sabato 31 luglio 2021

Francesca Re David: "In Italia sono le multinazionali a fare la politica industriale" | L'HuffPost

Francesca Re David: "In Italia sono le multinazionali a fare la politica industriale" | L'HuffPost

Daniele Nalbone: Il triste dibattito sul reddito di cittadinanza

Micromega Luglio 30, 2021 Il triste dibattito italiano sul Reddito di Cittadinanza DANIELE NALBONE Mentre, come raccontato nelle puntate sul reddito di base nel mondo, a livello globale si susseguono sperimentazioni e studi su una misura di welfare universale e incondizionata, nel nostro Paese il dibattito è incagliato su furbetti e imprenditori che non trovano forza lavoro. Prima parte: Il reddito di base negli Usa, soluzioni locali a un problema globale Seconda parte: dal Brasile all’intero Sudamerica? Terza parte: il reddito di base in Africa, da aiuto caritatevole a scintilla di sviluppo Quarta parte: Dai villaggi dell’India alle metropoli della Corea del Sud: è l’Asia il vero laboratorio del reddito di base Cosa si intende per reddito di base incondizionato? Il reddito di base “incondizionato” non è accompagnato dalla richiesta di alcun requisito ai beneficiari. Viene erogato senza obbligo di lavorare o dimostrare la volontà di lavorare. Perché il reddito di base dovrebbe essere incondizionato? Il reddito di base, per usare le parole di Conor Hunter (Basic Income Network Scotland), “garantisce un diritto umano”. Ogni individuo ha diritto a uno standard di vita adeguato alla salute e al benessere di sé stesso e della sua famiglia, compresi cibo, vestiario, alloggio, assistenza medica e servizi sociali necessari e diritto alla sicurezza sociale ed economica in caso di disoccupazione, malattia, disabilità, vedovanza, vecchiaia o per altra mancanza di mezzi di sussistenza in circostanze al di fuori del suo controllo. I diritti umani sono inalienabili e pertanto qualsiasi sistema in atto per proteggere o fornire questi diritti non dovrebbe comportare condizioni. Il reddito di base offre libertà al destinatario. Porre condizioni sulla ricezione del reddito di base significa che non è più un pagamento che conferisce al destinatario i diritti e la libertà associati all’idea stessa della misura; il pagamento diventa quindi un incentivo a controllare l’individuo a comportarsi in un certo modo (a cercare o a svolgere un lavoro, per esempio). “Solo rivendicando incondizionalità all’interno della definizione di Reddito di Base”, sottolinea ancora Conor Hunter, “possiamo essere sicuri che esso garantisca libertà e diritti a tutti; e non potrà essere strumentalizzato per riprodurre meccanismi di potere o ridurre la libertà e i diritti degli individui”. Non staremo qui a discutere o a ricostruire cosa è accaduto negli ultimi venti anni: sarebbe l’ennesimo viaggio tra le crisi. Quello su cui è utile mettere l’accento è come nei primi venti anni del nuovo secolo sia emerso con forza il reddito di base come “una delle proposte in grado di offrire una prospettiva forte di cambiamento possibile” spiegano Rachele Serino e Sandro Gobetti nell’introduzione al libro “Verso il reddito di base – Dal reddito di cittadinanza per un welfare universale”. Come abbiamo visto nel breve viaggio intorno al mondo che abbiamo fatto nelle scorse settimane su MicroMega+, il reddito di base, soprattutto quello che viene accompagnato dai termini “universale” e “incondizionato”, cioè destinato a tutti gli esseri umani e senza alcun obbligo o contropartite, è diventato una proposta che ha oltrepassato le frontiere. “Un dibattito che nella metà degli anni Ottanta dello scorso secolo era relegato a pochi economisti, sociologi, filosofi, ricercatori o reti di sostenitori” continuano Serino e Gobetti, “è divenuto ormai parte delle agende di governi locali, regionali, nazionali, sostenuto da migliaia di persone nel mondo, fino a interessare le imprese tecnologiche ed è studiato in numerose accademie. Mai come in questi primi venti anni del nuovo millennio il reddito di base ha avuto così tanto seguito”. Si è passati dal dibattito teorico, dall’ideazione di possibili schemi di attuazione, “ad avere a disposizione dati empirici, esperienze reali, ricerche sul campo, studi approfonditi, rapporti ufficiali sui risultati prodotti dall’introduzione, anche se in molti casi sperimentale, di questa misura”. E, dato interessante che merita di essere analizzato, negli ultimi anni sono cambiati anche gli attori in campo: siamo passati da organizzazioni non governative a Unicef e Onu, da consigli comunali a governi nazionali, arrivando – attenzione – alle grandi imprese della tecnologia e filantropi multimiliardari. Mentre i datori di lavoro italiani riempiono le pagine dei giornali lamentandosi di non trovare forza lavoro a causa del reddito di cittadinanza (che, ricordiamo, è in media un’erogazione di 500 euro mensili con punte di 780 subordinata al non rifiuto di un massimo di tre offerte di lavoro) Jack Dorsey, fondatore di Twitter, ha finanziato – nel solo 2020, in piena pandemia – con 15 milioni di dollari oltre trenta comuni statunitensi della rete Mayors for a guaranteed income (che abbiamo raccontato qui) per sostenere le sperimentazioni di reddito di base. Qualche domanda ulteriore dovremmo farcela se il candidato alle ultime presidenziali Andrew Yang, attualmente in corsa per diventare il candidato democratico alla corsa a sindaco di New York, ha come suo primo punto del programma la creazione di un programma di reddito di base universale individuando come principale forma