UN PARTITO PER LA SINISTRA
Autorevoli e illustri firme della sinistra italiana hanno pubblicato, giovedì 29 Marzo, sulle colonne del “Manifesto” (la cui redazione pare averne accolto le istanze, intenzionata a portarle avanti), un documento sulla base del quale reclamare la formazione di un nuovo soggetto politico, capace di raccogliere la realtà dei più importanti movimenti sociali sviluppatisi, nel corso di questi anni, nel nostro Paese attorno ai temi della democrazia partecipata e dei cosiddetti “beni comuni” (da cui il neologismo “benecomunismo”, che pare rappresentare la sintesi più efficace per indicare il retroterra teorico di questo futuribile nuovo soggetto).
I firmatari sono stati, in buona parte, nel passato protagonisti di quella che fu la stagione dei cosiddetti “girotondi” e, successivamente, in tempi più recenti, della vittoriosa campagna referendaria avverso la privatizzazione dell’acqua e dell’elezione dei sindaci definiti “arancioni” in alcune importanti città, come Napoli e Milano.
Il documento si sofferma, con particolare attenzione, alla ricerca di nuove forme dell’agire politico indicando la necessità di “rompere una visione ristretta della politica, tutta concentrata sul parlamento e i partiti”. L’idea è quella di lavorare “per un nuovo spazio pubblico allargato, dove la democrazia rappresentativa e quella partecipata lavorano insieme, dove la società civile e i bisogni dei cittadini sono accolti e rispettati”.
Inoltre “si riconosce l’importanza della sfera dei comportamenti e delle passioni”.
Non sfugge, a un osservatore sufficientemente aduso al linguaggio della politica, una visione tutto sommato figlia di forme di tipo individualistico, fortemente soggettive, nella concezione dell’agire politico, un tentativo di sistematizzazione di quella che definiamo per convenzione “antipolitica” all’interno di un nuovo recinto “blandamente” organizzativo, di collegamento – nel complesso- di sostanziale continuità con quel meccanismo di personalizzazione che appare ancora, il tratto dominante, della scena politica attuale in Italia, introdotto dalla spettacolare mutazione del 1994, poi imitata su più versanti e sulla quale si è concentrato tutto un “per” o un “anti” che ha caratterizzato questa lunghissima fase di transizione, fino all’esito, assolutamente mortificante per i soggetti politici ancora attivi nel nostro Paese, della formazione dell’attuale governo, definibile, senza alcuna difficoltà o tema di smentite di “destra tecnocratica”, una destra dura, chiaramente antipopolare.
Risulta evidente, tuttavia, che da altri settori della sinistra (in realtà il termine “storico” della collocazione tradizionale dei partiti del movimento operaio non viene mai utilizzato nel documento) risulti necessaria una forte interlocuzione con quanto, sul piano della proposta politica concreta, potrà emergere dall’azione conseguente ai contenuti di questo documento.
Potrebbe essere possibile, infatti, sviluppare un forte confronto a tutto campo nel Paese, a diversi livelli, tentando così di ricoinvolgere migliaia di quadri militanti in una discussione pubblica ben finalizzata all’idea di una ricerca comune di soggettività collettiva.
Una discussione pubblica che potrebbe consentire anche di affrontare in campo aperto i limiti delle attuali formazioni politiche e, in particolare, l’obliquo personalismo sul quale si regge SeL che rappresenta, a mio giudizio (espresso da tempo) un vero e proprio “tappo” per lo sviluppo di un’adeguata presenza della sinistra sulla scena politica italiana.
Uso appositamente il termine sinistra, perché è su questa base che si può rivolgere il primo quesito, del tutto propedeutico alla successiva discussione, agli estensori del documento di cui si sta scrivendo: è possibile, dal vostro punto di vista mantenere questo tipo collocazione politica? Oppure, il documento colloca già il possibile nuovo soggetto in un ambito, per così dire, di “trasversalità”?
Non basta, a mio giudizio, affermare che i contenuti sulla base dei quali si pensa di affrontare determinate tematiche risultano già oggettivamente “collocati”: serve, anche e soprattutto, una definizione di “spazio” che tutto deve significare meno che una “recinzione”.
Serve un partito di “sinistra”: uso volutamente i due termini messi così chiaramente in discussione, in questo caso; “partito” e “sinistra”.
Un partito di sinistra che faccia i conti con alcune questioni:
1) La storia del movimento operaio italiano, le sue radici, le sue contraddizioni, ricercando -appunto – sul terreno delle diversità accumulate nel tempo una sintesi superiore adeguata all’oggi, in tempo di complessità delle contraddizioni;
2) L’idea dell’Europa politica. Un’idea fortemente in crisi che deve, invece, essere rilanciata con forza a partire dalla necessità di combattere, proprio al livello della dimensione europea, la battaglia avverso il soggiacere dell’economia rispetto alla finanza e della politica rispetto alla stessa economia (ho semplificato al massimo, ma credo di essermi fatto intendere). Terreni principali di questa battaglia la programmazione economica e l’idea universalista del “welfare state”;
3) La fedeltà alla Costituzione formale, ingaggiando un duro scontro contro i fautori di una Costituzione materiale neo-presidenzialista e includendo, in questo scontro, anche l’idea del sistema elettorale proporzionale come elemento fondativo di un necessario ritorno al concetto di “rappresentatività” in luogo di quello di “governabilità”;
4) La centralità di quella che un tempo avevamo definito “contraddizione principale” tra capitale e lavoro. Accennavo già alla complessità delle contraddizioni dell’oggi (incluso uno spostamento nella relazione classica tra struttura e sovrastruttura sulla quale non mi soffermo per ragioni di economia del discorso): esse però vanno intrecciate strettamente al tema della condizione di classe, ponendo il tema del lavoro al centro dell’azione politica del nuovo soggetto;
5) La “forma-partito” certamente da adeguare alle grandi novità che sul piano comunicativo e delle possibilità relazionali sono venute avanti negli anni ma, al riguardo della quale, non possono essere sviluppate concessioni verso improbabili leaderismi da un lato, e assemblearismi dall’altro. Si tratta di aprire, anche in questo caso, una riflessione sulla forma classica del partito di massa, abbandonata precipitosamente senza che si fosse sviluppata un’analisi sufficientemente approfondita.
Da qualche parte era stata avanzata l’idea di utilizzare la scadenza dei 120 anni ricorrenti dalla fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani (nel 1993 trasformato poi in Partito Socialista) per sviluppare un’idea di “ricominciamo da capo”.
Penso che quell’ipotesi vada perseguita, concretizzata in una riflessione sicuramente molto più compiuta di quella assolutamente abborracciata che ho tentato di sviluppare in questa sede e sviluppata in un apposito documento da porre attraverso una serie di assemblee comuni organizzate, prima di tutto in sede periferica (sfuggendo al concetto di “passerella”) a confronto con il documento di cui ho cercato malamente di occuparmi in questa sede (sciolti ovviamente in nodi di fondo circa la collocazione politica).
Una proposta che mi permetto di sottoporre all’attenzione di alcuni qualificati interlocutori auspicandone un rilancio a tutti i livelli.
Grazie per l’attenzione
Savona, li 31 marzo 2012 Franco Astengo
Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
sabato 31 marzo 2012
venerdì 30 marzo 2012
giovedì 29 marzo 2012
mercoledì 28 marzo 2012
martedì 27 marzo 2012
Felice Besostri: Nella Saar nuovo schiaffo alla merkel
Nella SAAR nuovo schiaffo, non decisivo, alla Merkel, liberali KO, SPD OK
di Felice Besostri
Elezioni anticipate nella SAAR: nel 2009 pur essendoci una chiara maggioranza rosso-rosso verde, a causa dei contrasti LINKE Verdi uscì un’inedita maggioranza CDU, FDP e VERDI, chiamata Jamaica dai colori di quella bandiera (nera, verde e gialla)che non è stata in grado di governare. La Saar conferma la sconfitta della coalizione al potere a Berlino. La CDU(35,2%) guadagna in percentuale, +0,7%, ma perde voti in assoluto, -14.943, e resta con lo stesso numero di seggi, 19. Due sono i vincitori la SPD che con il 30,6% e 17 seggi guadagna il 6,2% , 15.919 voti e 4 seggi, e i Pirati, al loro esordio, che si collocano al 4° posto con il 7,4% , 35.646 voti e 4 seggi.. SPD e Pirati sono gli unici due partiti che guadagnano voti in cifra assoluta, pur con un calo di 52.617 elettori pari al 6% 3e con un aumento delle schede nulle Sconfitti la LINKE senza l’effetto trainante di Oskar Lafontaine e con l’immagine appannata dai dissensi interni, che perde 2 seggi, il 5,2% e 36.052 voti, e i Verdi, che con il 5% hanno rischiato di non entrare nel Landtag. Il dato più preoccupante per la Merkel è il tracollo dei Liberali della FDP che con .’1,2% sono esclusi dall’assemblea legislativa perdendo l’8% e ben 43.193 voti e tutti i 5 seggi che detenevano. A livello federale la Merkel non ha più la maggioranza, ma l’opposizione non rappresenta ancora un’alternativa di governo, se la LINKE fosse decisiva. Nella Saar SPD e Linke hanno 26 seggi su 51, la maggioranza assoluta di un soffio. I dati parlano chiaro, basta conoscerli, ma le maggioranze numeriche non sono politiche, per di più sulla base delle esperienze di governi rosso-rossi, che non sono mai stati riconfermati dagli elettori dal Meclemburgo-Pomerania Anteriore nelle penultime elezioni e a Berlino di recente. I risultati di SPD e Linke non hanno una dinamica virtuosa in quanto non recuperano integralmente le perdite dell’altro, né arrestano la caduta di partecipazione alle elezioni. Il voto giovanile è attratto i primo luogo dai Pirati, che hanno caratteristiche pre-politiche e quini non sono partner probabili per una coalizione di governo a differenza dei ben più collaudati Verdi
Milano 26 marzo 2012
di Felice Besostri
Elezioni anticipate nella SAAR: nel 2009 pur essendoci una chiara maggioranza rosso-rosso verde, a causa dei contrasti LINKE Verdi uscì un’inedita maggioranza CDU, FDP e VERDI, chiamata Jamaica dai colori di quella bandiera (nera, verde e gialla)che non è stata in grado di governare. La Saar conferma la sconfitta della coalizione al potere a Berlino. La CDU(35,2%) guadagna in percentuale, +0,7%, ma perde voti in assoluto, -14.943, e resta con lo stesso numero di seggi, 19. Due sono i vincitori la SPD che con il 30,6% e 17 seggi guadagna il 6,2% , 15.919 voti e 4 seggi, e i Pirati, al loro esordio, che si collocano al 4° posto con il 7,4% , 35.646 voti e 4 seggi.. SPD e Pirati sono gli unici due partiti che guadagnano voti in cifra assoluta, pur con un calo di 52.617 elettori pari al 6% 3e con un aumento delle schede nulle Sconfitti la LINKE senza l’effetto trainante di Oskar Lafontaine e con l’immagine appannata dai dissensi interni, che perde 2 seggi, il 5,2% e 36.052 voti, e i Verdi, che con il 5% hanno rischiato di non entrare nel Landtag. Il dato più preoccupante per la Merkel è il tracollo dei Liberali della FDP che con .’1,2% sono esclusi dall’assemblea legislativa perdendo l’8% e ben 43.193 voti e tutti i 5 seggi che detenevano. A livello federale la Merkel non ha più la maggioranza, ma l’opposizione non rappresenta ancora un’alternativa di governo, se la LINKE fosse decisiva. Nella Saar SPD e Linke hanno 26 seggi su 51, la maggioranza assoluta di un soffio. I dati parlano chiaro, basta conoscerli, ma le maggioranze numeriche non sono politiche, per di più sulla base delle esperienze di governi rosso-rossi, che non sono mai stati riconfermati dagli elettori dal Meclemburgo-Pomerania Anteriore nelle penultime elezioni e a Berlino di recente. I risultati di SPD e Linke non hanno una dinamica virtuosa in quanto non recuperano integralmente le perdite dell’altro, né arrestano la caduta di partecipazione alle elezioni. Il voto giovanile è attratto i primo luogo dai Pirati, che hanno caratteristiche pre-politiche e quini non sono partner probabili per una coalizione di governo a differenza dei ben più collaudati Verdi
Milano 26 marzo 2012
lunedì 26 marzo 2012
domenica 25 marzo 2012
Paolo Bagnoli: Ma la CGIL si oppone
La situazione politica
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MA LA CGIL
SI OPPONE
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Il no che la CGIL ha detto, chiaro e inequivocabile, alle proposte della ministro Fornero non solo è dettato da ragioni condivisibili, ma esso segna anche – in una situazione nella quale un mix malmostoso di responsabilità e indefinito europeismo, servono a celare ben altro – la svolta a destra rappresentata dal governo Monti.
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di Paolo Bagnoli
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L’aggressione all’art. 18 non porterà utile alcuno alla questione degli investimenti in Italia, ma serve solo a sterilizzare un simbolo politico e civile riguardante il ruolo dei sindacati; ovvero ritenerli come una forza che è di impedimento allo sviluppo del Paese.
Si prepara già il colpevole prima ancora di commettere il peccato! Ciò è inaccettabile sul piano più elementare della concezione democratica poiché il sindacato non è solo l’espressione di tutela del lavoro dipendente, ma costituisce una istituzione della democrazia. Lo sviluppo del governo Monti per ora è mera rappresentato solo da quello delle tasse per coloro che l’hanno sempre pagate; il resto è solo mediatizzazione che copre il vuoto poiché una vera lotta all’evasione fiscale non si fa così come la si vuol rappresentare. Nella svolta a destra è insito il convincimento del liberismo mercatista per cui è giusto e quasi inevitabile che i più paghino per quelli che hanno di più.
Che Berlusconi sia andato a casa è fuor di luogo positivo e il governo che ne è seguito conferma un vecchio andazzo: che dalle crisi democratiche si esce a destra. Il caso italiano lo conferma. Si dice che non vi era altra scelta: in sostanza, che non poteva essere fatto diversamente e ciò dicendo si grida anche che la vitalità della democrazia si è esaurita poiché, quando una democrazia parlamentare ritiene di avere una ed una unica scelta ciò significa che essa non è più tale. Anche un esecutivo di emergenza nasce quale scelta tra altre possibili scelte; certo che ciò richiede un Parlamento non come quello che ha l’Italia adesso, ma il modello Monti – da taluni addirittura indicato come quello anche per il futuro – non assolve la questione. E alla lunga anche la manifesta e continua copertura da parte della Presidenza della Repubblica finisce per artare l’assetto costituzionale in un presidenzialismo improprio.
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La segretaria generale della
CGIL, Susanna Camusso
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La controprova la abbiamo dalle dichiarazioni stesse di alcuni membri del governo, secondo la Fornero, chiamati a fare addirittura, se non abbiamo capito male, un lavoro sporco! Ma dove siamo: un ministro è lì per fare un lavoro sporco? L’espressione non si regge nemmeno per metafora. Buttare a mare la concertazione, fondare l’etica del lavoro solo sul licenziamento facile e addirittura agevolato, ritenere che, per il semplice fatto che la fiducia vera al gabinetto non viene dal Parlamento, ma da altro autorevole luogo, autorizzi a procedere per decreto e voti di fiducia – chissà se anche questa procedura la chiede l’Europa – è solo il segnale pericoloso di un involuzione che bisogna contrastare. L’Italia, ma così anche altri Paesi europei, deve essere tutelata dalle sue istituzioni nella sua libertà, compresa quella di scegliersi i primi ministri senza che questi abbiano, come prerequisito, quello di legami con agenzie e gruppi finanziari internazionali che hanno quale esclusivo loro interesse quello di destrutturare socialmente quante più aree europee possono a fini di profitto. E poi lo chiamano mercato.
La verità è che l’Italia è andata economicamente meglio fino a quando una parte consistente dell’industria nazionale – banche comprese - era sotto l’egida dello Stato senza che ciò umiliasse né il mercato, né gli investimenti, né lo sviluppo. Non solo, ma a ben vedere, la stessa ricerca che si predica come segno dell’essere universitario, che non è nelle condizioni di farla in modo serio e organico, la grande industria statale la faceva, di qualificata e vincente e pure apportatrice di sviluppo.
Con il no della Cgil, al di là dello specifico sindacale, ciò che è venuto al pettine è la crisi politica che il Presidente della Repubblica cerca di non far deflagrare; ma se non vi sarà decreto o voto di fiducia, sarà difficile che il quadro di calore in cui è avvolto il governo si mantenga tale; Europa o non Europa. E qui il Partito democratico gioca, come si suol dire, la “sua nobilitate” visto che, se pur impropriamente, qualche volta si definisce “di sinistra” dopo essere nato sciogliendo la sinistra e dichiarandola una categoria superata.
Vedremo, ma certo, tutto dice che, giorno dopo giorno, urge la ripresa di iniziativa di energie socialiste che sono poi quelle che, storicamente, rappresentano, le stesse della democrazia italiana.
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MA LA CGIL
SI OPPONE
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Il no che la CGIL ha detto, chiaro e inequivocabile, alle proposte della ministro Fornero non solo è dettato da ragioni condivisibili, ma esso segna anche – in una situazione nella quale un mix malmostoso di responsabilità e indefinito europeismo, servono a celare ben altro – la svolta a destra rappresentata dal governo Monti.
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di Paolo Bagnoli
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L’aggressione all’art. 18 non porterà utile alcuno alla questione degli investimenti in Italia, ma serve solo a sterilizzare un simbolo politico e civile riguardante il ruolo dei sindacati; ovvero ritenerli come una forza che è di impedimento allo sviluppo del Paese.
Si prepara già il colpevole prima ancora di commettere il peccato! Ciò è inaccettabile sul piano più elementare della concezione democratica poiché il sindacato non è solo l’espressione di tutela del lavoro dipendente, ma costituisce una istituzione della democrazia. Lo sviluppo del governo Monti per ora è mera rappresentato solo da quello delle tasse per coloro che l’hanno sempre pagate; il resto è solo mediatizzazione che copre il vuoto poiché una vera lotta all’evasione fiscale non si fa così come la si vuol rappresentare. Nella svolta a destra è insito il convincimento del liberismo mercatista per cui è giusto e quasi inevitabile che i più paghino per quelli che hanno di più.
Che Berlusconi sia andato a casa è fuor di luogo positivo e il governo che ne è seguito conferma un vecchio andazzo: che dalle crisi democratiche si esce a destra. Il caso italiano lo conferma. Si dice che non vi era altra scelta: in sostanza, che non poteva essere fatto diversamente e ciò dicendo si grida anche che la vitalità della democrazia si è esaurita poiché, quando una democrazia parlamentare ritiene di avere una ed una unica scelta ciò significa che essa non è più tale. Anche un esecutivo di emergenza nasce quale scelta tra altre possibili scelte; certo che ciò richiede un Parlamento non come quello che ha l’Italia adesso, ma il modello Monti – da taluni addirittura indicato come quello anche per il futuro – non assolve la questione. E alla lunga anche la manifesta e continua copertura da parte della Presidenza della Repubblica finisce per artare l’assetto costituzionale in un presidenzialismo improprio.
