lunedì 29 agosto 2011

Vittorio Melandri: Libero Grassi e la "Cattiva qualità" del consenso

“Il caso Penati scuote la politica”, così titola a tutta pagina il Corriere della Sera di lunedì 29 agosto 2011. Sono passati giusto vent’anni dall’assassinio di Libero Grassi, e nel suo ricordo, e nel ricordo dei tanti italiani massacrati direttamente e indirettamente da una politica fellona ed inerte, capace di scuotersi solo quando sono gli interessi della propria parte ad essere messi a rischio, il titolo del più autorevole e antico quotidiano italiano mi suona come un’amarissima beffa. Marcello Ravveduto, Presidente del Coordinamento Libero Grassi, su l’Unità di domenica 28 agosto ha ricordato che a Samarcanda, la trasmissione condotta da Michele Santoro, l’11 aprile 1991, Grassi aveva sì denunciato la piaga del “pizzo”, ma anche sottolineato che il primato della politica, il primato della morale, sono preceduti dal primato della “qualità del consenso”. È una primato logico, prima che etico o morale, perché è ora, nel paese dove “il fine giustifica sempre i mezzi”, di sostenere con forza che quando i mezzi sono sudici, insudiciano il più nobile dei fini, sino a renderlo inservibile allo scopo per il quale si persegue. Sin da quando le avevo sentite, quelle parole di Libero Grassi mi hanno convinto che aveva circoscritto il cuore del problema, perchè spiegò bene cosa intendeva: “ad una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia”, come riporta con puntualità Ravveduto, e non era certo il consenso espresso per questo o quel partito, ad essere in sé cattivo, perché Grassi si riferiva alle modalità con cui tutti i partiti, chi accontentandosi, chi attivandosi, accedevano e tuttora ahinoi accedono, alla raccolta del consenso. Credevo di avere avuto le allucinazioni, perché non ho più trovato nessuna eco di quelle parole, e solo dopo anni di silenzio, ho ritrovato per la prima volta un cenno alla cosa, nella presentazione di Michele Santoro, al lavoro di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini “La mafia è bianca”, dove Santoro fra l’altro scrive: “in questo film compare un piccolo brano di una trasmissione che Maurizio Costanzo e io dedicammo alla memoria di Libero Grassi. Libero faceva pigiami al piano terra di un grande palazzo qualsiasi a Palermo. La mafia lo uccise perché si rifiutava di pagare il pizzo ma …..anche perché aveva capito che la forza di cosa nostra è l’immenso reticolo di complicità su cui può contare: politici, imprenditori e gente qualunque...” concetto che in quattro parole si può tradurre in “cattiva qualità del consenso”. È cambiato qualcosa da allora? Possiamo credere che oggi sia possibile non parlare più, di “cattiva qualità del consenso”? Possiamo credere, che senza incidere tale metastasi, anche a sinistra, per quanto mi riguarda in prima persona, soprattutto a sinistra, si possa sperare davvero in una rinascita dei suoi valori fondanti, di libertà di uguaglianza di fraternità, e in una ri-partenza verso traguardi degni della sua storia? Che si possa titolare che “Il caso Penati scuote la politica”, come se il sudiciume che da decenni insozza la politica in Italia cominci a puzzare solo con “il caso Penati”, è una “vergogna” che tutti dovremmo avvertire come tale. Il sudiciume anche quello politico, lasciandolo in discariche abusive, diventa percolato, e da troppo tempo si è lasciato che la politica italiana diventasse una sorta di discarica abusiva in cui pregiudicati di ogni risma e in-eleggibili, sono da anni presenti senza che nessuno sollevi un ciglio, nascosti sotto la foglia di fico di un falso garantismo, intanto che del garantismo vero, quello iscritto nella Costituzione antifascista, è stata fatta mucillagine. O si aggredisce finalmente il cancro della “cattiva qualità del consenso”, come la intendeva Libero Grassi, o tutto si rivelerà puntualmente inutile.



Vittorio Melandri





Franco Astengo: La formazione della classe dirigente

LA FORMAZIONE DELLA “CLASSE DIRIGENTE”

Il PD è di fronte alla “questione morale”, il dato appare chiaro e inequivocabile e non serve rifugiarsi dietro al motto evangelico della trave e della pagliuzza (anche se, nel caso dell’avversario nell’occhio non c’è una trave ma L’Empire State Building) e neppure è utile affermare, come fa oggi sulle colonne del “Corriere della Sera” l’attuale sindaco di Sesto San Giovanni che “bisogna amministrare la Città”, in una lettera dove trasuda la pressione che la cosiddetta “antipolitica” pone nei confronti delle istituzioni e dei suoi rappresentanti.

Sarebbe sbagliato se si riducesse il tutto a casi singoli e non si esplorasse fino in fondo ciò che sta accadendo: come si sia verificato un mutamento radicale dell’agire politico che ha, da un lato favorito questo tipo di fenomeni negativi e dall’altro proprio la crescita di quella che abbiamo già definito “antipolitica”.

I casi, negli ultimi tempi, si stanno moltiplicando e pare abbiano tutti elementi comuni: dalla sanità pugliese, al trasporto aereo, alle tangenti raccolte per una squadra di basket (come in Liguria, “terra madre” degli scandali politici ripensando al Teardo anni’80).

L’elemento comune è quello della “resistibile ascesa” di determinati personaggi, dei quali apparentemente non si sono mai verificate le iniziative politico – amministrative consentendo (non si capisce bene perché) commistioni tra pubblico e privato attraversanti addirittura lo stesso nucleo familiare, il cumulo improprio di cariche tra partito e consigli d’amministrazione, ruoli dirigenziali e istituzionali cumulati in comuni viciniori nei quali problematiche importanti (in particolare in tema di assetto del territorio e di ambiente) sono comuni (quasi il classico gioco del “controllore e controllato”).

Perché ciò sia avvenuto rimane un mistero, quando sarebbe stato facile fermare questi ambiziosi personaggi impedendo il cumulo di incarichi o l’intreccio tra scelte amministrative e forniture: indubbiamente il caso di Sesto San Giovanni è il più grave, per il rilievo politico di grandissima portata.

Ci troviamo, infatti “nel cuore” della direzione politica del PD e se le azioni della magistratura si dovessero rivelare del tutto fondate, il colpo sarebbe tremendo, e non pare proprio che ci si stia attrezzando a dovere, i passi sono stati esitanti, del tutto insufficienti rispetto alla prospettiva che sta aprendosi.

Il nodo però sta tutto in una domanda: come si forma una “classe dirigente”? Già affermare “classe dirigente” fornisce un segnale negativo, parla di separatezza, davvero di “casta”, non chiarisce i meccanismi di interscambio con la società.

Non mitizziamo ovviamente la “società civile”, un errore commesso da molti all’epoca – ad esempio – di “Tangentopoli”: è evidente però che, in questa fase, sia risaltata una forma inedita di “autonomia del politico” basata non sull’identità collettiva dei soggetti, ma sul personalismo di una condizione effettivamente soggettiva da conservare, curare, accrescere perché portatrice proprio di benefici (nella maggior parte dei casi “fuori mercato”) individuali.

Il PD, come altri soggetti (non osiamo usare la parola partiti, che ha un grande significato, sul piano dell’indicazione della qualità di una democrazia : pensiamo che, a sinistra, esistono soggetti che si collocano al di fuori dell’art.49 della Costituzione e parlano di “rinnovamento”) è cascato nella trappola modificandosi a uso dei desiderata dell’avversario: personalizzazione, competizione maggioritaria, prevalenza (a tutti i livelli centrali e periferici) dell’idea della governabilità in luogo dell’idea della rappresentanza politica, svilimento del radicamento sociale e del ruolo degli iscritti, costretti a recitare la parte dei replicanti nelle improbabili “primarie”, nessun meccanismo di selezione dell’attività politica in base all’esperienza, alla cultura, alla capacità organizzativa. “Fidelizzazione” e “Personalismo” questa l’accoppiata perdente, dalla quale sono usciti entrambi i poli negativi d questa vicenda: da un lato l’emergere della “questione morale” e dell’altra il populismo (anche questo mutuato dall’avversario, in una logica di omologazione che è poi il tema dominante della crisi del PD) di facili “rottamatori” e di “affabulatori” di vario genere.

Abbiamo speso parole amare: l’invito è quello di andare a fondo; il pericolo vero è che non ci sia più uno spazio, in questa fase, per una classe politica di riferimento, ma soltanto per una “presunta” classe dirigente autoreferenziale .

Non si venga a raccontare, infine, la favola del consenso realizzato alle elezioni: nel caso referendum e amministrative sono già passati e si debbono fare i conti sui dati reali, partendo dal complesso degli elettori, il calo a destra come a sinistra è impressionante e i rischi, in questa crisi verticale, dietro l’angolo.

Savona, li 29 agosto 2011 Franco Astengo



Magno: Più rispetto per la CGIL Il Riformista

Il Riformista

Macaluso: Veltroni e il riformismo Il Riformista

Il Riformista

domenica 28 agosto 2011

“E se all’euro affiancassimo le monete locali?” | Linkiesta.it

“E se all’euro affiancassimo le monete locali?” | Linkiesta.it

Paolo Borioni: Perché è giusto appoggiare lo sciopero CGIL

Perché è giusto appoggiare lo sciopero Cgil: una breve considerazione.
pubblicata da Paolo Borioni il giorno sabato 27 agosto 2011 alle ore 11.46
La linea di appoggio alla Cgil da parte di Bersani e della "sinistra" PD è da segnalare come ottima novità.

Per due ordini di ragioni.

1) Tatticamente: L'argomento di non far riallontanare le tre confederazioni (opposto da una minoranza PD) è di certo valido. Tuttavia, l'entità/qualità della manovra (e della cultura ancora prevalente nella BCE/Commissione UE, per non parlare del nostro governo) è tale da aprire alla sinistra spazi notevoli di consenso nel lavoro dipendente. Ovvero: il PD può riallargarsi in quella constituency a prescindere dalla condotta degli altri 2 sindacati. Questi anzi verosimilmente alla fine verranno trascinati o dovranno comunque venire a patti poiché coltivare rapporti con lo pseudo ex-socialista Sacconi (Bissolati al confronto non era nulla...) non appare più una soluzione che dà consenso: col potenziale presente in questa fase (nazionale e mondiale) PD e CGIL insieme appaiono degli ottimi traini, cui può unirsi una SEL che decida la propria maturazione organizzativa e politica.

2) Soprattutto strategicamente: Nella prospettiva "lunga" né l'Italia né l'Europa escono dalla crisi senza un forte patto che rilanci la domanda da salari. Infatti, come dice spesso Andrew Watt del sindacato Europeo, le politiche attuate oggi "are fucking up". Meglio quindi stabilire fin da ora rapporti saldissimi con il lavoro operaio e quello dipendente di medio reddito, per tracciare da subito un percorso di coerenza e di credibilità in questa direzione. Su cui non potrà alla lunga che venire a patti il buon senso di tutti coloro che vogliono il bene della crescita e della UE.

Perché parlo di riacquisto di credibilità? Perché le oscillazioni "blairiane" "schröderiane" e (si parvissima licet componere magni) "veltroniane" degli scorsi anni (ma anche oggi come si vede dalle reazioni ampiamente ospitate dai giornali elitisti come CdS e Repubblica) sono quelle che impediscono fino ad ora alle socialdemocrazie europee di raccogliere per intero il consenso che dovrebbe derivare loro dalla crisi. Ci sono su questo analisi puntuali della Friedrich Ebert Stiftung: i verdi tedeschi si giovano elettoralmente di Fukushima PERCHE su questi temi sono sempre stati credibili coi loro ceti di riferimento (ceto medio-alto riflessivo urbano). La Spd sfrutta meno la crisi globale del liberismo perché da poco tempo è tornata su contenuti ad esso alternativi. (NB: Saranno su ciò un segnale dirimente importante le elezioni di Berlino e quelle danesi: ambedue di metà settembre). Ma come detto si è nella piena possibilità di recuperare. Il che tra l'altro sarebbe un recuperare sé stessi per il bene dell'Europa.