di finanziamento un Data Dividend, ovvero una tassa sui Big Data, il vero “petrolio” delle imprese tecnologiche. “Il nostro Paese invece è arido rispetto al dibattito mondiale in corso sul tema del reddito, non cogliendo lo spirito che sta attraversando il pianeta” sottolinea Gobetti. Eppure, il tema è in agenda. Il dato più interessante, secondo il rappresentante del Basic Income Network Italia, è “la convinzione comune che il reddito di base possa permettere alle persone di essere libere di scegliere il proprio percorso di vita e dunque autodeterminarsi. Per questo il concetto di incondizionalità assume una forza dirompente”. Molto spesso la domanda al centro delle polemiche è: dove trovare i fondi necessari? “Nella prima settimana di aprile 2020, durante il lockdown globale, sono stati 106 i Paesi che hanno introdotto nuove forme di protezione sociale, di sostegno al reddito, sussidi” con un aumento dei programmi di quasi il 50 percento. “Tra le formule di intervento, il trasferimento diretto di denaro alle persone è stato quello più ampiamente utilizzato (per un totale di 241 programmi). Una stima preliminare del numero di beneficiari sostenuti in modo diretto da forme di cash transfer ammonta a circa seicento milioni di persone nel mondo”. I soldi, quindi, ci sono. L’Italia, secondo Gobetti, “deve agganciarsi quindi al dibattito globale e cominciare a sintonizzarsi con il resto del mondo”. Un dovere, anche perché “il futuro sarà questo”. Il dibattito negli Stati Uniti, Paese storicamente non certo ai primi posti per le misure di welfare, “è nato da un lato dagli esperimenti locali e, dall’altro, dalle trasformazioni tecnologiche che hanno stravolto la nostra società. Il terzo millennio ‘tech’ dovrà necessariamente essere affrontato con nuovi modelli e, per farlo, abbiamo bisogno di una riflessione alta sul futuro del lavoro”. Il tema del reddito, sottolinea Gobetti, “non è più solo ascrivibile a un processo, diciamo così, teorico o filosofico e nemmeno a un processo analitico ed economico. I dati empirici in nostro possesso richiedono uno scatto in avanti proprio a partire da quanto sta avvenendo in diverse città, se vogliamo ragionare in termini europei della questione”. Primo passo, abbandonare l’idea che il reddito di base – come è invece il reddito di cittadinanza – possa essere una misura proattiva per il mondo del lavoro. “Solo in Italia parliamo di questo. Di quanti posti di lavoro si possono creare grazie a quella che in realtà è, e deve essere, una misura di puro welfare. Continuiamo a discutere di condizioni per consentire l’accesso al reddito, ma l’unica condizione è che non devono esserci condizioni”. In conclusione, non possiamo non analizzare come il principale problema del dibattito italiano sia dovuto alla narrazione – giornalistica e politica – che da quando il reddito di cittadinanza è entrato in vigore ha preso piede. Abbiamo aperto su questo punto il nostro viaggio nel mondo alla scoperta delle sperimentazioni in corso di un nuovo welfare: torniamo quindi al punto di partenza. “Quella rappresentata dal reddito di cittadinanza è stata un’occasione persa” commenta Gobetti. Non che la misura non sia servita, soprattutto alla luce della pandemia, anzi. Ma “doveva essere una scintilla. Invece basta sfogliare i giornali o accendere la tv per capire che il Movimento 5 stelle ha perso il treno”. Un problema politico e al tempo stesso strategico. Problema politico. “Il Movimento 5 stelle doveva fare fronte compatto durante il lockdown e costringere l’allora premier Conte ad ampliare la platea del reddito di cittadinanza, ad abbattere i troppi paletti presenti, anziché dar vita a una serie di bonus e una tantum che sono stati presi letteralmente d’assalto dalle persone in difficoltà. Quando è stato lanciato il bonus di 600 euro, a maggio del 2020, in una nottata sono arrivate quattro milioni di richieste e il sito dell’Inps è andato in tilt”. Ma, così facendo, “il reddito di cittadinanza sarebbe andato verso il reddito di base” e “il Pd evidentemente non poteva permetterlo”. Problema strategico. “In Italia ci sono competenze importanti per studiare gli effetti del reddito di cittadinanza da ogni angolazione”, ma “il Movimento 5 stelle ha perso tempo a scontrarsi politicamente con gli oppositori della misura anziché concentrarsi sulla produzione – a livello governativo – di rapporti sul suo funzionamento. Penso che neanche chi ha ideato il reddito di cittadinanza abbia, oggi, contezza di ciò che questa misura rappresenti per la parte più povera del Paese” altrimenti, “considerando che erano al governo con Conte e lo sono tutt’ora con Draghi, non sarebbero andati avanti a cercare, ogni volta, una misura per i maestri di sci, una per gli stagionali, una per le badanti, una per le baby sitter”. “Forse”, conclude Gobetti, “hanno avuto timore di Renzi e di un eventuale ritiro della fiducia al governo Conte, che poi è comunque arrivato. Fatto sta che nella scelta di non ampliare la platea del reddito di cittadinanza, ma di creare addirittura un reddito di emergenza, hanno boicottato il loro stesso cavallo di battaglia elettorale e hanno ulteriormente certificato la frammentazione del lavoro e del welfare italiano”. Il problema del lavoro e del welfare è invece “universale” e, per questo, richiede “risposte universali che, stavolta, erano lì, a un passo. Potevano ampliare e includere. Hanno scelto di dividere e frammentare. Hanno messo il bollino sulla giungla nella quale siamo intrappolati da decenni”.

