avversione generalizzata nel confronti delle forme nelle quali si andava esprimendo la democrazia rappresentativa. Queste hanno di volta in volta preso le sembianze dell’Uomo Qualunque e, per molti aspetti, del MSI; e, più avanti, della Lega, e successivamente, del “grillismo”. Prescindendo dal fatto che venissero etichettate come “di destra” o “di sinistra”, vi sono riconoscibili alcuni tratti comuni: il considerare le degenerazioni del sistema politico come suoi aspetti fisiologici e non patologici, la sostituzione dello slogan al ragionamento, la diffidenza nei confronti di culture politiche rispetto alle quali ci si sentiva estranei, l’affermazione del “tanto sono tutti eguali”, e “solo noi siamo diversi”, il caratterizzarsi sul contro e non sul per, la distanza da una visione europea e sovrannazionale.
Se per un verso le degenerazioni della seconda repubblica, sino agli ultimi e recenti casi riguardanti il finanziamento dei partiti, ed il berlusconismo, hanno offerto sin troppo facili argomenti a questi atteggiamenti, è anche vero che lo stesso berlusconismo si è sviluppato mantenendovi più di un punto di contatto: in modo particolare nel rifiuto della razionalità politica, nell’uso spregiudicato della parola in quanto tale, nella presunzione di combattere una “vecchia” politica identificata in blocco di volta in volta con la sinistra o tout-court con la democrazia, nell’affinità logica tra il “tanto sono tutti eguali” ed un molto più comodo “tanto siamo tutti eguali”, nell’estraneità rispetto alla storia della Repubblica ed alla costruzione europea.
E se gli insulti ed i “vaffa” di Grillo e la sua irrisione nei confronti dell’intero sistema politico hanno trovato alimento evidente nella degenerazione di una democrazia divenuta sistema feudale, vedono anche i loro precursori negli analoghi insulti di Bossi, Borghezio e compagni e nel concetto di Roma Ladrona; e la polemica di Grillo nei confronti del potere, della finanza, dell’Europa, trova evidenti riscontri nella teoria della congiura ordita ai danni dell’Italia e del suo governo da parte della finanza internazionale che ha accomunato larga parte della precedente maggioranza e non piccoli settori della sinistra italiota.
Così come alcune connotazioni isolazioniste, antieuropee, e xenofobe, ben presenti nelle 5 Stelle, trovano evidenti corrispondenze nelle posizioni portate avanti dal precedente governo.
In conclusione, le 5 Stelle non hanno inventato nulla: nell’esser “contro”, trovano di volta in volta affinità con la Lega, con la destra, con Di Pietro, con una parte della sinistra. Di certo non la trovano e non possono trovarla con concezioni riformatrici, di ispirazione liberademocratica o socialista che siano.

Non c’è quindi affatto da stupirsi se quella parte dell’elettorato di destra e leghista, rimasto deluso dalla pratica del “siamo tutti eguali”, abbia preferito Grillo al centrosinistra ed al PD.

E’ urgente, quindi, che le forze di centrosinistra sappiano operare con efficacia almeno su due fronti sui quali è indispensabile operare per sottrarre terreno di coltura alle pulsioni populiste che sono largamente presenti nell’Italia di oggi:
• Quello di ridare dignità e credibilità alla politica: innanzi tutto smagrendola e proponendo agli italiani, in termini inequivoci e sottratti alle proprie convenienze di bottega un nuovo sistema elettorale (è solo una mia personale convinzione, ma mi vado convincendo che l’antica legge elettorale della Prima Repubblica, con pochissimi correttivi, sia di gran lunga la preferibile); in secondo luogo, sfoltendo la pletora di incarichi, consulenze, consigli di amministrazione che ruota attorno alla Pubblica Amministrazione locale e nazionale, e sottoponendo ogni nomina a procedure aperte, pubbliche e trasparenti; in terzo luogo, praticando e non declamando democrazia interna, apertura, trasparenza, partecipazione, nella vita dei rispettivi partiti; da ultimo, assumendosi la responsabilità di misurarsi e confrontare su scelte chiare, per quanto ciò possa essere poco pagante in termini di facile consenso.
• Impegnarsi con gli italiani su un patto per nuove prospettive di crescita civile, economica, sociale, fondate sulla riqualificazione della spesa in termini di investimenti e su un carico fiscale meno pesante e più equilibrato tra imposte indirette, dirette, e patrimoniali, nonchè meno gravoso nei confronti del lavoro nelle sue diverse forme e della produzione, e svilupparsi in parallelo alla promozione del merito e della concorrenza ed all’eliminazione di privilegi, parassitismi, monopoli.
Ne devono essere connotati l’imprescindibilità dei diritti umani nei loro aspetti individuali, civili, sociali, il diritto-dovere di tutti a dare alla società, ed a vedervi tutelato, il proprio apporto sotto le forme della cittadinanza, del lavoro, del sapere e dell’arte, del contributo economico; il diritto di tutti ad un’esistenza libera e decorosa; il pluralismo dei corpi intermedi della società e dei soggetti politici, economici, culturali, dell’informazione, della solidarietà; la concezione aperta e dinamica della società e dell’economia nel loro divenire; l’inclusione sociale e la protezione dal bisogno, la promozione del merito e dell’equità, l’avversione a caste, monopoli e corporazioni; la concezione laica dello Stato di Diritto e quella di una democrazia rappresentativa indenne da tecnocrazia e populismo, la tutela delle differenze; il buon amministrare i beni pubblici; la visione europea, cosmopolita, non razziale.

Gim Cassano (Alleanza Lib-Lab), 25-05-2012 gim.cassano@tiscali.it

Felice Besostri: La sinistra in Europa tra desiderio e realtà

La sinistra in Europa tra desiderio e realtà di Felice Besostri
Il PASOK ha sostenuto politiche di austerità, ma poteva non farlo essendo dipendente da prestiti per poter pagare stipendi e pensioni? Papandreu non doveva cedere sul referendum, una via di rafforzamento dell'autorità del Governo e della sovranità del popolo greco. Schulz e la SPD lo sostenevano, più che la Merkel fu Sarkozy a mettere il veto. I greci non decidono chi debba governare in Germania, ma il governo tedesco, frutto di libere e democratiche elezioni ( particolare non secondario di cui ogni tanto ci si dimentica) può invece imporre attraverso l'UE la propria politica economica e finanziaria a governi greci, per quanto anch'essi liberamente scelti. Altra via di uscita istituzionale non può esserci se non trasformando l'UE in uno stato federale, per il cui governo votano tutti gli europei e un sistema politico europeo con partiti europei sovranazionali e non confederazione di gruppi dirigenti nazionali. Non so le prossime elezioni, ma le ultime non hanno delineato una soluzione greca alla crisi. Il governo uscente era appena a 2 seggi dalla maggioranza assoluta, ma soltanto grazie alla legge elettorale che regala 50 seggi su 300 al primo partito senza soglia minima di percentuale. Tuttavia a prescindere dalla legge non c'era UNA MAGGIORANZA POLITICA ALTERNATIVA di sinistra. La sinistra-sinistra ha escluso il Pasok da ogni alleanza e il Pasok pure, ma anche fosse scomparso, come molti auspicavano e auspica con i soliti eccessi di furore irrazionale, che periodicamente devastano la sinistra, non c'era possibile alleanza neppure tra Syriza e KKE. Anche in Germania sarebbe auspicabile una MAGGIORANZA ROSSO ROSSO VERDE, ma se non si fa è troppo facile attribuirne la colpa alla sola SPD, quando ci sono settori della Linke contrari per principio ad un accordo con la SPD, " perché la Linke sarebbe in tal caso ueberfluessig(superflua)",e verrebbe meno” la sua funzione di partito anticapitalista”. Ma c'è anche una destra socialdemocratica come in Turingia che preferisce accontentarsi di una Vicepresidenza in una Grosse Koalition, piuttosto che avere la presidenza con un governo integrato dalla Linke. Le dirigenze di Land nella SPD sono altrettanto democraticamente elette a scrutinio segreto dai suoi iscritti. Noi non abbiamo la forza numerica, ma come sinistra italiana visto il suo sfacelo, neppure l'autorità morale per impartire lezioni agli altri. Dobbiamo decidere con chiarezza "dove stare" e" con chi stare", che sono risposte che precedono il "come starci" ( personalmente, ma credo il Gruppo di Volpedo nel suo complesso, ritengo che la risposta debba essere nel PSE molto criticamente). Allo stato attuale non siamo in grado di influire sulle decisioni né del PSE, né dei suoi partiti maggiori( PSF, SPD, Labour), né di quelli modello come i partiti socialdemocratici scandinavi. Per superare questo impasse che è pura impotenza abbiamo bisogno di tutti e di tanti, ad esclusione di grilli parlanti e mosche cocchiere. Un'uscita dalla crisi senza abbattere il welfare e con una prospettiva di crescita dipende dal grado di cooperazione tra SOCIALISTI AL GOVERNO E SOCIALISTI ALL'OPPOSIZIONE NEI PAESI CHE CONTANO. Di questo discuteremo a Genova il 30 giugno prossimo nella stessa Sala Sivori dove ebbe inizio la fondazione del Partito dei Lavoratori 120 anni fa. Una presenza fisica e una maggiore coesione politica tra chi a sinistra si richiama al socialismo, alla democrazia, al lavoro e alla libertà produrrà più energie positive dei dibattiti su FB, specie quando non è la crescita di un comune sentire l'obiettivo, ma quello di avere l'ultima e definitiva parola, un altro modo di dimostrare chi è più maschio mostrando i suoi attributi(intellettuali of course).