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La segretaria generale della
CGIL, Susanna Camusso
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La controprova la abbiamo dalle dichiarazioni stesse di alcuni membri del governo, secondo la Fornero, chiamati a fare addirittura, se non abbiamo capito male, un lavoro sporco! Ma dove siamo: un ministro è lì per fare un lavoro sporco? L’espressione non si regge nemmeno per metafora. Buttare a mare la concertazione, fondare l’etica del lavoro solo sul licenziamento facile e addirittura agevolato, ritenere che, per il semplice fatto che la fiducia vera al gabinetto non viene dal Parlamento, ma da altro autorevole luogo, autorizzi a procedere per decreto e voti di fiducia – chissà se anche questa procedura la chiede l’Europa – è solo il segnale pericoloso di un involuzione che bisogna contrastare. L’Italia, ma così anche altri Paesi europei, deve essere tutelata dalle sue istituzioni nella sua libertà, compresa quella di scegliersi i primi ministri senza che questi abbiano, come prerequisito, quello di legami con agenzie e gruppi finanziari internazionali che hanno quale esclusivo loro interesse quello di destrutturare socialmente quante più aree europee possono a fini di profitto. E poi lo chiamano mercato.
La verità è che l’Italia è andata economicamente meglio fino a quando una parte consistente dell’industria nazionale – banche comprese - era sotto l’egida dello Stato senza che ciò umiliasse né il mercato, né gli investimenti, né lo sviluppo. Non solo, ma a ben vedere, la stessa ricerca che si predica come segno dell’essere universitario, che non è nelle condizioni di farla in modo serio e organico, la grande industria statale la faceva, di qualificata e vincente e pure apportatrice di sviluppo.
Con il no della Cgil, al di là dello specifico sindacale, ciò che è venuto al pettine è la crisi politica che il Presidente della Repubblica cerca di non far deflagrare; ma se non vi sarà decreto o voto di fiducia, sarà difficile che il quadro di calore in cui è avvolto il governo si mantenga tale; Europa o non Europa. E qui il Partito democratico gioca, come si suol dire, la “sua nobilitate” visto che, se pur impropriamente, qualche volta si definisce “di sinistra” dopo essere nato sciogliendo la sinistra e dichiarandola una categoria superata.
Vedremo, ma certo, tutto dice che, giorno dopo giorno, urge la ripresa di iniziativa di energie socialiste che sono poi quelle che, storicamente, rappresentano, le stesse della democrazia italiana.
sabato 24 marzo 2012
Vittorio Melandri: Le classi sociali esistono ancora
Le classi sociali esistono ancora
ma la lotta di classe la porta avanti solo il capitalismo trionfante
Ovvero… la “classe capitalistica transnazionale” e la guerra …NIHBY
(Not In His BackYard - non nel suo cortile)
Sono passati quasi quarant’anni (1974) da quando Paolo Sylos-Labini ha dato alle stampe il suo “Saggio sulle classi sociali”.
La suddivisione delle classi sociali in tre gruppi, che lo studioso allora aveva proposto (ciascun gruppo articolato ulteriormente al proprio interno) sicuramente deve essere sottoposta a degli aggiustamenti di prospettiva, ma c’è chi ritiene che oggi le “classi sociali”…. non esistano proprio più.
Difficile però contestare che anche oggi, l’importanza che Sylos-Labini dava al modo in cui si ottiene il reddito, prima ancora che la sua distribuzione, sia l’elemento discriminante che consente di osservare come ancora oggi si aggreghino gli individui in gruppi, ed è difficile contestare che possiamo anche cedere al vezzo di non chiamarli poi “classi sociali”, ma è proprio impossibile che siano denegati (come invece si indulge a fare), se si vuole almeno essere un minimo “intellettualmente onesti”, come sin dall’introduzione al suo saggio si era dichiarato di volersi sforzare di essere quello studioso galantuomo.
A volte capita di essere aiutati da un sapiente, a fronteggiare l’improntitudine della maggioranza dei “sapienti”, quella che ci travolge sempre con la forza di uno tsunami, e che poi banchetta sulla nostra ignoranza, sia quella fisiologica sia quella di cui siamo i primi alimentatori insani.
Di recente, a noi cittadini semplici, è venuto in aiuto un altro studioso di rango, Luciano Gallino, che ha dato alle stampe per lo stesso editore che fu di Sylos-Labini, Editori Laterza, un saggio-intervista a cura di Paola Borgna, dal titolo….
“LA LOTTA DI CLASSE dopo la lotta di classe”
Il primo aiuto di Gallino che spendo in questa occasione lo trovo in questa sua affermazione (pag. 18)
“…una delle maggiori vittorie ideologiche della classe capitalistica transnazionale, sorretta da una forte componente para-scientifica costituita da intellettuali e accademici, è stata quella di rappresentare alle classi subalterne il funzionamento dell’economia contemporanea, con le sue massicce componenti finanziarie, come se fosse il migliore dei mondi possibili, ossia l’economia più efficiente che si possa immaginare.”
E qui intanto registro che almeno due classi sociali sono ancora ben visibili, anche a chi studioso non è:
la “classe capitalistica transnazionale” (dominante e vincente)
e
la “classe subalterna” (subente e perdente).
Il secondo aiuto che mi faccio dare da Gallino, è per sostenere la mia convinzione che la “classe dominante” nelle aree in cui risiede, preferisce di gran lunga la pace sociale, al divampare della “lotta di classe”, ed anche se la guerra, quella utilissima al business, non la rinnega certo, anzi, la desidera, la desidera pur sempre ad una condizione, che sia la guerra…
…NIHBY (Not In His BackYard - non nel suo cortile).
(Usando così io contro la “classe dominante”, un acronimo che brandisce contro di noi subalterni, e che qui correggo a mio piacimento).
Mutatis mutandis, spiega infatti Gallino che….
“La crisi innescatasi nel 2007, sullo sfondo pregresso di uno sviluppo patologico del sistema finanziario, da un punto di vista rigorosamente scientifico è stata una catastrofe per il pensiero dominante a Davos (ovvero quello che Davos diffonde in tv, nei quotidiani, nelle università, nelle scuole, e nei discorsi dei politici). La crisi infatti - anche quella che continua a svolgersi in questo 2012, non sappiamo ancora con quali seguiti e in quali paesi - ha dimostrato in modo categorico due cose: che i capitali non vengono affatto allocati dai mercati nel modo più efficiente possibile, e che sono soprattutto i lavoratori a pagare i costi quando la teoria va in pezzi, insieme con le pratiche finanziarie che da essa discendono”.
E che questo determini l’esplodere del disagio sociale mi pare evidente, ed il disagio sociale alla classe dominante, mi ripeto, non è gradito nel suo cortile.
Gli va bene in Africa, alla periferia della Russia, nei deserti della Mongolia, nel Magrheb, e si ammazzino pure bambini a grappoli in Siria, ma, ne sono convinto, e per citare un esempio clamoroso vicinissimo a noi nello spazio e nel tempo ….. “la macelleria messicana alla Diaz” nella Genova che ospitava il G8, è roba da funzionari zelanti e deficienti, e da governanti allo sbaraglio, non è nelle intenzioni e negli interessi delle classi dominanti.
Sempre grazie a Gallino sottolineo che….
“Capitali dell’ordine di trilioni di dollari sono stati investiti in complicatissimi titoli compositi che le banche, non solo americane ma anche europee, hanno creato e diffuso in un modo che si è rivelato disastrosamente inefficiente. O meglio: che la crisi stessa ha mostrato essere inefficiente quanto rischioso.”
E quando è arrivato il momento in cui…. (ancora Gallino….)
“….gli enti finanziari sono stati salvati dal fallimento dai governi, sia tramite aiuti economici diretti (oltre 15 trilioni di dollari in Usa; 1,3 trilioni di sterline nel Regno Unito; almeno un trilione di euro in Germania), sia indirettamente, forzando i paesi con un elevato debito pubblico a pagare interessi astronomici sui titoli di Stato in possesso degli enti medesimi. I quali sono in prevalenza banche francesi e tedesche i cui bilanci sono stati disastrati sia dai titoli tossici (così detti perché formati da crediti ormai considerati inesigibili) che hanno creato a valanga o hanno acquistato in gran quantità negli anni Duemila, sia da un eccesso di denaro preso in prestito da altre banche o dalle banche centrali, al fine di concedere a loro volta fiumi di prestiti da portare fuori bilancio”.
Serve che la “classe subente” sia annichilita nelle sue convinzioni, e che la sua “incazzatura” si manifesti in modi autolesionisti (magari stampando e indossando prima magliette deficienti e piangendo poi sul latte versato), o peggio, dando vita a ……
P…artiti D…isastrati
sin dal loro concepimento.
È pericoloso che la “classe subente” creda ancora nella lotta di classe o nei suoi diritti…. perché se non ci crede, se pensa che sia roba del secolo passato non più utilizzabile….
“… è più facile che i vuoti paurosi che si sono aperti nei bilanci pubblici, si possano colmare chiedendo sacrifici (sic sic !!!) non a chi ha causato la crisi, bensì ai lavoratori e alle classi medie, che devono loro tirare la cinghia.”
Scrive Gallino che….
È forse questa una delle espressioni più crude e meno studiate della lotta di classe condotta dai vincitori contro i perdenti.
Perché è di tutta evidenza, solo che si voglia vedere oltre che guardare …. altro che fine della lotta di classe!!!!
Mi sembra di sentirli i “padroni”, termine che si vuole desueto ma quanto mai attuale e utile per designare quelli veri, quelli che non ci mettono neanche la faccia, che nei loro salotti si divertono a cantare in coro un vecchio slogan riadattato del “maggio francese”…..
il y a pas question continuons le combat
E per concludere davvero con Gallino si tratterebbe davvero di ribaltare il punto di osservazione e risvegliare sopite attenzioni e…
“PER QUANTO POSSA APPARIRE STRANO, TUTTO CIÒ COMPORTA CHE LA LOTTA DI CLASSE DAL BASSO, DOVESSE MAI RIPRENDERE, DOVREBBE AVERE TRA I SUOI PRIMI OBIETTIVI UNA RIFORMA DEL SISTEMA FINANZIARIO”.
ALTRO CHE RIFORMA DELL’ART. 18
vittorio (confesso di amare la moderazione e detestare i sedicenti “moderati”)
P.S.
A conferma di quanto sostenuto sin qui, osservo che oggi scende in campo il Dott. Ferruccio de Bortoli, persona squisita nei tratti e nei modi, capace di intervistare Berlusconi nel 1992 a cui chiedeva:
Sotto accusa è il sistema dei partiti. Lei non è in prima fila nell’attaccarlo. Perché? Pensa che possa rinnovarsi da solo?
“Il sistema dei partiti deve rinnovarsi da solo. Se non sono i partiti a promuovere la riforma del sistema politico anche, quando necessario, con il ricorso a un referendum, chi può farlo? Una democrazia che si dimostrasse incapace di riformare se stessa sarebbe, come la storia insegna, condannata; e io non credo che la nostra lo sia”.
Poi capace di farsi “licenziare” dal medesimo dopo aver battezzato i suoi “avvocaticchi” sulla prima pagina del Corriere che era arrivato a dirigere.
Ed oggi, tornato da tempo a sedersi in Via Solferino da Direttore per spiegarci…….
“I toni apocalittici di molti commenti sono poi inquietanti. Descrivono un Paese irreale. Tradiscono una visione novecentesca, ideologica e da lotta di classe, che non corrisponde più alla realtà della stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro.
Lo Statuto dei lavoratori fu, nel 1970, un’importante conquista sociale. Sono passati 42 anni, la società è cresciuta, i diritti sono meglio protetti. Ma in parti del sindacato e della sinistra la nostalgia per quegli anni di lotte operaie e studentesche è forte. La storia andrebbe riletta, anche per risparmiarci le code spiacevoli e le derive violente di cui dovremmo coltivare la memoria”.
Grazie dott. de Bortoli mi vien di chiosare, se avevo dei dubbi sulla necessità della lotta di classe, Lei me li ha fugati tutti.
Allego, per chi li volesse leggere, i due articoli del Direttore de Bortoli, l’intervista del ’92 al Cav. ancora cavallo e non ancora disceso in campo, e l’editoriale odierno, una lettura comparata davvero istruttiva.
ma la lotta di classe la porta avanti solo il capitalismo trionfante
Ovvero… la “classe capitalistica transnazionale” e la guerra …NIHBY
(Not In His BackYard - non nel suo cortile)
Sono passati quasi quarant’anni (1974) da quando Paolo Sylos-Labini ha dato alle stampe il suo “Saggio sulle classi sociali”.
La suddivisione delle classi sociali in tre gruppi, che lo studioso allora aveva proposto (ciascun gruppo articolato ulteriormente al proprio interno) sicuramente deve essere sottoposta a degli aggiustamenti di prospettiva, ma c’è chi ritiene che oggi le “classi sociali”…. non esistano proprio più.
Difficile però contestare che anche oggi, l’importanza che Sylos-Labini dava al modo in cui si ottiene il reddito, prima ancora che la sua distribuzione, sia l’elemento discriminante che consente di osservare come ancora oggi si aggreghino gli individui in gruppi, ed è difficile contestare che possiamo anche cedere al vezzo di non chiamarli poi “classi sociali”, ma è proprio impossibile che siano denegati (come invece si indulge a fare), se si vuole almeno essere un minimo “intellettualmente onesti”, come sin dall’introduzione al suo saggio si era dichiarato di volersi sforzare di essere quello studioso galantuomo.
A volte capita di essere aiutati da un sapiente, a fronteggiare l’improntitudine della maggioranza dei “sapienti”, quella che ci travolge sempre con la forza di uno tsunami, e che poi banchetta sulla nostra ignoranza, sia quella fisiologica sia quella di cui siamo i primi alimentatori insani.
Di recente, a noi cittadini semplici, è venuto in aiuto un altro studioso di rango, Luciano Gallino, che ha dato alle stampe per lo stesso editore che fu di Sylos-Labini, Editori Laterza, un saggio-intervista a cura di Paola Borgna, dal titolo….
“LA LOTTA DI CLASSE dopo la lotta di classe”
Il primo aiuto di Gallino che spendo in questa occasione lo trovo in questa sua affermazione (pag. 18)
“…una delle maggiori vittorie ideologiche della classe capitalistica transnazionale, sorretta da una forte componente para-scientifica costituita da intellettuali e accademici, è stata quella di rappresentare alle classi subalterne il funzionamento dell’economia contemporanea, con le sue massicce componenti finanziarie, come se fosse il migliore dei mondi possibili, ossia l’economia più efficiente che si possa immaginare.”
E qui intanto registro che almeno due classi sociali sono ancora ben visibili, anche a chi studioso non è:
la “classe capitalistica transnazionale” (dominante e vincente)
e
la “classe subalterna” (subente e perdente).
Il secondo aiuto che mi faccio dare da Gallino, è per sostenere la mia convinzione che la “classe dominante” nelle aree in cui risiede, preferisce di gran lunga la pace sociale, al divampare della “lotta di classe”, ed anche se la guerra, quella utilissima al business, non la rinnega certo, anzi, la desidera, la desidera pur sempre ad una condizione, che sia la guerra…
…NIHBY (Not In His BackYard - non nel suo cortile).
(Usando così io contro la “classe dominante”, un acronimo che brandisce contro di noi subalterni, e che qui correggo a mio piacimento).
Mutatis mutandis, spiega infatti Gallino che….
“La crisi innescatasi nel 2007, sullo sfondo pregresso di uno sviluppo patologico del sistema finanziario, da un punto di vista rigorosamente scientifico è stata una catastrofe per il pensiero dominante a Davos (ovvero quello che Davos diffonde in tv, nei quotidiani, nelle università, nelle scuole, e nei discorsi dei politici). La crisi infatti - anche quella che continua a svolgersi in questo 2012, non sappiamo ancora con quali seguiti e in quali paesi - ha dimostrato in modo categorico due cose: che i capitali non vengono affatto allocati dai mercati nel modo più efficiente possibile, e che sono soprattutto i lavoratori a pagare i costi quando la teoria va in pezzi, insieme con le pratiche finanziarie che da essa discendono”.
E che questo determini l’esplodere del disagio sociale mi pare evidente, ed il disagio sociale alla classe dominante, mi ripeto, non è gradito nel suo cortile.
Gli va bene in Africa, alla periferia della Russia, nei deserti della Mongolia, nel Magrheb, e si ammazzino pure bambini a grappoli in Siria, ma, ne sono convinto, e per citare un esempio clamoroso vicinissimo a noi nello spazio e nel tempo ….. “la macelleria messicana alla Diaz” nella Genova che ospitava il G8, è roba da funzionari zelanti e deficienti, e da governanti allo sbaraglio, non è nelle intenzioni e negli interessi delle classi dominanti.
Sempre grazie a Gallino sottolineo che….
“Capitali dell’ordine di trilioni di dollari sono stati investiti in complicatissimi titoli compositi che le banche, non solo americane ma anche europee, hanno creato e diffuso in un modo che si è rivelato disastrosamente inefficiente. O meglio: che la crisi stessa ha mostrato essere inefficiente quanto rischioso.”
E quando è arrivato il momento in cui…. (ancora Gallino….)
“….gli enti finanziari sono stati salvati dal fallimento dai governi, sia tramite aiuti economici diretti (oltre 15 trilioni di dollari in Usa; 1,3 trilioni di sterline nel Regno Unito; almeno un trilione di euro in Germania), sia indirettamente, forzando i paesi con un elevato debito pubblico a pagare interessi astronomici sui titoli di Stato in possesso degli enti medesimi. I quali sono in prevalenza banche francesi e tedesche i cui bilanci sono stati disastrati sia dai titoli tossici (così detti perché formati da crediti ormai considerati inesigibili) che hanno creato a valanga o hanno acquistato in gran quantità negli anni Duemila, sia da un eccesso di denaro preso in prestito da altre banche o dalle banche centrali, al fine di concedere a loro volta fiumi di prestiti da portare fuori bilancio”.
Serve che la “classe subente” sia annichilita nelle sue convinzioni, e che la sua “incazzatura” si manifesti in modi autolesionisti (magari stampando e indossando prima magliette deficienti e piangendo poi sul latte versato), o peggio, dando vita a ……
P…artiti D…isastrati
sin dal loro concepimento.
È pericoloso che la “classe subente” creda ancora nella lotta di classe o nei suoi diritti…. perché se non ci crede, se pensa che sia roba del secolo passato non più utilizzabile….
“… è più facile che i vuoti paurosi che si sono aperti nei bilanci pubblici, si possano colmare chiedendo sacrifici (sic sic !!!) non a chi ha causato la crisi, bensì ai lavoratori e alle classi medie, che devono loro tirare la cinghia.”
Scrive Gallino che….
È forse questa una delle espressioni più crude e meno studiate della lotta di classe condotta dai vincitori contro i perdenti.
Perché è di tutta evidenza, solo che si voglia vedere oltre che guardare …. altro che fine della lotta di classe!!!!
Mi sembra di sentirli i “padroni”, termine che si vuole desueto ma quanto mai attuale e utile per designare quelli veri, quelli che non ci mettono neanche la faccia, che nei loro salotti si divertono a cantare in coro un vecchio slogan riadattato del “maggio francese”…..
il y a pas question continuons le combat
E per concludere davvero con Gallino si tratterebbe davvero di ribaltare il punto di osservazione e risvegliare sopite attenzioni e…
“PER QUANTO POSSA APPARIRE STRANO, TUTTO CIÒ COMPORTA CHE LA LOTTA DI CLASSE DAL BASSO, DOVESSE MAI RIPRENDERE, DOVREBBE AVERE TRA I SUOI PRIMI OBIETTIVI UNA RIFORMA DEL SISTEMA FINANZIARIO”.
ALTRO CHE RIFORMA DELL’ART. 18
vittorio (confesso di amare la moderazione e detestare i sedicenti “moderati”)
P.S.