venerdì 30 luglio 2021

Le previsioni della Svimez: Nord e Sud ancora lontani, così il Recovery non basta - Il Riformista

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La brutta favola dei licenziamenti economici necessari

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La redistribuzione del reddito in tempo di pandemia – Lavoce.info

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La gestione partecipata nell’esecuzione del PNRR: la proposta dei Patti Territoriali - Menabò di Etica ed Economia

La gestione partecipata nell’esecuzione del PNRR: la proposta dei Patti Territoriali - Menabò di Etica ed Economia: Federico Butera richiama l’attenzione su tre formidabili sfide che, dopo l’approvazione del PNRR, occorre affrontare nell’’ultimo miglio” e sostiene che una rigorosa gestione economico-finanziaria policentrica del piano nel modello presentato dal Premier e dal suo governo può essere rafforzata da Patti Territoriali o Patti per il lavoro, ossia dall’assunzione condivisa di proposte e impegni, di programmi di lavoro e di metodi da parte di soggetti pubblici e privati che operano nell’interesse proprio e del bene comune.

L’accordo OCSE-G20 sulle nuove regole fiscali per le multinazionali: un passo nella giusta direzione che manca (ancora) di ambizione - Menabò di Etica ed Economia

L’accordo OCSE-G20 sulle nuove regole fiscali per le multinazionali: un passo nella giusta direzione che manca (ancora) di ambizione - Menabò di Etica ed Economia

"I VALORI DEI SOVRANISTI" di Andrea Becherucci

"I VALORI DEI SOVRANISTI" di Andrea Becherucci

lunedì 26 luglio 2021

Correnti, partiti, alleanze e l’incognita della legge elettorale – L'Argine

Correnti, partiti, alleanze e l’incognita della legge elettorale – L'Argine: Il Governo Draghi e la sua complessa, e forse troppo ampia maggioranza, saranno in grado di portare il Paese alla scadenza della Legislatura, magari facendolo nel frattempo uscire dalla lunga e dramma