giovedì 24 maggio 2012

Nicola Tranfaglia: La crisi europea

Nicola Tranfaglia: La crisi europea

Omaggio alla Grecia

Omaggio alla Grecia

Letture a 5 stelle. Qualche elemento per capirne di più sul “fenomeno Grillo” | Italia2013

Letture a 5 stelle. Qualche elemento per capirne di più sul “fenomeno Grillo” | Italia2013

P.L. Camagni: Ancora una volta, dopo la festa

Ancora una volta, dopo la festa

Stori@ - il blog di Mario Avagliano: Storie – Gli ebrei e la sinistra italiana

Stori@ - il blog di Mario Avagliano: Storie – Gli ebrei e la sinistra italiana

Associazione LavoroWelfare » Cesare Damiano su GLI ALTRI – GIOVANI DISOCCUPATI, IL BOOM CHE SPAVENTA

Associazione LavoroWelfare » Cesare Damiano su GLI ALTRI – GIOVANI DISOCCUPATI, IL BOOM CHE SPAVENTA

mercoledì 23 maggio 2012

Angelo Giubileo: Fenomenologia della crisi

Fenomenologia della crisi

Roberto Biscardini - Il socialismo europeo, grande opportunità da non perdere - Avanti della domenica

Roberto Biscardini - Il socialismo europeo, grande opportunità da non perdere - Avanti della domenica

L'uomo di Nantes che vuole tagliare le gambe alla rendita è diventato primo ministro - Video - Corriere TV

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Giuliana Nuvoli: L’ITALIA NON È ANCORA UN PAESE PER DONNE | Arcipelago Milano

L’ITALIA NON È ANCORA UN PAESE PER DONNE | Arcipelago Milano

PGT, URBANISTICA: MILANO, ITALIA | Arcipelago Milano

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Walter Marossi: BALLOTTAGGIO: COMO CAPUT MUNDI | Arcipelago Milano

BALLOTTAGGIO: COMO CAPUT MUNDI | Arcipelago Milano

IL GALFA E I VUOTI A PERDERE MILANESI | Arcipelago Milano

IL GALFA E I VUOTI A PERDERE MILANESI | Arcipelago Milano

martedì 22 maggio 2012

Grecia, socialismo europeo e Pd - qdR magazine

Grecia, socialismo europeo e Pd - qdR magazine

P.L. Camagni: «Ma a Budrio e Garbagnate…»

«Ma a Budrio e Garbagnate…»

Franco Astengo: Prima nota sui ballottaggi

Una prima nota, del tutto incompleta, sull’esito del turno di ballottaggio per le elezioni amministrative del 20-21 maggio 2012.
E’ evidente che il dato di maggior rilievo di questo turno di ballottaggio è rappresentato dalla crescita verticale dell’astensionismo, una crescita tale da rendere difficile qualsiasi valutazione politica immediata, che potrà essere più opportunamente sviluppata nei prossimi giorni, allorquando sarà stato possibile “scavare” al meglio nell’insieme dei dati.
Alcune situazioni, però, possono essere già inquadrate con sufficiente approssimazione: tra le città più importanti il dato di maggior rilievo sul piano – appunto – dell’astensionismo è rappresentato da Genova, dove si è passati da 263.849 voti espressi al primo turno per tutti i candidati-sindaci, a 191.329 voti raccolti dai due candidati arrivati al ballottaggio. Mancano cioè all’appello circa 72.000 voti (un’intera città, più popolata di Savona per esempio). Deludente la performance della candidatura Doria, che pur eletto, ha perso tra un turno e l’altro circa 13.000 voti (da 127.000 circa a 114.000 circa). Nella sostanza la percentuale con la quale Doria è stato eletto è pari al 22,67% sul totale degli iscritti nelle liste: meno di un genovese su quattro.
Non esaltante, sotto quest’aspetto, anche il dato di Orlando a Palermo, che sicuramente ha strapazzato il concorrente diretto staccandolo di quasi 100.000 voti, ma il cui dato percentuale sul totale degli elettori è del 28,01% (158.010 voti su 564.041 iscritti nelle liste).
Ben diverso il quadro di Parma, dove si è registrata la prima elezione di un Sindaco appartenente al movimento 5 stelle. Al primo turno, infatti, si registrarono 87.827 voti validi per i candidati-sindaci. Al secondo turno i voti validi sono stati 85.072 (il 96,86%, quindi quasi tutti gli elettori del primo turno sono tornati al voto) e il candidato del movimento 5 stelle è salito da 17.103 voti a 51.225 (un incremento di 34.122 voti, quando al primo turno tutti i candidati esclusi dal ballottaggio ne avevano sommato 35.841: di conseguenza si può ben affermare che tutti gli elettori dei candidati sconfitti al primo turno sono tornati alle urne per votare compatti il candidato del movimento 5 stelle).
Candidato, adesso neo-Sindaco che alla fine ha ottenuto il voto del 36,02% del totale degli iscritti nelle liste: sicuramente una delle percentuali più elevate di tutta questa tornata elettorale, dall’esito assai complesso.
Un fenomeno che accade soltanto alla presenza di candidati di questo movimento come a Mira (da 3.169 a 8.102) o a Garbagnate (dal 1.347 a 4.751, pur in presenza di una sconfitta).
Per il resto si può ben affermare che il centro-sinistra ottiene importanti affermazioni come ad Alessandria, Como, Monza, senza riuscire però a intercettare il voto degli elettori dei candidati esclusi al primo turno, se non in minima misura e quindi risultando una sostanziale incapacità di fronteggiare il fenomeno dell’astensionismo.
Sempre seguendo lo schema della percentuale ottenuta sul totale degli elettori, la neo-sindaco di Alessandria si colloca al 27,40%, Como al 30,97% (un ottimo exploit), Monza al 27,18%.
Una curiosità, in conclusione: dal sito del Ministero dell’Interno si rileva che lo scarto tra i due candidati sindaci a Meda è di 1 (uno voto).
Sarà da analizzare anche il fenomeno rappresentato da casi come quello di Belluno, dove il rappresentante di una lista civica in svantaggio al primo turno riesce a farsi eleggere Sindaco, raccogliendo anche in questo caso la quasi totalità dei voti degli elettori ritornati al seggio pur avendo visto i propri candidati sconfitti al primo turno.
Per fare questo lavoro però ci vorrà tempo, ma sicuramente ne sortiranno elementi importanti di riflessione al riguardo di una fase politica che si sta nuovamente aprendo in una dimensione di nuova transizione, perché rispetto alla prossima scadenza (le politiche 2013) due temi s’impongono nell’agenda: la nuova legge elettorale e, in conseguenza di questa, la modificazione dell’offerta politica attraverso un necessario riallineamento del sistema.
Se ciò non avverrà, potremmo anche avere risultati del tutto sorprendenti, magari sterilizzati dal premio di maggioranza, ma testimonianza non passiva di una situazione di vero e proprio ulteriore scollamento tra ceto politico e paese reale.

Spagna, in Andalusia il Psoe va al congresso: chaconisti o rubalcabiani? | Avanti

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lunedì 21 maggio 2012

PSI Lombardia: IL DOCUMENTO POLITICO APPROVATO DALLA SEGRETERIA NAZIONALE DEL PARTITO

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Party politics in the Greek pandemonium (full analysis) | Protesilaos Stavrou on EU affairs

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Socialisti e Democratici ottengono la prima vittoria contro l'austerity

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Mitterrand, Hollande, and France's Socialist Legacy | Foreign Affairs

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Foreign Affairs Report: The Future of the Eurozone | Foreign Affairs

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La pecora capitalistica e la lana | fondazione nenni il blog

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Una proposta sulla democrazia industriale | Economia e Politica

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CGIL - Nuova stangata con i coefficienti. Insostenibili gli effetti della riforma

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AldoGiannuli.it » Archivio Blog » Euro e Grecia

AldoGiannuli.it » Archivio Blog » Euro e Grecia

SULLA “QUESTIONE SOCIALISTA”

SULLA “QUESTIONE SOCIALISTA”

Diego Dilettoso: Qualche nota sul nuovo governo francese

L’amico Giovanni Scirocco mi chiede una nota sul nuovo governo francese. Cercherò di tracciare un ritratto conciso, partendo dagli elementi generali, per arrivare ad una presentazione sintetica dei ministri più importanti.

Anche se il nuovo governo francese sarà essere confermato soltanto se la sinistra vincerà le elezioni legislative di giugno, la scelta di Jean-Marc Ayrault come primo ministro, ed i nomi degli altri membri del suo gabinetto, suggeriscono già alcuni orientamenti di fondo della presidenza Hollande. Si annuncia infatti un governo dominato dal Partito socialista (PS): contrariamente alla gauche plurielle (sinistra plurale) di Jospin, il cui governo annoverava membri comunisti, verdi, radicali, e chevenèmentisti, la squadra di Ayrault conta solo un ministro verde (Cecile Duflot), ed un’indipendente vicina al partito al radicale (Christiane Taubira). Questa situazione si spiega attraverso il fatto che i verdi abbiano raccolto pochi suffragi alle elezioni presidenziali (2,31%), il Front de gauche di Melenchon abbia espressamente rifiutato di entrare nel governo, ed i radicali di sinistra non abbiano presentato un candidato presidenziale, in cambio della promessa di alcune circoscrizioni elettorali con concrete possibilità di vittoria.