Va inoltre (in tutto ciò) colta nella sua grande positività la decisione, da parte de "l'Unità", di tornare ad essere il tramite di questa nuova "centralità della questione sociale". Ovvero, al di là di tante chiacchiere sul riformismo (concepito da molti semplicemente come il centrismo del centro-sinistra), di gran lunga il principale e inevitabile nodo di ogni riformismo progressista (e socialista...) possibile, da sempre, ovunque. Segnalo tra i molti esempi l'inserto sui "danni del liberismo" di qualche settimana fa. Oggi da leggere è anche il pezzo di Cesaratto-Turci e quello di Michele Raitano. Tutte cose scritte da analisti e studiosi a cui mi unisce con totale naturalezza un percorso che viene da lontano, e che si ritrova oggi nelle pagine dell'Unità.

Cosa si aspetta da Pisapia - LASTAMPA.it

Cosa si aspetta da Pisapia - LASTAMPA.it

Emanuele Macaluso: Penati, il PD e Sesto Il Riformista

Il Riformista

Peppe Giudice: Lo sciopero della CGIL e la prospettiva Socialdemocratica in Italia

Lo sciopero della CGIL e la prospettiva Socialdemocratica in Italia

Hollande et les riches

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Patrimoniale di solidarietà | Bruno Tinti | Il Fatto Quotidiano

Patrimoniale di solidarietà | Bruno Tinti | Il Fatto Quotidiano

La Sinistra Socialista e la Lega dei Socialisti a fianco dei lavoratori e della CGIL per lo sciopero generale del 6 settembre

La Sinistra Socialista e la Lega dei Socialisti a fianco dei lavoratori e della CGIL per lo sciopero generale del 6 settembre

L'ECONOMIA ITALIANA SCAPPA IN SVIZZERA - Cadoinpiedi

L'ECONOMIA ITALIANA SCAPPA IN SVIZZERA - Cadoinpiedi

Eddyburg.it - Almeno un po’ di decenza

Eddyburg.it - Almeno un po’ di decenza

Luigi Fasce: Tremonti, dr. Jekyll e Mr. Hide

C'è da rabbrividire rilevare che Tremonti al meeting di CL,
notorialmente liberista per potersi appropriare di tutto il sistema
di welfare sociale, municipale e anche industriale, sfugge solo
l'economia mafiosa (droga, prostituzione, imprese illegali, ma i
mafioso sono profondamente credenti nei santi e madonne), se la
prende con la crisi mondiale facendo balenare che è contro il sistema
neoliberista e poi rilevare che la manovra proposta persevera nel suo
intento di provatizzare tutto quanto il welfare municapale.
Per avere informazioni vi propongo questo illuminante intervista di
Massimiliano Amato a Alberto Lucarelli.

VENERDÌ 26 AGOSTO 2011
MASSIMILIANO AMATO intervista Alberto Lucarelli

popolare?
Sì, il termine esatto è proprio scippo: le norme contenute nella
manovra di ferragosto sulla privatizzazione dei servizi pubblici
locali, acqua a parte, ci fanno tornare indietro, alla situazione pre
referendum di giugno.>

In questi giorni Alberto Lucarelli, ordinario di Istituzioni di
Diritto
Pubblico all´Università di Napoli Federico II e assessore ai Beni
comuni
della Giunta de Magistris, tra gli estensori di due dei quattro
quesiti
referendari plebiscitati dagli elettori, è impegnato nella redazione
di
una serie di appelli. Il primo, firmato tra gli altri da Ugo Mattei,
Luca Nivarra, Livio Pepino, Alex Zanotelli, Giorgio Airaudo, ha
raccolto nel giro di poche ore 5000 adesioni; un altro, scritto a
quattro mani con Gianfranco Bettin, assessore a Venezia, vedrà la
luce nei prossimi giorni, e
sarà rivolto a tutti i Comuni d´Italia.
Che cosa succederebbe se passasse l´attuale impianto del decreto?

«Le norme contenute nella manovra prevedono l´obbligo di una
privatizzazione a tappe forzate dei servizi pubblici locali.
Un primo step è fissato al 30 giugno 2012, ma già entro il 31 marzo
cesseranno gli affidamenti diretti, e successivamente, entro il
31dicembre, scomparirebbero le società miste. Ma non è tutto: per i
Comuni che, tra il 2013 e il 2014, cederanno ai privati i loro
servizi sono
previsti una serie di incentivi».

E questo taglia la testa al toro sulla vera volontà di procedere a
privatizzazioni a tappeto. È così?

«Infatti. La norma prevede un premio per quegli enti che, dalle
privatizzazioni dei servizi, avranno ricavato il denaro necessario
per la realizzazione di infrastrutture».

Banalmente: più strade e meno asili pubblici?

«Ma anche meno ospedali pubblici, e altri servizi sociali, come
l´assistenza
agli anziani e alle categorie deboli. Non bastasse, per i privati
che subentrano ai Comuni sono previste una serie di compensazioni
economiche. Ci troviamo di fronte ad un ritorno effettivo
all´abrogato
decreto Ronchi, che puntava al superamento delle tre modalità
tradizionali
di gestione dei servizi: pubblica, mista e affidamento in house. Ora
quest´ultima modalità è l´unica ad essere tenuta in vita, ma per gli
affidamenti saranno privilegiate le SpA, e non le aziende pubbliche.
Di fronte a questo quadro, i profili di illegittimità sono
molteplici».

Li può elencare?
«Cominciamo dalle violazioni della Costituzione: sotto attacco sono
gli
articoli 1, 5, 75, 77, 114, 117 e 118.
Senza contare la giurisprudenza costituzionale in materia di
referendum,
che vieta la riproponibilità di norme già abrogate con consultazione
referendaria. Oltre alla Carta, viene violato il Diritto comunitario,
in particolare i principi di libera definizione delle scelte di
gestione
da parte degli enti locali e della sussidarietà verticale. Viene
inficiato
gravemente il principio della neutralità dello Stato rispetto alle
scelte
delle autonomie locali».

Il decreto, però, fa salvi i beni pubblici indisponibili, come
l´acqua.

«È vero. Però l´insidia si nasconde in un piccolo comma: quello che
reintroduce la distinzione tra la proprietà e la gestione del
servizio
idrico. E su questo punto, mi pare, che non ci sia alcun dubbio che
la
volontà referendaria è tradita in pieno».

Dal quadro che lei dipinge è facile prevedere una valanga di ricorsi.

«Ma non è questo il punto più importante della battaglia che abbiamo
intrapreso. Intanto, vediamo come va a finire in Parlamento, dove
si gioca la partita decisiva. I gruppi di opposizione potranno
recitare
un ruolo importante proponendo modifiche che limitino l´impatto
devastante sui Comuni. In una fase successiva, potranno scendere
in campo le Regioni, le quali hanno facoltà di rivolgersi
direttamente
alla Corte Costituzionale. In ultimo, la palla passerà ai Comuni,
che hanno l´accesso indiretto alla Consulta. Il cammino, come vede,
è abbastanza lungo».
MASSIMILIANO AMATO
«Ritorno al passato
Così si vìola la Carta
e la giurisprudenza»
Intervista a Alberto Lucarelli
Il docente e assessore «I Comuni costretti
a cedere anche pezzi del welfare municipale»
Staino
La manovra affossa i referendum
I movimenti referendari sul piede di guerra. Rilievi anche dalla
commissione Affari costituzionali>




Felice Besostri: Quale futuro per il sindacato

QUALE FUTURO PER IL SINDACATO? La CGIL e lo sciopero generale del 6 sett. 2011

Ci si può rammaricare che lo sciopero generale del 6 settembre sia stato indetto dalla sola CGIL, ma se non ora quando?. Si sta accelerando la manovra e una mobilitazione fatta dopo l’approvazione delle norme, anche da parte di un solo ramo del Parlamento, sarebbe stata inutile. La preoccupazione unitaria per produrre frutti deve essere condivisa e non si sono sentite controproposte di Cisl e Uil di azioni unitarie alternative allo sciopero.
L’unità sindacale è un obiettivo apprezzabile e condivisibile, perché aumenta la capacità contrattuale dei lavoratori, ma non può essere disgiunta da obiettivi condivisi : in questo momento è urgente dire no a una manovra, che sarebbe scaricata direttamente o indirettamente sulla maggioranza della popolazione e nemmeno la più ricca, lavoratori dipendenti, pensionati e su tutti i soggetti in regola con le tasse, compresi i”ricchi”, che dichiarano più di 100.0000 euro all’anno di imponibile, che sono troppo pochi rispetto alla popolazione e alle ostentazioni di ricchezza, che ciascuno può osservare.
Due sono gli elementi della crisi, che se non sono rimossi, non consentiranno di uscirne, la mancanza di crescita e il progressivo impoverimento di chi viva del proprio lavoro o della pensione e non disponga di rendite finanziarie o di profitti. D’altro canto quando il 10% delle famiglie possiede il 45% (secondo altre stime il 48%) della ricchezza nazionale è detto tutto. Il fenomeno dell’evasione fiscale si è tradotto, almeno in parte in beni, soprattutto immobili o beni mobili registrati( auto e natanti o velivoli), quando non è stato illecitamente portato all’estero. Lo stesso si è verificato per i proventi della corruzione o di attività criminali, per loro natura non dichiarabili. Ne discende che in attesa di una lotta coerente all’evasione, che no darà in ogni caso frutti in termini di cassa per i prossimi 2/3 esercizi finanziari, che l’unico modo di colpire l’evasione fiscale storica sia un’imposta patrimoniale progressiva, che colpisca beni mobili ed immobili: straordinaria in un primo momento, ma da introdurre in via permanente con aliquote più basse.
Le proposte della CGIL sono in linea di massima condivisibili e vanno nella giusta direzione di contrasto dell’evasione fiscale e della crescita, come il “Fondo per la Crescita e l'Innovazione” (FCI), da destinare prevalentemente a: A) un Piano energetico nazionale e politiche di green economy; B) Politiche di innovazione e sviluppo locale; C) Ricerca & Sviluppo; D) una politica industriale per il Mezzogiorno.
Nelle proposte da elaborare bisognerebbe evitare che la distinzione tra “buoni” e “cattivi” segua quella tra lavoratori dipendenti e pensionati da un lato e tutti gli altri dall’altro. Lo scandalo dei magistrati(ordinari, amministrativi e contabili) o appartenenti all’alta dirigenza statale o della Banca d’Italia, collocati fuori ruolo, ma che continuano a percepire lo stipendio e beneficiare di progressioni di carriera nell’amministrazione di origine in aggiunta alle indennità per il nuovo incarico, Corte Costituzionale e Autorità di garanzia comprese, comporta per ciascuno di loro benefici superiori a quelli dei membri della “casta politica” e senza l’alea della periodicità dell’incarico. La vera distinzione è tra i soggetti che pagano le tasse e quelli che non le pagano: pe questa ragione il contributo di solidarietà non appare una misura giusta applicata ai redditi già soggetti a IRPEF.Il sindacato non può farsi carico soltanto dei propri iscritti se vuol creare una vasta alleanza sociale, tra chi produce ricchezza con il proprio lavoro senza distinzione tra lavoro dipendente, autonomo o libero professionale. L’uso strumentale si contratti a progetto, di incarichi professionali per un unico cliente, di partite IVA fatte aprire come condizione per mantenere un posto di lavoro hanno abbattuto nei fatti la distinzione tra lavoro dipendente ed autonomo, quest’ultimo privo di ammortizzatori sociali e di un futuro previdenziale, per non parlare dei lavoratori in nero, immigrati clandestini o cittadini ricattati dal bisogno, che siano.
Un sindacato deve preoccuparsi di rispecchiare il lavoro e le sue forme, così come si evolvono in seguito ai mutamenti nella composizione sociale dell´Italia in ceti e classi diversi da quelli tradizionali, affinché il sindacato dia vita anche a nuove forme di rappresentanza del mondo del lavoro.
Tra gli iscritti e il quadro dirigente locale, regionale e nazionale sono sottorappresentati i precari non appartenenti alla funzione pubblica e i lavoratori privi di cittadinanza e quel composto mondo delle partite Iva in posizione parasubordinata ovvero le espressioni più qualificate del terziario avanzato: insomma i meno tutelati e i più qualificati. Affrontare il problema è un modo anche di farsi carico di un ceto medio impoverito e spaventato, quindi instabile anche politicamente. Gli “indignati” spagnoli, israeliani e cileni, tutti borghesi del ceto medio o i proletari delle banlieu francesi o dei quartieri etnici britannici sono i due poli di un disagio, che mina la coesione politica e sociale delle nostre società democratiche, con esiti imprevedibili e pertanto inquietanti, in assenza di uno sbocco sindacale e/o politico nell’alveo della sinistra, già messa in difficoltà dalla riduzione dello stato sociale,anche nei suoi settori tradizionali di insediamento.
Un sindacato all’altezza della sfida dei tempi, di questo la CGIL è conscia quando si riferisce “al nuovo Patto di Stabilità e Crescita europeo (PSC) deliberato dal Consiglio europeo ad aprile 2011” che “ si preoccupa della stabilità ma non della crescita: non assume l'equità e la solidarietà tra Stati Membri come obiettivo, tende a deprimere e a rinviare la crescita, si limita a vincolare lo sviluppo alla "credibilità" dei debiti sovrani sui mercati finanziari”.
Questa sensibilità al quadro europeo lo si ritrova anche quando nel documento si mette in rilievo che”Il recente vertice franco-tedesco segna un lieve cambio di prospettiva rispetto alla politica economica precedente, comunque ritardato e inefficace” ma aggiunge a completamento “. Come abbiamo più volte affermato al fianco della CES, è essenziale istruire una Tassa sulle Transazioni Finanziarie (TTF) ed emettere obbligazioni europee (Eurobond) per consolidare i debiti pubblici degli Stati Membri e rilanciare investimenti e crescita”.
La dimensione internazionale della crisi impone che sia tenuta costantemente presente in ogni momento e quindi condurre a proporre azioni coordinate e comuni, almeno in tutti gli Stati membri della UE, come ambito territoriale- istituzionale e a livello di settore, l’automobile per esempio, a livello sovranazionale: una vicenda FIAT richiede una interlocuzione con i sindacati USA, del Brasile, di Serbia e Polonia. Un sindacato deve preoccuparsi dei limiti del quadro politico in cui opera: non è lo stesso che un sindacato, pur difendendo con rigore la propria autonomia, abbia un interlocutore, come nella maggioranza dei paesi europei, con formazioni politiche che facciano riferimento alla sua base sociale, sia pure non in via esclusiva. L’attuale articolazione partitica della stessa sinistra non costituisce un riferimento per un sindacato, specie quando indice forme di lotta, decise come uno sciopero generale, ma questo assetto è anche il frutto di una legge elettorale, che opportunamente si voleva abrogare per via referendaria: senza un’articolazione plurale e rinnovata della sinistra il Sindacato non avrà quel sostegno, di cui ha bisogno in momenti come questi, e nella nuova articolazione non potrà mancare una formazione che abbia il suo riferimento principale, anche se non esclusivo, nel socialismo europeo, che costituisce la più importante formazione democratica e progressista europea, oltre che l’interlocutore della maggioranza dei sindacati della CES
.Roma 26/08/2011
Felice C. Besostri