sabato 24 luglio 2021

Franco Astengo: Sinistra e democrazia costituzionale

DEMOCRAZIA E SINISTRA COSTITUZIONALE di Franco Astengo Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha accompagnato la promulgazione dell'ultimo "decreto sostegni" con una lettera al Parlamento che ci richiama ad un messaggio di natura costituzionale di cui può valere la pena di riprendere la sostanza: “Il monito è forte e chiaro. E arriva dal presidente della Repubblica,Sergio Mattarella, che dopo aver firmato la legge sui “sostegni bis”, ha accompagnato la promulgazione con una lettera al Parlamento e al governo in cui, in sostanza, contesta l’eccessivo uso di emendamenti con norme fuori tema, facendo anche un elenco di esempi relativi alla legge. Nella missiva inviata ai presidenti di Senato e Camera,Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, e al premier Mario Draghi, il Capo dello Stato individua le forme costituzionalmente corrette della legiferazione d’urgenza. Tra i punti critici segnalati da Mattarella, c’è il ricorso ormai abituale alla prassi del maxiemendamento su cui il governo pone la questione di fiducia.” Le parole del Capo dello Stato arrivano in un momento nel quale: 1) appare davvero esagerato il quadro complessivo di prolungamento della della facoltà d’emergenza concessa al governo per via della straordinaria situazione sanitaria 2) di quasi totale assenza di riflessione sui devastanti effetti che hanno avuto le diverse leggi elettorali fondate sulle liste bloccate; 3) DI mutamento di natura funzioni, ruolo, dei partiti; la prospettiva di riduzione nel numero dei parlamentari e quindi di ulteriore difficoltà nell'accesso alle istituzioni di una pluralità di sensibilità politico - culturali renderà ancor più permeabile il sistema al micidiale cocktail formato da lobbismo, corporativismo, localismo che ha mandato in crisi l'intero assetto delle nostre istituzioni rappresentative, al centro come in periferia. Sarebbe il caso di ricordare ancora le funzioni fondamentali assegnate al Parlamento dalla Costituzione e che via via sono andate perdute: Riassumendo possiamo così reinterpretare le cinque funzioni fondamentali del Parlamento: 1) La funzione d’indirizzo politico, inteso come determinazione dei grandi obiettivi della politica nazionale e alla scelta degli strumenti per conseguirli, in specificazione dell’attualizzazione e dell’opposizione – dai diversi punti di vista – del programma di governo; 2) La funzione legislativa, comprensiva dei procedimenti legislativi cosiddetti “duali” che richiedono cioè la compartecipazione necessaria del Governo o di altri soggetti dotati di potestà normativa; 3) La funzione di controllo, definita come una verifica dell’attività di un soggetto politico in grado di attivare una possibile attività sanzionatoria; 4) La funzione di garanzia costituzionale, da interpretarsi come concorso delle Camere alla salvaguardia della legittimità costituzionale nella vita politica del Paese; 5) La funzione di coordinamento delle Autonomie, sempre più complessa da attuare in un sistema che, nelle sedi di raccordo esistenti sia a livello internazionale che infranazionale tende a privilegiare il dialogo tra esecutivi. E' il caso di andare a fondo sul tema della fragilità del sistema proponendo un'analisi autonomamente elaborata da sinistra e non riferita alla stretta quotidianità del gioco politico. La responsabilità maggiore di questa fragilità spetta alla leggerezza con la quale il sostanziale sfrangiamento delle forze politiche sorte dopo la crisi dei partiti di massa ha fatto sì che si raccogliessero di volta in volta messe di consensi ottenuti sulla base di opzioni meramente demagogiche e attraverso logiche del tipo di "scambio politico", in luogo dell'appartenenza o dell'opinione (è toccato al PD(R), poi al M5S, ancora alla Lega, adesso sembra il turno di FdI in un quadro di esagerata volatilità elettorale). Gli esiti dell'effimero sfondamento attuato dal M5S con le elezioni del 2018 stanno pesando enormemente sullo spostamento d'asse in corso: la debolezza della struttura sistemica che ne è derivata ha aperto la strada ad una strisciante modifica costituzionale, riferita alla forma di governo. L'esecutivo in carica sta svolgendo il compito di promuovere un'ulteriore torsione del sistema in senso presidenzialistico e di garantire alle grandi concentrazioni della finanza capitalistica l'egemonia sui due grandi obiettivi di transizione (ambientale e digitale), nel quadro di un recupero della strategia atlantica. Nel sistema politico italiano, intanto, siamo di fronte all'acutizzarsi del fenomeno della demagogia trasformistica . Una demagogia trasformistica che si è accompagnata alla crescita delle diseguaglianze e alla sparizione della middle-class: un quadro di impoverimento generale che ha causato il formarsi di una sorta di alleanza tra il “ventre molle” della borghesia e l’individualismo competitivo. Un pasticcio che alla fine, ha assunto la veste di una domanda di tipo corporativo (ben emersa fin dalla fase più acuta dell'emergenza sanitaria) con la perdita di ruolo nell’insieme dei corpi intermedi di mediazione e la perdita di senso del concetto di rappresentatività politica. La destra sta interpretando questa fase come contraddistinta da una complessità sociale dalla quale origina un ulteriore "eccesso di domanda". Un fenomeno da fronteggiare attraverso forme di "democrazia protetta" , sul modello di alcuni paesi dell'Est e realizzata attraverso un taglio netto del rapporto tra politica e società. L'acutezza delle contraddizioni in campo rende inefficaci le zone intermedie e le vocazioni maggioritarie a base centrista :il solo contrasto possibile a questo stato di cose potrà arrivare soltanto da una ripresa di ruolo della Sinistra. Una ripresa di ruolo della Sinistra da realizzarsi in forme nuove ma solidamente ancorate alle parti più alte della sua tradizione. Andrebbe così rinnovata una proposta politica che potrebbe essere avanzata da una "Sinistra Costituzionale" . La costruzione di un soggetto di "Sinistra Costituzionale" potrebbe servire a rispondere sia pure parzialmente alla domanda di soggettività avanzata da quella parte dell'elettorato coerente e responsabile che si è pronunciato per il "NO" nel referendum del settembre 2020 sulla riduzione del numero dei parlamentari. Da quel "no" sarebbe stato necessario ripartire per porre il tema della rappresentatività attraverso una identità di democrazia costituzionale. Una sinistra fondata sulla democrazia costituzionale deve tornare centrale nel sistema come ipotesi politica complessiva ponendosi in alternativa all'idea della "democrazia protetta", della governabilità intesa quale fine esaustivo dell'azione politica, della formula elettorale maggioritaria.