Inoltre, per quanto tutte le correnti del PS siano rappresentate nel nuovo governo, quella hollandiana occupa evidentemente i posti chiave. Stupisce il fatto che il sindaco di Lilla e segretaria nazionale del PS, Martine Aubry, in lizza fino all’ultimo per diventare primo ministro, non abbia nessun incarico ministeriale. Aubry, che rappresenta l’ala «di sinistra» del PS, gode di una certa popolarità presso i simpatizzanti socialisti per essere stata il ministro del lavoro all’epoca della legge sulle 35 ore – ancora oggi, la destra la detesta per questo motivo. Se Hollande avesse scelto Aubry come primo ministro, la linea del governo sarebbe più a sinistra, ma comunque socialdemocratica – dopotutto, Aubry è la figlia di Jacques Delors, l’ex-presidente della commissione europea ed illustre esponente della deuxième gauche (seconda sinistra). Ma i rapporti tra Hollande e Aubry sono notoriamente pessimi; per questo motivo, il nuovo presidente ha optato per un «fedele» come Ayrault. Come contropartita, ad Aubry è stato proposto il ministero della cultura, ma la segretaria del PS ha rifiutato.

Sempre in ambito generale, è degno di menzione il fatto che questo governo sia il primo a rispettare la parità numerica tra membri uomini e donne (17 e 17) – anche se alcuni osservatori hanno fatto notare come i ministeri più importanti (economia, esteri, interni, difesa) siano andati agli uomini.

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Il nuovo primo ministro, Jean-Marc Ayrault, è stato a lungo capogruppo dei deputati del Partito socialista e sindaco di Nantes dal 1989. Politicamente è molto vicino ad Hollande – si autodefinisce un «reformiste décomplexé» (un riformista senza complessi d’inferiorità). Oltre ai rapporti personali col presidente, nella nomina a Palazzo Matignon, ha contato anche il fatto che Ayrault sia un buon conoscitore degli arcani parlamentari, e che parli bene il tedesco, atout importante per le negoziazioni con Merkel.

Come ministro dell’economia è stato scelto Pierre Moscovici, altro socialista vicino ad Hollande, ex-strausskahniano, ed ex-ministro dell’integrazione europea all’epoca del governo Jospin. Si tratta di un «moderato», scelto, aldilà delle qualità personali, per «rassicurare» i mercati internazionali.

Il ministro degli affari esteri è l’ex-primo ministro di Mitterrand, Laurent Fabius. Molto intelligente, colto, ma notoriamente arrogante, è stato spesso accusato di avere una linea politica fluttuante, esclusivamente al servizio delle proprie velleità presidenziali – ormai tramontate da tempo. All’inizio degli anni 2000 rappresentava l’ala destra (blairiana) del PS, ma nel 2005, ha creato stupore difendendo, da un giorno all’altro, il «no» al referendum sulla Costituzione europea, che accusava di non essere abbastanza di sinistra. Per il suo temperamento altezzoso e per la spregiudicatezza politica, Fabius fa un po’ pensare ad un Massimo D’Alema francese.

Il nuovo ministro degli interni si chiama Manuel Valls ed è l’esponente più rappresentativo della «destra» del PS. Anche lui molto ambizioso, ha spesso criticato la dirigenza del PS, che considera troppo vecchia – lui ha solo 50 anni... – difendendo, contro i propri compagni di partito, misure socialmente controverse come l’aumento dell’IVA e l’istituzione della cosidetta règle d’or (regola d’oro), che impone ai governi l’equilibrio di bilancio. Su temi come la sicurezza e l’immigrazione si è costruito una reputazione da «duro». Per fare un altro parallelo, l’equivalente di Valls nella politica italiana potrebbe essere Matteo Renzi.

Il ministro della giustizia è Christiane Taubira, deputata indipendente della Guiana, ma vicina al partito radicale di sinistra. Ha guadagnato una certa notorietà per aver presentato nel 2001 una legge che definiva il commercio transatlantico degli schiavi neri come un crimine contro l’umanità, e per la sua presenza come candidata radicale alle elezioni presidenziali del 2002, contribuendo a quella dispersione dei voti di sinistra, che è costata l’eliminazione di Jospin al primo turno. Durante le primarie del partito socialista dell’anno scorso, questa deputata, considerata come un «elettrone libero», ha stupito tutti appoggiando la candidatura di Arnaud Montebourg, il «terzo uomo».

E veniamo appunto a Montebourg, avvocato e deputato della Saona, nominato ministro del redressement productif, una sorta di ministero della reindustrializzazione. Questa nomina sembra particolarmente azzeccata, in quanto, da anni, Montebourg ha mostrato attenzione al tema della desindustrializzazione. Per rilocalizzare la produzione, il neo-ministro propone la «demondializzazione», cioè un sistema che privilegi gli scambi commerciali tra paesi che rispettano gli standard europei in materia sociale, ambientale, e sanitaria – i prodotti fabbricati in paesi che trasgrediscono questi criteri, vengono sottoposti a dazi doganali più onerosi. Dopo quasi trent’anni di assenza di una politica industriale in Francia, la nomina di Montebourg a questo ministero strategico crea aspettative piuttosto importanti.

Merita infine un accenno la nomina di Aurélie Filippetti al ministero della cultura, non fosse altro che per la sua storia personale. La Filippetti, professoressa laureata presso la prestigiosa École Normale Supérieure, proviene infatti da una famiglia di minatori comunisti di origine italiana, trasferitasi in Lorena all’epoca del fascismo. Su queste vicende, questa deputata della Mosella ha scritto un libro, Les Derniers Jours de la classe ouvrière.

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* *

Se i socialisti vinceranno le elezioni legislative di giugno, il governo Ayrault dovrà immediatamente affrontare alcune prove cruciali. Particolarmente significativi saranno gli sviluppi in ambito europeo: se Hollande convincerà i tedeschi sulla necessità di stimolare la crescita, forse l’Europa uscirà dalla crisi sistemica in cui è precipitata da ormai cinque anni. Se fallirà in questo proposito, l’Europa sprofonderà definitivamente nel baratro – ed il PS imploderà come il PASOK di Papandreu. Per questo motivo, ci si deve augurare il successo di Hollande e della sua squadra di governo: da questo dipende l’avvenire dell’Europa intera.

venerdì 18 maggio 2012

Non c'è equità, senza patrimoniale / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Non c'è equità, senza patrimoniale / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Economia e finanza: prima e dopo la crisi / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Economia e finanza: prima e dopo la crisi / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Franco Astengo - Gianfranco Rossi: Il voto dell'antipolitica