A conferma di quanto sostenuto sin qui, osservo che oggi scende in campo il Dott. Ferruccio de Bortoli, persona squisita nei tratti e nei modi, capace di intervistare Berlusconi nel 1992 a cui chiedeva:
Sotto accusa è il sistema dei partiti. Lei non è in prima fila nell’attaccarlo. Perché? Pensa che possa rinnovarsi da solo?
“Il sistema dei partiti deve rinnovarsi da solo. Se non sono i partiti a promuovere la riforma del sistema politico anche, quando necessario, con il ricorso a un referendum, chi può farlo? Una democrazia che si dimostrasse incapace di riformare se stessa sarebbe, come la storia insegna, condannata; e io non credo che la nostra lo sia”.
Poi capace di farsi “licenziare” dal medesimo dopo aver battezzato i suoi “avvocaticchi” sulla prima pagina del Corriere che era arrivato a dirigere.
Ed oggi, tornato da tempo a sedersi in Via Solferino da Direttore per spiegarci…….
“I toni apocalittici di molti commenti sono poi inquietanti. Descrivono un Paese irreale. Tradiscono una visione novecentesca, ideologica e da lotta di classe, che non corrisponde più alla realtà della stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro.
Lo Statuto dei lavoratori fu, nel 1970, un’importante conquista sociale. Sono passati 42 anni, la società è cresciuta, i diritti sono meglio protetti. Ma in parti del sindacato e della sinistra la nostalgia per quegli anni di lotte operaie e studentesche è forte. La storia andrebbe riletta, anche per risparmiarci le code spiacevoli e le derive violente di cui dovremmo coltivare la memoria”.
Grazie dott. de Bortoli mi vien di chiosare, se avevo dei dubbi sulla necessità della lotta di classe, Lei me li ha fugati tutti.
Allego, per chi li volesse leggere, i due articoli del Direttore de Bortoli, l’intervista del ’92 al Cav. ancora cavallo e non ancora disceso in campo, e l’editoriale odierno, una lettura comparata davvero istruttiva.
venerdì 23 marzo 2012
Antonio Caputo: Impiego pubblico, governo tecnico e qualche svarione
----Studiate, studiate...!
il ministro del Lavoro Fornero, i sindacati (Angeletti), e con
loro
il ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, sono
incorsi in uno svarione affermando che “L'articolo 18 non è mai
stato
applicato per il pubblico impiego e non è facilmente applicabile
perché
la natura giuridica dei contratti è diversa” (cosi' luigi
Angeletti).
Non e' cosi' dal 2001 in quanto l’articolo 51, comma 2, del decreto
legislativo 165/2001 (il testo unico che disciplina il lavoro
pubblico)
recita : “La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni
e
integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a
prescindere
dal numero dei dipendenti”. E la Cassazione ( ex multis Sezione
Lavoro
1 febbraio 2007, n. 2233) ha considerato applicabile l’articolo 18
dello Statuto dei lavoratori non solo ai dipendenti, ma anche ai
dirigenti pubblici.
Non solo al lavoro pubblico l’articolo 18 si applica direttamente,
ma la disciplina del licenziamento per ragioni economiche è stata
introdotta dallla legge 183/2011, che ha modificato l’articolo 33
del
citato testo unico sul lavoro pubblico, per cui : “le pubbliche
amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino
comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze
funzionali
o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione
annuale
prevista dall’articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo, sono
tenute
ad osservare le procedure previste dal presente articolo dandone
immediata comunicazione al dipartimento della Funzione pubblica”.
Ergo, il nuovo art.18 si applica anche ai pubblici dipendenti in
assenza di espressa deroga. (?)
Diceva un tempo il Ministro Biondi: "Studiate, studiate, atrimenti
finirete per fare il PM" (rivolto a metaforici figli di un Avvocato
di
due secoli fa).
Verrebbe da dire, parafrasandolo, che ora diverrebbero
Sottosegretari o anche ministri, perche' no!
O sindacalisti?
Antonio Caputo
il ministro del Lavoro Fornero, i sindacati (Angeletti), e con
loro
il ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, sono
incorsi in uno svarione affermando che “L'articolo 18 non è mai
stato
applicato per il pubblico impiego e non è facilmente applicabile
perché
la natura giuridica dei contratti è diversa” (cosi' luigi
Angeletti).
Non e' cosi' dal 2001 in quanto l’articolo 51, comma 2, del decreto
legislativo 165/2001 (il testo unico che disciplina il lavoro
pubblico)
recita : “La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni
e
integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a
prescindere
dal numero dei dipendenti”. E la Cassazione ( ex multis Sezione
Lavoro
1 febbraio 2007, n. 2233) ha considerato applicabile l’articolo 18
dello Statuto dei lavoratori non solo ai dipendenti, ma anche ai
dirigenti pubblici.
Non solo al lavoro pubblico l’articolo 18 si applica direttamente,
ma la disciplina del licenziamento per ragioni economiche è stata
introdotta dallla legge 183/2011, che ha modificato l’articolo 33
del
citato testo unico sul lavoro pubblico, per cui : “le pubbliche
amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino
comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze
funzionali
o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione
annuale
prevista dall’articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo, sono
tenute
ad osservare le procedure previste dal presente articolo dandone
immediata comunicazione al dipartimento della Funzione pubblica”.
Ergo, il nuovo art.18 si applica anche ai pubblici dipendenti in
assenza di espressa deroga. (?)
Diceva un tempo il Ministro Biondi: "Studiate, studiate, atrimenti
finirete per fare il PM" (rivolto a metaforici figli di un Avvocato
di
due secoli fa).
Verrebbe da dire, parafrasandolo, che ora diverrebbero
Sottosegretari o anche ministri, perche' no!
O sindacalisti?
Antonio Caputo
Lanfranco Turci: Usiamo la potenza di Internet
USIAMO LA POTENZA DI INTERNET
Andiamo a consultare l'elenco dei senatori sul sito del Senato.
Ognuno si scelga quelli che ritiene opportuno.
Scriviamo seguendo questo indirizzo: nome.cognome@senato.it
Mandiamo questo appello:
On. Senatore/Senatrice nei prossimi giorni sarà chiamato al voto
finale sulle modifiche costituzionali all'articolo 81 C.(pareggio di
bilancio ). La preghiamo di non partecipare al voto per non fare
scattare la maggioranza dei 2/3 che impedirebbe l'eventuale indizione
del referendum popolare previsto dall'art. 138 della Costituzione.
Lasci una chance alla volontà popolare su un tema così importante per
il futuro del nostro paese.
saluti cordiali...
Facciamo girare questa proposta su tutte le nostre bacheche facebook,
sugli altri socialnetwork,sulle nostre mailing list. Invitiamo i
nostri amici a fare altrettanto.Facciamo arrivare migliaia di lettere
ai Senatori!
lanfranco turci
Andiamo a consultare l'elenco dei senatori sul sito del Senato.
Ognuno si scelga quelli che ritiene opportuno.
Scriviamo seguendo questo indirizzo: nome.cognome@senato.it
Mandiamo questo appello:
On. Senatore/Senatrice nei prossimi giorni sarà chiamato al voto
finale sulle modifiche costituzionali all'articolo 81 C.(pareggio di
bilancio ). La preghiamo di non partecipare al voto per non fare
scattare la maggioranza dei 2/3 che impedirebbe l'eventuale indizione
del referendum popolare previsto dall'art. 138 della Costituzione.
Lasci una chance alla volontà popolare su un tema così importante per
il futuro del nostro paese.
saluti cordiali...
Facciamo girare questa proposta su tutte le nostre bacheche facebook,
sugli altri socialnetwork,sulle nostre mailing list. Invitiamo i
nostri amici a fare altrettanto.Facciamo arrivare migliaia di lettere
ai Senatori!
lanfranco turci
giovedì 22 marzo 2012
Paola Meneganti: Fare fronte
Fino a quando potrà fare fronte, la mia CGIL? Senza una sponda politica rappresentativa ... rappresentativa, quindi inscritta in "quell'" ordine materiale e simbolico, del Parlamento, dei tavoli etc? Ho abbandonato da tempo quel piano, ma non ne disconosco - per esercizio di realtà - l'influenza sul reale. La FIOM vince nelle fabbriche, ma i patti firmati da altri non le consentono rappresentatività .. come definireste questo? Ok, ci servono anche i soldi delle tessere ... beh? facciamo finta di nulla? non diciamo nulla? Non ci pieghiamo ai diktat governativi, e Monti si permette anche il lusso cattivo di rendere l'onore delle armi, ma dice: andremo avanti. Chi dovrebbe contrastare, in Parlamento? sì, perché nel Paese, noi contrastiamo. Sì che contrastiamo. E con un tasso di amore e di mancata violenza che andrà ricordato come pratica di responsabilità desiderante, un giorno, anche con stupore. Ma .. fino a quando?
(P.M.)
(P.M.)
mercoledì 21 marzo 2012
Franco Astengo: Un tentativo di valutazione politica sulla posizione della CGIL
UN TENTATIVO DI VALUTAZIONE POLITICA SULLA POSIZIONE DELLA CGIL
Al di là del merito relativo all’esito della trattativa tra Governo e parti sociali al riguardo della legislazione afferente il mercato del lavoro, il cui esito può ben essere considerato come quello del superamento dello Statuto dei Lavoratori inteso come atto emblematico di un’intera stagione di lotte e di riforme, ormai definitivamente archiviata, appare necessaria una valutazione di tipo più propriamente politico, riferendoci alla posizione assunta dalla CGIL e resa ancor più forte dalla decisione del Comitato Direttivo di proclamare otto ore di sciopero generale.
Sul senso complessivo di questo confronto è già stato scritto ma mi permetto di ritornarci in modo molto sintetico: questa crisi (di cui non è il caso di ricordare gli elementi scatenanti, ma che ha avuto origine dall’ondata neoliberista degli anni’80, da un gigantesco processo di finanziarizzazione dell’economia a livello globale, dalla costruzione dell’Europa delle banche, ma anche da tanti altri fattori) ha fornito spunto, nel “caso italiano” ma anche altrove, ai sempiterni ceti dominanti di portare avanti, su di un terreno esclusivamente ideologico (a proposito della tanto sbandierata “morte delle ideologie” a uso e consumo della propaganda avversa al movimento operaio) per ristabilire quelle che sono già state definite “condizioni di classe”, riportando all’indietro nel tempo rapporti di forza assolutamente sbilanciati a favore del Capitale, in una fase molto complessa e all’interno di una società articolata, della quale, da parte degli stessi ceti dominanti, vanno “disciplinate” le domande non solo sul piano economico, ma soprattutto sul piano della democrazia e delle possibilità di partecipazione politica.
Nel corso di questa trattativa il gruppo dirigente della CGIL, pur tra esitazioni e ritardi “storici” (non ripercorro qui la storia sindacale degli ultimi 30 anni, dal decreto di San Valentino a oggi: ma ne varrebbe la pena) ha avvertito questo stato di cose (mentre il “caso italiano” appare ormai un “caso” perché collocato alla coda delle vicende europee) e non ha fatto altro che “delimitare il campo”, ritornando proprio a stabilire determinate e precise condizioni di appartenenza sociale e di rappresentanza sindacale.
La CGIL, insomma, ha scelto di non isolarsi dalla propria base sociale e di rappresentarla su di un piano più ampio di quello strettamente sindacale anche al riguardo della mutata articolazione sociale.
Nel far questo, però, la CGIL ha concretamente assunto una funzione di “supplenza” della politica.
Questo elemento, della supplenza, è emerso con grande chiarezza in questi giorni, rendendo ancora più palese (se mai fosse stato possibile) il vuoto politico in cui ci stiamo trovando a sinistra a causa dell’assenza di un soggetto politico nella sinistra italiana che faccia preciso riferimento al movimento dei lavoratori.
Il rapporto diretto con il movimento dei lavoratori, pur nella complessità delle contraddizioni sociali dell’oggi, è la sola strada per ricostruire un soggetto politico fondato su basi di massa, in alternativa immediata con i modelli deleteri del “partito pigliatutti” e del “partito-elettorale-personale” in questo momento disgraziatamente egemoni nel campo democratico e nella sinistra.
Un soggetto politico fondato sulle parti migliori della nostra storia, in grado di porsi l’obiettivo di colmare il vuoto dell’esistente, senza interrogarsi su chi avesse ragione novanta, sessanta o trent’anni fa: in realtà avevamo tutti torto, considerato che ci ritroviamo la destra dei “padroni del vapore” al comando, capace di passare tranquillamente dalla versione populistica (pericolosissima) a quella tecnocratica (meno pericolosa?).
Un riferimento, quello riguardante il movimento dei lavoratori (che ovviamente comprende disoccupati, precari e pensionati, come si diceva una volta: “d’ambo i sessi”) che, ancora qualche settimana fa appariva del tutto limitato e limitante nell’accezione superficiale dei più, ma che oggi mi pare s’imponga con grande chiarezza ed efficacia anche in relazione alle esigenze di sintesi che pure vengono avanti dai diversi movimenti sociali presenti nel Paese, come ad esempio quello dei cosiddetti “benicomunisti” (a questo proposito, sul piano teorico, hanno già risposto bene alcuni proponendo di non andare “oltre” a Marx e a Keynes).
Potrà essere possibile, allora, partendo da questo punto pensare a una ricostruzione di concreta rappresentatività politica capace di misurarsi, da subito, con le novità che il prevedibile riallineamento complessivo del nostro sistema politico presenteranno sulla scena nel breve periodo?
L’occasione del “ricominciare” che dovrebbe realizzarsi nell’occasione del 120 anni dalla fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani (poi dal 1893 Partito Socialista) potrebbe essere colta anche nella direzione che ho cercato di ribadire anche questa volta, ripetendo l’assunto che “alla sinistra italiana va ricordato di essere ancora priva di un adeguato soggetto politico”.
Savona, li 21 marzo 2012 Franco Astengo
Al di là del merito relativo all’esito della trattativa tra Governo e parti sociali al riguardo della legislazione afferente il mercato del lavoro, il cui esito può ben essere considerato come quello del superamento dello Statuto dei Lavoratori inteso come atto emblematico di un’intera stagione di lotte e di riforme, ormai definitivamente archiviata, appare necessaria una valutazione di tipo più propriamente politico, riferendoci alla posizione assunta dalla CGIL e resa ancor più forte dalla decisione del Comitato Direttivo di proclamare otto ore di sciopero generale.
Sul senso complessivo di questo confronto è già stato scritto ma mi permetto di ritornarci in modo molto sintetico: questa crisi (di cui non è il caso di ricordare gli elementi scatenanti, ma che ha avuto origine dall’ondata neoliberista degli anni’80, da un gigantesco processo di finanziarizzazione dell’economia a livello globale, dalla costruzione dell’Europa delle banche, ma anche da tanti altri fattori) ha fornito spunto, nel “caso italiano” ma anche altrove, ai sempiterni ceti dominanti di portare avanti, su di un terreno esclusivamente ideologico (a proposito della tanto sbandierata “morte delle ideologie” a uso e consumo della propaganda avversa al movimento operaio) per ristabilire quelle che sono già state definite “condizioni di classe”, riportando all’indietro nel tempo rapporti di forza assolutamente sbilanciati a favore del Capitale, in una fase molto complessa e all’interno di una società articolata, della quale, da parte degli stessi ceti dominanti, vanno “disciplinate” le domande non solo sul piano economico, ma soprattutto sul piano della democrazia e delle possibilità di partecipazione politica.
Nel corso di questa trattativa il gruppo dirigente della CGIL, pur tra esitazioni e ritardi “storici” (non ripercorro qui la storia sindacale degli ultimi 30 anni, dal decreto di San Valentino a oggi: ma ne varrebbe la pena) ha avvertito questo stato di cose (mentre il “caso italiano” appare ormai un “caso” perché collocato alla coda delle vicende europee) e non ha fatto altro che “delimitare il campo”, ritornando proprio a stabilire determinate e precise condizioni di appartenenza sociale e di rappresentanza sindacale.
La CGIL, insomma, ha scelto di non isolarsi dalla propria base sociale e di rappresentarla su di un piano più ampio di quello strettamente sindacale anche al riguardo della mutata articolazione sociale.
Nel far questo, però, la CGIL ha concretamente assunto una funzione di “supplenza” della politica.
Questo elemento, della supplenza, è emerso con grande chiarezza in questi giorni, rendendo ancora più palese (se mai fosse stato possibile) il vuoto politico in cui ci stiamo trovando a sinistra a causa dell’assenza di un soggetto politico nella sinistra italiana che faccia preciso riferimento al movimento dei lavoratori.
Il rapporto diretto con il movimento dei lavoratori, pur nella complessità delle contraddizioni sociali dell’oggi, è la sola strada per ricostruire un soggetto politico fondato su basi di massa, in alternativa immediata con i modelli deleteri del “partito pigliatutti” e del “partito-elettorale-personale” in questo momento disgraziatamente egemoni nel campo democratico e nella sinistra.
Un soggetto politico fondato sulle parti migliori della nostra storia, in grado di porsi l’obiettivo di colmare il vuoto dell’esistente, senza interrogarsi su chi avesse ragione novanta, sessanta o trent’anni fa: in realtà avevamo tutti torto, considerato che ci ritroviamo la destra dei “padroni del vapore” al comando, capace di passare tranquillamente dalla versione populistica (pericolosissima) a quella tecnocratica (meno pericolosa?).
Un riferimento, quello riguardante il movimento dei lavoratori (che ovviamente comprende disoccupati, precari e pensionati, come si diceva una volta: “d’ambo i sessi”) che, ancora qualche settimana fa appariva del tutto limitato e limitante nell’accezione superficiale dei più, ma che oggi mi pare s’imponga con grande chiarezza ed efficacia anche in relazione alle esigenze di sintesi che pure vengono avanti dai diversi movimenti sociali presenti nel Paese, come ad esempio quello dei cosiddetti “benicomunisti” (a questo proposito, sul piano teorico, hanno già risposto bene alcuni proponendo di non andare “oltre” a Marx e a Keynes).
Potrà essere possibile, allora, partendo da questo punto pensare a una ricostruzione di concreta rappresentatività politica capace di misurarsi, da subito, con le novità che il prevedibile riallineamento complessivo del nostro sistema politico presenteranno sulla scena nel breve periodo?
L’occasione del “ricominciare” che dovrebbe realizzarsi nell’occasione del 120 anni dalla fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani (poi dal 1893 Partito Socialista) potrebbe essere colta anche nella direzione che ho cercato di ribadire anche questa volta, ripetendo l’assunto che “alla sinistra italiana va ricordato di essere ancora priva di un adeguato soggetto politico”.
Savona, li 21 marzo 2012 Franco Astengo
Franco D'Alfonso: Tolosa
vorrei parlare dell'agghiacciante strage di Tolosa.
Quando troveranno questo killer capace di afferrare una bambina di sette
anni per i capelli e spararle alla testa si scoprirà certamente che è
un pazzo , un isolato in preda ad i demoni prodotti da una mente
malata. Non è così.
I fantasmi e gli incubi dei folli hanno radici precise. Che in Europa
si uccida qualcuno in ragione del suo essere ebreo ci dice e ci
conferma che le radici della Shoa non sono state recise del tutto e
che "Mai più!" è un auspicio ancora vuoto.