venerdì 23 luglio 2021

Fabrizio Tonello: Il socialismo negli Usa

Micromega Luglio 23, 2021 120 anni di socialismo negli Stati Uniti FABRIZIO TONELLO Il 29 luglio 1901 ad Indianapolis nasceva il Socialist Party of America. Centoventi anni dopo al Congresso c’è una pattuglia di deputati eletti che si autodefiniscono democratici-socialisti e il 50% dei giovani americani tra i 18 e i 29 anni ha un’impressione positiva del socialismo. Nelle elezioni del 2020 Donald Trump ha abilmente sfruttato la paura del “socialismo” per ottenere enormi consensi in posti come la Florida o l’Oklahoma: nel distretto congressuale di Markway Mullin, un deputato repubblicano dell’Oklahoma, ha vinto con il 76% dei voti contro il 22% a Joe Biden. Nella contea di Campbell, in Wyoming, Trump ha ottenuto l’87%. I suoi spot elettorali contro i democratici, accusati di essere socialisti simili a Hugo Chavez, evocavano lo spettro di un’America ridotta come Cuba o il Venezuela se Biden fosse stato eletto. Non ha funzionato, Joe Biden è presidente e nel cimitero di Terre-Haute (Indiana) c’è la tomba di un signore che, se esiste un paradiso dei lavoratori (in cui lui certamente non credeva) è sicuramente lì che se la ride in compagnia di Marx ed Engels: Eugene Debs. Sì perché Debs, morto nel 1926, è stato l’unico politico americano a presentarsi per ben cinque volte alle elezioni presidenziali, l’unico a presentarsi sotto la bandiera del Socialist Party of America e l’unico ad aver fatto campagna elettorale dalla cella di una prigione federale, ricevendo quasi un milione di voti, nel 1920. Debs si era presentato anche nel 1900, nel 1904, nel 1908 e nel 1912, quando aveva ottenuto il 6% dei voti. Di questi tempi lo spirito di Debs, arrestato e condannato per essersi opposto all’ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, nel 1917, dev’essere allegro perché quest’anno ricorre il 120° anniversario della fondazione del partito e c’è una pattuglia di deputati eletti al Congresso, che si autodefiniscono democratici-socialisti. Provengono da luoghi come il Bronx e il Queens (Alexandria Ocasio-Cortez), la periferia nord di New York (Jamaal Bowman), Detroit (Rashida Tlaib) e St Louis (Cori Bush). Chicago vanta un caucus socialista nel suo consiglio comunale, ma nessun’altra città può dire lo stesso, a meno che India Walton, che ha vinto le primarie democratiche a Buffalo (New York) non diventi sindaco della città in novembre. Già nel 2016, il Guardian scriveva che c’erano milioni di socialisti negli Stati Uniti: i sostenitori di Bernie Sanders. Oggi, dopo due entusiasmanti campagne elettorali del vecchio Bernie, il 50% dei giovani americani tra i 18 e i 29 anni ha un’impressione positiva del socialismo e questa percentuale sale al 64% tra i giovani che votano democratico. Peraltro, fra gli elettori di Joe Biden si trovano percentuali elevatissime di sostenitori del “socialismo” anche nelle classi d’età più avanzate: addirittura il 69% tra chi ha più di 65 anni. Ovviamente questi americani pensano più alla Svezia che a Cuba o all’ex Unione Sovietica quando parlano di “socialismo” ma resta il fatto che la parola non è più tabù, malgrado oltre un secolo di propaganda anticomunista e l’isteria che il termine continua a suscitare fra i politici repubblicani e i loro elettori. A differenza di quanto accadeva 120 anni fa, quando le maggiori roccaforti del movimento si trovavano nelle aree rurali degli Stati Uniti, oggi i democratici-socialisti sono concentrati nelle aree urbane mentre, fino al 1918 la forza elettorale del movimento si trovava a ovest del Mississippi, negli stati minerari, forestali e agricoli. Stati come Oklahoma, Nevada, Montana, Washington, California, Idaho, Florida, Arizona e Wisconsin. Tutte zone che per decenni hanno votato compattamente per i candidati repubblicani, con l’eccezione della California e, l’anno scorso, di Arizona e Wisconsin. Butte, nel Montana, elesse un sindaco socialista, Lewis Duncan, nel 1911, ancora oggi ha una Socialist Hall ma l’anno scorso Trump ha ottenuto il 57% dei voti nello stato. Secondo Jacobin, la rivista della nuova sinistra americana, i socialisti delle grandi città oggi “hanno ancora molto lavoro da fare nei quartieri e nei luoghi di lavoro. Ma se vogliono diventare un movimento veramente popolare, devono trovare il modo di crescere oltre le basi metropolitane. Occorre riscoprire l’eredità del PSA nella costruzione del potere nell’America rurale e delle piccole città”. Quando il Partito Socialista si formò nella Masonic Hall di Indianapolis, il 29 luglio 1901, non fu semplicemente una reincarnazione del populismo di dieci anni prima, che aveva raggiunto il suo zenith alle elezioni del 1896 con William Jennings Bryan per poi dissolversi. C’erano fittavoli e operai che venivano dalle piantagioni di cotone e dalle miniere di carbone. C’erano sindacalisti come il vecchio militante dei Knights of Labor Martin Irons, uno scozzese che aveva guidato un massiccio sciopero ferroviario nel 1886 contro il miliardario Jay Gould. I radicali e i socialisti del West traevano molto del loro sostegno tra gli immigrati che erano fuggiti dall’Europa in cerca di terra. Al posto della romantica frontiera poi creata dai film di Hollywood scoprirono