IL VOTO DELL’ANTIPOLITICA
Nell’immediata precedenza del voto per i ballottaggi in molti comuni, alcuni dei quali particolarmente significativi sul piano politico (Parma, Genova, Palermo) abbiamo tentato di analizzare a fondo il dato emerso dalla consultazione del 6-7 Maggio, analizzandola dal punto di vista del comportamento dei partiti.
Alcuni elementi dell’analisi non saranno particolarmente corretti al riguardo delle metodologia “classica” attraverso la quale si eseguono le comparazioni dei risultati elettorali (anche e soprattutto rispetto ad alcune valutazioni che pure saranno azzardate al riguardo dell’esito delle amministrative dello scorso anno): pur tuttavia le dinamiche in atto nel sistema politico italiano, in particolare sotto l’aspetto di quella che pure può essere definita come una vera e propria “frantumazione”, esaltata dai mezzi di comunicazione di massa che hanno aperto un vero e proprio confronto diretto tra sistema dei partiti e cosiddetta “antipolitica”, ci hanno stimolato a perseguire alcuni filoni di ricerca puntando a rintracciare quelle che possono essere indicate quali le dinamiche sistemiche di fondo.
Abbiamo così preso in esame i dati di 124 comuni ( i 122 compresi nelle regioni a Statuto Ordinario più Gorizia e Palermo): un totale di 5.273.844 elettrici ed elettori iscritti nelle liste.
Il primo dato da prendere in considerazione è quello del totale dei voti validi che ci indica, così, quale è stato il dato complessivo di “non partecipazione” al voto (astenuti, più schede bianche, più schede nulle).
Sotto questo aspetto i voti validi destinati ai candidati sindaci sono stati 3.054.821 (il 57,92%) mentre quelli destinati alle liste (il nostro vero obiettivo, all’interno di questo lavoro) 2.863.144 (54,28%).
Di conseguenza il tasso di astensione per quel che riguarda le liste può essere valutato nel 46,72%, assolutamente un record per analogo tipo di elezione nella storia della Repubblica.
Il secondo dato da esaminare con grande attenzione è quello riguardante l’estrema articolazione nella presentazione delle varie liste (quando sarà il momento, nei prossimi giorni, di verificare l’esito dei ballottaggi saremo in grado di fornire anche dati riguardanti l’articolazione nella presentazione dei candidati Sindaci, che in questa sede non abbiamo esaminato).
Una articolazione nella presentazione delle liste che si può misurare in due direzioni: la prima quella relativa alla presenza di liste di partito e di movimento con pretesa di dimensione “nazionale” (liste quindi che potrebbero essere presenti anche nella competizione politica che dovrebbe svolgersi nel 2013); la seconda riguardante la presenza di liste civiche, sia fiancheggiatrici (o mascheranti) gli schieramenti tradizionali, oppure non identificabili sotto questo aspetto (o meglio non direttamente collegate).
Siamo riusciti ad identificare, comunque, quattro gruppi di liste civiche collegate al centro-sinistra, al centro-destra, alla Lega Nord e al terzo polo; mentre altre (molto numerose e consistenti sul piano del voto) debbono essere considerate a parte, come non identificate o eterogenee.
Verifichiamo, però, in precedenza un dato riguardante i partiti e movimenti che hanno dimostrato capacità di presenza sul piano nazionale (o perlomeno interregionale), in almeno un terzo dei Comuni esaminati.
Su 124 comuni, il PD ha presentato il proprio simbolo in 122; SeL in 100; IDV 114; Federazione della Sinistra 79; PdL 119; Lega Nord 61, Movimento Cinque Stelle 66, UDC 117 ( in 51 comuni come Terzo Polo; 31 con il centro-destra; 35 con il centro-sinistra); FLI 46 (11 come Terzo Polo; 8 centro-destra, 8 centro-sinistra, 19 da isolato, con propria candidatura, oppure in formazioni eterogenee); API 33 (6 come Terzo Polo; 13 centro-sinistra; 9 centro-destra, 5 isolato o in formazioni eterogenee); La Destra 29; Partito Socialista 39; Diverse formazioni legate nel simbolo alla dicitura “Sud” 30.
A queste liste sono da aggiungere altre presenti in minore dimensione: le liste collocate a sinistra della Federazione della Sinistra (PCL, Alternativa Comunista, ecc), Verdi, Lega d’Azione Meridionale, Liste unitarie UDC-FLI-API, Alleanza di Centro, Città Nuove (lista promossa dalla Presidente della Regione Lazio, Polverini, che in centro Italia ha ottenuto anche qualche interessante risultato).
Il dato più interessante, sotto questo aspetto, riguarda il complesso dei voti che sono stati ottenuti da queste liste che possono essere considerate (pur con qualche riserva “liste di partito”): si tratta di 1.765.533 voti pari al 61,66% rapportato ai voti validi per le liste e al 33,47% in rapporti al totale delle elettrici e degli elettori iscritti nelle liste.
In sostanza, l’insieme delle liste definibili come di partito finiscono per rappresentare circa un terzo degli elettori effettivi.
Le liste civiche, sia quelle “collocate”, sia quelle “al di fuori dagli schieramenti”, hanno raccolto, invece, 1,097.611 voti, pari al 38,33% dell’insieme dei voti validi, il 20,82% rispetto al totale delle iscritte e degli iscritti.
A questo proposito va prestata attenzione ad un dato sicuramente significativo: già nelle elezioni amministrative 2011 (quelle contrassegnate dai risultati di Milano e Napoli, tanto per intenderci) avevamo avuto occasione di segnalare una specifica articolazione nella presentazione elettorale, con l’emergere – appunto – di un grandissimo numero di liste civiche: ebbene in quella occasione le liste di partito ottennero il 72,03% dei voti: sotto questo aspetto l’arretramento è dunque del 10,37%, ed è questo il dato che segnala l’avvio di una fase di vera e propria difficoltà del sistema dei partiti, a fianco del già citato dato del “non voto” al 46,72%.
Sono questi i numeri che, prioritariamente, affidiamo alla valutazione delle forze politiche che finora ci pare vi abbiano dedicato ben poco spazio.
Quanto alle performance delle varie liste, è evidente come per tutti debba essere segnalato un arretramento in termini di voti e di percentuali, salvo che per il movimento 5 stelle che alle amministrative 2011 era stato calcolato al 2,29% ed è salito al 6,06%.
Ecco i dati relativi alle altre liste (ovviamente da assumere con cautela, quali elementi indicatori di un trend ma, comunque, scrupolosamente registrati comune, per comune): PD 16,97%, liste civiche di centro-sinistra 8,77%, SeL 3,31%, IdV 4,35%, FdS 2,16%, PDL 12,60%, Civiche di centro-destra 7,36%, Lega Nord 2,85%, Civiche Lega Nord 2,51% (il “fenomeno” Tosi), liste a sinistra della FdS 0,17%, Verdi 0,22%, Partito Socialista 0,83%, Lega Azione Meridionale 0,45%, Movimento 5 Stelle 6,06%, La Destra 0,63%, UDC 5,33%, FLI 1,61%, API 1,09%, UDC-FLI-API 0,23%, Civiche di Centro 3,71,Liste varie Sud 1,82%, AdC 0,31%, Città Nuove 0,59%, Altre liste civiche non identificate ed eterogenee 15,96%.
Una ulteriore annotazione riguardante la debolezza intrinseca del sistema ci viene fornita dai dati relativi ai due maggiori partiti: comprendendo le liste civiche d’appoggio PD e PDL sommano il 45,70% dei voti validi. Un poco, insomma, per guidare un presunto bipolarismo.
Nei prossimi giorni completeremo i dati mancanti anche attraverso alcune elaborazioni tabellari e riferiremo dell’esito dei ballottaggi, esaminando principalmente il dato dell’astensionismo tra il primo ed il secondo turno.
Grazie per l’attenzione
Genova, li 17 Maggio 2012 Franco Astengo Gianfranco Rossi

Renzo Penna: Le classi sociali esistono ancora

LE CLASSI SOCIALI ESISTONO ANCORA

di Renzo Penna

Sabato pomeriggio, in una Sala Gialla del Lingotto gremita, Alessandro Laterza ha presentato al pubblico del “Salone del Libro” il saggio di Luciano Gallino: “La lotta di classe dopo la lotta di classe”. Un’intervista al professore emerito dell’Università di Torino curata da Paola Borgna. Ne hanno discusso, con gli autori, Luciano Canfora e Giovanni De Luna. Invitata, ma assente, il Ministro del lavoro Elsa Fornero.
Nell’introdurre l’incontro l’editore Laterza ha evidenziato come il merito principale del libro di Gallino sia nell’aver portato alla luce e denunciato la lotta di classe che è in corso ed è mossa dall’alto, dalle classi dominanti nei confronti del basso, rappresentato dai lavoratori dipendenti e dalla classe media. E di documentare e riaffermare, dopo un lungo periodo nel quale il termine classe era stato bandito anche a sinistra, in quanto si era generalmente convenuto che “le classi sociali non esistono più”, una realtà volutamente rimossa e negata. Mentre una serie di idee vengono presentate ogni giorno, da anni, e in maniera apparentemente unanime da tutti i media, da quasi tutti i politici, da una parte dei sindacalisti e da migliaia di docenti universitari, come l’essenza della modernità di un mondo che è cambiato e come verità inoppugnabili di cui è necessario tenere conto nelle pratiche di governo e di amministrazione a tutti i livelli della società.
Così i cittadini vengono informati che: - il maggiore problema dell’Unione europea è il debito pubblico; - abbiamo vissuto troppo a lungo al di sopra dei nostri mezzi; - sono le pensioni a scavare voragini nel bilancio dello Stato; - agevolare i licenziamenti crea occupazione; - la funzione dei sindacati si è esaurita in quanto sono residui ottocenteschi; - i mercati provvedono a far affluire capitale e lavoro dove è massima la loro utilità collettiva; - il privato è più efficiente del pubblico in ogni settore: acqua, trasporti, scuola, previdenza, sanità; - è la globalizzazione che impone la moderazione salariale.
Mentre, più prosaicamente, si tratta della quotidiana diffusione, da pubblicazioni, convegni, dossier, e think tanks internazionali, delle teorie neoliberiste in campo economico, politico, monetario ed educativo. Teorie, quelle del libero mercato e di una finanza senza regole, che non si basano su un fondamento di ragionevole solidità e sono del tutto impermeabili alla realtà, ma che continuano ad essere riproposte, nonostante le evidenti responsabilità avute nell’attuale gravissima crisi che ha disastrato l’economia mondiale. Non è un caso se il paese che ha avuto meno problemi con l’occupazione nel corso della crisi è la Germania, dove i sindacati hanno nel governo delle principali imprese un peso rilevante. E i problemi maggiori li hanno avuti gli Stati Uniti, dove la facilità del licenziamento è massima. Quanto alle privatizzazioni, alla supposta e universale superiorità del privato sul pubblico per produrre e gestire beni pubblici, si possono constatare gli effetti che hanno avuto nel Regno Unito in tutti i campi e in misura imponente dal 1980 alla fine del secolo. Le conseguenze sono state negative sia per la produttività, i costi e la qualità dei servizi che per le aumentate diseguaglianze di reddito introdotte.