Non c'è purtroppo dubbio sul fatto che a dare nutrimento a questo
odio, che non è nè cieco nè sconosciuto, c'è da decenni soprattutto
l'atteggiamento verso Israele che va sempre molto oltre la legittima
critica politica e morale. Gli ignobili paragoni fra Israele ed i
nazisti ( a poco serve parlare dei "tedeschi"...) oppure l'accusa di
"genocidio" a carico dell'unico Stato democratico del Medio Oriente,
perfino in questo tempo nel quale in Siria è in atto una mattanza che
ha fatto più morti in meno di un anno di quanto non siano state le
vittime palestinesi dalla guerra del Kippur ad oggi, non sono
solo esercizi di retorica , ma sono una gocce di
fertilizzante assorbite da queste radici che producono frutti
avvelenati in altri da noi.
La razionalità delle argomentazioni non è un manto sufficientemente
largo per coprire gli effetti collaterali.
Franco
Quando troveranno questo killer capace di afferrare una bambina di sette
anni per i capelli e spararle alla testa si scoprirà certamente che è
un pazzo , un isolato in preda ad i demoni prodotti da una mente
malata. Non è così.
I fantasmi e gli incubi dei folli hanno radici precise. Che in Europa
si uccida qualcuno in ragione del suo essere ebreo ci dice e ci
conferma che le radici della Shoa non sono state recise del tutto e
che "Mai più!" è un auspicio ancora vuoto.
Non c'è purtroppo dubbio sul fatto che a dare nutrimento a questo
odio, che non è nè cieco nè sconosciuto, c'è da decenni soprattutto
l'atteggiamento verso Israele che va sempre molto oltre la legittima
critica politica e morale. Gli ignobili paragoni fra Israele ed i
nazisti ( a poco serve parlare dei "tedeschi"...) oppure l'accusa di
"genocidio" a carico dell'unico Stato democratico del Medio Oriente,
perfino in questo tempo nel quale in Siria è in atto una mattanza che
ha fatto più morti in meno di un anno di quanto non siano state le
vittime palestinesi dalla guerra del Kippur ad oggi, non sono
solo esercizi di retorica , ma sono una gocce di
fertilizzante assorbite da queste radici che producono frutti
avvelenati in altri da noi.
La razionalità delle argomentazioni non è un manto sufficientemente
largo per coprire gli effetti collaterali.
Franco
Vittorio Melandri: Le ceneri di Gramsci e.... quelle di Turati
Le ceneri di Gramsci e…. quelle di Turati
Immersi ormai nel tempo del governo degli “ottimati” sembra proprio che ci si debba adeguare.
O si dispone di “credenziali scientifiche”, o si deve tacere, anche se non per sempre, semmai per tutto il tempo necessario a formarsi almeno un poco delle suddette ed indispensabili credenziali, e nel tempo di mezzo ci si affidi all’idolatria dell’autorità riconosciuta, come si sa come si può.
So bene di valere assai poco intellettualmente parlando, e nei panni di cittadino semplice, per lo studioso prof. D’Orsi che di “credenziali scientifiche” dispone “ad abundantiam” continuo a nutrire stima e ammirazione, ma l’articolo per “la Stampa” del 15 marzo scorso, da lui dedicato alla diatriba dialettica che si aperta in seguito al libro di Orsini recensito su la Repubblica da Roberto Saviano, che se non altro ha avuto il merito di svegliare un poco di attenzione per le figure dimenticate (dai cittadini italiani) di Turati e Gramsci, a mio “semplice” parere, abbonda anche di una sorta di malanimo che appare in qualche modo pregiudiziale e che tracima, al momento di definire le……
…. “interessate approvazioni” [per il “Saviano, del tutto ignaro, tanto di Gramsci, quanto di Turati”], “nella residua e un po’ appartata cultura socialista (in particolare sulla mailing list del Circolo Rosselli)”.
Non solo privo di credenziali scientifiche, ma lettore, solo lettore, di qualche pagina di Gramsci, forse abuso dell’art. 21 della nostra Costituzione prendendo ancora la parola, e mi aiuto (giusto per non dare nemmeno l’impressione di voler millantare un credito che non ho) con il “Dizionario Gramsciano – a cura di Guido Liguori e Pasquale Voza, dove alla voce “intransigenza – tolleranza” trovo attribuito a Gramsci ….
“che si può essere intransigenti nell’azione solo se nella discussione si è stati tolleranti”….
Ma poi anche quest’altro pensiero….
“… non deve esserci tolleranza alcuna «per l’errore, per lo sproposito», giacché «libertà di pensiero non significa libertà di errare e spropositare».
Ed io capisco che bisogna essere “intolleranti” quindi per l’errore, ma leggo ancora che Gramsci…. concepiva come….
“unica intolleranza da avversare quella che è il portato «dell’autoritarismo o dell’idolatria […]»
Insomma come è umano che sia, anche nella mente di un genio, un bel guazzabuglio, dove una idea si ribalta nel suo contrario e poi di nuovo nel contrario del contrario.
In un mio imprudente intervento precedente ho sostenuto che Roberto Saviano (per quanto sia a digiuno di studi gramsciani) abbia aiutato i riformisti a sentirsi meno soli, anche sottolineando come……
“il pensiero di Gramsci non potesse essere confinato nel tratto violento, [preso a riferimento per il suo saggio da Alessandro Orsini per il suo libro intitolato Gramsci e Turati. Le due sinistre (Rubettino)] perchè “le sue parole risentivano l’influenza della retorica politica dell’epoca, che era (non solo a sinistra) accesa, virulenta, pirotecnica”.
Le critiche formulate dal prof. D’Orsi sono certamente in linea con il Gramsci che si voleva intollerante con l’errore, ma perdono di vista a mio modestissimo parere che proprio praticando a sua volta quella rimozione della contestualizzazione, che addebita a Orsini e a Saviano di conseguenza, anche lui confina “tutto intero” l’altro, nel tratto più stupido (che non di rado poi sfocia anche in violenza di vario tipo) che appunto nell’altro fatalmente scorge…. e sottovaluta il ruolo che i “comunisti” di oggi continuano ad avere, nel cercare di rendere la cultura socialista sempre più residuale e appartata.
A mio parere, perchè con ogni probabilità con Grasmci, magari un Gramsci rimasticato non a sufficienza ma spacciato come maestro, considerano tuttora la cultura socialista un errore spropositato verso cui marcare intolleranza… e questo non aiuta in Italia, la rinascita dalle sue ceneri di una “sinistra” senza aggettivi, ma che inevitabilmente nel socialismo e nella sua frazione comunista, non può che affondare le radici.
Se mi si perdona l’ardire, anche delle “ceneri di Gramsci” si potrebbe fare da parte di tutti miglior uso, e se proprio non ci si riesce, ci si ristori almeno con quelle cantate da Pier Paolo Pasolini.
Vittorio Melandri
Immersi ormai nel tempo del governo degli “ottimati” sembra proprio che ci si debba adeguare.
O si dispone di “credenziali scientifiche”, o si deve tacere, anche se non per sempre, semmai per tutto il tempo necessario a formarsi almeno un poco delle suddette ed indispensabili credenziali, e nel tempo di mezzo ci si affidi all’idolatria dell’autorità riconosciuta, come si sa come si può.
So bene di valere assai poco intellettualmente parlando, e nei panni di cittadino semplice, per lo studioso prof. D’Orsi che di “credenziali scientifiche” dispone “ad abundantiam” continuo a nutrire stima e ammirazione, ma l’articolo per “la Stampa” del 15 marzo scorso, da lui dedicato alla diatriba dialettica che si aperta in seguito al libro di Orsini recensito su la Repubblica da Roberto Saviano, che se non altro ha avuto il merito di svegliare un poco di attenzione per le figure dimenticate (dai cittadini italiani) di Turati e Gramsci, a mio “semplice” parere, abbonda anche di una sorta di malanimo che appare in qualche modo pregiudiziale e che tracima, al momento di definire le……
…. “interessate approvazioni” [per il “Saviano, del tutto ignaro, tanto di Gramsci, quanto di Turati”], “nella residua e un po’ appartata cultura socialista (in particolare sulla mailing list del Circolo Rosselli)”.
Non solo privo di credenziali scientifiche, ma lettore, solo lettore, di qualche pagina di Gramsci, forse abuso dell’art. 21 della nostra Costituzione prendendo ancora la parola, e mi aiuto (giusto per non dare nemmeno l’impressione di voler millantare un credito che non ho) con il “Dizionario Gramsciano – a cura di Guido Liguori e Pasquale Voza, dove alla voce “intransigenza – tolleranza” trovo attribuito a Gramsci ….
“che si può essere intransigenti nell’azione solo se nella discussione si è stati tolleranti”….
Ma poi anche quest’altro pensiero….
“… non deve esserci tolleranza alcuna «per l’errore, per lo sproposito», giacché «libertà di pensiero non significa libertà di errare e spropositare».
Ed io capisco che bisogna essere “intolleranti” quindi per l’errore, ma leggo ancora che Gramsci…. concepiva come….
“unica intolleranza da avversare quella che è il portato «dell’autoritarismo o dell’idolatria […]»
Insomma come è umano che sia, anche nella mente di un genio, un bel guazzabuglio, dove una idea si ribalta nel suo contrario e poi di nuovo nel contrario del contrario.
In un mio imprudente intervento precedente ho sostenuto che Roberto Saviano (per quanto sia a digiuno di studi gramsciani) abbia aiutato i riformisti a sentirsi meno soli, anche sottolineando come……
“il pensiero di Gramsci non potesse essere confinato nel tratto violento, [preso a riferimento per il suo saggio da Alessandro Orsini per il suo libro intitolato Gramsci e Turati. Le due sinistre (Rubettino)] perchè “le sue parole risentivano l’influenza della retorica politica dell’epoca, che era (non solo a sinistra) accesa, virulenta, pirotecnica”.
Le critiche formulate dal prof. D’Orsi sono certamente in linea con il Gramsci che si voleva intollerante con l’errore, ma perdono di vista a mio modestissimo parere che proprio praticando a sua volta quella rimozione della contestualizzazione, che addebita a Orsini e a Saviano di conseguenza, anche lui confina “tutto intero” l’altro, nel tratto più stupido (che non di rado poi sfocia anche in violenza di vario tipo) che appunto nell’altro fatalmente scorge…. e sottovaluta il ruolo che i “comunisti” di oggi continuano ad avere, nel cercare di rendere la cultura socialista sempre più residuale e appartata.
A mio parere, perchè con ogni probabilità con Grasmci, magari un Gramsci rimasticato non a sufficienza ma spacciato come maestro, considerano tuttora la cultura socialista un errore spropositato verso cui marcare intolleranza… e questo non aiuta in Italia, la rinascita dalle sue ceneri di una “sinistra” senza aggettivi, ma che inevitabilmente nel socialismo e nella sua frazione comunista, non può che affondare le radici.
Se mi si perdona l’ardire, anche delle “ceneri di Gramsci” si potrebbe fare da parte di tutti miglior uso, e se proprio non ci si riesce, ci si ristori almeno con quelle cantate da Pier Paolo Pasolini.
Vittorio Melandri
martedì 20 marzo 2012
Pierpaolo Pecchiari: Sea e la trappola della disinformazione
SEA e la trappola della disinformazione.
pubblicata da Pierpaolo Pecchiari il giorno martedì 20 marzo 2012 alle ore 14.07 ·
.
Un interessante e ben costruito articolo su SEA, pubblicato oggi nelle pagine milanesi di Repubblica, consente di fare il punto su una serie di questioni. L'articolo tende a dare di SEA l'immagine di un'azienda appannata e in difficoltà. In realtà siamo di fronte ad un capolavoro di disinformazione. Analizziamo le diverse questioni, punto per punto.
1.Prospettive, calo di traffico e dualismo Linate-Malpensa.Le prospettive di SEA sono legate al rilancio di Malpensa. La cosa è talmente evidente che discutere di altro non ha senso. E non ha senso evidenziare risultati meno brillanti per SEA negli ultimi anni, quando le vicende di Alitalia hanno determinato la scomparsa di più di 600 voli da Malpensa, di punto in bianco, in un sol giorno.Città europee paragonabili a Milano - per dimensione e per la loro funzione di "nodo di reti globali" hanno due o addirittura tre aeroporti. Spacciare come irrisolvibile la questione della convivenza tra Malpensa e Linate è un esercizio di fumisteria e di sofismo.
2.Contratto di programma: "una paccata di soldi" (dello Stato) per investimentiIl CdP sbloccherebbe 1.5 miliardi di Euro per investimenti. L'iter burocratico è stato completato nel Settembre scorso. Mancano le firme di Monti (due, in qualità di Presidente del Consiglio e di Ministro dell'Economia) e di Corrado Passera (Ministro delle infrastrutture e dei trasporti).Si tratta risorse finanziarie provenienti dalle casse dello Stato: per i futuri investimenti il Comune non dovrà sborsare una Lira, un altro esempio di disinformazione circolato abbondantemente negli ultimi mesi. E ill CdP non è stato bloccato per incongruenze rispetto alla normativa comunitaria che, come è stato più volte dimostrato, non sussitono; ma per l'intervento, tutto politico, del ministro delle infrastrutture e trasporti, Corrado Passera. Che guarda caso è stato il regista finanziario dell'operazione CAI/Alitalia. E al cui soccorso è inopinatamente intervenuto l'assessore al Bilancio Bruno Tabacci. Strana scelta quella di chi, dovendo cedere un'azienda, anziché dare battaglia per valorizzarla al massimo, si schiera con chi ne ostacola lo sviluppo. Ma questo è un altro discorso...
3.Il piano di rilancio di Malpensa e i suoi nemiciLe condizioni per rilanciare SEA ci sono tutte. Purtroppo tutte le manovre che vengono fatte su SEA hanno il solo scopo di impedire che Malpensa diventi la base delle operazioni europee di qualche grande vettore internazionale. Bonomi ci ha provato - e ci sarebbe anche riuscito se non fosse stato per le interferenze "romane": con Singapore Airlines e, prima ancora, con Emirates. Per bloccare Singapore Airlines - che già ipotizzava di poter spostare le sue operazioni europee da Francoforte a Malpensa - Corrado Passera ha citato non meglio precisati "ostacoli burocratici" derivanti dalla normativa comunitaria. Una colossale panzana, come molti hanno dimostrato.Purtroppo per SEA, CAI/Alitalia e i suoi sodali e protettori hanno ben chiaro quale è lo scenario da incubo che si potrebbe realizzare in un contesto in cui lacci e lacciuoli sono fatti saltare, SEA può muoversi liberamente e il mercato del trasporto aereo diventa concorrenziale. Un vettore internazionale insediato a Malpensa, e la contestuale liberalizzazione della rotta Milano-Roma da Linate (Antitrust ha già aperto un dossier contro CAI/Alitalia per abuso di posizione dominante, con riferimento soprattutto a Linate) segnerebbero la condanna a morte di CAI/Alitalia, con ingenti perdite per la banche "amiche" e per i sedicenti "capitani coraggiosi", determinando una situazione decisamente imbarazzante per i registi politici, finanziari e industriali di quella scellerata operazione...Da notare, infatti, che nella sua breve ma intensa storia CAI/Alitalia, benché ridotta al rango di compagnia regionale relativamente asfittica, ha già accumulato, in soli tre anni, un indebitamento di 900 milioni e dimezzato il proprio patrimonio netto.
4.F2I: "al servizio del Re di Prussia"? F2I avrà anche ottimi piani per altri settori industriali, ma per quanto riguarda gli aeroporti la cosa è tutta da dimostrare.Un giorno Gamberale immagina "sinergie" tra il sistema aeroportuale milanese, Torino-Caselle e Napoli-Capodichino; il giorno dopo vagheggia di fare di Genova l'hub aeroportuale del Mediterraneo (Malpensa sarebbe forse quello Padano?). Che razza di piano industriale è mai questo?Da notare che nell'azione di F2I in campo aeroportuale una costante c'è sempre. Sia su Milano che su Genova (gara fatta saltare all'ultimo momento con accuse stravaganti alla proprietà pubblica) che su Torino (lite con i Benetton, convinti di avere una prelazione) F2I è riuscita a creare pasticci e confusione.Il timore che F2I sia interessata, più che al riassetto del sistema aeroportuale del Nord Italia, a tenere buoni rapporti con i potenti che non vedono l'ora di mettere una pietra tombale su Malpensa, pur di assicurare una stentata sopravvivenza a CAI/Alitalia, mettendosi al loro servizio, è più che giustificato. La redditività dell'investimento sarebbe comunque assicurata (SEA nonostante tutto continua a fare profitti), soprattutto se fosse possibile terziarizzare o precarizzare i lavoratori non qualificati di SEA Handling, sulla falsariga di quanto già accaduto in altre situazioni (Roma e Napoli). In quest'ottica, il fatto che il Comune di Milano sembri aver accettato la nomina dell'ex direttore finanziario di Piaggio, Pallottini, proposto da F2I per l'analoga posizione in SEA, appare una scelta suicida; ed è incredibile che la giunta non abbia colto l'enormità insita nel dare quella posizione a una persona legata a filo doppio a Colaninno, il regista industriale dell'operazione CAI/Alitalia, "eroe" negativo di tante "privatizzazioni all'Italiana" (Telecom e Alitalia per tutte).
5.A che gioco giochiamo? Quella su SEA è una partita politica nazionale, che ha per posta il riassetto del sistema aeroportuale e il blocco della liberalizzazione del mercato del trasporto aereo. Ed è una partita in cui entrano in gioco interessi miliardari. Una partita che è essenziale giocare al meglio, sapendo che le forze politiche milanesi ed il sindacato dovranno andare ad uno scontro durissimo. Il bilancio del Comune di Milano e la necessità di reperire risorse per gli "investimenti" sono, invece, tutta fumisteria. Ed è un peccato che in consiglio comunale e in giunta ben pochi sembrino essersene accorti.
Pierpaolo Pecchiari
SEA: il 2011 chiude in crescita ma adesso la strada è in salita (Repubblica, 21 Marzo 2012)
Alitalia: parte il dopo Sabelli (Sole 24 Ore, 11 Febbraio 2012)
Malpensa: sulla Singapore Airlines un silenzio assordante (Varese News, 27 Febbraio 2012)Benetton stoppa Gamberale "Fassino non sta ai patti" (la Stampa, 8 Marzo 2012)
pubblicata da Pierpaolo Pecchiari il giorno martedì 20 marzo 2012 alle ore 14.07 ·
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Un interessante e ben costruito articolo su SEA, pubblicato oggi nelle pagine milanesi di Repubblica, consente di fare il punto su una serie di questioni. L'articolo tende a dare di SEA l'immagine di un'azienda appannata e in difficoltà. In realtà siamo di fronte ad un capolavoro di disinformazione. Analizziamo le diverse questioni, punto per punto.
1.Prospettive, calo di traffico e dualismo Linate-Malpensa.Le prospettive di SEA sono legate al rilancio di Malpensa. La cosa è talmente evidente che discutere di altro non ha senso. E non ha senso evidenziare risultati meno brillanti per SEA negli ultimi anni, quando le vicende di Alitalia hanno determinato la scomparsa di più di 600 voli da Malpensa, di punto in bianco, in un sol giorno.Città europee paragonabili a Milano - per dimensione e per la loro funzione di "nodo di reti globali" hanno due o addirittura tre aeroporti. Spacciare come irrisolvibile la questione della convivenza tra Malpensa e Linate è un esercizio di fumisteria e di sofismo.