che nel West le terre migliori erano state accaparrate dalle ferrovie, dagli speculatori e dagli allevatori di bestiame, mentre il costo di creare una fattoria era spesso proibitivo. Molti agricoltori nominalmente indipendenti divennero rapidamente schiavi dei creditori. A fine secolo, la maggior parte degli agricoltori della regione erano affittuari e mezzadri, piuttosto che contadini liberi e autosufficienti. Oltre che tra i fittavoli, gli organizzatori socialisti furono ben accolti tra i minatori, i lavoratori del legname e gli operai delle ferrovie dell’Oklahoma, del Texas, dell’Arkansas, del Kansas. Ebbero particolare successo nel reclutare minatori militanti, che crearono sedi della United Mine Workers e della Western Federation of Mineworkers in tutta la regione. Le organizzazioni ufficiali del partito non sorsero da un giorno all’altro. Nei primi anni del XX secolo, il Sud-ovest era coperto da una vasta rete di attività giornalistiche e di propaganda che attirava masse di persone nel movimento socialista – spesso prima che il fragile PSA potesse raggiungerle. Come racconta James Green in Grass-Roots Socialism, giornalisti, intellettuali e militanti riuscirono a raggiungere “un livello insolito di autoorganizzazione e autoeducazione tra i lavoratori poveri che si univano al movimento”. Ne parla ampiamente anche Bruno Cartosio nel suo recente Verso Ovest. Eugene Debs era ovviamente l’oratore più popolare nei grandi meeting del Sudovest. Debs trasmetteva nei suoi discorsi un’intensità sia profetica che intellettuale e una fede incrollabile nella capacità delle persone più povere e disprezzate di cambiare il mondo. Riflettendo sul successo dei meeting, Debs raccontava di come i contadini e le loro famiglie tornassero a casa “con la sensazione di essersi rinfrescati a una fonte di entusiasmo”, pronti e capaci di portare “la lieta novella del sol dell’avvenire” ai loro amici e vicini di casa. A suo credito il PSA, a differenza di molti partiti della Seconda Internazionale, prese una posizione forte contro la partecipazione degli Stati Uniti alla prima guerra mondiale. La ricompensa fu una repressione spietata da parte dell’amministrazione Wilson. Lo strumento più efficace fu la decisione del Postmaster General di vietare ai giornali di partito l’uso della posta, colpendo in questo modo tutti i periodici socialisti importanti del paese. Nelle zone rurali per il partito (che contava molto sulla posta per organizzare, educare e mobilitare) questo fu particolarmente devastante. L’Oklahoma fu la sede delle attività più militanti contro la guerra, compresa una fallita rivolta armata nel 1917 chiamata la Green Corn Rebellion. Il PS era ufficialmente contro queste tattiche ma i democratici al potere nello stato attaccarono ugualmente i socialisti con una furiosa repressione in nome del patriottismo. In pochi mesi il Partito Socialista dell’Oklahoma, una volta potente, fu schiacciato: l’organizzazione si sciolse, molti dei suoi leader e militanti fuggirono dallo stato. Tra il 1918 e il 1921 la cosiddetta Red Scare, alimentata dall’isteria per la rivoluzione in Russia e per l’attività di sindacalisti e anarchici, sostanzialmente spazzò via non soltanto il partito ma anche le organizzazioni militanti dei lavoratori. Per la sinistra americana cominciava un inverno secolare, che avrebbe avuto qualche timido raggio di sole soltanto fra il 1933 e il 1941, quando Franklin Delano Roosevelt migliorò, in misura modesta, la condizione degli operai bianchi. Poi subentrarono la Seconda guerra mondiale e la guerra fredda, con il loro contorno di maccartismo, caccia alle streghe e ossessione per lo spionaggio. I sindacati reclutarono decine di migliaia di membri alla fine degli anni Trenta, ma alla fine non riuscirono a sopravvivere alle pressioni combinate dell’assistenza agricola del New Deal, della violenta repressione dei proprietari terrieri e della meccanizzazione dell’agricoltura. Migliaia di fattorie familiari furono definitivamente spazzate via, portando con sé le comunità rurali. Il conflitto si spostò per qualche tempo nelle grandi fabbriche, a loro volta colpite, a partire dalla presidenza Reagan, dalla deindustrializzazione e dall’attacco ai sindacati. A partire dagli anni Ottanta, come ha scritto Marc Edelman “le casse mutue e le cooperative, le imprese a conduzione familiare, le industrie e i giornali locali, le strutture sanitarie e di assistenza agli anziani, le scuole e le biblioteche sono tutte cadute vittime di implacabili politiche di austerità o di razziatori privati”. La disintegrazione delle comunità rurali ha aperto la porta a demagoghi reazionari come Donald Trump. Oggi la sinistra ha la possibilità di ricostruire la sua base nell’America delle piccole città, dove la gente sta soffrendo per 40 anni di politiche neoliberiste: i socialisti dovrebbero fare tutto il possibile per alleviare quella sofferenza riscoprendo la tradizione radicale del vecchio movimento socialista e lanciando, tra l’altro, un programma di riforma agraria che sfidi la concentrazione della proprietà terriera e l’agricoltura ecologicamente distruttiva delle multinazionali. La fine del tabù del “socialismo” fra i giovani è un’occasione per la sinistra americana.