Secondo Giovanni De Luna il saggio di Gallino ha il grande merito di documentare l’inconsistenza e l’infondatezza dei miti delle teorie neoliberiste, la cui egemonia e il culto del mercato hanno rappresentato il principale fattore del disastro economico e sociale degli ultimi trent’anni. Per Luciano Canfora - che si è anche occupato del tradimento dei chierici, i molti intellettuali di sinistra che, per stare al passo con i nuovi tempi, hanno abbracciato le teorie liberiste - il bersaglio della politica dell’austerità, dei tagli e della drastica riduzione del debito pubblico, che in una fase di recessione dell’economia non fa che accentuare la crisi e la perdita di lavoro, è lo Stato Sociale, sono le tutele universali che il Welfare ha garantito, soprattutto, in Europa.
A queste considerazioni si è collegato Luciano Gallino per illustrare il significato del titolo del libro. Nel periodo che ha seguito la seconda guerra mondiale ed è giunto sino alla fine degli anni ’70, la lotta di classe “dal basso” degli operai e del sindacato ha ottenuto, nelle principali nazioni europee, significativi risultati in termini di aumento dei salari e la conquista di maggiori diritti e tutele nei luoghi di lavoro. Questo ha inciso, anche se non in grande misura, nella riduzione dei profitti delle proprietà e ha avuto un’influenza non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti. Negli stessi anni si è sviluppato lo Stato Sociale e i parlamenti hanno approvato riforme nel campo della scuola, delle pensioni e della sanità. Nel nostro paese lo Statuto dei diritti dei lavoratori è del 1970 e l’istituzione del Servizio sanitario nazionale avviene nel ’78. Uno sviluppo, quello del Welfare in Europa, favorito anche dalla presenza e dai timori che esercitava il blocco socialista dell’Unione Sovietica e promosso come risposta dell’occidente per far fronte alle suggestioni esercitate sulle classi lavoratrici dalla Rivoluzione del 1918.
Dal 1980, che in Italia ha visto la sconfitta del sindacato alla Fiat, negli Stati Uniti una serie di serbatoi del pensiero neoliberista, sostenuti da enormi finanziamenti, hanno iniziato la controffensiva nei confronti delle classi lavoratrici e dei poteri del sindacato su come, cosa e dove produrre per riconquistare piena libertà d’azione da parte dei top manager, dei proprietari dei grandi patrimoni e degli azionisti delle imprese. E, con i tagli a scuola, sanità e previdenza pubblica, il ridimensionamento dello stato sociale. Dopo l’89 con il crollo, lo sfaldamento del blocco sovietico questa iniziativa ha subito una forte accelerazione e ha saputo influenzare la politica e i partiti compresi molti dirigenti della sinistra. Ma con l’avvento della crisi nel 2002 e la sua ricaduta del 2008, che continua, il vero capolavoro della mitologia neoliberista - ha sostenuto Gallino - è stato nell’aver indicato come responsabili proprio coloro che hanno e tuttora stanno sopportando i maggiori costi della crisi: le piccole imprese dell’indotto, le classi medie, i lavoratori dipendenti e i pensionati che hanno la colpa di vivere più a lungo e pretendere come salario anche più di mille Euro al mese! E il fenomeno inquietante dei suicidi che sta accomunando lavoratori che perdono il lavoro e piccoli imprenditori che vedono il fallimento delle loro aziende ha, secondo Canfora, la stessa ragione e dipende dalla lotta condotta dall’alto dalle classi dominanti.

Ma le cause profonde della crisi non sono state intaccate, l’accento da parte dell’Unione Europea continua ad essere messo sulla riduzione del debito e sui costi dello stato sociale. Non c’è ombra di interventi di regolazione della finanza e negli Stati Uniti, quattro anni dopo la crisi dei mutui subprime, nulla è cambiato: i banchieri sono tornati a colpire e gli investitori continuano a giocare d’azzardo. Per colpa loro la Spagna rischia il default. A New York il colosso JP Morgan scopre un buco di almeno due miliardi di dollari.
Altre sono le priorità su cui è urgente intervenire: la riduzione delle diseguaglianze economiche e la redistribuzione della ricchezza. L’1% negli USA detiene il reddito del 25 per cento della popolazione; tra il 1976 e il 2006 in Italia quindici punti di reddito si sono spostati dai salari ai profitti e alla rendita.
L’importanza del saggio di Luciano Gallino sta dunque nell’aver reso espliciti ed evidenti gli interessi della classe dominante globale che, con differenti pesi e proporzioni, esiste in tutti i paesi e punta a contrastare e limitare lo sviluppo delle classi sociali. Come la classe operaia e le classi medie che possono in qualche misura intaccare il suo potere di decidere che cosa convenga fare del capitale che controlla allo scopo di continuare ad accumularlo. Interessi che però non risolvono, ma anzi rappresentano la principale causa della crisi, che tocca adesso ai governi e alla politica cercare di dipanare. La vittoria di Hollande nelle elezioni presidenziali in Francia e la sconfitta della Cdu della Cancelliera Merckel nel Nordreno-Westfalia ad opera di Spd e Verdi fa sperare in un cambiamento nelle priorità e negli indirizzi economici e sociali dell’Unione Europea.

Alessandria, martedì 15 maggio 2012

giovedì 17 maggio 2012

Finding a Way out of the Crisis – Growth and Employment in Europe — Social Europe Journal

Finding a Way out of the Crisis – Growth and Employment in Europe — Social Europe Journal

Policy Network - State of the left

Policy Network - News

Per la Grecia (e l’Europa) la soluzione potrebbe venire da Keynes (con l’aiuto di Hollande?) « Keynes blog

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Emiliano Brancaccio » SVENDITE ALL’ORIZZONTE

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ANED | News | La nipote di un deportato politico italiano ministro della Cultura in Francia

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Il ritorno della politica. La vittoria di Hollande - Centro per la Riforma dello Stato

Il ritorno della politica. La vittoria di Hollande - Centro per la Riforma dello Stato

Michel Noblecourt: Francois Hollande socialista riformista

FRANCOIS HOLLANDE SOCIALISTA RIFORMISTA

di Michel Noblecourt (Le Monde, 16 maggio 2012)

Socialista ? Socialdemocratico ? Progressista ? Francois Hollande è soprattutto ed essenzialmente un riformista. Per Hollande il riformismo è sia un metodo che una strategia. E’ nel maggio 2003, al congresso di Digione del Partito Socialista, che Hollande con la sua mozione impone il concetto di “riformismo di sinistra”. Per l’allora segretario del PS si tratta di dare al partito una linea per riscostruirsi dopo la clamorosa sconfitta di Jospin alle elezioni presidenziali del 2002. Una linea che costituisce una sorta di terza via tra l’ala sinistra del partito, che si considera l’erede radicale della vecchia sinistra statalista, e gli amici di Strauss-Kahn e Fabius, che vogliono una sinistra più modernista. Attraverso il suo “socialismo della realtà", Hollande delinea una idea di sinistra che gli sembra la risposta “adeguata per contemporaneamente richiamare la nostra identità, fissare la linea strategica e segnare il rinnovamento”.

Fino al termine del suo mandato di segretario del PS, nel novembre 2008 , Hollande sosterrà il riformismo, facendo adottare una nuova dichiarazione di principi del partito che afferma: “Il Partito Socialista è un partito riformista. Intende esercitare le responsabilità di governo, a tutti i livelli, al fine di cambiare la società. Sostiene un progetto di trasformazione sociale radicale.” E’ una filosofia che Hollande ha delineato nel libro “Droit d'inventaires”(Seuil, 2009), e che condivide pienamente con Jean-Marc Ayrault, il nuovo primo ministro francese. Pur avendo una grande ammirazione per Mitterrand, Hollande pensa che la strategia del 1981 sia stata sbagliata. L’errore fu di voler cambiare tutto in un colpo solo e in un breve periodo di tempo. Il riformismo per Hollande deve essere gradualista e procedere per tappe successive: “La durata per assicurare il cambiamento e il cambiamento nella durata”.
Rifiutando l’idea di un “iperpresidente” alla Sarkozy, Hollande intende “fissare le priorità” e lasciare il governo quotidiano al suo primo ministro, dando spazio al parlamento che farà le leggi, ai corpi intermedi che dovranno esprimere la voce della società civile. Hollande crede nella democrazia sociale: nella cerimonia di investitura ha per la prima volta invitato rappresentanti dei sindacati e degli imprenditori, auspicando “nuovi spazi di negoziazione tra le parti sociali”.
Constatando che da molti anni il socialismo “naviga a vista” e che è stato praticato “un equilibrismo da funambolo che ha paura di cadere aa destra o a sinistra e che rimane fermo, impaurito dal vuoto”, François Hollande vuole ridargli una identità riformista: “Non serve a nulla volere assomigliare agli altri per sedurre: essere più a sinistra, più verde, più al centro. Non c’è nessun bisogno di reinventare la nostra missione, la nostra prospettiva o i nostri valori, ma siamo obbligati a ripensare periodicamente i nostri strumenti, le nostre politiche, i nostri mezzi”. Si tratta in primo luogo di “ripensare il lavoro, l’educazione e la redistribuzione”.

Hollande vuole riabilitare la riforma, combinando “la durata e l’equità, la sicurezza e l’equità”. Nessun risultato è definitivo, ma “è possibile sempre andare avanti verso un nuovo equilibrio, un nuovo patto generazionale, una nuova stabilità”. Il suo riformismo socialista vuole essere pragmatico. François Hollande dovrà dimostrate che questo pragmatismo riuscirà ad adattarsi alle costrizioni della realtà e alle prove difficili che dovrà affrontare. La crisi economica e sociale, le attese o le impazienze dei corpi intermedi, l’inizio di un braccio di ferro con la Germania dovrebbero permettergli di farlo rapidamente.

mercoledì 16 maggio 2012

L’analyse sociologique du vote au second tour : quels clivages socio-économiques ? « L'actualité des sondages en France

L’analyse sociologique du vote au second tour : quels clivages socio-économiques ? « L'actualité des sondages en France