sabato 27 agosto 2011

Pareggio di bilancio, maneggiare con cura / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Pareggio di bilancio, maneggiare con cura / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Cesaratto-Turci: L'austerity non basta

L’unità 27 agosto 2011

L’austerity non basta

Sergio Cesaratto e Lanfranco Turci

A noi sembra che l’asse portante della proposta economico-politica del PD in questa fase sia estremamente inadeguato. Fondamentalmente esso si basa sulla condivisione della necessità dei tagli di bilancio, in Italia come nel resto dell’Europa, sebbene dissenta nei contenuti dalla manovra presentata dal governo. Questo asse deriva, a nostro avviso, da una profonda incomprensione da parte dei vertici del PD – non certo soli in questo – della dimensione europea della crisi in corso. Nel pur apprezzabile decalogo delle proposte presentate dal segretario Bersani che troviamo sul sito ufficiale del partito, la questione europea viene liquidata in cinque righe con un generico richiamo alle proposte dei partiti “progressisti” europei e affermando che “soltanto un governo politico dell’area euro per lo sviluppo sostenibile e la gestione comune dei debiti sovrani … può dare senso alle politiche di austerità”, politiche considerate, dunque, pienamente legittime. Eppure il Progetto economico del PD presentato lo scorso marzo presentava una analisi assai corretta e condivisibile della natura europea della crisi, dovuta ai difetti congeniti dell’Unione monetaria e non certo a politiche di dissennatezza fiscale dei governi della periferia – a parte il caso greco ben sponsorizzato dal governo tedesco. Anche allora criticammo il Progetto per l’inadeguatezza delle proposte europee e per la sostanziale condivisione della logica dei tagli (un approfondimento su questa e altre nostre analisi qui sintetizzate su http://politicaeconomiablog.blogspot.com e http:// www. melogranorosso.eu)

Quello che ci saremmo aspettati, e siamo qui costruttivamente a proporre, è una analisi approfondita delle cause e risposte europee alla crisi e, su questa base, una proposta di azione per il paese, al suo interno e in sede europea. C’è infatti una pressoché unanimità degli osservatori a livello internazionale, e degli stessi mercati finanziari, nel giudicare fallimentari le politiche europee di austerità di fronte alla crisi – con l’eccezione della maggior parte di quelli tedeschi, assolutamente in sintonia con la mancanza di visione della loro leadership. Gli accordi stipulati lo scorso 21 luglio hanno, per esempio, ribadito la centralità dei fondi europei di sostegno ai paesi indebitati, laddove anche un bambino capirebbe che se le risorse di questi fondi provengono dai medesimi paesi che si deve sostenere siamo in presenza di una partita di giro (ma più precisamente di una presa in giro). Mentre veniva rafforzata la logica dei tagli di bilancio come strumento di riaggiustamento, con quegli accordi la BCE cercava di defilarsi definitivamente dal suo ruolo di sostenitrice di ultima istanza dei debiti sovrani (le banche centrali esistono a questo scopo). Doveva però rientrare frettolosamente in questo ruolo all’inizio di agosto quando gli attacchi al debito sovrano italiano e spagnolo fecero prefigurare il peggio. L’ha fatto poco, e male. Eppure questo poco e male è stata la giustificazione per la richiesta all’Italia della manovra in discussione. Richiesta che non pare accompagnata da garanzie di intervento illimitato da parte della BCE, quale solo sarebbe in grado di fermare l’attacco ai debiti sovrani Questa manovra appare dunque non solo socialmente iniqua, ma anche inutile, perché hai voglia a far manovre se gli spread restano attorno ai 300 punti !

Questo asse di ragionamento ci saremmo aspettati dal segretario del PD.

Questo non significa che in Italia nulla si debba fare, tutt’altro. A nostro avviso l’asse alternativo della proposta economico politica è duplice: (a) una manovra in cui le risorse pubbliche vengano sottratte agli sprechi e all’evasione e destinate alla crescita e all’equità (istruzione, università, reindustrializzazione, lotta alla povertà ecc); con le credenziali di un paese che vuole diventar più serio e crescere, (b) presentarsi in Europa con la necessaria determinazione e con l’argomento convincente che, rebus sic stantibus, l’Unione è destinata a un rapido collasso. E sull’Europa si devono avere le idee chiare. A nostro avviso la proposta delle obbligazioni europee non è sufficiente senza che al contempo non si modifichi lo statuto della BCE volta a farne una vera banca sovrana dei paesi europei – attualmente euro e BCE sono entità straniere per ciascun paese – e sostegno allo sviluppo. Una governance europea va naturalmente sviluppata, ma non come un super-ministero dell’interno volto a impartire rigore e punizioni secondo la proposta Merkel-Sarkozy, ma come un coordinamento delle politiche di bilancio e distributive, in chiave espansiva, volte a superare, e non è facile, gli squilibri europei. O lo si fa o l’Europa muore, in una crisi di leadership sempre più evidente.

A noi sembra insomma che non solo i politici tedeschi ma anche il fronte progressista italiano stenti a riconoscere la dimensione europea prima che nazionale della situazione – confonda il dito con la luna come ci trovammo già a scrivere. L’Europa, la Germania, hanno molto da insegnarci: come combattere l’evasione e fare tecnologia, rigore e legalità dei comportamenti. Questo è benvenuto. I tagli sono invece non solo iniqui ma, e questo fa rabbia, inutili, anzi dannosi. Per questo riteniamo che la CGIL non debba essere lasciata sola, in un segnale di protesta politica e sociale che va ben oltre la sua stessa rappresentanza.









Alfiero Grandi: Paneacqua.eu: Perché ha ragione la Cgil

Paneacqua.eu: Perché ha ragione la Cgil

Alessandro Litta Modignani: Se anche il “Corriere” diventa “intellettuale organico” del Vaticano | Notizie Radicali

Se anche il “Corriere” diventa “intellettuale organico” del Vaticano | Notizie Radicali

venerdì 26 agosto 2011

Lavoce.info - ARTICOLI - EUROBOND: LE PROPOSTE SUL TAPPETO

Lavoce.info - ARTICOLI - EUROBOND: LE PROPOSTE SUL TAPPETO

Paul Krugman: Fiscalization Watch

Fiscalization Watch

Fabian Review Spring 2011 - The Fabian Society – where the British left thinks

Fabian Review Spring 2011 - The Fabian Society – where the British left thinks

Franco Astengo: Sciopero generale e riformismo

SCIOPERO GENERALE E RIFORMISMO

L’atto di proclamazione dello sciopero generale da parte della CGIL, per il prossimo 6 Settembre, ha scatenato un fuoco di fila di polemiche, provenienti non soltanto dal governo e dalla destra, ma anche da settori dell’opposizione che, in teoria, dovrebbero risultare ancora legati a un certo “concetto” e a una sorta – almeno – di collocazione “a sinistra”.

Il risultato finale, da quella parte, è il solito “ma, anche” quindi la presenza in tutti i cortei e in tutte le manifestazioni indipendentemente da contenuti e piattaforme: inoltre il massimo teorico del “ma anche” spiega oggi, usufruendo di un’intera pagina di “Repubblica”, i “punti del riformismo che può salvare l’Italia”, esprimendo la propria contrarietà alla cultura del “no” che, a suo giudizio percorrerebbe la straordinaria ondata di mobilitazioni sociali che stanno percorrendo il mondo in questa fase; cultura del “no” che ovviamente accomunerebbe in negativo anche il nostro sciopero generale (nel testo non lo si scrive, ma il “sottinteso” è evidente).

Eppure sciopero generale in Italia contro questa manovra economica non sono temi disgiunti e vale la pena, molto brevemente di entrare nel merito.

Prima di tutto è necessario affermare che lo sciopero va fatto riuscire con l’impegno di tutti per una precisa motivazione di carattere politico: nessuno di noi, credo, intende recuperare la cultura soreliana dello “sciopero generale come atto salvifico”. La proclamazione dello sciopero generale indica, però, con grande chiarezza la gravità del momento, l’attacco “ideologico” che attraverso la “cultura della crisi” viene portato verso il movimento dei lavoratori con i rischi, seri, per la democrazia che ne derivano. Tutto questo va messo all’ordine del giorno, con grande chiarezza e senso di responsabilità, senza indulgere alla cultura dell’emendamento buona soltanto per i giochi tattici in Parlamento.