2.Contratto di programma: "una paccata di soldi" (dello Stato) per investimentiIl CdP sbloccherebbe 1.5 miliardi di Euro per investimenti. L'iter burocratico è stato completato nel Settembre scorso. Mancano le firme di Monti (due, in qualità di Presidente del Consiglio e di Ministro dell'Economia) e di Corrado Passera (Ministro delle infrastrutture e dei trasporti).Si tratta risorse finanziarie provenienti dalle casse dello Stato: per i futuri investimenti il Comune non dovrà sborsare una Lira, un altro esempio di disinformazione circolato abbondantemente negli ultimi mesi. E ill CdP non è stato bloccato per incongruenze rispetto alla normativa comunitaria che, come è stato più volte dimostrato, non sussitono; ma per l'intervento, tutto politico, del ministro delle infrastrutture e trasporti, Corrado Passera. Che guarda caso è stato il regista finanziario dell'operazione CAI/Alitalia. E al cui soccorso è inopinatamente intervenuto l'assessore al Bilancio Bruno Tabacci. Strana scelta quella di chi, dovendo cedere un'azienda, anziché dare battaglia per valorizzarla al massimo, si schiera con chi ne ostacola lo sviluppo. Ma questo è un altro discorso...
3.Il piano di rilancio di Malpensa e i suoi nemiciLe condizioni per rilanciare SEA ci sono tutte. Purtroppo tutte le manovre che vengono fatte su SEA hanno il solo scopo di impedire che Malpensa diventi la base delle operazioni europee di qualche grande vettore internazionale. Bonomi ci ha provato - e ci sarebbe anche riuscito se non fosse stato per le interferenze "romane": con Singapore Airlines e, prima ancora, con Emirates. Per bloccare Singapore Airlines - che già ipotizzava di poter spostare le sue operazioni europee da Francoforte a Malpensa - Corrado Passera ha citato non meglio precisati "ostacoli burocratici" derivanti dalla normativa comunitaria. Una colossale panzana, come molti hanno dimostrato.Purtroppo per SEA, CAI/Alitalia e i suoi sodali e protettori hanno ben chiaro quale è lo scenario da incubo che si potrebbe realizzare in un contesto in cui lacci e lacciuoli sono fatti saltare, SEA può muoversi liberamente e il mercato del trasporto aereo diventa concorrenziale. Un vettore internazionale insediato a Malpensa, e la contestuale liberalizzazione della rotta Milano-Roma da Linate (Antitrust ha già aperto un dossier contro CAI/Alitalia per abuso di posizione dominante, con riferimento soprattutto a Linate) segnerebbero la condanna a morte di CAI/Alitalia, con ingenti perdite per la banche "amiche" e per i sedicenti "capitani coraggiosi", determinando una situazione decisamente imbarazzante per i registi politici, finanziari e industriali di quella scellerata operazione...Da notare, infatti, che nella sua breve ma intensa storia CAI/Alitalia, benché ridotta al rango di compagnia regionale relativamente asfittica, ha già accumulato, in soli tre anni, un indebitamento di 900 milioni e dimezzato il proprio patrimonio netto.
4.F2I: "al servizio del Re di Prussia"? F2I avrà anche ottimi piani per altri settori industriali, ma per quanto riguarda gli aeroporti la cosa è tutta da dimostrare.Un giorno Gamberale immagina "sinergie" tra il sistema aeroportuale milanese, Torino-Caselle e Napoli-Capodichino; il giorno dopo vagheggia di fare di Genova l'hub aeroportuale del Mediterraneo (Malpensa sarebbe forse quello Padano?). Che razza di piano industriale è mai questo?Da notare che nell'azione di F2I in campo aeroportuale una costante c'è sempre. Sia su Milano che su Genova (gara fatta saltare all'ultimo momento con accuse stravaganti alla proprietà pubblica) che su Torino (lite con i Benetton, convinti di avere una prelazione) F2I è riuscita a creare pasticci e confusione.Il timore che F2I sia interessata, più che al riassetto del sistema aeroportuale del Nord Italia, a tenere buoni rapporti con i potenti che non vedono l'ora di mettere una pietra tombale su Malpensa, pur di assicurare una stentata sopravvivenza a CAI/Alitalia, mettendosi al loro servizio, è più che giustificato. La redditività dell'investimento sarebbe comunque assicurata (SEA nonostante tutto continua a fare profitti), soprattutto se fosse possibile terziarizzare o precarizzare i lavoratori non qualificati di SEA Handling, sulla falsariga di quanto già accaduto in altre situazioni (Roma e Napoli). In quest'ottica, il fatto che il Comune di Milano sembri aver accettato la nomina dell'ex direttore finanziario di Piaggio, Pallottini, proposto da F2I per l'analoga posizione in SEA, appare una scelta suicida; ed è incredibile che la giunta non abbia colto l'enormità insita nel dare quella posizione a una persona legata a filo doppio a Colaninno, il regista industriale dell'operazione CAI/Alitalia, "eroe" negativo di tante "privatizzazioni all'Italiana" (Telecom e Alitalia per tutte).
5.A che gioco giochiamo? Quella su SEA è una partita politica nazionale, che ha per posta il riassetto del sistema aeroportuale e il blocco della liberalizzazione del mercato del trasporto aereo. Ed è una partita in cui entrano in gioco interessi miliardari. Una partita che è essenziale giocare al meglio, sapendo che le forze politiche milanesi ed il sindacato dovranno andare ad uno scontro durissimo. Il bilancio del Comune di Milano e la necessità di reperire risorse per gli "investimenti" sono, invece, tutta fumisteria. Ed è un peccato che in consiglio comunale e in giunta ben pochi sembrino essersene accorti.
Pierpaolo Pecchiari
SEA: il 2011 chiude in crescita ma adesso la strada è in salita (Repubblica, 21 Marzo 2012)
Alitalia: parte il dopo Sabelli (Sole 24 Ore, 11 Febbraio 2012)
Malpensa: sulla Singapore Airlines un silenzio assordante (Varese News, 27 Febbraio 2012)Benetton stoppa Gamberale "Fassino non sta ai patti" (la Stampa, 8 Marzo 2012)
lunedì 19 marzo 2012
Andrea Ermano: Con la maggiore oggettività possibile
Dal sito dell'Avvenire dei lavoratori
EDITORIALE
--------------------------------------------------------------------------------
Con la maggiore
oggettività possibile
--------------------------------------------------------------------------------
di Andrea Ermano
--------------------------------------------------------------------------------
Nessun avversario del Pd, eccetto il Pd stesso, avrebbe saputo manovrare questa grande forza politica nella morsa in cui essa, serenamente, pacatamente, si è venuta a trovare. E nella quale il suo segretario, Pierluigi Bersani, deve ora guardarsi dal venire accostato a Walter Veltroni nei panni del leader di un partito “di destra”, e sia pure di una destra decente. Perché, se ciò accadesse, s’innescherebbe un’emorragia elettorale verso SEL-IDV e verso il non-voto, con effetti esiziali non solo per il Pd.
Presi tra due fuochi, i democrats devono affrettarsi a “rientrare” nella loro tradizionale area di consenso, che è il popolo di sinistra, con buona pace del tentativo orwelliano di cancellare la “sinistra” dai dizionari e dalle istituzioni politiche della neo-lingua nazionale.
Eugenio Scalfari assevera che il Pd è, ça va sans dire, "un partito liberal-socialista". Laddove il liberal-socialismo, sostiene, è come un cappuccino, gustosa miscela di latte e caffè. Caffè che simboleggia il socialismo. E, in nome di questo “caffè”, il governatore pugliese Nichi Vendola dovrebbe chiedere, sempre secondo Scalfari, la tessera del Pd. Se Vendola entrasse nel Pd, e se lo facesse “per accrescere la dose di caffè in quel cappuccino, credo che sarebbe un fatto positivo”, conclude il fondatore de La Repubblica in un editoriale nel quale egli si richiama a Norberto Bobbio, Guido Calogero, Carlo Rosselli, Piero Gobetti, Filippo Turati e, insomma, a tutti i padri illustri del cappuccino italiano.
Alcuni amici stranieri mi hanno chiesto di spiegargli questa metafora scalfariana che a me pare stupefacente non per “l’esempio pedestre”, quanto per la conversione di centottanta gradi che essa veicola. Non aveva, l’autorevole editorialista, bruscamente redarguito il Pd solo pochi giorni fa a causa delle intemperanze filo-socialiste di parte del suo gruppo dirigente? Ieri il latte non era bianco abbastanza. Oggi manca di caffè. Che la stessa persona in fatto di cappuccini cambi idea cosi frequentemente, mi stupisce non poco.
Gli amici stranieri si sono detti stupiti del mio stupore, essendo che “ovunque i giornali fondano le loro fortune sulla debolezza del cervello umano, mentre l’opinione pubblica occidentale dimentica quel che loro scrivono prima ancora d’averlo letto”, dicono loro.
Ad ogni modo ecco le conclusioni cui giunge Scalfari: “Il Pd deve restare un partito liberalsocialista se vuole vincere. Ma nulla vieta che la quantità di latte e di caffè nella miscela possano cambiare”. E ciò conclude dopo averci assicurato di avere riflettuto “con la maggiore oggettività possibile”. È come se Scalfari ammettesse l’esistenza di un oggettività un po’ diversa dalle preferenze del soggetto. Ergo, c’è dell’onestà intellettuale in quest’assicurazione. E noi, si parva licet, ce ne sentiamo rassicurati.
Dopodiché, il centro-sinistra italiano alle elezioni politiche potrà vincere o perdere o pareggiare. Dipenderà anche dal grado di eventuale distorsività maggioritaria della nuova legge elettorale, se ci sarà ancora una volta una legge elettorale in sostanziale dissidio con l’impianto della nostra Costituzione. (Qualora nel 1994 si fosse votato con la proporzionale, avremmo probabilmente avuto un governo di coalizione Martinazzoli-Occhetto: niente di entusiasmante, ma sempre meglio di Berlusconi).
Che alle elezioni del 2013 il centro-sinistra vinca, perda o pareggi – e che ne esca un governo di centro-sinistra, centro-destra o di grosse Koalition – la sinistra italiana farebbe un piacere a se stessa, e al Paese, se ritornasse unita, non necessariamente unita nello stesso partito, no: unita al governo oppure unita all’opposizione.
EDITORIALE
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Con la maggiore
oggettività possibile
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di Andrea Ermano
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Nessun avversario del Pd, eccetto il Pd stesso, avrebbe saputo manovrare questa grande forza politica nella morsa in cui essa, serenamente, pacatamente, si è venuta a trovare. E nella quale il suo segretario, Pierluigi Bersani, deve ora guardarsi dal venire accostato a Walter Veltroni nei panni del leader di un partito “di destra”, e sia pure di una destra decente. Perché, se ciò accadesse, s’innescherebbe un’emorragia elettorale verso SEL-IDV e verso il non-voto, con effetti esiziali non solo per il Pd.
Presi tra due fuochi, i democrats devono affrettarsi a “rientrare” nella loro tradizionale area di consenso, che è il popolo di sinistra, con buona pace del tentativo orwelliano di cancellare la “sinistra” dai dizionari e dalle istituzioni politiche della neo-lingua nazionale.
Eugenio Scalfari assevera che il Pd è, ça va sans dire, "un partito liberal-socialista". Laddove il liberal-socialismo, sostiene, è come un cappuccino, gustosa miscela di latte e caffè. Caffè che simboleggia il socialismo. E, in nome di questo “caffè”, il governatore pugliese Nichi Vendola dovrebbe chiedere, sempre secondo Scalfari, la tessera del Pd. Se Vendola entrasse nel Pd, e se lo facesse “per accrescere la dose di caffè in quel cappuccino, credo che sarebbe un fatto positivo”, conclude il fondatore de La Repubblica in un editoriale nel quale egli si richiama a Norberto Bobbio, Guido Calogero, Carlo Rosselli, Piero Gobetti, Filippo Turati e, insomma, a tutti i padri illustri del cappuccino italiano.
Alcuni amici stranieri mi hanno chiesto di spiegargli questa metafora scalfariana che a me pare stupefacente non per “l’esempio pedestre”, quanto per la conversione di centottanta gradi che essa veicola. Non aveva, l’autorevole editorialista, bruscamente redarguito il Pd solo pochi giorni fa a causa delle intemperanze filo-socialiste di parte del suo gruppo dirigente? Ieri il latte non era bianco abbastanza. Oggi manca di caffè. Che la stessa persona in fatto di cappuccini cambi idea cosi frequentemente, mi stupisce non poco.
Gli amici stranieri si sono detti stupiti del mio stupore, essendo che “ovunque i giornali fondano le loro fortune sulla debolezza del cervello umano, mentre l’opinione pubblica occidentale dimentica quel che loro scrivono prima ancora d’averlo letto”, dicono loro.
Ad ogni modo ecco le conclusioni cui giunge Scalfari: “Il Pd deve restare un partito liberalsocialista se vuole vincere. Ma nulla vieta che la quantità di latte e di caffè nella miscela possano cambiare”. E ciò conclude dopo averci assicurato di avere riflettuto “con la maggiore oggettività possibile”. È come se Scalfari ammettesse l’esistenza di un oggettività un po’ diversa dalle preferenze del soggetto. Ergo, c’è dell’onestà intellettuale in quest’assicurazione. E noi, si parva licet, ce ne sentiamo rassicurati.
Dopodiché, il centro-sinistra italiano alle elezioni politiche potrà vincere o perdere o pareggiare. Dipenderà anche dal grado di eventuale distorsività maggioritaria della nuova legge elettorale, se ci sarà ancora una volta una legge elettorale in sostanziale dissidio con l’impianto della nostra Costituzione. (Qualora nel 1994 si fosse votato con la proporzionale, avremmo probabilmente avuto un governo di coalizione Martinazzoli-Occhetto: niente di entusiasmante, ma sempre meglio di Berlusconi).
Che alle elezioni del 2013 il centro-sinistra vinca, perda o pareggi – e che ne esca un governo di centro-sinistra, centro-destra o di grosse Koalition – la sinistra italiana farebbe un piacere a se stessa, e al Paese, se ritornasse unita, non necessariamente unita nello stesso partito, no: unita al governo oppure unita all’opposizione.
domenica 18 marzo 2012
Franco Bartolomei: I lineamenti di un nuovo modello di sviluppo
I Lineamenti di un possibile Modello di Sviluppo Alternativo per la Sinistra..
pubblicata da Franco Bartolomei il giorno domenica 18 marzo 2012 alle ore 12.05 ·
.
I LINEAMENTI DI UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO .
RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL SEMINARIO DELLE ASSOCIAZIONI SOCIALISTE del 23/3/2012
Il modello di sviluppo attuale ,oggi in corto circuito, vittima degli stessi squilibri finanziari che ne hanno rappresentato uno dei fondamentali elementi costitutivi , si dimostra non piu' in condizione di garantire quei livelli di crescita necessari al mantenimento dell'equilibrio sociale su cui l'occidente democratico ha costruito il suo modello di societa', e pone a tutta la Sinistra , con urgenza, la grande questione della trasformazione strutturale di un sistema di rapporti economici finanziari e sociali che distrugge la ricchezza sociale ed espropria il valore del lavoro e della vita degli individui .
Questa nuova consapevolezza diffusa dei limiti di un sistema economico integrato a livello sovranazionale, in cui l'elemento finanziario agisce ormai in contrasto con gli interessi, reali e concreti, delle comunità dei produttori, dei lavoratori e degli stessi imprenditori, può infatti costituire la base sociale di un nuovo grande patto democratico, nei popoli e tra i popoli, verso un nuovo modello di rapporti economici e sociali, in cui l'economia reale, la qualità concreta dei rapporti interpersonali, sociali, e produttivi, i parametri di valutazione della ricchezza sociale effettivamente goduta dai cittadini, la riqualificazione dei consumi all'interno di un più generale processo di maturazione culturale delle società sviluppate, e sopratutto la centralita' dei meccanismi e dei sistemi redistributivi della ricchezza socialmente prodotta, anche come protezione sistemica al calo tendenziale dei tassi quantitativi della crescita, possono tornare ad essere le pietre angolari di un progetto di rinascita democratica della società.
Per la Sinistra la soluzione alla crisi del sistema non deve quindi essere la concentrazione delle politiche economiche sulla sterilizzazione del debito sovrano , che porterebbe alla impossibilita di realizzare qualsiasi possibile intervento pubblico sui rapporti economici in grado di riprogrammare le scelte complessive di modello, ma la individuazione di un nuovo modello di sviluppo fondato su diversi criteri valutativi della crescita economica , che salvi l'equilibrio sociale attraverso il mantenimento di alti livelli redistributivi della ricchezza sociale diversamente prodotta, e valutata in base a differenti parametri di riferimento sociale a fronte di una restrizione tendenziale di una crescita fondata sui tradizionali parametri quantitativi.
Un nuovo modello di rapporto tra Pubblico e Privato , e tra SOVRANITA’, statuale o sovrastatuale, e finanza e mercati , che deve nascere dalla eliminazione di tutte le nuove norme costituzionali ( art 81 cost), o communitarie ( fiscal compact) indrodotte a garanzia forzosa di un pareggio di bilancio degli stati che non distinguono tra spesa corrente e spesa per investimenti, che hanno solo la finalita’ di azzerare i poteri di intervento pubblico in economia e di generare una assoluta dipendenza dell’investimento priduttivo dal sistema creditizio privato , ed in ultima analisi dagli organismi finanziari e bancari globali ,che in qualita’ di tecnostrutture libere da condizionamenti statuali ne organizzano a livello superiore gli indirizzi di azione e la supervisione funzionale. l .
Un nuovo modello di sviluppo da realizzare nel quadro di una piena assunzione di poteri esecutivi e legislativi da parte degli organi di rappresentanza democratica della Unione europea , le cui linee portanti possono fin da ora essere delineate, fondato sull’inversione delle regole che hanno governato le economie dei paesi sviluppati negli ultimi 20 anni ,e sulla riforma radicale della struttura dei modelli sociali costruiti sulle compatibilita’ con un mercato pienamente sovrano funzionalizzato alla garanzia assoluta del profitto nell’investimento finanziario, assunto ad elemento centrale del processo di creazione della ricchezza sociale ,strutturalmente destinato, direttamente o attraverso l’indebitamento diffuso dei consumatori , al sostegno della domanda, in sostituzione della crescita progressiva e tendenziale del reddito del lavoro che costituiva l’elemento centrale del precedente modello Keynesiano.
Un nuovo modello da costruire attraverso UNA POLITICA DI RIFORME DI STRUTTURA, concertata a livello europeo dalle forze del Socialismo Democratico e dalle altre forze della sinistra, fondata innanzi tutto sul recupero di una sovranita’ delle istituzioni governative , Europee o Statuali, sul governo complessivo dell’indirizzo dei processi monetari comunitari , in grado di consentire, o il recupero di autonomia monetaria e fiscale delle autorità statuali in un quadro di rinnovata ed ampia libera contrattualità con gli istituti di controllo monetari sopranazionali e comunitari ,all’interno di una logica espansiva delle capacita’ produttive dei paesi aderenti al sistema., o l’assunzione a livello comunitario del debito degli stati ,con la liberazione delle economie nazionali dal peso di interessi determinati dal mercato dei capitali privati e dalle valutazioni speculative delle agenzie di rating, e la contemporanea attribuzione al nuovo governo comunitario del compito di riprogrammare e attuare uno sviluppo omogeneo di tutta la realta’ economica e produttiva europea in forma integrata e compatibile con le possibilita’ e le specifiche particolarita’ di tutte le aree omogenee che ad essa appartengono.
Una trasformazione strutturale del modello liberista che dalla riappropriazione delle politiche fiscali e monetarie passi alla costruzione, a livello comunitario e dei singoli stati ,di un sistema istituzionale di programmazione dello sviluppo, ,intergrato e rappresentativo, di natura politica e non solo tecnica , dotato di poteri vincolanti per realizzare i piani generali di una programmazione comunitaria degli indirizzi produttivi , articolati in piani regionali contrattati con i singoli stati nazionali ,vincolanti per gli operatori economici privati e le istituzioni finanziarie del credito , le cui scelte generali di investimento debbono essere oggetto di verifiche in ordine alle loro compatibilita’ di piano..