Étude post-électorale second tour

Étude post-électorale second tour

mauro sentimenti: crisi ed elezioni

Crisi economico-sociale e tendenze elettorali in corso in Italia e in Europa.
Se si vuole evitare , nell'analisi delle tendenze elettorali in corso in Europa, di finir prigionieri di valutazioni impressionistiche , per lo più affidate alle intuizioni (giuste o sbagliate) dell'interprete, sono utili alcuni richiami teorici e storici:
A) I determinanti strutturali del ciclo economico e sociale che si è avviato nel 2007 (blocco dell'accumulazione finanziaria globale) , nel 2008 (riduzione della produzione industriale, contestuale inizio della recessione e della caduta del Pil , in atto, di molti tra i paesi dell'eurozona) , nel 2011 (crisi dei debiti sovrani e dei bilanci degli Stati della stessa area) traggono origine da cause che sono sia monetarie che “reali”. Chi afferma che le une sono indipendenti dalle altre produce un falso: in una economia come quella capitalistica non è ipotizzabile che le merci possano essere prodotte e collocate sui mercati senza la mediazione di moneta, banche e finanza e viceversa non è ipotizzabile che moneta e finanza possano sopravvivere senza che abbiano a riferirsi, in ultima analisi, alla produzione di merci (di qualsiasi tipo esse siano) . I fattori “immediati”, ma non ultimi, della crisi sono stati alti prezzi delle materie prime, crisi alimentare mondiale, alta inflazione globale, crisi di fiducia nei mercati borsistici;
B) secondo Marx , e - seppur per ragioni differenti, Keynes - non avremmo crisi nel modello capitalistico se e solo se la domanda aggregata di consumi ed investimenti , da un lato, e la domanda di moneta dall'altro, producessero un equilibrio di piena occupazione (la stessa idea si può esprimere dicendo che le crisi si scongiurerebbero se la redistribuzione del prodotto sociale assicurasse l'assenza di sovrapproduzioni rispetto alla capacità d'acquisto delle merci prodotte).;
C) non esiste , come Sraffa ha dimostrato more geometrico - alcuna autoregolazione dei mercati in grado di assicurare la migliore allocazione delle risorse, ovvero di garantire la piena occupazione. Al contrario il mito del mercato capace di auto-correggersi è funzionale agli interessi economici dominanti ed alla loro ideologia secondo cui allo Stato va impedito di intervenire nel ciclo economico;
D) anche nella presente vicenda storica si manifesta , come in quelle del 1873 e del 1929, la tendenza a cadere del tasso dei profitti, con tutte le conseguenze del caso: disoccupazione, bassi salari, crisi fiscale dello Stato, sovrapproduzione di merci .
E) La mondializzazione attuale va intesa pertanto come la via tramite la quale, con la completa liberalizzazione e deregolazione dei movimenti di capitale, i ceti dominanti del capitalismo hanno tentato di arrestare la caduta del tasso dei profitti, aumentando dovunque le diseguaglianze (globalmente tra aree del mondo con altre, tra territori e ceti all'interno dello stesso paese ). La diseguaglianza , riducendo i salari ed il prodotto sociale redistribuito (meno welfare o nessun welfare ), aumenta la quota del profitto e della rendita e rappresenta la condizione sine qua non per (tentare di) arrestare la caduta del tasso dei profitti ;
F) Il debito pubblico nei vari paesi europei non è solo il risultato della prassi a seguito della quale una nazione spende più di quello che incassa ma, soprattutto, il risultato di un deficit realizzatosi a favore di privati e classi sociali (rentiers in primo luogo e percettori di profitti in secondo) a scapito di altre. Hanno ovviamente fornito un loro contributo anche la mancanza di efficienza nella spesa, sacche di parassitismo e via dicendo, ma la causa fondamentale del debito rimane quella indicata (legislazione fiscale di favore dei redditi medio alti, evasione , vendita a perdere di assets altamente redditizi dello Stato, mancata o bassa tassazione delle rendite finanziarie , ecc.). Basti qui ricordare che dall'inizio degli anni 60 sino alla metà degli anni 80' la pressione fiscale in Italia è il 34% sul PIL a fronte del 41% nella media dei paesi europei. La storia della legislazione fiscale statunitense renderebbe ancor più chiaro l'assunto: ne è un esempio eloquente il boicottaggio repubblicano , per ora riuscito, della legge Dodd-Franck sulla regolamentazione dei mercati finanziari voluta da Obama e il voto del Congresso che ha fermato la riforma fiscale tesa a far pagare più tasse ai super ricchi.
E) In democrazia non votano solo i cittadini ma anche il c.d. Senato virtuale (espressione di Chomsky), costituito da fondi d'investimento e investitori globali che giudicano, sulla base dei loro interessi, le politiche dei governi e che , ove occorra, decidono fughe di capitali, speculazioni, ecc. così condizionando pesantemente la vita democratica di ogni paese .
F) L'attuale sistema post fordista ha azzerato i precedenti rapporti tra produzione ed occupazione (più produzione e quindi più occupazione ) , e tra produttività e salario (se cresce l'una cresce anche l'altro nonché la quota redistribuita con i servizi di Welfare). Oggi la produttività è funzione, sopratutto, della conoscenza di cui dispone una società (il c.d. intelletto generale) e del fatto che esiste una riserva globale di disoccupati e di precari.;
G) Il prestito di 1000 miliardi di € della BCE alle banche europee, dato al tasso di interesse dell'1%, e usato dalle banche stesse per acquistare titoli con rendimenti fino al 6%, ha mostrato lo sostanza delle scelte politiche, soprattutto tedesche, sulla base delle quali è nato l'euro . Si scopre che il Trattato di Lisbona vieta alla BCE di prestare soldi, cioè finanziare, direttamente gli Stati. E' stato un modo per ricapitalizzare le banche a danno dei bilanci pubblici degli Stati e dei loro cittadini. Il fatto che la BCE non sia prestatore di ultima istanza è conseguenza esatta di questa scelta e della priorità imposta dalla Germania al controllo dell'inflazione. Se Hollande , la SPD e il PSE nel suo insieme vogliono impedire il tracollo della zona euro e del progetto politico europeo devono porsi l'obiettivo di modificare questi fondamentali, pena l'impossibilità di riavviare una crescita sostenibile e di colpire le diseguaglinze.

Sulla base di questi assunti storico- teorici deriva la riflessione che segue sulle tendenze emerse nelle recenti elezioni in Europa (presidenziali in Francia, politiche in Grecia, amministrative parziali in Italia ed in Germania).
In primo luogo appare evidente la stretta relazione che i fenomeni registrati dal voto hanno col quadro sopra illustrato: si tratti della vittoria di Hollande in Francia, di quella della SPD in Reno-Westfalia, della frammentazione in Grecia con possibili esiti balcanizzanti, dell'affermazione in Italia del movimento 5 stelle , contestuale all'estrema debolezza mostrata dal sistema politico italiano sorto durante il ventennio berlusconiano, si parla – sempre ed anche – delle risposte differenti che in questi paesi la società, i cittadini ed il sistema politico offrono alla situazione determinata da quei fondamentali strutturali prima indicati. I cittadini reagiscono , nel voto, alla maggiore povertà e precarietà , alla solitudine, al progressivo indebolimento dei legami sociali e dei servizi assicurati dai sistemi europei di welfare , alla fragilità del sistema politico istituzionale e della stessa democrazia che di quel sistema vive.
Il grillismo. Si tratta di una forma dell'offerta politica , peculiare ai caratteri assunti oggi dalla situazione italiana . Definirla “antipolitica” è una sciocchezza concettuale oltre che linguistica. Anzi: l'affermarsi di una crescente spoliticizzazione ( secondo cui l'economia di mercato autoregolantesi è parte delle leggi di natura , come il movimento degli astri) unita al meritato discredito del sistema partitico che regge le nostre istituzioni , rende del tutto comprensibile l'affermazione di un movimento di tal genere. Movimento in parte diretto da Grillo in parte autodiretto dai militanti sulla base di opzioni civiche non sempre e non affatto coincidenti, nell'ethos antistituzionale e antipartitico, con quelle del medesimo Grillo. Il quale promuove opzioni progressive (art.18) e civiche, assieme ad altre conservatrici (no al voto ai giovani immigrati nati in Italia e reazionarie (elogio dell'evasione fiscale) e che trova nel degrado e nell'incapacita ad autoriforrmarsi del sistema partitico-istituzionale il suo specifico e dominante terreno di coltura. Il grillismo è in questo senso il termometro di una febbre che ha altre cause . Un movimento che: presenta aspetti di civismo positivo assieme alla tendenza, letale, ad eludere qualsiasi domanda sul rapporto democrazia – processi economico sociali – sistema politico; non si pone il tema, che pare non comprendere, del ruolo del conflitto economico nello stesso degrado del sistema politico e , non a caso, nemmeno tenta di indicare ipotesi ricostruttive di carattere sistemico; ha anticorpi deboli per resistere ad eventuali torsioni autoritarie che il paese potrebbe sperimentare; rifiuta la dicotomia destra/sinistra , ritenendola espressione di un mondo non più esistente, non vedendo che il mondo continua, come prima, ad essere diviso tra i pochi che detengono la maggior parte della ricchezza prodotta , e il potere che ne deriva, e i tanti , il mondo naturale e la riproduzione delle forme di vita tra essi , che di quel potere e di quella concentrazione di ricchezza sono vittime. Con ogni probabilità si incaricherà di rappresentare parti dell'elettorato leghista berlusconiano in cerca d'autore, candidandosi a divenire una delle forme del nuovo centro destra in incubazione.
IL PD: si può dire, sulla base dell'analisi dell'Istituto Cattaneo, che anche per il PD si segnalano vistosissime difficoltà di rapporto con vaste aree di elettorato, a cominciare da quello delle regioni del quadrilatero appenninico . Il sostegno dato al Governo Monti è l'ovvia conseguenza della visione che anima la cultura economica del PD. Quella maggioritaria ed egemone. Quella che non ha nel suo orizzonte la modifica dello statuto della BCE nè l'idea che se si vuole salvare l'Europa unita serve un cambio sostanziale della costituzione economica, ora a guida conservatrice e liberista. Non ha il PD alcuna possibilità , in queste condizioni, di interpretare adeguatamente i passaggi d'epoca in corso e di impedire che una nuova destra riorganizzata ridiventi rapidamente egemone in Italia.
Il socialismo europeo. L'SPD e il PSF hanno vinto due importanti elezioni. La loro alleanza , assieme al resto del socialismo espresso nel PSE, ai Verdi ed a parti della sinistra europea, costituisce al momento l'unico strumento ipotizzabile per cambiare la costituzione economica europea in direzione dell'uguaglianza e della sostenibilità: ma la strada - per costruire un'Europa dei popoli , soggetto politico che ripudi il neoliberismo e realizzi un compromesso, tra capitalismo e società , più avanzato di quello affermatosi nel novecento - è pieno di nodi irrisolti. Infatti: nella SPD è ancora forte la presenza degli eredi delle terze vie , varianti tutte di culture neoliberiste che ci hanno condotto al disastro attuale, nel PSF ed in genere nel PSE non c'è ancora chiarezza sufficiente sulle scelte da compiere. E di chiarezza , per giungere a svolte radicali nel governo economico dell'Unione ed a riformare, nei tempi e modi possibili, il capitalismo europeo nelle sue determinanti strutturali , vi è grandissimo bisogno.