Quanto pesano dieci anni di mancati investimenti* – Lavoce.info

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Così il centrodestra ha distrutto la sanità pubblica in Lombardia - Strisciarossa

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giovedì 22 luglio 2021

Has the Pandemic Shifted Britain Left? | Novara Media

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Arguments on the Left: Elections and Coalitions | Dissent Magazine

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Perù: sorpasso a sinistra | ISPI

Perù: sorpasso a sinistra | ISPI: Una vita ai margini È servito un mese e mezzo, ma alla fine Pedro Castillo sarà il nuovo presidente del Perù. Con un margine di vittoria dello 0,26% (44.000 voti su quasi 18 milioni) si conferma la “favola”: il maestro di campagna ha battuto Keiko Fujimori, rappresentante di una longeva dinastia politica di destra.

Alberto Benzoni: L'America, Biden e il nuovo ordine mondiale - Avanti

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Castillo e Boric: la nuova sinistra sudamericana | ISPI

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Enrico Grazzini: La BCE non cambia strategia. Così il debito rischia di soffocare l’eurozona

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mercoledì 21 luglio 2021

Le ferite ancora aperte a dieci anni dalla strage di Utøya - Internazionale

Le ferite ancora aperte a dieci anni dalla strage di Utøya - Internazionale: Il 22 luglio 2011 Anders Breivik uccise decine di persone in due attentati in Norvegia. I sopravvissuti denunciano l’ideologia di estrema destra all’origine dell’attacco. Leggi

giovedì 15 luglio 2021

RAPPORTO DEL CENTRO EINAUDI SULL’ECONOMIA GLOBALE E L’ITALIA - GLI STATI GENERALI

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Tutti i posti di lavoro persi dopo lo sblocco dei licenziamenti - Angelo Mastrandrea - Internazionale

Tutti i posti di lavoro persi dopo lo sblocco dei licenziamenti - Angelo Mastrandrea - Internazionale: Dalla Gkn Driveline di Campi Bisenzio alla Whirlpool di Napoli, i lavoratori mandati a casa sono già molti. Alla fine dell’estate potrebbero essere tra i 30mila e i 70mila. E intanto le aziende delocalizzano le loro strutture. Leggi

L’autunno caldo dell’America Latina | ISPI

L’autunno caldo dell’America Latina | ISPI: Proteste a Cuba, barricate e tafferugli che continuano a Bogotà, le speranze e i timori del Cile che deve votare e scrivere la nuova Costituzione, la spaccatura sociale mai così forte in Argentina. L’autunno caldo dell’America Latina è appena iniziato, con conflitti e tensioni che attraversano diversi paesi, facendo prevedere una stagione di instabilità quando non è ancora

Perché un’ampia e aperta discussione del PNRR è necessaria per il suo successo - Menabò di Etica ed Economia

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Un piano Marshall per l’UE? - Menabò di Etica ed Economia

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venerdì 9 luglio 2021

Andrea Fumagalli: La presunta svolta della politica economica europea ai tempi del Covid 19

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Peru’s Pedro Castillo Can Break With Neoliberalism for Good