Egualmente è necessario alzare il tiro, esprimere una piattaforma, fornire una base di confronto a chi deciderà di scendere in sciopero. Alzare il tiro proprio sul terreno del riformismo.

Non basta, non è sufficiente, elaborare proposte nel tentativo di modificare “questa manovra”, si può fare ma non è decisivo.

Sarà decisivo, invece, affermare con grande forza che è necessario un riequilibrio nella distribuzione delle risorse, un “riequilibrio” forte che, partendo dalla Patrimoniale (non a tempo, ma inserita strutturalmente nelle dinamiche fiscali) fornisca risorse agli investimenti; sarà decisivo affermare che le liberalizzazioni dei servizi pubblici oltre a favorire i soliti “noti” serviranno anche a limitare ancora un poco di più la democrazia, politica ed economica di questo Paese che ha bisogno invece di un nuovo livello d’intervento pubblico in economia, di capacità collettiva di affrontare la crisi, d’investimenti sui veri, grandi, elementi di ritardo della nostra economia dalla ricerca, alle infrastrutture, al rapporto territorio/ambiente, all’assetto idrogeologico, alle energie rinnovabili, a una diversa politica estera.

Così come risulterebbe fondamentale agganciare lo sciopero generale del 6 Settembre prossimo a un’idea “europea” di mobilitazione, definendo proprio il terreno dell’Europa come fondamentale per lo sviluppo di qualsiasi politica innovativa, di ampio respiro.

Risuonano già le voci contrarie: questa sarebbe di nuovo la vecchia idea anni’70 del “sindacato come soggetto politico generale” : ebbene sì, senza alcuna idea di sostituzione di ruoli e di riempimento di vuoti che purtroppo ci sono, eccome ci sono, l’idea è proprio quella del “sindacato come soggetto politico generale”, non come ritorno all’indietro, ma come visione per il futuro rivolta essenzialmente alle nuove generazioni.

Scusandomi per lo schematismo.

Savona, 26 agosto 2011 Franco Astengo



Lanfranco Turci: Lettera a Macaluso

Caro direttore leggendo il tuo editoriale”Cgil sbaglia ma…”mi è venuto da esclamare:”Emanuele,tu quoque!”.In questi giorni è tutto un coro contro la Cgil antiquata,massimalista,senza bon ton. Quel bon ton che i tanti De Vico vorrebbero che la Cgil mostrasse di fronte all’ombrello di Altan pervicacemente manovrato dal ministro Sacconi. Su questo però devo darti atto che anche tu parli di provocazione e ,sia pure troppo educatamente,richiami Bonanni e Angeletti,che a me paiono invece muoversi come i furbetti del quartierino,tutt’altro che preoccupati di salvaguardare l’unità sindacale. Ma tu dici anche- e questo mi stupisce davvero-che non è opportuno proclamare uno sciopero generale” mentre è in corso una lotta politica”.Verrebbe da domandare “se non ora,quando?”Aggiungo inoltre che non penso solo che lo sciopero sia giustificato dalla provocazione del governo sull’articolo 8,né solo dall’esigenza di dare qualche spinta in più agli emendamenti dell’opposizione laddove coincidenti con la piattaforma della Cgil,ma per il suo significato più generale. La verità è che il messaggio del Pd in questa crisi è debole e contraddittorio. Per un verso si definisce la manovra indigeribile ,classista e depressiva e si lascia intendere di nutrire (ma davvero?)forti riserve sulla impostazione europea,sull’accordo Tremonti-UE e sulla stessa tuttora sconosciuta lettera Trichet/Draghi. Per l’altro si lascia poi cadere il senso generale di opposizione alle risposte alla crisi da parte delle forze conservatrici europee e italiane,si rinuncia a mobilitare quella grande opposizione sociale che si è espressa nei movimenti di questi mesi,nei referendum e nello stesso voto alle amministrative e si ritorna a cedere alla visione della crisi come di una sorta di emergenza naturale cui rispondere con la coesione nazionale e con il comune sforzo a chi è più bravo a proporre dighe,chiuse o sacchetti di sabbia.Lo sciopero della Cgil ha se non altro il merito di ricordarci che si tratta di una crisi sociale e di sistema ,che richiede non solo il rigore dell’equità come discrimine per le misure proposte,ma richiederebbe anche una diversa visione del futuro,di cui c’è grave carenza nella attuale malato clima politico del paese.

Lanfranco Turci


Giù le mani dal 25 aprile! - micromega-online - micromega

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mercoledì 24 agosto 2011

Lavoce.info - ARTICOLI - I NUMERI DELLA MANOVRA A MEZZA ESTATE

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Paneacqua.eu: Una stangata di polso, la peggiore manovra del dopoguerra

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Paneacqua.eu: Merkel - Sarkozy, un vertice contro l'Europa

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Un indecente attacco al sindacato | Insight

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Marco Lang: Sentimento nazionale, interesse collettivo ed egoismo di classe La Sinistra al bivio

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Emanuiele Macaluso: Dopo il discorso del Presidente

Il Riformista

La nostra battaglia per tassare i più abbienti | Linkiesta.it

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21 agosto, un giorno, e non più una data | Storia Minima

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Socialist Economic Bulletin: Economic Crisis Is Cause of Deficits, Not Vice Versa

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La rivista il Mulino: Un Paese senza memoria civile

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Movimento Radicalsocialista - La chiesa e l'evasione: da che pulpito!

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Pietro Ichino |  GLI INCREDIBILI ERRORI DELLA “MANOVRA SUL LAVORO” DEL MINISTRO SACCONI

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Manovra estiva. Una stangata iniqua e depressiva - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

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Luca Telese » “Attenti, l’articolo 18 è già saltato”

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Luca Telese » Sacconi, vendetta socialista sui lavoratori

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Luca Telese » Comunione Presidenziale

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E Tremonti tassa gli italiani più di Visco | Linkiesta.it

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Perché un ecosocialismo libertario

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Napolitano al meeting Cl Ecco l'intervento integrale - LASTAMPA.it

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Crisi: “Cambiare la Commissione europea” | EU Progress

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Emiliano Brancaccio » IL RITORNO DELLA TOBIN TAX?

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ANPI | Raccolta di firme di Articolo 21 contro l'abolizione delle feste laiche

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ANPI | Sacrifici sì, ma nel rispetto della nostra storia

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AldoGiannuli.it » Archivio Blog » Uscire dalla crisi si può, ma dobbiamo prima di tutto dirci quali sono i termini reali della situazione

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LE PROPOSTE ALTERNATIVE DEL PD

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I SOCIALISTI E LE SHORT SALES

I SOCIALISTI E LE SHORT SALES

Franco D'Alfonso: La signora Moratti dispersa

DICHIARAZIONE DI FRANCO D’ALFONSO, assessore della Giunta Pisapia
L’operazione di risanamento che è sulle spalle della giunta Pisapia, tra vecchie favole e nuovi tagli, è realmente notevole : trovare almeno 350 milioni per risanare il bilancio corrente , metà dei quali dalle revisioni dei meccanismi di spesa e metà con nuove entrate e rendere possibile, con una gestione oculata del patrimonio e dei dividendi delle società partecipate, una ripresa degli investimenti , il tutto mantenendo il livello dei servizi offerti. E’ del tutto evidente che nessuna Giunta, senza una informazione chiara e precisa della situazione ed un appello ed una condivisione con tutte le realtà sociali, imprenditoriali e politiche della città, potrebbe riuscire in questa impresa Sarebbe quindi fondamentale che anche l’opposizione , come sembra voler dire il consigliere Masseroli , fosse disponibile a fare la propria parte ed a discutere, nel rispetto dei ruoli, le proposte che la Giunta farà, lavorando eventualmente per migliorarle. Per far questo, però, sarebbe bene che Masseroli ed i consiglieri d’opposizione lasciassero la signora Moratti, travolta da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, ad inventarsi un improbabile nuovo ruolo politico : dopo l’articolo di ieri sul Corsera con il quale si pone come leader femminile dell’opposizione liberale alla manovra emergenziale del Governo Berlusconi , oggi è apparso un nuovo fax dalla tolda della barca a vela sulla quale si è rifugiata con la reiterazione della falsità del “suo” bilancio incontrovertibilmente in equilibrio. Se l’opposizione vorrà ritenere conclusa la fase dell’accudimento dell’ex e prendere atto del fatto che non è più necessario far finta che i numeri dati dalla signora, normalmente peraltro attiva solo nel preserale in tempo per i Tg, riguardino il mondo reale e vorrà tornare a ragionare ed a confrontarsi su numeri veri ed idee vere, non potrà che venirne un vantaggio per tutti .

Elio Veltri: Il debito pubblico

Il debito pubblico- Le Tasse- Le Menzogne

Da anni sostengo che la cosa più difficile nel nostro paese è affermare la verità che difficilmente emerge nei regimi autoritari e nelle democrazie malate. E la nostra lo è e non da oggi. Una delle componenti aggravanti è la grande ignoranza, spesso più nociva della malafede, di molti nostri politici e governanti.
Tremonti, dopo avere sostenuto per oltre due anni che nessuno poteva prevedere la crisi e che in ogni caso il nostro paese l’aveva sopportata meglio degli altri paesi europei senza “ mettere le mani nelle tasche degli italiani”, in Parlamento e fuori, senza fare alcuna autocritica, ha detto che tutto era cambiato negli ultimi cinque giorni.
La crisi era stata prevista da Paolo Sylos Labini nel 2003. Paolo aveva scritto un lungo articolo sulla rivista il Ponte( reperibile sul sito dell’associazione) fondata da Calamandrei e ne aveva parlato in un convegno della CGIL. Aveva detto con chiarezza che la crisi sarebbe stata in principio americana a causa della bolla immobiliare e dell’enorme debito pubblico di quel paese e si sarebbe diffusa in tutto l’occidente. Aveva anche scritto che sarebbe stata non meno grave di quella del 1929. Ma Paolo era più stimato all’estero che in Italia. Inoltre era un economista e un uomo poco incline ai compromessi e quindi non era amato nè dalla politica nè dai mezzi di informazione. Nessun partito di centro sinistra per i quali votava l’ha mai invitato e nessuna tramissione televisiva in cui si parlava di economia. Era un alieno. Tremonti non conosceva gli scritti di Sylos Labini? Penso che li conoscesse ma sapeva che Paolo lo considerava ottimo tributarista e pessimo economista.
Veniamo al debito pubblico che ha toccato i 1900 miliardi di euro ed è la vera causa del disastro italiano. Una volta Tremonti diceva che il debito italiano era diventato debito di democrazia. Ma ha sempre sorvolato, per motivi di bottega, sulle responsabiliutà politiche del debito e sui governi che ne sono stati i maggiori produttori. In un articolo di Giuseppe Conti e Giuseppe Mastromatteo sulla sostenibilità del debito e sulla verifica dei modelli di Luigi Pasinetti e Paolo Sylos Labini, i quali hanno analizzato il debito dall’Unità d’Italia fino agli anni 2000, le responsabilità e i comportamenti dei governi, si legge che negli anni dal 1948 al 1980 il debito italiano è stato caratterizzato da sostenibilità. Esso è esploso, come sappiamo, dal 1981 al 1994 ed è raddoppiato negli anni dei governi Craxi: da 400 mila a 900 mila miliardi. Non vorrei sbagliare, ma in quegli anni, Giulio Tremonti, socialista, era consulente di quei governi o del ministro delle finanze di quei governi, e forse lo era anche Brunetta. Niente di male. E’ stata una scelta politica di Craxi e di Amato, sottosegretario alla presidenza, il più autorevole di quei governi e vicino al Presidente del consiglio. Ma basta dirlo e rivedicarne le responsabilità. Il debito negli anni 80-1994 è passato dal 57% al 125% del PIL. Luigi Einaudi, che Berlusconi, da liberale DOC quale ritiene di essere, dovrebbe conoscere bene, ha scritto:” la sostenibilità del debito pubblico( o il suo contrario) è un segnale del grado di consenso sociale. L’alternativa tra imposta straordinaria e debito è una scelta eminentemente politica perchè attraverso il debito le classi dominanti sfruttano il meccanismo dell’illusione fiscale per nascondere lo scarto tra i benefici della spesa pubblica e oneri fiscali”. La patrimoniale quindi non è una cosa di sinistra come ha detto Berlusconi. E’, se mai, una smentita dell’illusione fiscale, se i governati possono contare su risultati certi di servizi realizzati che compensano i sacrifici compiuti. Ma siccome i fatti sono più duri delle pietre, a forza di mentire si va a sbattere e quando si è costretti a “mettere le mani nelle tasche degli italiani” alla luce del sole, se ne attribuisce la responsabilità all’Europa, in perfetta continuità con lo scaricabarile delle responsabilità che è uno sport tutto italiano.
Infine, in questi giorni non si è sentita una sola parola su beni, azioni, titoli vari e soldi delle mafie. Ma non eravamo sul punto di sconfiggerle? E non avevamo fatto il miracolo confiscando enormi quantità di beni? E se così è, perchè non li abbiamo messi nel conto delle entrate dello Sato magari vendendoli in aste internazionali? La verità è che hanno raccontato balle. Le confische rappresentano solo il cinque per cento del totale dei beni e la stragrande maggioranza di questo cinque per cento non si sa che fine abbia fatto. Perciò meglio non parlarne.
Elio Veltri