Assumiamoci il compiuto , in Italia ed in Europa , di dar vita ad un forum europeo costituente per il socialismo europeo che , con proposte di merito, solleciti i partiti socialisti ed il PSE a realizzare ed adottare un chiaro progetto di superamento del neoliberismo e dell'attuale costituzione economica europea . Pena, in assenza di questo risultato, l'irrilevanza storica dello stesso socialismo e la fine del progetto europeo.
Rivolgiamo nuovamente a Sel e al PSI la proposta politica di dar vita al Partito Italiano del socialismo europeo, cominciando con l'iscrizione da parte di SeL al PSE.
Organizziamo , in ogni città, coi gruppi dirigenti di SeL e del PSI, incontri pubblici per costruire assieme a loro gli obiettivi che ci attendono.



Mauro Sentimenti (" Le Ragioni del Socialismo", associazione di Modena)

François Hollande – “Missione Impossible”? | Insight

François Hollande – “Missione Impossible”? | Insight

German State Elections send Merkel an Economic Message — Social Europe Journal

German State Elections send Merkel an Economic Message — Social Europe Journal

Franco D'Alfonso: A Milano come in Westfalia

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A Milano come in Westfalia un’altra governanceè possibile


“La vittoria di Hannelore Kraft in Westfalia - una regione d’Europa che presenta moltissime analogie con la nostra Lombardia - è la dimostrazione incontrovertibile del fatto che è possibile affrontare la crisi con una politica di rigore e investimenti che, partendo dal livello locale, faccia ripartire lo sviluppo senza far avvitare l’Europa in una paralizzante depressione.

La coalizione rosso-verde ha governato a Düsseldorf senza farsi condizionare dalla politica “parametrale” che la signora Merkel ha invece imposto all’Europa, avviando un consistente piano di investimenti finalizzati alla tutela del lavoro e dell’ambiente, mantenendo nel contempo una disciplina di bilancio e una efficienza pubblica inappuntabile.

Il conforto che riceviamo dai risultati delle elezioni di ieri deriva non certo dal colore delle bandierine sventolate dai vincitori quanto dalla constatazione che la strada della coesione politica mette in grado i governi locali di esercitare una azione importante e decisiva anche sul terreno dell’economia.

E’ un buon auspicio anche per noi a Milano, dove la Giunta Pisapia si appresta, con il varo del suo primo “vero” bilancio, ad avviare un piano di quasi due miliardi di investimenti sulla città garantendo al contempo il recupero dell’equilibrio delle partite correnti devastato dai cosiddetti “liberali” che hanno governato la città negli ultimi dieci anni. L’azione e le decisioni prese a Milano saranno, ancora una volta, la dimostrazione che rispetto a una gestione ragionieristica e centralista una scelta diversa è possibile e che in tutta Europa ci sono donne e uomini in grado di crederci e realizzarla. Il vento è cambiato a Milano, a Düsseldorf, a Parigi e presto arriverà a Bruxelles e nel resto d’Europa”.

Dichiarazione dell’assessore Franco D’Alfonso (Commercio, Turismo, Attività produttive del Comune di Milano)

Hobsbawn: “Il capitalismo di Stato sostituirà quello del libero mercato” - micromega-online - micromega

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Lavoro e pensioni: le offensive dei fratelli Ichino - micromega-online - micromega

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In ricordo di Federico Caffè - micromega-online - micromega

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Hollande nella direzione giusta - micromega-online - micromega

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Integralismo cattolico e neofascisti in marcia su Roma - micromega-online - micromega

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Luciano Gallino: Ecco come creare lavoro

Ecco come creare lavoro

Tesi politiche della LEGA DEI SOCIALISTI

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P.L. Camagni: Subito la casa della sinistra

Subito la casa della sinistra

Le bras de fer de François Hollande et d'Angela Merkel

Le bras de fer de François Hollande et d'Angela Merkel

Ieri in Francia, domani in Italia. Il vento socialista europeo | RadioRadicale.it

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Guido Martinotti: NOI SIAMO MILANO: LA CITTÀ CAMBIA PELLE? | Arcipelago Milano

NOI SIAMO MILANO: LA CITTÀ CAMBIA PELLE? | Arcipelago Milano

lunedì 14 maggio 2012

non è vero che il movimento 5 stelle è un altro Paese. E’ lo stesso Paese, di prima | Storia Minima

non è vero che il movimento 5 stelle è un altro Paese. E’ lo stesso Paese, di prima | Storia Minima

Reset Online - FRANCIA, VINCE LA SINISTRA | Reset - Un mese di idee - Direttore Giancarlo Bosetti

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Il fuoco greco comincia a scottare | Presseurop (italiano)

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PES launches campaign “Your future is my future – a European Youth Guarantee now!” | PES

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Peppe Giudice: Linke e linkismo all'italiana

LINKE e “LINKISMO” all’italiana..


pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno venerdì 11 maggio 2012 alle ore 1.05 ·
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LINKE e “LINKISMO” all’italiana.





Due anni fa io scrissi un articolo per “socialismo e sinistra” in cui esprimevo un giudizio globalmente positivo sulla “Linke” (pur con qualche criticità) . Non mi entusiasmava l’alleanza di Lafontaine (un seguace di Willi Brandt) con gli eredi di una delle peggiori dittature dell’est. Ma ritenevo comunque che la Linke potesse svolgere una funzione positiva per stimolare la SPD ad abbandonare la fallimentare “Neue Mitte” di Schroeder. A mio avviso La SPD oggi ha fatto importanti passi in avanti (magari non nella misura da me desiderata) nell’abbandonare quelle posizioni (leggersi Martin Schultz, lo stesso Gabriel e soprattutto la Naheles) e la Linke è in crisi.

Non c’è dubbio che comunque il compagno Oskar Lafontaine abbia giocato un ruolo positivo per un certo periodo. Sarebbe stato molto più positivo se avesse combattuto una battaglia nel partito di cui era stato presidente per quattro anni. Avrebbe messo in seria difficoltà Schroeder. Non dimentichiamo che il periodo più negativo della gestione Schroeder è stato nel secondo mandato (2002-2005). La Agenda 2010 che esprimeva in pieno il suo social-liberismo (ed il mercantilismo tedesco) è del 2004. Quando erano due anni che Lafontaine era uscito dal partito. Con una sinistra forte interna guidata da un grande politico come Lafontaine, essa non avrebbe mai visto la luce.

Comunque la Linke è difficilmente definibile come un partito unitario. E’ invece la somma di due formazioni: un pezzo minoritario della sinistra SPD ad ovest; gli ex comunisti ad Est. Ad est è un partito regionale che prende consensi da quelle fasce che sono state penalizzate da una riunificazione affrettata (ed i cui costi Kohl li scaricati sulla intera Europa…) e che ha trasformato quelle regioni nel “Mezzogiorno” tedesco. Ad ovest c’è un pezzo di sinistra Spd. Quindi due partiti in uno, con radici ideologiche diverse e con territori diversi.

In Italia la Linke è stata vissuta come una spinta a rifondare il comunismo . O a cercare una impossibile sintesi tra socialismo e comunismo del 900. Non si rendevano conto che l’esponente di maggior spicco era Lafontaine che fino a qualche anno prima sarebbe stato definito come social-traditore.

E sul quale voglio spendere due parole in più. Lafontaine era contro l’unificazione tedesca affrettata (come lo era Brandt). Aveva ben capito i rischi che tale operazione comportava. Era contro l’ingresso della Cina nel WTO senza clausole sociali. Era contro l’allargamento ad est dell’Europa. Si rendeva perfettamente conto che l’accelerazione della globalizzazione ed una Europa molto diversa da come la immaginavano i socialisti storici, avrebbe comportato un rischio reale per il modello sociale europeo. Aveva perfettamente ragione. Le sue posizioni sono le stesse della Montemburg e della Aubry nel PSF. Inoltre era un convinto sostenitore del Piano Delors. Tant’è che Delors stesso voleva che Lafontaine divenisse il Presidente della Commissione Europea (l’unico in grado di portare avanti il suo piano). Non lo diventò per un veto di Schroeder ma soprattutto per il veto del capitalismo globalizzato che vedeva in Prodi colui che avrebbe meglio garantito i suoi interessi (quanto ci sarebbe da scrivere su Prodi e l’Ulivismo…).

E del resto con l’appannarsi della figura di Lafontaine la Linke probabilmente ritornerà ad essere partito regionale.