Un sistema di programmazione democratica degli indirizzi economici e delle conseguenti forme sociali, in grado di introdurre criteri di ridistribuzione interna delle risorse in ragione della loro finalizzazione alle scelte economiche programmate attraverso una riappropriazione sociale dei giudizi di valore sulla qualità dei processi di sviluppo economico, attraverso la realizzazione di nuove forme istituzionali di controllo delle scelte degli operatori e di verifica delle variabili economiche, orientate a garantire gli interessi generali della comunità civile.
Un nuovo modello di sviluppo che riassegnando ai poteri statuali, espressione della sovranita’ popolare democraticamente espressa, il diritto- dovere di dettare le regole dei rapporti economici e la selezione delle priorita’ sociali, attraverso il recupero di una politica di programmazione europea delle scelte economiche che qualifichi diversamente gli obiettivi della crescita economica, valutandone la congruita’ secondo nuovi parametri informati a criteri di qualità sociale dello sviluppo ( es : il QUARS) ,non più ancorati rigidamente ad indistinti criteri esclusivamente quantitativi connessi meccanicamente al tradizionale parametro del prodotto interno lordo. (P:I:L:).
Un modello economico che inverta il processo di privatizzazioni che ha caratterizzato l’esperienza neo-liberista,. realizzando:
1) una generale RIPUBBLICIZZAZIONE DI TUTTE LE RETI ED INFRASTRUTTURE DI INTERESSE COLLETTIVO, I CUI INTROITI, FRUTTO DI UNA NATURALE TARIFFAZIONE DI TIPO MONOPOLISTA; DEBBONO TORNARE AD ESSERE UNA ENTRATA PUBBLICA, diretta a sostenere PROVVEDIMENTI DI SPESA di intervento pubblico in economia FINALIZZATI A SCELTE ECONOMICHE; SOCIALI, e PRODUTTIVE DI INTERESSE PUBBLICO, assunte e coordinate in base alle soluzioni individuate dagli istituti di PROGRAMMAZIONE.
2) La NAZIONALIZZAZIONE di tutti gli istituti di credito coperti a garanzia ,in quantita’ di molto eccedente i mezzi propri , dai fondi statuali ,conferiti a copertura delle insolvenze accumulate in conseguenza della crisi dei derivati esplosa nel 2007/2008, e dai quantitave easing comunitari , in conseguenza delle speculazioni sui Bond nazionali comunitari realizzate nel periodo 2010 /2011.
3) La RIFORMA a livello sovranazionale dei CONTRATTI FINANZIARI, attraverso l’adozione di una convenzione mondiale, che prorti all’abolizione, in tutte le piazze finanziarie mondiali ,dei contratti borsistici meramente aleatori privi di utilita’ economica, e dei contratti lucrativi aventi causa nella perdita di valore di imprese non in condizioni di dissesto ; Il DIVIETO di CUMULO DI FUNZIONI tra Banche di investimento finanziario e banche di credito produttivo e gestione di risparmio privato ; La FISSAZIONE di RIGIDI PARAMETRI MASSIMI grandezza delle Banche private.
4) Un generale processo di REINDUSTRIALIZZAZIONE dei paesi europei, programmato ed assistito tecnicamente e finanziariamente a livello comunitario , attuato anche attraverso il rientro progressivo delle delocalizzazione di impianti produttivi effettuate a fine di profitto nei paesi caratterizzati da bassi costi del lavoro e privi di garanzie normative del lavoro dipendente, da realizzare al fine di ricostruire livelli occupazionali , riconsolidare la domanda interna attraverso la ricostruzione di monte salari, e recuperare una piu’ complessiva rifocalizzazione sulla base produttiva reale da parte di economie , tuttora ricche di formidabili conoscenze industriali , sospinte nell’ultimo ventennio dai modelli di finanziarizzazione a spostare risorse impressionanti dai redditi reali del lavoro ad un monte profitti , non reinvestito per l’ allargamento della base produttiva ,o in innovazione tecnica dei sistemi , ma impiegato in maggior parte in speculazione finanziaria o immobiliare ,o al piu’ diretto ad incrementare fenomeni di terziarizzazione delle economie occidentatali fondato su una induzione di consumi attinenti campi di esperienza di vita precedentemente non oggetto di attivita’ commerciale ed imprenditoriale.
5) Un generale processo di RIACCULTURAZIONE che investa tutti i campi dell’universo culturale delle societa’ europee ed in particolare della nostra, come premessa di una piu’ generale riconversione dei modelli di consumo e di riqualificazione della domanda sociale, finalizzata a considerare l’investimento sui livelli culturali del paese come una scelta di priorita’ all’interno di piu’ generale disegno di riaggregazione sociale, in cui la capillarizzazione della vita culturale, la diffusione dei saperi e l’accesso ai processi formativi, come vero e proprio diritto pubblico soggettivo, possano concretamente rappresentare fattori determinanti di una ricostruzione qualitativa del tessuto civile del paese, ed una opportunita’ di creazione di nuova ricchezza sociale ,reale e pulita, fondata sulla tutela delle capacita’ creative degli individui.
Un processo generale di riacculturazione dell’ intero sistema paese rappresenta inoltre una premessa indispensabile per riacquisire una complessiva capacita’ di innovazione sociale , tecnologica e produttiva, necessari ad evitare che il nostro sistema produttivo, confinato prevalentemente a gamme di produzioni di bassa qualita’ e ridotto valore aggiunto, rimanga prigioniero delle logiche soffocanti di un confronto con nuovi produttori mondiali che poggiano la propria estrema competitivita’ su un quadro di arretratezza sociale di fondo, in cui la contrazione dei costi del lavoro e la mancanza di garanzie segnano livelli incompatibili con un normale sviluppo democraticio
Tutto cio’ nella considerazione , valida anche da un punto di vista strettamente economico, che un modello di sviluppo che consideri l’attivita’ culturale, diffusa ed autoprodotta, in modo autonomo o associato, da operatori liberi ed indipendenti , come una attivita’ sociale da riconoscere , promuovere , e garantire, acquisirebbe al patrimonio della comunita’ nazionale un nuovo elemento strutturale di creazione di reddito, che in un paese sviluppato, in cui la soddisfazione dei bisogni secondari rappresenta una enorme voce di consumo dei cittadini , andrebbe a coinvolgere un numero di attori di notevole entita’ , attraverso attivita’ svolte con forme ,tempi, e modi di lavoro pressoche’ liberamente autoregolati, essendo gli elementi di flessibilita’ lavorativa, utili a questo settore di attivita’, socialmente accettabili in quanto strettamente inseriti in una logica di apprendistato finalizzata alla diretta acquisizione di competenze su cui costruire nel futuro una propria iniziativa autonoma.
Dobbiamo quindi lavorare ad un nuovo progetto sociale della Sinistra che ponga il LAVORO, inteso come asse centrale dell’ essere sociale, in tutte le diverse forme in cui concretamente si esplica nella economia reale ed in cui concorre alla creazione di valore nei processi produttivi ed organizzativi ,d’impresa o autonomi , ed in tutte le sue differenti rappresentanze sociali ed articolazioni produttive, come l’ elemento strutturale di riferimento di un nuova aggregazione maggioritaria di interessi e di valori che identifica un nuovo modello di sviluppo alternativo, in cui il rispetto del rapporto reale tra crescita della ricchezza sociale prodotta e crescita del reddito dei lavoratori e dei cittadini evolva da imprescindibile esigenza di giustizia sociale a fattore essenziale dello stesso equilibrio dei processi di crescita e fattore di certezza della solidità di una economia.che torna a valorizzare ed incentivare i processi produttivi reali..
Un nuovo sistema di crescita della economia reale in cui LA REDISTRIBUZIONE DEI REDDITI e DELLA RICCHEZZA SOCIALE, intese su un piano di valore come elementi di garanzia reale della qualità di base della convivenza civile,e della qualità sociale dei processi di produzione della ricchezza, divengono elementi strutturali di un modello sociale che rovescia una interpretazione della flessibilità come strumento di compressione dei costi del lavoro finalizzato al recupero di profitti in gran parte sottratti al reinvestimento diretto nel circuito produttivo, o non utilizzati per innovazione e ricerca finalizzata al rafforzamento della capacità produttiva.
Un nuovo modello di sviluppo che considera quindi LA GIUSTIZIA SOCIALE l’ elemento di qualificazione morale e civile assoluta dei parametri del sistema di vita associata , ed assume a valore di riferimento la garanzia di uguali diritti ed opportunita’ per tutti, senza discriminazione alcuna, dal diritto all’istruzione all’assistenza sanitaria, ad un equo trattamento fiscale, all’assistenza sociale in rapporto ai bisogni dei singoli, all’accesso alla cultura ed ai processi formativi diffusi., ed alla fruizione di tutti i diritti sociali connessi con una concezione sostanziale della Democrazia.
Un nuovo modello che si pone come progetto di rafforzamento della DEMOCRAZIA ,come regola suprema e fondante di tutti i processi istituzionali, decisionali, gestionali, amministrativi, esecutivi, e giudiziali:, e quale metodo di impostazione e regolazione dei processi sociali di interesse generale, attraverso la difesa della Costituzione, e dei suoi principi fondamentali, e la affermazione assoluta dei principi di legalità ,. di libertà, di partecipazione., di integrazione, di solidarietà e di eguaglianza.
Il compito dei socialisti, diviene quindi sempre piu', la costruzione di una nuova sinistra impegnata a lavorare ad un nuovo modello di sviluppo fondato sulla priorita’ degli interessi generali delle comunità dei produttori e dei consumatori, in grado di svincolare la vita delle società dal totale assorbimento nelle logiche di mercato raggiunto nell’attuale fase di finanziarizazzione integrale della economia, ed in grado, su un piano globale di rappresentare un potenziale alternativo sistema di riferimento per gli stessi paesi emergenti e per il resto del mondo in via di sviluppo,e la base strutturale economica su cui fondare un nuovo sistema di relazioni internazionali, in cui i processi di integrazione economica e commerciale vengano governati da istituzioni , anche sovranazionali, legittimate esclusivamente delle sovranita' democratiche dei popoli e degli stati.
Un nuovo sistema di rapporti tra i popoli e gli stati in cui LA PACE e LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, divengano sistema vincolante e regola prima di riferimento delle relazioni internazionali, garantite da una riforma democratica degli organismi di rappresentanza delle Nazioni Unite, e degli altri organismi di rappresentanza sovranazionale di natura Economica , Finanziaria , Sociale , e Commerciale, che ne rafforzi il carattere multipolare e garantisca la piena rappresntativita' delle comunita' sociali e nazionali che ne costituiscono la base di legittimazione, potenziandone ed estendendone i compiti fino a garantire ,oltre al corretto svolgimento delle relazioni politiche internazionale, anche l’espressione di una superiore capacita’ di governo e di controllo degli stessi processi economici globali con efficacia vincolante rispetto alle funzioni ed ai compiti delle stesse tecnostrutture finanziarie e monetarie sopranazionali ,che allo stato costituiscono il nocciolo decisionale delle attuali istituzioni economiche sovranazionali , ormai svincolate da vincoli di rappresentanza con i paesi aderenti.
FRANCO BARTOLOMEI segreteria nazionale del PSI e segretario nazionale della Lega dei Socialisti
pubblicata da Franco Bartolomei il giorno domenica 18 marzo 2012 alle ore 12.05 ·
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I LINEAMENTI DI UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO .
RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL SEMINARIO DELLE ASSOCIAZIONI SOCIALISTE del 23/3/2012
Il modello di sviluppo attuale ,oggi in corto circuito, vittima degli stessi squilibri finanziari che ne hanno rappresentato uno dei fondamentali elementi costitutivi , si dimostra non piu' in condizione di garantire quei livelli di crescita necessari al mantenimento dell'equilibrio sociale su cui l'occidente democratico ha costruito il suo modello di societa', e pone a tutta la Sinistra , con urgenza, la grande questione della trasformazione strutturale di un sistema di rapporti economici finanziari e sociali che distrugge la ricchezza sociale ed espropria il valore del lavoro e della vita degli individui .
Questa nuova consapevolezza diffusa dei limiti di un sistema economico integrato a livello sovranazionale, in cui l'elemento finanziario agisce ormai in contrasto con gli interessi, reali e concreti, delle comunità dei produttori, dei lavoratori e degli stessi imprenditori, può infatti costituire la base sociale di un nuovo grande patto democratico, nei popoli e tra i popoli, verso un nuovo modello di rapporti economici e sociali, in cui l'economia reale, la qualità concreta dei rapporti interpersonali, sociali, e produttivi, i parametri di valutazione della ricchezza sociale effettivamente goduta dai cittadini, la riqualificazione dei consumi all'interno di un più generale processo di maturazione culturale delle società sviluppate, e sopratutto la centralita' dei meccanismi e dei sistemi redistributivi della ricchezza socialmente prodotta, anche come protezione sistemica al calo tendenziale dei tassi quantitativi della crescita, possono tornare ad essere le pietre angolari di un progetto di rinascita democratica della società.
Per la Sinistra la soluzione alla crisi del sistema non deve quindi essere la concentrazione delle politiche economiche sulla sterilizzazione del debito sovrano , che porterebbe alla impossibilita di realizzare qualsiasi possibile intervento pubblico sui rapporti economici in grado di riprogrammare le scelte complessive di modello, ma la individuazione di un nuovo modello di sviluppo fondato su diversi criteri valutativi della crescita economica , che salvi l'equilibrio sociale attraverso il mantenimento di alti livelli redistributivi della ricchezza sociale diversamente prodotta, e valutata in base a differenti parametri di riferimento sociale a fronte di una restrizione tendenziale di una crescita fondata sui tradizionali parametri quantitativi.
Un nuovo modello di rapporto tra Pubblico e Privato , e tra SOVRANITA’, statuale o sovrastatuale, e finanza e mercati , che deve nascere dalla eliminazione di tutte le nuove norme costituzionali ( art 81 cost), o communitarie ( fiscal compact) indrodotte a garanzia forzosa di un pareggio di bilancio degli stati che non distinguono tra spesa corrente e spesa per investimenti, che hanno solo la finalita’ di azzerare i poteri di intervento pubblico in economia e di generare una assoluta dipendenza dell’investimento priduttivo dal sistema creditizio privato , ed in ultima analisi dagli organismi finanziari e bancari globali ,che in qualita’ di tecnostrutture libere da condizionamenti statuali ne organizzano a livello superiore gli indirizzi di azione e la supervisione funzionale. l .
Un nuovo modello di sviluppo da realizzare nel quadro di una piena assunzione di poteri esecutivi e legislativi da parte degli organi di rappresentanza democratica della Unione europea , le cui linee portanti possono fin da ora essere delineate, fondato sull’inversione delle regole che hanno governato le economie dei paesi sviluppati negli ultimi 20 anni ,e sulla riforma radicale della struttura dei modelli sociali costruiti sulle compatibilita’ con un mercato pienamente sovrano funzionalizzato alla garanzia assoluta del profitto nell’investimento finanziario, assunto ad elemento centrale del processo di creazione della ricchezza sociale ,strutturalmente destinato, direttamente o attraverso l’indebitamento diffuso dei consumatori , al sostegno della domanda, in sostituzione della crescita progressiva e tendenziale del reddito del lavoro che costituiva l’elemento centrale del precedente modello Keynesiano.
Un nuovo modello da costruire attraverso UNA POLITICA DI RIFORME DI STRUTTURA, concertata a livello europeo dalle forze del Socialismo Democratico e dalle altre forze della sinistra, fondata innanzi tutto sul recupero di una sovranita’ delle istituzioni governative , Europee o Statuali, sul governo complessivo dell’indirizzo dei processi monetari comunitari , in grado di consentire, o il recupero di autonomia monetaria e fiscale delle autorità statuali in un quadro di rinnovata ed ampia libera contrattualità con gli istituti di controllo monetari sopranazionali e comunitari ,all’interno di una logica espansiva delle capacita’ produttive dei paesi aderenti al sistema., o l’assunzione a livello comunitario del debito degli stati ,con la liberazione delle economie nazionali dal peso di interessi determinati dal mercato dei capitali privati e dalle valutazioni speculative delle agenzie di rating, e la contemporanea attribuzione al nuovo governo comunitario del compito di riprogrammare e attuare uno sviluppo omogeneo di tutta la realta’ economica e produttiva europea in forma integrata e compatibile con le possibilita’ e le specifiche particolarita’ di tutte le aree omogenee che ad essa appartengono.
Una trasformazione strutturale del modello liberista che dalla riappropriazione delle politiche fiscali e monetarie passi alla costruzione, a livello comunitario e dei singoli stati ,di un sistema istituzionale di programmazione dello sviluppo, ,intergrato e rappresentativo, di natura politica e non solo tecnica , dotato di poteri vincolanti per realizzare i piani generali di una programmazione comunitaria degli indirizzi produttivi , articolati in piani regionali contrattati con i singoli stati nazionali ,vincolanti per gli operatori economici privati e le istituzioni finanziarie del credito , le cui scelte generali di investimento debbono essere oggetto di verifiche in ordine alle loro compatibilita’ di piano..
Un sistema di programmazione democratica degli indirizzi economici e delle conseguenti forme sociali, in grado di introdurre criteri di ridistribuzione interna delle risorse in ragione della loro finalizzazione alle scelte economiche programmate attraverso una riappropriazione sociale dei giudizi di valore sulla qualità dei processi di sviluppo economico, attraverso la realizzazione di nuove forme istituzionali di controllo delle scelte degli operatori e di verifica delle variabili economiche, orientate a garantire gli interessi generali della comunità civile.
Un nuovo modello di sviluppo che riassegnando ai poteri statuali, espressione della sovranita’ popolare democraticamente espressa, il diritto- dovere di dettare le regole dei rapporti economici e la selezione delle priorita’ sociali, attraverso il recupero di una politica di programmazione europea delle scelte economiche che qualifichi diversamente gli obiettivi della crescita economica, valutandone la congruita’ secondo nuovi parametri informati a criteri di qualità sociale dello sviluppo ( es : il QUARS) ,non più ancorati rigidamente ad indistinti criteri esclusivamente quantitativi connessi meccanicamente al tradizionale parametro del prodotto interno lordo. (P:I:L:).
Un modello economico che inverta il processo di privatizzazioni che ha caratterizzato l’esperienza neo-liberista,. realizzando:
1) una generale RIPUBBLICIZZAZIONE DI TUTTE LE RETI ED INFRASTRUTTURE DI INTERESSE COLLETTIVO, I CUI INTROITI, FRUTTO DI UNA NATURALE TARIFFAZIONE DI TIPO MONOPOLISTA; DEBBONO TORNARE AD ESSERE UNA ENTRATA PUBBLICA, diretta a sostenere PROVVEDIMENTI DI SPESA di intervento pubblico in economia FINALIZZATI A SCELTE ECONOMICHE; SOCIALI, e PRODUTTIVE DI INTERESSE PUBBLICO, assunte e coordinate in base alle soluzioni individuate dagli istituti di PROGRAMMAZIONE.
2) La NAZIONALIZZAZIONE di tutti gli istituti di credito coperti a garanzia ,in quantita’ di molto eccedente i mezzi propri , dai fondi statuali ,conferiti a copertura delle insolvenze accumulate in conseguenza della crisi dei derivati esplosa nel 2007/2008, e dai quantitave easing comunitari , in conseguenza delle speculazioni sui Bond nazionali comunitari realizzate nel periodo 2010 /2011.