Franco Astengo: Nessuno ha ricordato Praga

NESSUNO HA RICORDATO: “PRAGA E’ SOLA”
Il 21 Agosto è passato e non mi pare di aver colto, tra i giornali ed i diversi mezzi di comunicazione di massa, un ricordo di quella data.
Mi permetto di rammentarla, come data fatidica nell’intera storia europea e mondiale, recuperando un testo che mi ero permesso di elaborare in occasione dei quarant’anni da quell’avvenimento e che non credo abbia bisogno di rivisitazioni.
21 Agosto 1968: i carri armati del Patto di Varsavia entrano a Praga, spezzando l'esperienza della “Primavera”, il tentativo di rinnovamento portato avanti dal Partito Comunista di Dubcek.
1968: l'anno dei portenti, l'anno della contestazione globale, del “maggio parigino”, di Berkeley, Valle Giulia, Dakar, della Freie Universitaat di Berlino svolta verso il dramma.
Si chiude bruscamente un capitolo importante nella storia del '900.
Non è nostra intenzione rievocar, il dettaglio di quegli avvenimenti o tentarne, una interpretazione complessiva.
Il nostro riferimento è rappresentato, molto più modestamente, da una riflessione sui risvolti che quell'avvenimento ebbe sulla sinistra italiana: si compirono, in quel frangente, scelte che poi avrebbero informato la realtà politica della sinistra italiana per un lungo periodo ed, ancor oggi, si può ravvisare la presenza di “contraddizioni operanti”.
Prima di tutto l'invasione di Praga spezzò il PSIUP:a distanza di tanti anni possiamo ben dire che si trattò di un fatto politico importante.
Il partito, rappresentativo dell'esperienza della sinistra socialista che aveva rifiutato nel 1963 l'esperienza di governo con la DC, aveva appena ottenuto (il 19 Maggio) un notevole risultato alle elezioni politiche (il 4,4% dei voti con 24 deputati) e su di esso si era appuntata l'attenzione di molti giovani che avevano cominciato a ritenerlo l'espressione di un avanzato rinnovamento a sinistra: il PSIUP si spaccò in due, da un lato il vecchio gruppo dei “carristi” approvò incondizionatamente l'invasione con toni da antico Comintern (come nessun altro settore della sinistra italiana, usando un enfasi non adoperata neppure dalla corrente del PCI vicina a Secchia); dall'altra esponenti di spicco del “socialismo libertario”, epigoni della lezione di Rosa Luxemburg, come Lelio Basso e Vittorio Foa, si misero da parte; ma soprattutto furono i giovani, al momento protagonisti del '68, a ritrarsi. Il PSIUP iniziava così la china discendente, che sarebbe culminata nell'esclusione dal Parlamento con le elezioni del 1972: un evento ripetiamo di un peso rilevante sulle future sorti della sinistra, in particolare al riguardo delle possibilità di aggregazione, iniziativa politica, capacità di rappresentanza di quella che sarebbe stata la “nuova sinistra” di origine sessantottesca.
Il peso più importante, però, della drammatica vicenda praghese ricadde, ovviamente, sul PCI.
Il più grande partito comunista d'Occidente si trovava , in quel momento, in una fase di forte espansione elettorale (il 19 Maggio aveva raccolto 1.000.000 di voti in più rispetto all'Aprile 1963) ma in difficoltà organizzativa, in calo d'iscritti, non avendo ancora superato il trauma dell'aver svolto un congresso inusitatamente combattuto come l'XI del 1966, il primo celebratosi dopo la morte di Togliatti, e contrassegnato dallo scontro ( ovattato, ovviamente, com'era costume dell'epoca, ma vissuto intensamente in una larga fascia di quadri) tra le ragioni di Amendola e quelle di Ingrao.
Inoltre il quadro europeo appariva alquanto problematico: il PCF appariva scosso dall'impeto del Maggio e si rinchiuse in una rigida ortodossia, PCE e PCP erano piccoli partiti ancora clandestini, la Lega dei Comunisti Jugoslavi obbedì, ovviamente, alla ragion di stato.
La notizia dell'invasione piombò su di una deserta Roma agostana: i principali dirigenti del PCI erano in ferie, tutti al di là della cortina di ferro. Unico componente della segretaria presente in sede era Alessandro Natta che, in tutta fretta e con i mezzi dell'epoca, contattò gli altri compagni, per varare un documento che suonò immediatamente come un punto molto avanzato di condanna dell'invasione.
Tralasciamo, per brevità, la narrazione del fortissimo dibattito che si scatenò subito, alla base del partito, nelle sezioni, nei comitati federali di tutte le province: un dibattito dove si registrarono anche elementi di netta contrapposizione e di insofferenza, da parte dei settori più arretrati del partito, verso quelle che sembravano le scelte del vertice.
Inoltre il PCI era chiamato a difendere le posizioni di apertura tenute verso il nuovo corso cecoslovacco: qualche mese prima si era svolto, infatti, un incontro tra Longo e Dubcek.
I problemi maggiori, come era prevedibili, vennero dall'esterno e, più precisamente, dall'URSS: la pressione del PCUS per un arretramento nelle posizioni dei comunisti italiani e, semplificando al massimo un vigore di dibattito che ripetiamo risultò altissimo e del tutto inedito per la vita del partito, si arrivò, dopo un incontro Cossutta- Suslov avvenuto a Mosca ad una sorta di rientro nell'alveo.
Di quale alveo si trattava?
Il PCI, nella sostanza, si assestò all'interno dei confini della linea tracciata da Togliatti, dopo il XX Congresso del PCUS e l'invasione dell'Ungheria del 1956.
Alla base di tale linea c'era la convinzione secondo cui il modello staliniano, essendo collegato alle condizioni di arretratezza e di accerchiamento in cui si era sviluppata la rivoluzione russa, era destinato ad evolvere verso la democratizzazione nella misura in cui si fosse compiuto il processo di industrializzazione, urbanizzazione e alfabetizzazione e nella misura in cui fosse avanzato il processo di distensione internazionale.
Ancora più a fondo, c'era la convinzione che l'autoritarismo politico e la centralizzazione amministrativa, nei paesi dell'Est, fossero fenomeni prevalentemente istituzionali, rappresentassero un ritardo e una incongruenza della sovrastruttura rispetto alla struttura.
Il gruppo dirigente sovietico rimase così l'interlocutore, come protagonista necessario di una riforma graduale.
Nessun altro soggetto ,anche del dissenso comunista, seppe rispondere adeguatamente su questo terreno: né trotzkisti, né maoisti, né terzomondisti. Forse soltanto in alcuni settori della socialdemocrazia di sinistra (cui si accostarono, in seguito, esuli della primavera praghese riparati in Occidente) si registrarono fermenti rivolti nel senso di una ricerca più avanzati.
Nel PCI si registrò, invece, un confronto inedito che diede origine ad un aspetto particolare di quello che, poi, per molti anni fu denominato “caso italiano”.
Un gruppo di intellettuali che, nel corso dell'XI congresso avevano sostenuto le posizioni di Ingrao, aveva via, via, elaborato posizioni autonome in contrasto netto con la direzione del Partito, dando anche vita ad una rivista teorica ”Il Manifesto”, promotrice di un ampio dibattito e seguita con molto interesse anche da settori esterni al PCI.
Tralascio, ovviamente, anche la narrazione di questa vicenda perché si tratta di un'altra storia, del resto ben conosciuta, per limitarmi alle posizioni che si espressero sulla vicenda cecoslovacca in contrasto con quelle ufficiali.
Le posizioni del “Manifesto” partivano dalla considerazione che ripetere “vogliamo il socialismo nella democrazia”, magari aggiungendo che democrazia è continua espansione dell'iniziativa di più non bastava più.
Era necessario, invece, partire dal dato che nei paesi del “socialismo reale” ci si trovava di fronte alla restaurazione di una società di classe, e che lì stava la radice dell'autoritarismo.
Bisognava interrogarsi sul come mai questo dominio di classe non potesse permettersi il lusso quantomeno di un pluralismo di facciata, ed avesse bisogno di un soffocante apparato repressivo e di una ideologia autoritaria, che pure gli creavano non pochi problemi.
Al PCI, alla sinistra occidentale, toccava rispondere compiendo uno sforzo serio per alimentare e organizzare, in un progetto consapevole, la proposta alternativa della classe operaia, traducendo gli elementi più avanzati, più radicalmente anticapitalistici presenti nei bisogni e nei comportamenti di massa in modificazioni reali dell'economia, dello Stato , delle forme di organizzazione, così che l'egemonia operaia potesse crescere e consolidarsi nella realtà, non nel cielo della politica, o all'interno delle coscienze, e soprattutto potesse via, via, vivere come dato materiale.
Per far questo sarebbe stato necessario assumere, nei confronti del blocco sovietico un atteggiamento di lotta politica concreta, prendendo atto che ormai era senza senso pensare ad una autoriforma del sistema.
Solo la crescita di un conflitto politico reale, di un'opposizione a cui dar vita dall'interno del movimento comunista internazionale, avrebbe potuto costruire un'alternativa.
Queste posizioni, sommariamente ricordate in questa sede, risultarono sconfitte, emarginate, espulse.
Non è ovviamente nostra intenzione ricostruire la storia con i se e con i ma: il nostro giudizio è quello che la scelta maggioritaria assunta dal PCI in quel cruciale tornante della storia causò il formarsi di alcune contraddizioni di fondo che, ancor oggi, risultano operanti, come si diceva all'inizio.
Proprio il mancato superamento di quelle posizioni ancora interne alla logica del XX Congresso e presenti in dimensione rilevante nel PCI al momento della caduta del muro di Berlino, nel 1989 e nonostante alcuni seri tentativi compiuti nella metà degli anni'70 dalla segreteria di Enrico Berlinguer (segretaria accantonata, nei suoi contenuti di fondo, dai “nuovisti” non tanto per i tanti e gravi errori politici commessi nel corso della sua gestione, ma per l'accusa di “moralismo”), consentirono agli “ultras estremisti” (ricordate ci sono anche gli estremisti di un presunto moderatismo; scambiato con la subalternità e la sudditanza psicologica nei confronti delle posizioni dell'avversario da unire alla bramosia di essere “ricevuti a palazzo”) del PDS e poi del PD di cacciare via l'intera tradizione ideale, storica, politica dell'area comunista italiana e di trasformarsi in una semplicemente componente del “cartel party” che agita, inutilmente, il teatrino televisivo e salottiero della politica italiana.
Aver mancato una vera e battaglia politica su Praga'68 causò, quindi, nel PCI una crisi (apparentemente soffocata dai grandi successi elettorali del partito negli anni'70) che esplose vent'anni dopo ed agisce, ancor oggi, nella totale deriva che la sinistra italiana sta subendo sulla strada della sua estinzione quasi compiuta.
Savona, li 22 Agosto 2011 Franco Astengo