La Linke è la dimostrazione che è impossibile costruire una sintesi tra socialismo e comunismo (inteso come gli eredi in qualche misura della III Internazionale).

Il più grande erede del socialismo rivoluzionario (o comunismo libertario se si preferisce) di Rosa Luxemburg, Cornelius Castoriadis (animatore del gruppo francese “Socialisme ou Barbarie” ) , diceva che il capitalismo si è evoluto in occidente dal modo di produzione feudale. In oriente dal modo di produzione asiatico (Russia, Cina) si è prodotto il capitalismo burocratico di stato. Che è stato il comunismo realizzato della III Internazionale. Castoriadis utilizza inesorabilmente le categorie marxiane per criticare il socialismo reale. E vede nella teoria leninista del partito e della rivoluzione la giustificazione ideologica della formazione della nuova classe dominante nel capitalismo burocratico di stato. Egli infatti rompe con il trotzkismo (era stato un dirigente della IV Internazionale) perché Trotzky critica Stalin ma non rompe con Lenin incapace di vederne la continuità. Lo stesso dice con grande onestà intellettuale Pietro Ingrao in una intervista di una decina di anni fa: “ pensavamo che Stalin avesse tradito l’impostazione di Lenin, ma non era vero”.

Ma a parte l’autoritarismo, l’intolleranza di Lenin, vi sono altri elementi che rendono Lenin e Trotzky completamente obsoleti ed assolutamente inservibili per qualsiasi progetto di trasformazione sociale.

Riccardo Lombardi spiegava che lui utilizzava il termine “acomunista” per indicare la posizione dei socialisti autonomisti (De Martino, Santi, Giolitti ed egli stesso) per due ragioni : una per sottolineare la originalità della posizione socialista; la seconda perché in una società capitalista complessa una posizione comunista è politicamente impraticabile. Il leninismo ed il trotzkismo sono legati indissolubilmente ad una analisi ed ad una terapia rispetto al capitalismo pre-keynesiano.

Per questo, diceva Riccardo, i comunisti occidentali (francesi ed italiani) continuano ad adottare una fraseologia apparentemente rivoluzionaria ma con una pratica che converge con la socialdemocrazia (e talvolta non certo con quella più di sinistra). Carlo Rosselli questo lo aveva già intuito anni prima. La doppiezza è la frattura tra identità e prassi.

Riccardo Lombardi (già Otto Bauer e Rosselli lo avevano intuito negli anni 20 e 30) ritiene completamente superata ed obsoleta la contrapposizione riforme-rivoluzione in una società capitalistica complessa che è trasformabile solo dall’interno ma senza mai perdere la radicalità degli obbiettivi.

Lombardi (e in ciò sta la sua grandezza) è una sintesi straordinaria tra Kautsky e Rosa Luxemburg, Otto Bauer e Carlo Rosselli, è influenzato dall’umanesimo socialista di Erich Fromm, è un grande studioso dell’economia postkeynesiana (Kalecki, Robinson, Kaldor).

Ha prestato grande attenzione ai tempi della sostenibilità della crescita. Uno dei primi a leggere Georgescu-Rogen ed a prestare attenzione al rapporto del MIT commissionato dal Club di Roma (siamo nel 1973) sui limiti fisici dello sviluppo.

Per tornare al tema Lombardi ritiene, già negli anni 50, che la contrapposizione socialisti-comunisti come contrapposizione riformisti-rivoluzionari non ha assolutamente più senso. Persiste invece una seconda linea di discrimine e divisione che riguarda la concezione del partito (centralismo democratico, rapporto partito-società, partito- classe lavoratrice). Per Lombardi (ma anche per Morandi giovane) il partito è un strumento , sia pur importante, ma pur sempre uno strumento come lo sono anche sindacati e movimento cooperativo, di un grande progetto emancipatorio che si chiama socialismo. “Noi lottiamo non per il PSI ma per il socialimo” diceva Riccardo. Per i comunisti resta una sorta di “corpo mistico-politico” una chiesa laica. Sia pur nella versione aggiornata e sofisticata del PCI. Non è un caso che Lombardi non amasse affatto l’idea berlingueriana di diversità che denotava un elementi di integralismo.

Per questa ragione la sintesi di socialismo e comunismo non è stata possibile.

Dopo l’89 il termine è servito solo per auto legittimare i gruppi dirigenti di piccoli soggetti che erano destinati a rimanere per sempre nella marginalità politica.

Ma veniamo ora alla critica che Lombardi fa alla socialdemocrazia. Intanto Lombardi riteneva il termine socialismo democratico più ampio di quello di socialdemocrazia ritenendo quest’ultima una fase storica del socialismo democratico del centro-nord Europa. In realtà Gaetano Arfè fece notare che tale distinzione ha perso di senso.

Comunque la critica al modello socialdemocratico fatto da Lombardi è tutta interna alla cultura del socialismo democratico. Nessuna III via berlingueriana. Anzi lui mette in evidenza che non è possibile assolutamente mettere sullo stesso piano una esperienza che ha condotto al modello sociale più avanzato con regimi fondati sulla oppressione sistematica.

Riccardo vede il limite del modello socialdemocratico nel compromesso fondato su un ritmo forte e costante di espansione economica. Nel momento in cui tutta una serie di fattori riducono il ritmo espansivo, il compromesso entra in crisi, eccezion fatta per una limitata serie di paesi (Svezia, Austria ecc) dove è il sindacato resta fortissimo.

Per Lombardi il capitalismo proprio perché si fonda sulla riproduzione allargata e sul dato che il tasso di crescita della produttività tende a superare quello della domanda, ha da un lato l’esigenza di allargare la sfera del consumo e quindi del mercato ai beni sociali ed ai beni esistenziali (cultura, tempo libero, la stessa sessualità) creando un modello di consumo sempre più alienato ed irrazionale; dall’altro non pone limiti allo sviluppo delle forze produttive e della produzione in un ambiente che limitato. In questo sta l’irrazionalità del capitalismo.

L’alternativa che Lombardi prospetta è quello di un profondo mutamento del modo di produrre e consumare che comporta una profonda riorganizzazione della società e dell’economia. E’ questo il progetto di “socialismo democratico forte” che Lombardi ha in testa. Ma il socialismo di Lombardi è “profetico” ma anche pragmatico e gradualista. “Il problema non è quello di ridurre o meno la velocità del cambiamento, il percorso può essere più o meno accidentato, l’importante è mantenere la direzione di marcia”. Quindi il progetto perseguito ha necessariamente bisogno di momenti e di fasi anche protratte di mediazione e di compromesso. Indispensabili per ottenere un consenso maggioritario nella società complessa. Importante è però non smarrire mai la direzione di marcia.

Questo pensiero di Lombardi era, negli anni 70, presente anche in grandi dirigenti socialdemocratici come Brandt Kreisky e Palme. La socialdemocrazia svedese fu la prima con il Piano Meidner a puntare ad un compromesso sociale più avanzato. Ma negli anni 80, di fronte ai processi di restaurazione del capitalismo liberista, mancò un progetto ed una visione unitaria dei problemi. E questa è una delle cause che portò un pezzo importante delle socialdemocrazie a farsi egemonizzare dal pensiero liberista. Ma su questo abbiamo abbondantemente discusso.

Oggi il pensiero di Lombardi, di Palme o dei Lafontaine (e dei Montemburg) è essenziale per rilanciare il socialismo democratico in una fase in cui la crisi strutturale del capitalismo liberale può far precipitare l’umanità nella barbarie. “Il liberismo è nemico del genere umano” diceva Lafontaine.

Ma per uscire dalla crisi non serve la lagna continua, o la gestione della rabbia. Occorre un progetto di società ed una capacità propositiva di lotta.

Lombardi parlava di una società più ricca, perché diversamente ricca. In questo consiste il progetto socialista che dobbiamo offrire e che deve essere supportato da soggetti politici non minoritari.

Un diverso modo di produrre e consumare Lombardi lo intravedeva (già alla fine degli anni 70) in un sistema produttivo che produca beni al alto contenuto di informazioni ed a basso contenuto di energia, sullo sviluppo dei beni pubblici e dei beni sociali, sulla programmazione e la democrazia economica. Sulla economia mista con un rilancio del ruolo dell’impresa pubblica sottoposta a controllo democratico. Sullo sviluppo degli spazi di autogestione.

Dicevo: questo progetto lo possono sostenere solo partiti che abbiano il 25-30% almeno dei consensi. E che siano socialisti anche se la sinistra oggi è più ampia dei socialisti, essi solo sono in grado di esserne la forza propulsiva. Per questo è importante non fare la Linke ma spostare a sinistra l’asse del PSE.

Questo ovviamente è un discorso valido per la Francia, la Germania, L’Inghilterra. L’Italia è priva di una forza socialista. Il PD non lo è (anche se nel suo interno esistono elementi tendenzialmente socialisti) e c’è chi (come D’Alema) lo vuole fare addirittura diventare uno strumento di stabilizzazione di sistema con l’asse progressisti-moderati (ritornano le convergenze parallele).

A sinistra, in uno spazio non antagonista, intorno a SeL (che è la forza più visibile) si può costruire una sinistra di ispirazione socialista che aggreghi il fronte più vasto possibile coerente con un progetto di socialismo democratico (alla Lombardi o alla Palme). Certo non avrà la forza elettorale delle alte forze socialiste europee, ma già se arriva intorno al 12% è ottima cosa. Non si può pretendere che in una Italia affondata dalla II Repubblica si possa in tempi brevi aggiustare le cose.



PEPPE GIUDICE