3) La RIFORMA a livello sovranazionale dei CONTRATTI FINANZIARI, attraverso l’adozione di una convenzione mondiale, che prorti all’abolizione, in tutte le piazze finanziarie mondiali ,dei contratti borsistici meramente aleatori privi di utilita’ economica, e dei contratti lucrativi aventi causa nella perdita di valore di imprese non in condizioni di dissesto ; Il DIVIETO di CUMULO DI FUNZIONI tra Banche di investimento finanziario e banche di credito produttivo e gestione di risparmio privato ; La FISSAZIONE di RIGIDI PARAMETRI MASSIMI grandezza delle Banche private.
4) Un generale processo di REINDUSTRIALIZZAZIONE dei paesi europei, programmato ed assistito tecnicamente e finanziariamente a livello comunitario , attuato anche attraverso il rientro progressivo delle delocalizzazione di impianti produttivi effettuate a fine di profitto nei paesi caratterizzati da bassi costi del lavoro e privi di garanzie normative del lavoro dipendente, da realizzare al fine di ricostruire livelli occupazionali , riconsolidare la domanda interna attraverso la ricostruzione di monte salari, e recuperare una piu’ complessiva rifocalizzazione sulla base produttiva reale da parte di economie , tuttora ricche di formidabili conoscenze industriali , sospinte nell’ultimo ventennio dai modelli di finanziarizzazione a spostare risorse impressionanti dai redditi reali del lavoro ad un monte profitti , non reinvestito per l’ allargamento della base produttiva ,o in innovazione tecnica dei sistemi , ma impiegato in maggior parte in speculazione finanziaria o immobiliare ,o al piu’ diretto ad incrementare fenomeni di terziarizzazione delle economie occidentatali fondato su una induzione di consumi attinenti campi di esperienza di vita precedentemente non oggetto di attivita’ commerciale ed imprenditoriale.
5) Un generale processo di RIACCULTURAZIONE che investa tutti i campi dell’universo culturale delle societa’ europee ed in particolare della nostra, come premessa di una piu’ generale riconversione dei modelli di consumo e di riqualificazione della domanda sociale, finalizzata a considerare l’investimento sui livelli culturali del paese come una scelta di priorita’ all’interno di piu’ generale disegno di riaggregazione sociale, in cui la capillarizzazione della vita culturale, la diffusione dei saperi e l’accesso ai processi formativi, come vero e proprio diritto pubblico soggettivo, possano concretamente rappresentare fattori determinanti di una ricostruzione qualitativa del tessuto civile del paese, ed una opportunita’ di creazione di nuova ricchezza sociale ,reale e pulita, fondata sulla tutela delle capacita’ creative degli individui.
Un processo generale di riacculturazione dell’ intero sistema paese rappresenta inoltre una premessa indispensabile per riacquisire una complessiva capacita’ di innovazione sociale , tecnologica e produttiva, necessari ad evitare che il nostro sistema produttivo, confinato prevalentemente a gamme di produzioni di bassa qualita’ e ridotto valore aggiunto, rimanga prigioniero delle logiche soffocanti di un confronto con nuovi produttori mondiali che poggiano la propria estrema competitivita’ su un quadro di arretratezza sociale di fondo, in cui la contrazione dei costi del lavoro e la mancanza di garanzie segnano livelli incompatibili con un normale sviluppo democraticio
Tutto cio’ nella considerazione , valida anche da un punto di vista strettamente economico, che un modello di sviluppo che consideri l’attivita’ culturale, diffusa ed autoprodotta, in modo autonomo o associato, da operatori liberi ed indipendenti , come una attivita’ sociale da riconoscere , promuovere , e garantire, acquisirebbe al patrimonio della comunita’ nazionale un nuovo elemento strutturale di creazione di reddito, che in un paese sviluppato, in cui la soddisfazione dei bisogni secondari rappresenta una enorme voce di consumo dei cittadini , andrebbe a coinvolgere un numero di attori di notevole entita’ , attraverso attivita’ svolte con forme ,tempi, e modi di lavoro pressoche’ liberamente autoregolati, essendo gli elementi di flessibilita’ lavorativa, utili a questo settore di attivita’, socialmente accettabili in quanto strettamente inseriti in una logica di apprendistato finalizzata alla diretta acquisizione di competenze su cui costruire nel futuro una propria iniziativa autonoma.
Dobbiamo quindi lavorare ad un nuovo progetto sociale della Sinistra che ponga il LAVORO, inteso come asse centrale dell’ essere sociale, in tutte le diverse forme in cui concretamente si esplica nella economia reale ed in cui concorre alla creazione di valore nei processi produttivi ed organizzativi ,d’impresa o autonomi , ed in tutte le sue differenti rappresentanze sociali ed articolazioni produttive, come l’ elemento strutturale di riferimento di un nuova aggregazione maggioritaria di interessi e di valori che identifica un nuovo modello di sviluppo alternativo, in cui il rispetto del rapporto reale tra crescita della ricchezza sociale prodotta e crescita del reddito dei lavoratori e dei cittadini evolva da imprescindibile esigenza di giustizia sociale a fattore essenziale dello stesso equilibrio dei processi di crescita e fattore di certezza della solidità di una economia.che torna a valorizzare ed incentivare i processi produttivi reali..
Un nuovo sistema di crescita della economia reale in cui LA REDISTRIBUZIONE DEI REDDITI e DELLA RICCHEZZA SOCIALE, intese su un piano di valore come elementi di garanzia reale della qualità di base della convivenza civile,e della qualità sociale dei processi di produzione della ricchezza, divengono elementi strutturali di un modello sociale che rovescia una interpretazione della flessibilità come strumento di compressione dei costi del lavoro finalizzato al recupero di profitti in gran parte sottratti al reinvestimento diretto nel circuito produttivo, o non utilizzati per innovazione e ricerca finalizzata al rafforzamento della capacità produttiva.
Un nuovo modello di sviluppo che considera quindi LA GIUSTIZIA SOCIALE l’ elemento di qualificazione morale e civile assoluta dei parametri del sistema di vita associata , ed assume a valore di riferimento la garanzia di uguali diritti ed opportunita’ per tutti, senza discriminazione alcuna, dal diritto all’istruzione all’assistenza sanitaria, ad un equo trattamento fiscale, all’assistenza sociale in rapporto ai bisogni dei singoli, all’accesso alla cultura ed ai processi formativi diffusi., ed alla fruizione di tutti i diritti sociali connessi con una concezione sostanziale della Democrazia.
Un nuovo modello che si pone come progetto di rafforzamento della DEMOCRAZIA ,come regola suprema e fondante di tutti i processi istituzionali, decisionali, gestionali, amministrativi, esecutivi, e giudiziali:, e quale metodo di impostazione e regolazione dei processi sociali di interesse generale, attraverso la difesa della Costituzione, e dei suoi principi fondamentali, e la affermazione assoluta dei principi di legalità ,. di libertà, di partecipazione., di integrazione, di solidarietà e di eguaglianza.
Il compito dei socialisti, diviene quindi sempre piu', la costruzione di una nuova sinistra impegnata a lavorare ad un nuovo modello di sviluppo fondato sulla priorita’ degli interessi generali delle comunità dei produttori e dei consumatori, in grado di svincolare la vita delle società dal totale assorbimento nelle logiche di mercato raggiunto nell’attuale fase di finanziarizazzione integrale della economia, ed in grado, su un piano globale di rappresentare un potenziale alternativo sistema di riferimento per gli stessi paesi emergenti e per il resto del mondo in via di sviluppo,e la base strutturale economica su cui fondare un nuovo sistema di relazioni internazionali, in cui i processi di integrazione economica e commerciale vengano governati da istituzioni , anche sovranazionali, legittimate esclusivamente delle sovranita' democratiche dei popoli e degli stati.
Un nuovo sistema di rapporti tra i popoli e gli stati in cui LA PACE e LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, divengano sistema vincolante e regola prima di riferimento delle relazioni internazionali, garantite da una riforma democratica degli organismi di rappresentanza delle Nazioni Unite, e degli altri organismi di rappresentanza sovranazionale di natura Economica , Finanziaria , Sociale , e Commerciale, che ne rafforzi il carattere multipolare e garantisca la piena rappresntativita' delle comunita' sociali e nazionali che ne costituiscono la base di legittimazione, potenziandone ed estendendone i compiti fino a garantire ,oltre al corretto svolgimento delle relazioni politiche internazionale, anche l’espressione di una superiore capacita’ di governo e di controllo degli stessi processi economici globali con efficacia vincolante rispetto alle funzioni ed ai compiti delle stesse tecnostrutture finanziarie e monetarie sopranazionali ,che allo stato costituiscono il nocciolo decisionale delle attuali istituzioni economiche sovranazionali , ormai svincolate da vincoli di rappresentanza con i paesi aderenti.
FRANCO BARTOLOMEI segreteria nazionale del PSI e segretario nazionale della Lega dei Socialisti
Peppe Giudice: Io e il socialismo francese
IO ED IL SOCIALISMO FRANCESE
La mia generazione di militanti socialisti è stata molto influenzata dalla cultura politica del socialismo francese. Lo voglio ribadire oggi che la possibile vittoria di Francois Hollande può rappresentare un punto di svolta nella politica europea, nonché la concreta ripresa del socialismo e della sinistra democratica in Europa.
Che la Francia sia stata una nazione speciale in Europa è un dato: la Rivoluzione Francese costituisce uno spartiacque storico: la politica e la democrazia moderna di lì hanno inizio. La Francia è la patria dei precursori del socialismo (Fourier, Saint Simon, Proudhon), in Francia (insieme all’Inghilterra ed al Belgio) sono sorte le prime società operaie, quindi il primo nucleo del movimento operaio e socialista. Con Cartesio nasce la filosofia moderna che ha il suo sviluppo nell’illuminismo. Lì nasce una idea della modernità molto diversa da quella utilitaristica (e spesso darwinista) del mondo anglosassone. Basata sull’universalismo dell’idea repubblicana di cittadinanza. La stessa filosofia classica tedesca (da Kant a Hegel a Marx ) ha le sue basi primarie in Francia.
Negli anni 70, dopo la sua riunificazione, il socialismo francese sviluppò una approfondita elaborazione culturale che ebbe una interazione positiva con l’autonomismo socialista pre-craxiano: Lombardi, Giolitti, De Martino. Anzi Lombardi fu per molti socialisti francesi un punto di riferimento ideologico essenziale. Riccardo ebbe più fortuna in Francia , terra del razionalismo, che in Italia terra dello storicismo giustificazionista (un po’ paraculo).
Proprio Gilles Martinet , uno dei più attenti esegeti di Lombardi (suo è il termine “riformismo rivoluzionario” da lui attribuito al pensiero lombardiano) mi fece conoscere approfonditamente il socialismo francese, i suoi pregi ed i suoi difetti.
Martinet è stato uno dei teorici e degli storici più importanti del socialismo e dell’intera sinistra francese. Ed un profondo conoscitore della sinistra italiana: sua moglie era la figlia di Bruno Buozzi.
Ed ha scritto molti libri ed una valanga di articoli (oltre ad essere stato uno dei più apprezzati dirigenti del PSF).
Ne ho letti molti. E lui e Lombardi hanno significativamente influito sulla mia formazione politica.
Martinet non nascondeva i molti difetti del socialismo transalpino. Primo di tutto i limiti di radicamento (che faceva da contraltare alla grande fortuna elettorale). Lui diceva che in Francia la gente difficilmente prende la tessera di un partito o di un sindacato. Infatti in Francia ci sono tre sindacati , uno ex comunista , la CGT e gli altri due socialisti, Force Ouviere e la CFDT. Ma insieme non superano i quattro milioni di iscritti. La stessa Confindustria francese organizza appena il 10% delle imprese medie e grandi. Ma, aggiungeva Martinet, i francesi sono pronti a scendere in piazza ed a paralizzare il paese se le battaglie del sindacato vengono vissute come giuste. Martinet faceva inoltre un parallelismo tra il PS francese e quello vicino del Belgio, il quale pur essendo ideologicamente vicino a quello francese (ed a quello italiano) aveva un grande radicamento in termini di tesseramento e soprattutto una forte a radicata organizzazione sindacale ed un ancor più forte movimento cooperativo.
Come contraltare i pregi del socialismo d’oltralpe stanno in una permanente tensione progettuale ed in una grande capacità di analisi critica. Che sono il prodotto della cultura razionalista che cerca sempre di prospettare in positivo ogni istanza critica.
La sinistra francese socialista libertaria è ricchissima di suggestioni. Basti pensare alla rivista “Socialisme ou Barbarie” di Castoriadis e Lefort due intellettuali di matrice luxemburghiana. In essa fu formulata la critica più radicale e di sinistra al leninismo, visto come una variante dell’ideologia borghese. Nei paesi a sviluppo capitalistico ritardato il partito di avanguardia è la prefigurazione della nuova classe dominante fondata sul capitalismo burocratico di stato che persegue con mezzi diversi gli stessi fini del capitalismo. E questa credo che sia uno dei fondamenti più radicali di una critica al comunismo o socialismo reale che non voglia far proprie le categorie liberali.
La critica contestuale al liberalismo ed al leninismo è uno dei fondamenti del mio modo di vedere il socialismo.
Negli anni 70 era diffusa la sensazione (poi rivelatasi errata) che il capitalismo fosse giunto al capolinea. La crisi energetica, l’aumento del costo delle materie prime, parevano aver esaurito il ciclo espansivo ininterrotto dal 1945. E pertanto si poneva il tema di indicare un progetto socialista radicalmente diverso da quello comunista e leninista. Sia i francesi che Lombardi (ma anche Olof Palme) videro nella transizione democratica al socialismo autogestionario la via di uscita. Ma anche se poi furono cancellate dall’agenda, alcune di quelle tesi possono tornare di attualità.
Gli anni 80 fu il periodo in cui iniziò invece una poderosa restaurazione capitalistica. Lombardi ne aveva visto le premesse nella capacità del capitale di utilizzare a proprio vantaggio le innovazioni tecnologiche nel campo dell’elettronica e dell’informatica. E successivamente nella liberalizzazione del movimenti di capitale (la globalizzazione) su cui si è basata la finanziarizzazione strutturale del capitalismo. Gran parte delle socialdemocrazie non seppero leggere ed interpretare in tempo tali mutazioni. Di qui il loro parziale declino. E c’è da dire, che mentre i socialisti italiani degli anni 80 si rimbeccillirono sulla modernizzazione martelliana (meriti e bisogni) ed il PCI non fu capace di uscire fuori dal conservatorismo della cultura togliattiana, nel PS francese un settore mantenne uno spirito critico che seppe vedere le contraddizioni della modernità. Lo stesso Lafontaine nella SPD fu molto influenzato dalle analisi dei francesi. Non a caso la revisione del programma di Godesberg negli anni 80 (voluta da Lafontaine) accoglieva molti elementi della riflessione francese.
Due grandi storici del socialismo, Massimo Salvadori e Gaetano Arfè, mi fecero poi capire, negli anni 80, che la contrapposizione tra socialismo latino e nordico, poi non aveva gran senso. Che si trattava piuttosto di mettere insieme gli elementi positivi di entrambi. Per questo poi approfondii anche le socialdemocrazie mittle e nord europee (e vi trovai molti elementi di straordinario interesse).
Ma c’è da dire che il socialismo francese e belga hanno avuto di nuovo ragione negli anni 90 quando da sole (insieme a Lafontaine) si sono opposte ad un europeismo di maniera ed ad un globalismo ingenuo. Intanto prospettando serie perplessità su una unificazione rapida della Germania (i costi di quella unificazione – che ha comunque ha creato una sorta di Mezzogiorno interno alla Germania – sono stati scaricati su tutta l’Europa), opponendosi all’ingresso di Cina e Russia nel WTO (senza clausole sociali e politiche) e poi opponendosi alla follia di un allargamento all’est (che avvantaggiava solo la Germania). Delocalizzazione, dumping sociale, questi gli effetti perversi. Tutti questi fatti si sono ritorti contro la socialdemocrazia, minacciando concretamente il modello sociale europeo e favorendo l’ascesa dei partiti xenofobi che hanno guadagnato molti consensi tra lavoratori e ceti popolari. La crisi della socialdemocrazia sta nella superficialità con cui ha affrontato male temi strutturali. Per non parlare poi dei postcomunisti italiano che da neofiti del liberalismo hanno addirittura teorizzato l’Ulivo Mondiale.
Per questo la vittoria di Hollande può avere grande valore politico nello staccare del tutto la socialdemocrazia europea dall’Europeismo di maniera (tutto a vantaggio della Germania) e dal globalismo ingenuo. Oggi de-finanziarizzazione e de-globalizzazione (intesa come vincoli più stringenti ai movimenti di capitale) sono le direttrici su cui si può incamminare una alternativa progressista ma a forte connotazione socialista (cari amici del PD). Con tutto questo non c’entra l’internazionalismo. Otto Bauer, nel 1914 metteva in evidenza la profonda differenza tra il cosmopolitismo borghese-liberale e l’internazionalismo operaio e socialista. Il primo oggi è espresso dalla dittatura del capitalismo finanziario. Il secondo lo potremo favorire se difendiamo e rafforziamo il modello sociale europeo che solo se consolidato potrà espandersi. Ciò potrà avvenire solo ridisegnando l’Europa attuale (via l’Est!) – imposizioni di clausole sociali nel commercio internazionale.
Peppe Giudice
La mia generazione di militanti socialisti è stata molto influenzata dalla cultura politica del socialismo francese. Lo voglio ribadire oggi che la possibile vittoria di Francois Hollande può rappresentare un punto di svolta nella politica europea, nonché la concreta ripresa del socialismo e della sinistra democratica in Europa.
Che la Francia sia stata una nazione speciale in Europa è un dato: la Rivoluzione Francese costituisce uno spartiacque storico: la politica e la democrazia moderna di lì hanno inizio. La Francia è la patria dei precursori del socialismo (Fourier, Saint Simon, Proudhon), in Francia (insieme all’Inghilterra ed al Belgio) sono sorte le prime società operaie, quindi il primo nucleo del movimento operaio e socialista. Con Cartesio nasce la filosofia moderna che ha il suo sviluppo nell’illuminismo. Lì nasce una idea della modernità molto diversa da quella utilitaristica (e spesso darwinista) del mondo anglosassone. Basata sull’universalismo dell’idea repubblicana di cittadinanza. La stessa filosofia classica tedesca (da Kant a Hegel a Marx ) ha le sue basi primarie in Francia.
Negli anni 70, dopo la sua riunificazione, il socialismo francese sviluppò una approfondita elaborazione culturale che ebbe una interazione positiva con l’autonomismo socialista pre-craxiano: Lombardi, Giolitti, De Martino. Anzi Lombardi fu per molti socialisti francesi un punto di riferimento ideologico essenziale. Riccardo ebbe più fortuna in Francia , terra del razionalismo, che in Italia terra dello storicismo giustificazionista (un po’ paraculo).
Proprio Gilles Martinet , uno dei più attenti esegeti di Lombardi (suo è il termine “riformismo rivoluzionario” da lui attribuito al pensiero lombardiano) mi fece conoscere approfonditamente il socialismo francese, i suoi pregi ed i suoi difetti.
Martinet è stato uno dei teorici e degli storici più importanti del socialismo e dell’intera sinistra francese. Ed un profondo conoscitore della sinistra italiana: sua moglie era la figlia di Bruno Buozzi.
Ed ha scritto molti libri ed una valanga di articoli (oltre ad essere stato uno dei più apprezzati dirigenti del PSF).