domenica 14 agosto 2011

Franco Astengo: Costi della politica

Deve essere chiaro che l'abolizione delle province e l'accorparmento dei piccoli comuni non c'entra nulla con la riduzione die costi della politica, e non va conteggiato in quel capitolo. Si tratta di una operazione che si colloca sul terreno di una ristruttrazione istituzionale, eseguita nel segno di quel pressapochismo che, proprio nel campo delle istituzioni ha sempre caratterizzato il centrodestra italiano ed in particolare il presunto "federalismo" della Lega Nord che non si è mai avuto il coraggio di definire come sarebbe giusto "decentramento fiscale". L'abolizione delle province lascerebbe, una volta realizzato in queste condizioni e estrapolato da un piano complessivo, una montagna di problemi riguardanti prima di tutto l'attribuzione ad altri enti delle deleghe assegnate alle Province in applicazione della riforma del titolo V (pensiamo ad urbanistica e ambiente) e alla collocazione del personale (analogo problema riguardante il personale dovrebbe sussistere anche per gli uffici decentrati dello Stato a livello provinciale: Prefetture, Agenzie delle Entrate, Comandi provinciali delle forze armate, dei carabinieri e della polizia, tanto per fare degli esempi. Questi uffici saranno aboliti?). Inoltre sorgono problemi specifici riguardanti determinate situazioni: il rapporto con le Regioni a statuto speciale che possono autonomamente deliberare in materia di istituzione e abolizione di province; il caso del Molise che ne resterebbe privo; quello della Liguria dove coinciderebbero territorio e popolazione tra Regione e Provincia di Genova (a proposito: e l'area metropolitana). Al riguardo dei comuni al di sotto dei 1.000 abitanti (a parte il farraginoso meccanismo dell'elezione del "Presidente" dei Sindaci) in questa sede mi permetto di far rilevare come recentemente siano state abolite le Comunità Montane, le sole istituzioni in possesso del "know-out" utile per affrontare il problema fungendo da riferimento e coordinamento. Quanto alla riduzione del numero dei consiglieri siamo alle solite: si riducono le possibilità di espressione democratica e non stipendi, benifits e meccanismi di elezione (vedi listini e liste bloccate) che impediscono ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti in base ad una pluralità di espressione politica.
Infine, fuori sacco: abolizione dei contratti nazionali di lavoro e delle celebrazioni laiche, meritano da parte della CGIL la proclamazione dello sciopero generale, subito!
Grazie per l'attenzione Franco Astengo


Pierpaolo Pecchiari: Cornuti e mazziati

La crisi non è tutta colpa di Berlusconi, se questi sono gli
imprenditori che ci ritroviamo...

Altro che approccio sistemico all'innovazione di prodotto/processo,
strategie sofisticate e basate su forti partnership locali per
espandersi i mercati internazionali, e delocalizzazione intelligente
delle produzioni...

L'ineffabile Andrea Tomat, Presidente di Confindustria Veneto, se ne è
uscito con una trovata giustificabile solo se si è bevuto il cervello
sotto il sole di Grado o Lignano. Per uscire dalla crisi, che gli operai
lavorino gratis per 5 giorni all'anno, per almeno 5 anni!

Insomma, la competitività costruita con metodi di chi evidentemente
invidia quelli impiegati dagli schiavisti delle Triadi cinesi...
D'altro canto nulla di diverso avremmo potuto aspettarci. Tomat è stato
Presidente della Stonefly, ditta del settore calzaturiero.
Probabilmente, anche se la sua azienda pare moderna e all'avanguardia,
sa bene che nel cuore dei suoi associati i modelli organizzativi di
riferimento sono appunto quelli cinesi, o magari quelli immortalati ne
"Il Maestro di Vigevano", memorabile pellicola con Alberto Sordi.
Assunta la carica confindustriale, Tomat si è distinto soprattutto per
scempiaggini tipo l'appoggio alla candidatura di Venezia per le
Olimpiadi, una feroce polemica contro la festività per il 150esimo
dell'Unità d'Italia, e per oscure teorizzazioni sul federalismo fiscale.

Questi ragionano come ai tempi del "sciur padrun da le bele braghe
bianche"... e probabilmente meritano una riesumazione del sindacalismo
rivoluzionario di Corridoni e Mussolini...
http://www.giornalettismo.com/archives/138637/lindustriale-gli-operai-lavorino-gratis-cinque-giorni/

PpP

sabato 13 agosto 2011

Paneacqua.eu: La lezione di Keynes

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La difficile Europa della democrazia partecipata / Forum / Home - Sbilanciamoci

La difficile Europa della democrazia partecipata / Forum / Home - Sbilanciamoci

L’idea di Europa fra utopia, realismo e lotta / Forum / Home - Sbilanciamoci

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Lavoce.info - ARTICOLI - PAREGGIO IN COSTITUZIONE? "VASTE PROGRAMME..."

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Tito Boeri - ARTICOLI - PAREGGIO DI BILANCIO: È MEGLIO FARLO SUL CAMPO

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Alfonso Gianni: Tutto alle imprese, nulla allo Stato

Paneacqua.eu: Tutto alle imprese, nulla allo Stato

Paneacqua.eu: La crisi non si combatte con l'equidistanza

Paneacqua.eu: La crisi non si combatte con l'equidistanza

Paneacqua.eu: Debito: il convento è povero ma i frati (alcuni) sono ricchi

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Se la politica si riprendesse la moneta / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Stefano Fassina: L'Europa salvi l'Europa / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Europa como la izquierda (o viceversa) · ELPAÍS.com

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Socialist Economic Bulletin: What lies behind the renewed international economic crisis - and what policies are required to deal with it?

Socialist Economic Bulletin: What lies behind the renewed international economic crisis - and what policies are required to deal with it?

Paul Krugman: The Wrong Worries - NYTimes.com

The Wrong Worries - NYTimes.com

Antonio Misiani: Qualche numero sui costi della politica - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

Qualche numero sui costi della politica - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

Francesco Maria Mariotti: Forzare l'europa a nascere mondiepolitiche

mondiepolitiche

Peppe Giudice: Della perduta diversità Melograno Rosso

Melograno Rosso

Roberto Esposito: Dai vecchi salotti ai nuovi media

Rassegna Stampa

Publications | Levy Economics Institute of Bard College

Publications | Levy Economics Institute of Bard College

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Lettera ai compagni della Lega dei Socialisti, della Sinistra Socialista, del Network per il Socialismo Europeo e del Gruppo di Volpedo

Lettera ai compagni della Lega dei Socialisti, della Sinistra Socialista, del Network per il Socialismo Europeo e del Gruppo di Volpedo

Qualche domanda a Mario Monti | Gad Lerner

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La crisi, la sinistra e il livello europeo | EU Progress

La crisi, la sinistra e il livello europeo | EU Progress

Colin Crouch: the corporate elephants in governments' rooms | Compass

Colin Crouch: the corporate elephants in governments' rooms | Compass

Premio "La crisi ci ha insegnato che..."

L’associazione

Etica e Economia

bandisce un Premio:

“la crisi ci ha insegnato che …”



Destinato al migliore saggio breve sul tema:

L’Italia oltre il guado - per una ripresa della qualità civile, sociale ed economica dello sviluppo.



Possono partecipare giovani studiosi di età non superiore ai 35 anni. Il saggio non dovrà superare le 8000 parole e verrà valutato da una commissione nominata dall’Assemblea di Etica e Economia.

Titoli di merito considerati saranno uno o più dei seguenti:

 capacità di analisi delle cause alla base del debole sviluppo del nostro paese e della sua insoddisfacente qualità civile, sociale ed economica;

 qualità e affidabilità dei dati e delle tecniche quantitative utilizzate;

 originalità e qualità della proposta o delle proposte di miglioramento della qualità dello sviluppo, anche alla luce delle esperienze di altri paesi;

 solidità dell’apparato analitico sulla base del quale sono formulate tali proposte;

 loro realizzabilità concreta.



Verranno presi in esame i saggi che giungeranno in formato PDF all’indirizzo mail di Etica e Economia (redazione@eticaeconomia.it) entro il 15 ottobre 2011. All’autore del saggio vincitore verrà riconosciuto un premio di duemila euro che sarà consegnato nel corso di una manifestazione pubblica la quale avrà luogo a Roma a metà dicembre 2011. Il saggio verrà pubblicato integralmente sulla rivista mensile on-line “Menabò di Etica e Economia” e anche sulla rivista annuale dell’Associazione su supporto cartaceo. La commissione si riserva inoltre di segnalare eventuali altri lavori di particolare interesse.






AldoGiannuli.it » Archivio Blog » Ripensare la globalizzazione

AldoGiannuli.it » Archivio Blog » Ripensare la globalizzazione

IL CROLLO

IL CROLLO

LO STATO: UNA SPECIE A RISCHIO ESTINZIONE?

LO STATO: UNA SPECIE A RISCHIO ESTINZIONE?

Franco Astengo: Celebrazioni laiche

Non difendiamo certo i "ponti", ma difendiamo la memoria storica della Repubblica nata dalla Resistenza e la storia del movimento operaio. Nella "super-manovra" varata poco fa dal governo Berlusconi compare l'accorpamento alla domenica successiva di 25 Aprile, 1 Maggio, 2 Giugno. Un provvedimento simbolico in puro stile revisionista, di messa tra parentesi ( una domenica vale l'altra) delle giornate più importanti della nostra storia. Questo fatto vale, sicuramente una mobilitazione importante come quella che dovrebbe essere portata avanti sui temi economico - sociali. Bisogna far comprendere che con la nostra storia non si può scherzare. Grazie per la vostra attenzione Franco Astengo


Nobel Laureates and Leading Economists Oppose Constitutional Balanced Budget Amendment — Center on Budget and Policy Priorities

Press Release: Nobel Laureates and Leading Economists Oppose Constitutional Balanced Budget Amendment — Center on Budget and Policy Priorities

Franco Astengo: Opinione controcorrente

RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI, COSTI DELLA POLITICA: UN'OPINIONE CONTROCORRENTE

Non sarà facile argomentare, in maniera convincente per i più, una posizione politica contraria, nell'immediato, alla riduzione del numero dei parlamentari.

Corrono tempi di furia iconoclasta, di vera e propria rozzezza istituzionale.

Importanti esponenti del "ceto politico", investiti da grande responsabilità, dimostrano un disarmante pressapochismo, si fanno riunioni ad alto livello attorno a "lettere riservate" il cui testo non viene mostrato agli interlocutori.

In questo clima, assurdo, è però necessario tentare la formulazione di un’opinione diversa da quella che ormai appare dominante, tentando di esporre alcuni argomenti, a nostro giudizio, del tutto fondamentali e decisivi, almeno nella fase.

Prima di tutto va fatto rilevare, come in frangenti di questo tipo, la soluzione ormai appare essere quella dei "tagli", sacrificando sempre, quando tocca alla "politica" possibili spazi di partecipazione e di rappresentatività democratica, senza pensare mai a una riforma seria al riguardo del ruolo e della funzione delle istituzioni (è accaduto con le comunità montane e con le circoscrizioni, si è tentato di farlo con le province).

In secondo luogo deve essere fatto rilevare come il tema sia da impostare, invece, guardando ai "costi complessivi", e all'esistenza di privilegi che davvero, in particolare nella condizione in cui ci troviamo, dovrebbero far arrossire chi ne usufruisce.