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Franco Astengo: Sinistra

SINISTRA di Franco Astengo Acclarata l'insufficienza dimostrata dai soggetti politici esistenti al riguardo della presenza politica della sinistra all'interno del sistema politico italiano è necessario altresì segnalare la difficoltà a raggiungere almeno un risultato di "proposta". Una difficoltà dimostrata dai diversi tentativi svolti in questi mesi di affrontare la questione, soprattutto dal punto di vista culturale. Molte proposizioni sono state avanzate all'insegna del "nulla sarà come prima" inteso quale esito dell'emergenza sanitaria: da più parti si erano avanzate ipotesi di "mutamento di paradigma" e ipotesi di nuove visioni della società misurate sull'emergere di inedite contraddizioni sociali che reclamavano una riclassificazione delle priorità e una visione diversa dell'agire sociale e politico. In realtà sul piano più strettamente definito delle dinamiche politiche correnti nell'ambito - ristretto - del sistema politico italiano abbiamo sì verificato il presentarsi di un "salto"al livello delle dinamiche politiche Un "salto" rivolto però verso l'assunzione diretta della responsabilità di governo da parte della tecnocrazia, con la politica ridotta ad una funzione ancillare, ancor di più di quanto non accaduto nella fase immediatamente precedente che era stata segnata dall'egemonia dell'antipolitica e del trasformismo. Sul piano più generale del quadro planetario è proseguita intanto la fase di assestamento nel passaggio tra il modificarsi del modello di globalizzazione che aveva generato le crisi degli anni 2007 - 2008 e poi 2011 - 2012 e la ricostruzione dei principi di una geo politica che sta rigenerando la logica dei blocchi e i rischi di conflitto globale (al riguardo di questa situazione il governo italiano non ha trovato di meglio che recuperare la vecchia coppia atlantismo/europeismo intesa come inscindibile come negli anni'50 all'epoca dell'ERP). Così vanno rimescolandosi le carte con il nostro sistema politico in ritardo. Un sistema inadeguato rispetto alle esigenze che si stanno imponendo, prima di tutto, ad una “Italia fuori d’Italia” rispetto all’Europa e al nuovo livello di scontro che sarà determinato dal riprofilarsi delle grandi potenze (Cina/USA; nuovo ciclo atlantico; penetrazione russa, turca, cinese nel cuore del Mediterraneo soltanto per fare degli esempi) in lotta essenzialmente per il primato nelle fonti materiali di accesso alla trasformazione tecnologica. Si è già ricordata la radicalità dei cambiamenti in atto: una radicalità che reclama, recupera, promuove identità nel confronto tra destra e sinistra. La contesa sull’egemonia al riguardo dell’indirizzo che sarà assunto dall’evoluzione tecnologica costituirà il vero punto di rottura del futuro. Cosa proporrà la destra? Ciò che sta accadendo: l’isolamento progressivo, il termitaio globale, l’incattivimento degli hater, il condizionamento mentale delle masse. Non potrà però bastare la contrapposizione proposta da “Laudato sì”: anche in quel caso è insita l’idea della riduzione nella portata delle “fratture” in atto e ci si appoggia sul "naturalismo" della sostenibilità. Come sostiene Massimo Cacciari dalle colonne dell'Espresso il capitalismo delle multinazionali della comunicazione, dell'informatica, della logistica, i padroni dei big data e poi via via di tutti i settori chiave del nostro sistema sociale di produzione hanno finito con il sussumere proprio il concetto di sostenibilità e finito con l'imporre un liberismo che trasforma la sostenibilità in fattore fondamentale e intrinseco del salto tecnologico e di cui l'umanità deve risultare subalterna. Un salto tecnologico identificabile nella crescita d'applicazione dell'intelligenza artificiale che sarà adattato alla definita limitatezza di risorse , riproponendo all'interno di quel quadro di nuovo dominio l'antico darwinismo sociale (esattamente la filosofia che è stata adottata in Italia al momento dell'istituzione del ministero alla transizione ecologica). Nella piena consapevolezza della totale insufficienza e genericità di questo tentativo di riflessione mi permetto allora di richiamare due questioni: 1) quello dell’esigenza di una presenza politica della sinistra capace di recuperare in profondità i due concetti base di uguaglianza e solidarietà non limitandosi alla semplice “protezione sociale”; 2) Una sinistra capace di ampliare il proprio bagaglio di riferimento fino a comprendere la gran parte dello spazio aperto dall'inasprirsi e dall'allargarsi delle contraddizioni sociali. Si era discusso, tempo addietro, sulla possibilità di elaborazione di un progetto di “società sobria” come “terza via”. Se vogliamo contrastare l’affermarsi definitivo dell’egemonia della forza basata sull’esclusività del dominio della tecnologia che intende governare una sostenibilità fondata sulle disuguaglianze con la conseguenza, come sta accadendo in Italia, di una ri-concentrazione di potere, bisognerà essere capaci di disegnare ancora una volta una ipotesi di profonda modificazione dei rapporti sociali, culturali, di potere. Per far questo non sarà sufficiente rivolgersi ad un rapporto quasi meccanico con l'ecologismo politico. Si deve pensare di “cercare ancora” per trovare vie di nuovo equilibrio nello sviluppo e di contrasto radicale verso le grandi storture della modernità. Adesso siamo davanti alla necessità di un ripensamento generale ad un livello che non avremmo mai immaginato e che potrebbe essere indicato come “di civiltà”. Dobbiamo provare a muoverci pensando a quella dimensione propria di un orizzonte del “limitato” che richieda l’affermazione di una ricerca sull’uguaglianza non solo economica e sociale ma in un quadro più profondo di revisione delle stesse relazioni politiche sul piano delle forme dell'esercizio del potere. Si tratta di rifletterci e di trovare la strada per adeguare la nostra pratica politica,anche se abbiamo disperato bisogno di ritrovare tutto il pragmatismo necessario che serve per affrontare le lotte del giorno per giorno che, beninteso, continuano.