Ne ho letti molti. E lui e Lombardi hanno significativamente influito sulla mia formazione politica.
Martinet non nascondeva i molti difetti del socialismo transalpino. Primo di tutto i limiti di radicamento (che faceva da contraltare alla grande fortuna elettorale). Lui diceva che in Francia la gente difficilmente prende la tessera di un partito o di un sindacato. Infatti in Francia ci sono tre sindacati , uno ex comunista , la CGT e gli altri due socialisti, Force Ouviere e la CFDT. Ma insieme non superano i quattro milioni di iscritti. La stessa Confindustria francese organizza appena il 10% delle imprese medie e grandi. Ma, aggiungeva Martinet, i francesi sono pronti a scendere in piazza ed a paralizzare il paese se le battaglie del sindacato vengono vissute come giuste. Martinet faceva inoltre un parallelismo tra il PS francese e quello vicino del Belgio, il quale pur essendo ideologicamente vicino a quello francese (ed a quello italiano) aveva un grande radicamento in termini di tesseramento e soprattutto una forte a radicata organizzazione sindacale ed un ancor più forte movimento cooperativo.
Come contraltare i pregi del socialismo d’oltralpe stanno in una permanente tensione progettuale ed in una grande capacità di analisi critica. Che sono il prodotto della cultura razionalista che cerca sempre di prospettare in positivo ogni istanza critica.
La sinistra francese socialista libertaria è ricchissima di suggestioni. Basti pensare alla rivista “Socialisme ou Barbarie” di Castoriadis e Lefort due intellettuali di matrice luxemburghiana. In essa fu formulata la critica più radicale e di sinistra al leninismo, visto come una variante dell’ideologia borghese. Nei paesi a sviluppo capitalistico ritardato il partito di avanguardia è la prefigurazione della nuova classe dominante fondata sul capitalismo burocratico di stato che persegue con mezzi diversi gli stessi fini del capitalismo. E questa credo che sia uno dei fondamenti più radicali di una critica al comunismo o socialismo reale che non voglia far proprie le categorie liberali.
La critica contestuale al liberalismo ed al leninismo è uno dei fondamenti del mio modo di vedere il socialismo.
Negli anni 70 era diffusa la sensazione (poi rivelatasi errata) che il capitalismo fosse giunto al capolinea. La crisi energetica, l’aumento del costo delle materie prime, parevano aver esaurito il ciclo espansivo ininterrotto dal 1945. E pertanto si poneva il tema di indicare un progetto socialista radicalmente diverso da quello comunista e leninista. Sia i francesi che Lombardi (ma anche Olof Palme) videro nella transizione democratica al socialismo autogestionario la via di uscita. Ma anche se poi furono cancellate dall’agenda, alcune di quelle tesi possono tornare di attualità.
Gli anni 80 fu il periodo in cui iniziò invece una poderosa restaurazione capitalistica. Lombardi ne aveva visto le premesse nella capacità del capitale di utilizzare a proprio vantaggio le innovazioni tecnologiche nel campo dell’elettronica e dell’informatica. E successivamente nella liberalizzazione del movimenti di capitale (la globalizzazione) su cui si è basata la finanziarizzazione strutturale del capitalismo. Gran parte delle socialdemocrazie non seppero leggere ed interpretare in tempo tali mutazioni. Di qui il loro parziale declino. E c’è da dire, che mentre i socialisti italiani degli anni 80 si rimbeccillirono sulla modernizzazione martelliana (meriti e bisogni) ed il PCI non fu capace di uscire fuori dal conservatorismo della cultura togliattiana, nel PS francese un settore mantenne uno spirito critico che seppe vedere le contraddizioni della modernità. Lo stesso Lafontaine nella SPD fu molto influenzato dalle analisi dei francesi. Non a caso la revisione del programma di Godesberg negli anni 80 (voluta da Lafontaine) accoglieva molti elementi della riflessione francese.
Due grandi storici del socialismo, Massimo Salvadori e Gaetano Arfè, mi fecero poi capire, negli anni 80, che la contrapposizione tra socialismo latino e nordico, poi non aveva gran senso. Che si trattava piuttosto di mettere insieme gli elementi positivi di entrambi. Per questo poi approfondii anche le socialdemocrazie mittle e nord europee (e vi trovai molti elementi di straordinario interesse).
Ma c’è da dire che il socialismo francese e belga hanno avuto di nuovo ragione negli anni 90 quando da sole (insieme a Lafontaine) si sono opposte ad un europeismo di maniera ed ad un globalismo ingenuo. Intanto prospettando serie perplessità su una unificazione rapida della Germania (i costi di quella unificazione – che ha comunque ha creato una sorta di Mezzogiorno interno alla Germania – sono stati scaricati su tutta l’Europa), opponendosi all’ingresso di Cina e Russia nel WTO (senza clausole sociali e politiche) e poi opponendosi alla follia di un allargamento all’est (che avvantaggiava solo la Germania). Delocalizzazione, dumping sociale, questi gli effetti perversi. Tutti questi fatti si sono ritorti contro la socialdemocrazia, minacciando concretamente il modello sociale europeo e favorendo l’ascesa dei partiti xenofobi che hanno guadagnato molti consensi tra lavoratori e ceti popolari. La crisi della socialdemocrazia sta nella superficialità con cui ha affrontato male temi strutturali. Per non parlare poi dei postcomunisti italiano che da neofiti del liberalismo hanno addirittura teorizzato l’Ulivo Mondiale.
Per questo la vittoria di Hollande può avere grande valore politico nello staccare del tutto la socialdemocrazia europea dall’Europeismo di maniera (tutto a vantaggio della Germania) e dal globalismo ingenuo. Oggi de-finanziarizzazione e de-globalizzazione (intesa come vincoli più stringenti ai movimenti di capitale) sono le direttrici su cui si può incamminare una alternativa progressista ma a forte connotazione socialista (cari amici del PD). Con tutto questo non c’entra l’internazionalismo. Otto Bauer, nel 1914 metteva in evidenza la profonda differenza tra il cosmopolitismo borghese-liberale e l’internazionalismo operaio e socialista. Il primo oggi è espresso dalla dittatura del capitalismo finanziario. Il secondo lo potremo favorire se difendiamo e rafforziamo il modello sociale europeo che solo se consolidato potrà espandersi. Ciò potrà avvenire solo ridisegnando l’Europa attuale (via l’Est!) – imposizioni di clausole sociali nel commercio internazionale.
Peppe Giudice
Felice Besostri: Appello ai sindaci
«Cara Signora, Caro Signor Sindaco,
la Prima Commissione, Affari Costituzionali del Senato, ha ancora due giorni di lavoro, Giovedì 22 marzo la modifica costituzionale sarà definitiva.
Sono solo quattro articoli, ma lo Repubblica italiana, come disegnata dalla Costituzione non sarà più la stessa, con le sue peculiarità aveva dato origine ad una Forma di Stato, definita in dottrina come Stato delle Autonomie, che aveva avuto il suo coronamento con le modifiche costituzionali della Parte Seconda Titolo V del 2001. Il dibattito è stato polarizzato soltanto sull’art. 81 Cost., come si trattasse di definire in Costituzione politiche e teorie economiche, che è comunque un errore, a prescindere dalle proprie preferenze.
Lo Stato perseguirà il pareggio, ma a spese di Regioni, Province e soprattutto dei Comuni. Dimenticatevi i concetti di autonomia come enunciati dall’art. 5 della Costituzione, che apparentemente non viene toccato, ma svuotato di significato. Siamo chiari un intervento per ridurre i deficit delle pubbliche amministrazioni era necessario: la nostra preoccupazione è che nessuna delle cause strutturali è rimossa, in primo luogo l’evasione fiscale e previdenziale, i costi della corruzione e del clientelismo e del parassitismo della criminalità organizzata. Inoltre la discrasia tra le competenze e funzioni trasferite, dallo Stato alle Regioni e da queste o direttamente ai Comuni, e i mezzi finanziari per farvi fronte ha pesato sulla finanza locale. Il numero dei Comuni potrebbe essere ridotto, ma non in modo autoritario e senza tener conto che in caso di aggregazione, con l’attuale sistema elettorale maggioritario e con riduzione del numero dei consiglieri, le Comunità preesistenti sarebbero tagliate fuori da ogni rappresentanza. Le disposizioni di principio restano formalmente in vigore. L’art. 119 Cost. recita ancora “I Comuni, le Province ,le Città Metropolitane e le Regioni hanno autonomia di entrata e di spesa “, ma si aggiungerà “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea “.
I comuni virtuosi non saranno premiati perché la loro capacità di “ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento” con la riforma del sesto comma dell’articolo 119 Cost non solo lo potranno fare, giustamente, “con la contestuale definizione di piani di ammortamento”, ma anche “a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio”.
La nostra Costituzione, fosse stato rispettato l’ultimo comma dell’art. 81 nel testo vigente ( “Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”)avrebbe dovuto impedire la formazione dell’ingente debito pubblico, che ora si vuol ridurre non con virtuose pratiche di finanza pubblica e politica economica ed industriale, ma con l’accetta di parametri stabiliti in sede europea in vertici di capi di Stato o governo senza dover rispondere né ai propri Parlamenti, né al Parlamento Europeo: vi è quindi anche un problema di democrazia e di sovranità nazionale, altrettanto importante dell’affidabilità per i mercati finanziari, se non di più per chi pone al centro la persona con i suoi diritti umani, civici e politici, conquista della nostra civiltà.
Per di più le ricette europee non stanno funzionando, in Grecia, Portogallo e Spagna il rapporto deficit/PIL continua a crescere. In uno Stato ordinato ed efficiente questi vincoli all’autonomia degli enti locali, cellula base della partecipazione cittadina all’amministrazione pubblica e agli affari della propria Comunità, si pongono con legge ordinaria ed infatti sono già previsti i bilanci obbligatoriamente in pareggio e i limiti di spesa con il famigerato patto di stabilità, nonché la responsabilità erariale personale degli amministratori per i debiti fuori bilancio o le spese irragionevoli o illegittime. Bisognava piuttosto organizzare controlli d’efficienza e d’efficacia della spesa, da accompagnare a quelli di legalità, piuttosto che abolire ogni controllo tempestivo degli organi regionali di controllo, già previsti dall’art. 130 Cost. e abrogati con la legge costituzionale n. 3/2001. Una malintesa autonomia sta provocando ora la sua totale abrogazione.
Non è possibile arrestare la macchina, la modifica costituzionale è già stata licenziata due volte dalla Camera dei Deputati e una volta dal Senato della Repubblica, le formazioni che appoggiano il Governo l’hanno approvata e anche gruppi parlamentari in dissenso, ma per rispetto del popolo sovrano e come anticipazione delle numerose proposte di modifica dell’art. 138 Cost., che prevedono il referendum confermativo obbligatorio per ogni modifica costituzionale, chiedete con forza, che l’approvazione non avvenga con la maggioranza qualificata dei due terzi (2/3) dei componenti della Camere: per lasciare spazio a un’eventuale richiesta di referendum, da parte di 126 Deputati, 64 Senatori, 500.000 elettori o cinque Consigli Regionali.
L’interesse della Nazione prescritto dall’art. 67 Cost. è un dovere anche per parlamentari nominati grazie alle liste boccate e non eletti e una conferma popolare della modifica costituzionale da loro adottata è un modo per legittimarsi restituendo l’ultima parola ai cittadini e alle cittadine, gli stessi che hanno eletto i loro Sindaci e che eleggeranno il nuovo Parlamento. Si spera che le prossime elezioni politiche si facciano con una legge conforme a Costituzione, se la Corte d’Appello di Milano, il prossimo 22 marzo la rinviasse alla Corte Costituzionale come richiesto da 27 cittadini elettori, ai quali ho l’onore di appartenere. Il giorno 22 marzo rischia di essere una data triplicemente fatidica: è la data finale delle 5 Giornate di Milano, dell’invio alla Corte Costituzionale della legge elettorale e dell’approvazione definitiva di una riforma costituzionale, che modifica senza un largo dibattito nella società la forma di Stato delle Autonomie disegnato dai nostri Costituenti nel 1948 e rafforzato coni il consenso del Popolo nel 2001.
In coscienza fossi ancora in Senato non voterei questa riforma, perché sono stato Sindaco di un piccolo paese di 1200 abitanti e mi identifico in gran parte con la tradizione municipale del socialismo riformista milanese. Scrivete ai parlamentari delle vostre circoscrizione provinciali, ma soprattutto ai Senatori della vostra Regione, usate tutti gli strumenti di comunicazione, cui avete acceso per chiedere nell’interesse dei vostri concittadini e delle vostre concittadine: cari Senatori non approvate le modifiche alla Costituzione con la maggioranza dei 2/3, lasciate l’ultima parola a chi sta pagando e pagherà il costo del risanamento.
Con forte solidarietà con la Vostra causa
Felice C. Besostri
Senato della Repubblica, Commissione Affari Costituzionali XIII legislatura
Sindaco di Borgo San Giovanni (1983-1988)
Vice presidente vicario Commissione Ambiente, Pianificazione Territoriale e Collettività Locali dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (1996-2001)
la Prima Commissione, Affari Costituzionali del Senato, ha ancora due giorni di lavoro, Giovedì 22 marzo la modifica costituzionale sarà definitiva.
Sono solo quattro articoli, ma lo Repubblica italiana, come disegnata dalla Costituzione non sarà più la stessa, con le sue peculiarità aveva dato origine ad una Forma di Stato, definita in dottrina come Stato delle Autonomie, che aveva avuto il suo coronamento con le modifiche costituzionali della Parte Seconda Titolo V del 2001. Il dibattito è stato polarizzato soltanto sull’art. 81 Cost., come si trattasse di definire in Costituzione politiche e teorie economiche, che è comunque un errore, a prescindere dalle proprie preferenze.
Lo Stato perseguirà il pareggio, ma a spese di Regioni, Province e soprattutto dei Comuni. Dimenticatevi i concetti di autonomia come enunciati dall’art. 5 della Costituzione, che apparentemente non viene toccato, ma svuotato di significato. Siamo chiari un intervento per ridurre i deficit delle pubbliche amministrazioni era necessario: la nostra preoccupazione è che nessuna delle cause strutturali è rimossa, in primo luogo l’evasione fiscale e previdenziale, i costi della corruzione e del clientelismo e del parassitismo della criminalità organizzata. Inoltre la discrasia tra le competenze e funzioni trasferite, dallo Stato alle Regioni e da queste o direttamente ai Comuni, e i mezzi finanziari per farvi fronte ha pesato sulla finanza locale. Il numero dei Comuni potrebbe essere ridotto, ma non in modo autoritario e senza tener conto che in caso di aggregazione, con l’attuale sistema elettorale maggioritario e con riduzione del numero dei consiglieri, le Comunità preesistenti sarebbero tagliate fuori da ogni rappresentanza. Le disposizioni di principio restano formalmente in vigore. L’art. 119 Cost. recita ancora “I Comuni, le Province ,le Città Metropolitane e le Regioni hanno autonomia di entrata e di spesa “, ma si aggiungerà “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea “.
I comuni virtuosi non saranno premiati perché la loro capacità di “ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento” con la riforma del sesto comma dell’articolo 119 Cost non solo lo potranno fare, giustamente, “con la contestuale definizione di piani di ammortamento”, ma anche “a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio”.
La nostra Costituzione, fosse stato rispettato l’ultimo comma dell’art. 81 nel testo vigente ( “Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”)avrebbe dovuto impedire la formazione dell’ingente debito pubblico, che ora si vuol ridurre non con virtuose pratiche di finanza pubblica e politica economica ed industriale, ma con l’accetta di parametri stabiliti in sede europea in vertici di capi di Stato o governo senza dover rispondere né ai propri Parlamenti, né al Parlamento Europeo: vi è quindi anche un problema di democrazia e di sovranità nazionale, altrettanto importante dell’affidabilità per i mercati finanziari, se non di più per chi pone al centro la persona con i suoi diritti umani, civici e politici, conquista della nostra civiltà.
Per di più le ricette europee non stanno funzionando, in Grecia, Portogallo e Spagna il rapporto deficit/PIL continua a crescere. In uno Stato ordinato ed efficiente questi vincoli all’autonomia degli enti locali, cellula base della partecipazione cittadina all’amministrazione pubblica e agli affari della propria Comunità, si pongono con legge ordinaria ed infatti sono già previsti i bilanci obbligatoriamente in pareggio e i limiti di spesa con il famigerato patto di stabilità, nonché la responsabilità erariale personale degli amministratori per i debiti fuori bilancio o le spese irragionevoli o illegittime. Bisognava piuttosto organizzare controlli d’efficienza e d’efficacia della spesa, da accompagnare a quelli di legalità, piuttosto che abolire ogni controllo tempestivo degli organi regionali di controllo, già previsti dall’art. 130 Cost. e abrogati con la legge costituzionale n. 3/2001. Una malintesa autonomia sta provocando ora la sua totale abrogazione.
Non è possibile arrestare la macchina, la modifica costituzionale è già stata licenziata due volte dalla Camera dei Deputati e una volta dal Senato della Repubblica, le formazioni che appoggiano il Governo l’hanno approvata e anche gruppi parlamentari in dissenso, ma per rispetto del popolo sovrano e come anticipazione delle numerose proposte di modifica dell’art. 138 Cost., che prevedono il referendum confermativo obbligatorio per ogni modifica costituzionale, chiedete con forza, che l’approvazione non avvenga con la maggioranza qualificata dei due terzi (2/3) dei componenti della Camere: per lasciare spazio a un’eventuale richiesta di referendum, da parte di 126 Deputati, 64 Senatori, 500.000 elettori o cinque Consigli Regionali.
L’interesse della Nazione prescritto dall’art. 67 Cost. è un dovere anche per parlamentari nominati grazie alle liste boccate e non eletti e una conferma popolare della modifica costituzionale da loro adottata è un modo per legittimarsi restituendo l’ultima parola ai cittadini e alle cittadine, gli stessi che hanno eletto i loro Sindaci e che eleggeranno il nuovo Parlamento. Si spera che le prossime elezioni politiche si facciano con una legge conforme a Costituzione, se la Corte d’Appello di Milano, il prossimo 22 marzo la rinviasse alla Corte Costituzionale come richiesto da 27 cittadini elettori, ai quali ho l’onore di appartenere. Il giorno 22 marzo rischia di essere una data triplicemente fatidica: è la data finale delle 5 Giornate di Milano, dell’invio alla Corte Costituzionale della legge elettorale e dell’approvazione definitiva di una riforma costituzionale, che modifica senza un largo dibattito nella società la forma di Stato delle Autonomie disegnato dai nostri Costituenti nel 1948 e rafforzato coni il consenso del Popolo nel 2001.
In coscienza fossi ancora in Senato non voterei questa riforma, perché sono stato Sindaco di un piccolo paese di 1200 abitanti e mi identifico in gran parte con la tradizione municipale del socialismo riformista milanese. Scrivete ai parlamentari delle vostre circoscrizione provinciali, ma soprattutto ai Senatori della vostra Regione, usate tutti gli strumenti di comunicazione, cui avete acceso per chiedere nell’interesse dei vostri concittadini e delle vostre concittadine: cari Senatori non approvate le modifiche alla Costituzione con la maggioranza dei 2/3, lasciate l’ultima parola a chi sta pagando e pagherà il costo del risanamento.
Con forte solidarietà con la Vostra causa
Felice C. Besostri
Senato della Repubblica, Commissione Affari Costituzionali XIII legislatura
Sindaco di Borgo San Giovanni (1983-1988)
Vice presidente vicario Commissione Ambiente, Pianificazione Territoriale e Collettività Locali dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (1996-2001)
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