Partiamo dai rimborsi elettorali elargiti ai partiti (così pudicamente chiamati "rimborsi elettorali", dopo che l'esito di alcuni referendum avrebbe dovuto abolire il finanziamento pubblico): cifre esorbitanti, fuori da qualsiasi logica di mercato quasi come la compravendita dei calciatori, elargita a soggetti alcuni dei quali, a destra, al centro, a sinistra, non rispettano l'articolo 49 della Costituzione (fuori e dentro il Parlamento).

Passiamo alla necessità di una verifica circa la realtà effettiva degli emolumenti dei parlamentari (non si tratta di tornare ai tempi del deputato-contadino Abbo di Imperia che, sprovvisto del denaro per pagarsi la pensione a Roma, utilizzava il "permanente" per dormire sul notturno Roma - Firenze e ritorno, ma una riflessione seria andrebbe fatta).

Andiamo a vedere l'enorme sottobosco rappresentato dalle cosiddette "collaborazioni" che, in realtà, svanito il radicamento sociale e territoriale dei partiti, rappresentano semplicemente l'espressione dei "comitati elettorali permanenti" dei singoli (un frutto questo della scelta di accettare supinamente l'esaustività del meccanismo della "personalizzazione della politica", verificatosi dopo la "discesa in campo" del 1994 e mai affrontato attraverso la definizione del "conflitto d’interessi" e anzi imitato fino al sorgere, anche e addirittura, a sinistra di "partiti personali").

Ancora, riflettiamo sull'estensione "fisica" dei palazzi del potere nel centro di Roma, ormai pressoché occupato tra Piazza del Popolo e Piazza Venezia da sedi della Camera e del Senato (evitiamo di fare l'elenco, sarebbe troppo lungo: immobili affittati a prezzi esorbitanti o acquistati fuori mercato per la gioia degli intermediari e della "nobiltà nera"). Compresa nell'elenco una terrazza posta in cima alla Galleria di Piazza Colonna, e trasformata in un "roof-garden".

Oltrepassiamo i casi P3, P4 e via dicendo, citandoli soltanto per ricordare l'enormità della corruzione imperante, che ormai appare soffocata anche nella valutazione dei grandi mezzi di comunicazione di massa, mentre il tutto sembra navigare verso il "porto delle nebbie" della Procura di Roma.

Un elenco, questo, del tutto sommario dei punti dolenti che dovrebbero essere affrontati proprio in tema di "costi della politica", altrimenti della riduzione del numero dei parlamentari che si tradurrebbe, alla fine, mantenendo le condizioni di privilegio attuali, in un ulteriore restringimento nel rapporto tra società e politica, di lontananza di un ceto dal "reale", della costruzione di una vera e propria oligarchia d’intoccabili e irraggiungibili.

Sono tanti gli argomenti che dovrebbero essere affrontati e non è possibile farlo, per ovvie ragioni di economia del discorso.

E' però necessario ricordare come ci si trovi davanti ad un parlamento di "nominati" (in realtà sono state le Regioni ad adottare per prime il sistema delle liste bloccate, attraverso i famigerati "listini", attraverso i quali promuovere oltre le igieniste dentali del cavaliere anche, senza colpo ferire i "pretoriani del principe").

Le Regioni rappresentano comunque un vero e proprio "buco nero" al riguardo del deficit politico italiano e pare non si abbia il coraggio di affrontare la questione, partendo dall'enormità degli apparati, cresciuti a dismisura da quando vige il meccanismo dell'elezione diretta e dal fallimento di due grandi operazioni di regionalizzazione: trasporti e sanità.

Tornando alla legge elettorale occorre aggiungere che non sarà certamente il ripristino dei collegi uninominali a risolvere la questione: ricordiamo la gestione della distribuzione delle candidature nei collegi, eseguita con metodo spartitorio dalle coalizioni, con candidati "paracadutati" (Di Pietro nel Mugello, tanto per ricordare un caso eccellente) nei posti più impensati, esaltando la personalizzazione di personaggi davvero improbabili (quasi quanto quelli emersi dalla demagogica, da abolire immediatamente, elezione dei rappresenti degli italiani all'estero).

Siamo di fronte, quindi, a esigenze di mutamento nell’"agire politico", di razionalizzazione, di recupero delle funzioni, di applicazione della Costituzione (in questo senso, tra art.41 e art.81 non possiamo non rinnovare il nostro consueto grido d'allarme).

Temi molto più pregnanti e incisivi di quello semplicistico della riduzione del numero dei parlamentari.

Il numero dei parlamentari deve garantire rappresentatività politica e territoriale e non si faccia, per carità, il discorso riguardante il senato USA, che ha funzioni ben diverse in un sistema dove i livelli elettivi sono molteplici, articolati e complessi nella distribuzione del potere.

Sul piano della rappresentatività politica e territoriale torna a galla il tema della legge elettorale, ricordando infine come ridefinito complessivamente il quadro istituzionale (al centro come in periferia: attraverso la creazione del Senato delle Autonomie e la ristrutturazione delle province, tanto per fare degli esempi) si potrà anche affrontare il nodo del numero dei parlamentari, rammentando in ultimo come, negli anni'80 il centro di Riforma dello Stato, presieduto da Ingrao e il PCI proponessero una Assemblea monocamerale di 400 componenti.

Savona, 12 agosto 2011 Franco Astengo





Franco Astengo: La contesa nella crisi internazionale

LA CONTESA NELLA CRISI INTERNAZIONALE

Da molti anni un’insistente propaganda ha toccato il tasto del superamento dell’ideologia, della fine della distinzione destra/sinistra, di una “globalizzazione virtuosa”, fino a far spingere qualche politologo di grido a parlare di “fine della storia” e di “ondate di democrazia”.

I nodi sono ormai venuti al pettine e la crisi sta mostrando il vero volto del neo-liberismo sfrenato, del processo incontrollato di finanziarizzazione dell’economia, dell’evidente sottrazione di democrazia e di conseguenza di politica che si è realizzato a favore di tecnocrazie invisibili, di nuovi fossati scavati tre le diverse parti del mondo e tra le persone al loro interno, dell’emergere di populismi autocratici anche nel cuore dell’Occidente.

Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, ha individuato, a proposito del caso USA, l’oggetto vero del contendere all’interno di questa crisi: un oggetto “tutto politico”.

Ci troviamo di fronte, infatti, scrive Krugman, all’assalto da parte di una destra estremista, maggiormente propensa a creare crisi a ripetizione che a cedere di un solo millimetro nelle proprie richieste che sono, nella sostanza, quelle del ritorno al potere, costi quel che costi, dei rappresentanti dell’“individualismo proprietario”.

Uno scontro, ci permettiamo di annotare, dalle chiare dimensioni di “classe”, cui l’attuale governo USA non riesce a replicare per debolezze congenite e per l’accettazione sostanziale di quel meccanismo di superamento delle distinzioni politiche cui si accennava all’inizio: non sarà il caso di ricordare, invece, come la risposta di Roosevelt alla crisi del ’29 fu quella del keynesismo spinto del “New Deal” e della “Tennessee Valley”, senza tema di essere tacciato – nella società americana dell’epoca – di “socialismo”.

Tornando all’oggi, è necessario dedurre invece che lo scontro è ancora tra destra e sinistra, che le nuove contraddizioni planetarie (che nessuno nega) reclamano un aggiornamento nel modo di fare politica, di rivolgersi alla gente, di approntare progetti, programmi, di definire priorità, ma è certo che tutte queste nuove contraddizioni si avviluppano attorno a quella che per tutto il ‘900 abbiamo definito come “principale” e che Stein Rokkan, nella sua fondamentale opera d’individuazione delle grandi fratture epocali, ha individuato come il “cleavage” nel quale si misurano capitale e lavoro.

E’ necessario che le forze politiche individuino in fretta l’oggetto vero del contendere della crisi, che è ancora quello della democraticità nella gestione del potere: è necessario, in questo uno sforzo a livello internazionale, tra tutti i soggetti che non hanno ancora introiettato definitivamente il meccanismo dell’integrazione supina al sistema.

Alle risposte della destra, vanno fornite risposte di sinistra sulla base dei grandi principi dell’eguaglianza, della solidarietà, della liberazione dallo sfruttamento, della capacità di collegamenti “forti sul piano sovranazionale”.

Ci troviamo sicuramente in forte ritardo, e la crisi dei sistemi politici (quello italiano in particolare) appare esiziale sotto questo profilo, ma deve essere ancora possibile muoverci nella direzione di contrapporre all’evidente egemonia culturale dell’avversario un progetto di egemonia alternativa.

Non entro nel dettaglio, per carità: basterebbe avviare una riflessione seria sulla qualità delle contraddizioni, sull’uso strumentale della crisi, sulla necessità di una risposta alternativa, a tutti i livelli.

Savona, lì 10 agosto 2011 Franco Astengo



Giuliano Pisapia: Un augurio di buona estate

Cari milanesi

sono passati appena due mesi da quando mi avete eletto sindaco della nostra città. La ricchezza più grande di questa esperienza, quella che non possiamo permettere che vada dissipata, è stata la vostra straordinaria partecipazione in risposta alla mia volontà di ascolto. Ho assunto con voi l’impegno di trasformare Milano e sono certo che è quello che faremo, insieme, nell’arco dei cinque anni che ci aspettano. Oggi che il compito di governare ci impone scelte difficili eccomi dunque a parlare direttamente con voi e a spiegare le nostre decisioni. Non vi parlo delle tante cose fatte in queste poche settimane, ma affronto un tema delicato come credo sia mio dovere, con chiarezza e trasparenza.

Non sono state decisioni facili. Conoscete le ragioni: il bilancio che abbiamo trovato era un bilancio non veritiero, le entrate più importanti semplici voci astratte (cessione di quote di società importanti come Serravalle e Sea), come se nel vostro bilancio casalingo ci fosse il corrispettivo del servizio buono di piatti, che però dovete ancora vendere. E i primi a riconoscerlo sono stati proprio i revisori dei conti del Comune che avevano anche informato l’ex sindaco della reale situazione del bilancio comunale. La Moratti aveva annunciato 48 milioni di attivo mentre c’era un disavanzo di 186 milioni di euro A questo si è aggiunta la manovra del Governo, che, per superare le difficoltà dello Stato ha spostato nuovi oneri sui Comuni. Al Comune di Milano questa manovra costerà 100 milioni di euro. Ma la cosa più difficile sono i vincoli che siamo costretti a rispettare per quello che si chiama Patto di stabilità: se i conti non sono a posto, calano i trasferimenti. E ciò vorrebbe dire per il 2012 altri 90 milioni in meno, oltre all’obbligo di eliminare spese correnti per 353 milioni.

Sono cifre impressionanti. Ma dietro quei numeri che possono sembrare astratti si nascondono cose molto concrete: il posto all’asilo nido, il bonus per i bambini, la ristrutturazione della case popolari che oggi sono sfitte e che vogliamo mettere sul mercato, i pasti a domicilio per gli anziani, i contributi attraverso il Fondo anticrisi alle persone in difficoltà. Se non risanassimo, non potremmo nemmeno pagare i fornitori del Comune; dovremmo cancellare lo sportello imprese; non saremmo in grado di sostituire i 42 «ghisa» che a settembre andranno in pensione; saremmo costretti a tagliare il 10 per cento delle corse dei mezzi dell’Atm.

Non avevamo molte strade. Non è affatto vero, come qualcuno ha affermato, che avremmo potuto tassare i grandi patrimoni; «castigare» i Suv; far pagare di più chi ha un reddito più alto o intervenire sulle transazioni finanziarie. Il Comune non ha questo potere. Sono le leggi dello Stato a stabilire che cosa si può fare. Introdurre l’addizionale Irpef era l’unica cosa che la legge ci consentiva di fare. L’aliquota dello 0,2%, quella che abbiamo introdotto, è la più bassa tra quelle di tutte le grandi città italiane: a Roma è dello 0,9; a Torino 0,7; a Bergamo 0,6; a Bologna 0,5. Mentre la nostra soglia di esenzione è la più alta del nostro Paese: oltre il 70% dei milanesi non pagherà nulla.

Sul rincaro dei biglietti - che ci è imposto per legge – siamo stati costretti ad alzare il prezzo del biglietto ordinario a 1,50 euro per evitare ogni aumento degli abbonamenti annuali e mensili, così che chi utilizza regolarmente i mezzi pubblici non dovrà pagare nulla in più rispetto ad oggi. Potrà viaggiare gratis chi supera i 65 anni e ha un reddito basso; l’abbonamento studenti è stato esteso a tutti i ragazzi sotto i 26 anni, comprendendo quindi anche i giovani lavoratori, e saranno anche introdotte misure a favore di cassintegrati e disoccupati.

Non c’era alternativa e la sofferenza per dover percorrere questa strada mi porta ad impegnarmi ancora di più in quello che era già il mio intendimento: una seria e severa lotta all’evasione. Quello che chi ci ha preceduto, nei suoi 18 anni di governo, non ha fatto e oggi noi non siamo disponibili ad accettare lezioni da chi ha impoverito la città e imbrogliato i milanesi. Abbiamo assistito a un surreale ribaltamento della realtà: abbiamo sentito difendere le categorie deboli da chi ha sempre fatto gli interessi dei forti; da chi ha cercato di trasformare una grande capitale morale in una piccola capitale ministeriale.

Cari milanesi, avevamo solo due strade: chiudere gli occhi, mantenere il deficit e ipotecare il futuro oppure chiedervi sacrifici, risanare il bilancio e investire risorse per costruirlo, il futuro. Sto chiedendo a tutti voi di fare la vostra parte per dare a Milano il futuro che vogliamo. Tutta l’Italia guarda a Milano. Non possiamo condannare Milano, non possiamo deludere l’Italia.






Franco Astengo: Crisi e governo della globalizzazione

CRISI E GOVERNO DELLA GLOBALIZZAZIONE

Gli strumenti attraverso i quali gli Stati stanno cercando di affrontare l’intricata matassa della crisi finanziaria globale che sta interessando, soprattutto, i più importanti mercati dell’Occidente, paiono rivelarsi del tutto inefficaci mettendo a nudo un nuovo elemento sul quale, forse, non abbiamo riflettuto a sufficienza: il deficit di sovranità.

Due editoriali, ieri, affrontavano sia pure lateralmente la questione: Mario Monti sul “Corriere della Sera” (riferendosi specificatamente al “caso Italiano”) scriveva di “Podestà forestiero” e oggi i giornali rincarano la dose scrivendo di “commissariamento” (indicando diversi livelli di quest’operazione, anche con una certa confusione) e Marco d’Eramo sul “Manifesto” scriveva di “nuova superpotenza” alludendo all’agenzia di rating che ha declassato gli USA.

Abbiamo studiato molto, nel corso di questi ultimi anni, la cosiddetta “crisi dello stato-nazione” ponendoci sul piano, appunto, del velocizzarsi del processo definito – appunto - di globalizzazione (che comunque è sempre esistito, da quando lo scambio commerciale si è esteso geograficamente): abbiamo studiato il fenomeno affrontandolo, da destra e da sinistra, senza però riuscire a produrre un piano intermedio praticabile, un livello di transizione, che riuscisse, in una qualche misura, a intrecciare le esigenze di tutti gli attori politici, economici, sociali.

Sicuramente abbiamo individuato come le spinte verso una politica più globale significassero come sempre più le decisioni fossero determinate all’esterno degli Stati; e non soltanto in campo economico, come dimostra la gestione delle punizioni di violazioni nei diritti umani.

E’ cambiato il principio di sovranità. Se la politica internazionale era determinata, fino a qualche decennio fa, soprattutto da accordi multilaterali (ricordate quando c’erano le due “superpotenze”: Salt 1, Salt 2, e via dicendo; in fondo anche l’ONU, che in origine escludeva le nazioni perdenti nella seconda guerra mondiale, era nato a un accordo multilaterale), oggi è evidente come gli artefici della politica internazionale si sono moltiplicati e sono entrati in scena anche attori privati, come appunto le agenzie di rating, le organizzazioni non governative, altre organizzazioni internazionali di vario tipo, che hanno dato vita a una “governance” che costituisce sempre più un sistema multicentrico e multidimensionale.

Nascono in questo contesto i “commissariamenti” e le nuove “superpotenze”, mentre sono assolutamente deperiti gli organismi internazionali rappresentativi delle realtà statuali (l’ONU, in primis) e tutti questi soggetti sono sfuggiti alla logica della politica, per muoversi prioritariamente sul terreno del primato della tecnocrazia (anche la stessa scienza politica non è sfuggita a questa logica).

Emerge davvero, in sostanza, un “deficit democratico”, un’assenza di “luoghi di governo” adeguati al frangente storico: l’Europa “politica” avrebbe potuto rappresentare il fondamentale punto di novità, in questo quadro così difficile e complesso.

La scelta è stata quella di abbandonare questa strada per imporre, dopo Maastricht, l’unione monetaria e promuovendo un allargamento delle presenze statuali in funzione meramente mercatistica: una scelta che ha aperto la strada a un massiccio intervento speculativo verificatosi all’insegna del processo di finanziarizzazione dell’economia.

Lasciamo da parte la specificità della situazione italiana che, in questo contesto, soffre dell’assoluta incredibilità dell’attuale governo nazionale, di una debolezza dell’intero sistema politico, di un ritardo ormai strutturale in campo economico e produttivo, e cerchiamo di approdare al punto centrale: quello della ripresa di un’idea di Europa Politica :anche la sinistra anti-europeista, in funzione di una visione della dimensione di classe di matrice internazionalista dovrebbe cercare di riflettere su questo punto.

Certo: l’Europa è quella delle banche (e qualcuno aggiunge “dei padroni”) e i cosiddetti “commissariamenti” avvengono su un certo tipo di gestione della crisi, quello delle finanze e dei mercati, ma a sinistra dobbiamo ritrovare la dimensione giusta degli obiettivi: l’Europa politica, il ripristino della democrazia a quel livello, potrebbe rappresentare un momento importante di recupero di coesione e di prospettiva.

Savona, li 8 agosto 2011 Franco Astengo



Francesca Lacaita: Simboli religiosi

Due articoli sull'Unità di oggi da posizioni diverse sul disegno di legge della Sbai sul divieto di coprirsi il volto nei luoghi pubblici, uno dell'antropologa Ruba Salih ("La guerra al velo fa il gioco dell'ala dura del mondo islamico": http://www.facebook.com/l/lAQALZXfcAQCkpYy-OAa_SqIRmGeFs3zXIvhhd54D8zLcrQ/newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=12Z1JH) e l'altro di Stefano Ceccanti ("Ma la società aperta chiede riconoscibilità": http://www.facebook.com/l/xAQB_IFvSAQAHnRHeG0A6Jk3gT7Cxts2mXXHHe2JE4DlCbg/newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=12Z1JR). Come, il Ceccanti del disegno di legge PD sull'esposizione del crocifisso??? Sì, proprio lui - quando si dice una vita dalla parte sbagliata... Se davvero fosse una questione di riconoscibilità non si mancherebbe di disciplinare anche i barboni (nel senso di grandi barbe) - se ti fai crescere il barbone non sei riconoscibile, e neanche se te lo tagli (chi riconoscerebbe Marx senza barba?). Delle barbe non parla nessuno, tutti si acceniscono contro le donne - perché??

Lanfranco Turci: Di male in peggio

Di male in peggio

Il pareggio di bilancio in Costituzione è una mossa ideologica tipicamente
di destra (idem la modifica dell'art.41) che se messo in pratica davvero
paralizzerebbe le capacità di politica economica degli stati. Il che non
vuol dire che non si possa avere in certi anni anche il bilancio in pareggio
o addirittura in attivo. Ma vincolarlo in Costituzione è la prova estrema di
come il liberismo abbia fatto danni devastanti anche a sinistra. Segnalo
l’ampia letteratura in tema su http://www.levyinstitute.org/ .Che poi
Tremonti sostenga questa modifica e quella dell’art.41,quel Tremonti che due
o tre anni fa accusava la sinistra di soggezione al mercatismo, è la prova
ulteriore che siamo di fronte a gruppi dirigenti screditati,che si
troveranno uniti,con Berlusconi o meno,solo nel dare l'ennesima stangata ai
ceti popolari e un'ulteriore spinta recessiva al paese. Intanto Usa e Europa
marciano felici nella stagnazione se non peggio. Ieri l'altro Krugman
osservava che non siamo di fronte a una seconda caduta recessiva dopo quella
del 2008, perchè la ripresa non è mai cominciata davvero. Interessante
capire la dinamica della decisione di ieri del governo di anticipare al 2013
il pareggio di bilancio,cioè 25 md di tagli fra assistenza e detrazioni
fiscali soprattutto a carico dei ceti popolari e tagli ulteriori agli enti
locali e alla sanità. La Bce si è rifiutata fin dall’inizio della crisi di
fare il suo dovere di sostenere i titoli di stato contro la speculazione,
l’Europa ha rinviato all’infinito lo strumento degli eurobond per sostenere
i debiti sovrani e avviare un piano Marshall europeo. Idem per la tassa
sulle transazioni finanziarie. Così di fronte al precipitare della crisi è
diventata senso comune (indotto dal pensiero unico che pervade i mass media)
la accettazione della necessità dell’austerity, propugnata dalle destre e
dalla cultura neoliberista tuttora dominante, con i suoi contenuti classisti
(Secondo la definizione di Bersani) e le sue implicazioni recessive. Ora
Berlusconi e Tremonti hanno un paravento “oggettivo” per le loro scelte, i
sindacati sono divisi e quasi disarmati (devo dire che non ho capito
l’union sacré delle forze sociali, un protagonismo confuso,velleitario e al
limite autolesionistico per le organizzazioni rappresentative di ceti
popolari)e la sinistra non sa che dire,spiazzata dalla mossa collaborativa
di Casini e dalla malcelata disponibilità a dare copertura al governo da
parte di un pezzo importante del PD. Non sa che dire perché fin dall’inizio
ha rifiutato una lettura sociale della crisi e degli interessi in conflitto
all’interno di essa e alla sua stessa origine. Ha rifiutato di abbandonare
una visione irenistica e assolutoria delle politiche delle istituzioni
europee, della cultura neoliberista che le ispirava e degli interessi
nazionali forti che le condizionavano. Si è rifiutata quindi di assumersi
l’onere di un autonomo progetto di risposta alla crisi, sia a livello
nazionale che europeo, attorno a cui cercare di costruire un movimento di
lotta , una forte pressione popolare e quindi una propria maggioranza. Da
qui anche è derivato, al di là delle sollecitazioni del Presidente della
Repubblica,il modo disarmato con cui ha ingoiato il passaggio in due giorni
della manovra Tremonti in Parlamento. Manovra che doveva cambiare le sorti
del paese e che invece è stata seguita dalla rincorsa verso l’alto degli *
spread* fra i titoli di stato italiani e tedeschi, secondo lo schema già
visto all’opera in Grecia e negli altri paesi periferici. Ora può darsi che
la Bce, Germania permettendo, decida di sostenere in modo efficace i nostri
e altrui titoli pubblici o che invece li lasci a un livello tale da tenerci
un ferreo morso in bocca. Ciò non toglie che nel frattempo, dopo la
irresponsabile inerzia iniziale del governo e di Tremonti, avremo imboccato
quella strada della austerity e della recessione che a livello europeo,
almeno a voce, tutti i Partiti socialisti e il Pd condannano. E la avremo
imboccata senza una reazione ancora adeguata nel paese e senza che si
delinei una alternativa a sinistra. Complimenti!

PS:ho visto una foto degli indignados spagnoli con un cartello:”Trichet và a
casa!”.Quando in Italia?



Lanfranco turci