venerdì 31 ottobre 2014

Ucraina, gli oligarchi restano al comando del Paese | Linkiesta.it

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Attualità della socialdemocrazia | FONDAZIONE NENNI BLOG

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Elezioni regolari in Tunisia, Vittoria dei laici | Eunews.it

Elezioni regolari in Tunisia, Vittoria dei laici | Eunews.it

Pd, chi aspetta obbedendo - Eddyburg.it

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CGIL - Lettera inviata al Wall Street Journal in risposta all’editoriale “Italy’s Economic Suicide Movement” del 27 ottobre 2014

CGIL - Lettera inviata al Wall Street Journal in risposta all’editoriale “Italy’s Economic Suicide Movement” del 27 ottobre 2014

CGIL - Più libertà di sciopero in Germania che in Italia

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Tfr in busta paga: il gioco vale la candela? | Agar Brugiavini

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spazio lib-lab » Il Governo che dice basta.

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Andrea Ermano: Due sinistre

L' AVVENIRE dei LAVORATORI EDITORIALE Due sinistre? di Andrea Ermano Un po' discosti da Palazzo Chigi, i luoghi per una (ineludibile) trattativa tra Governo e Parti sociali potrebbero/dovrebbero essere la "pancia" del Pd e gli emicicli parlamentari. La "Sinistra a sinistra del Pd" appare invece francamente fuori gioco. Dopo la grande manifestazione della CGIL qualcuno ragiona di ennesime scissioni volte a costruire un nuovo partito della "Sinistra a sinistra del Pd". La quale "Sinistra a sinistra del Pd" però ha di suo tre grosse carenze: essa manca di organizzazione, di leadership e soprattutto di una strategia politica generale. Susanna Camusso, la maggiore esponente della sinistra italiana oggi, porta in piazza un milione di persone con la sua CGIL, ma non ha alcun interesse a rinchiudersi nel recinto della "Sinistra a sinistra del Pd". Forse potrebbe avere quest’interesse il pur valido Landini, ma gli difetta la forza necessaria a realizzarlo, almeno per ora. Vendola, del resto, non ha voluto o potuto traghettare SEL nel PSE. Molti dei suoi si sentivano troppo cubani o andini per occuparsi dell'Europa e della sua noiosa socialdemocrazia. Di conseguenza, il sogno della "Sinistra a sinistra del Pd" – di trasformarsi il mosca cocchiera della CGIL dentro a un disegno che vada "oltre"… in realtà, non dispone di alcun "oltre" da proporre, né sul piano nazionale né su quello continentale o globale. Resta la CGIL. Troppo grossa per essere rottamata dagli opinionisti “del cinegiornale dell’ora Renzi”, troppo solidamente strutturata per implodere come il grillismo, la CGIL è destinata a fungere da principale punto di riferimento del crescente disagio sociale. Su questo, a occhio, il Rottamatore deve mettersi il cuore in pace. Ora, però, il disagio può essere riconosciuto e governato. Oppure stupidamente disconosciuto, eventualmente anche manganellato… e lasciato andare in ebollizione. Qui sta il vero problema del Governo e del Pd: riuscire a dare espressione e forma politica al caldo autunno italiano di cui domenica scorsa abbiamo visto l’inizio.

mercoledì 29 ottobre 2014

IN PIAZZA CON I LAVORATORI E LA CGIL | labour

IN PIAZZA CON I LAVORATORI E LA CGIL | labour

Sbagliato anche andare alla Leopolda | Avanti!

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Industria, la provincia italiana / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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L'articolo 18 contro il turnover drogato / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Una manovra di centro spostata verso destra - Il Ponte

Una manovra di centro spostata verso destra - Il Ponte

OLTRE EXPO. QUESTIONI DI METODO SUL PIANO STRATEGICO PER LA CITTÀ METROPOLITANA | Stefano Rolando | ArcipelagoMilano

OLTRE EXPO. QUESTIONI DI METODO SUL PIANO STRATEGICO PER LA CITTÀ METROPOLITANA | Stefano Rolando | ArcipelagoMilano

martedì 28 ottobre 2014

Il bis di Dilma Rousseff e l’esigenza di cambiare qualcosa | Aspenia online

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La nuova Commissione Europea tra ambizioni ed emergenze | Aspenia online

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Quels sont les enjeux du nouveau mandat de Dilma Rousseff ? - Affaires Stratégiques

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Elections au Brésil : bouleversements sociaux sans réalignements politiques (1/2) | Sciences Po ./ CERI

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Danny Dorling: Why Current Global Inequality Is Unsustainable

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Ronald Janssen: Why Austerity Is Contagious

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Why The Eurozone Suffers From A Germany Problem

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Tfr: le cifre di una scelta importante | Patriarca

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Quanto cresce il Pil con il Tfr in busta paga | Tullio Jappelli

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Effetti del bonus da 80 euro: calcolare con cura|Luigi Guiso

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Qualche domanda sullo stress test | Angelo Baglioni

Qualche domanda sullo stress test | Angelo Baglioni

lunedì 27 ottobre 2014

De Luna: un deserto senza politica a sinistra di Matteo

De Luna: un deserto senza politica a sinistra di Matteo Scritto il 27/10/14 • nella Categoria: idee Il conflitto tra il governo e la Cgil spalanca intere praterie a sinistra delPd. E’ la conseguenza della scelta di Renzi di puntare sul partito pigliatutto, spostandosi verso il centro, inglobando gli uomini di Alfano ed esercitando una fortissima attrazione verso Forza Italia. Di fatto, il partito a vocazione maggioritaria tende a svuotare di senso il bipolarismo su cui si è fondata la Seconda Repubblica, dilatando gli spazi del “grande centro”, ma favorendo anche una radicalizzazione delle ali estreme del sistema politico. A destra questo è puntualmente avvenuto con il ritorno in campo della Lega; un sussulto difficile da prevedere dopo gli scandali che avevano segnato il tramonto di Bossi. Il partito di Matteo Salvini sembra in grado di intercettare i consensi dei transfughi del centrodestra berlusconiano (e di una composita galassia di ex fascisti) rilanciando l’immagine conflittuale della Lega degli esordi (quando legò le sue fortune alla lotta contro i meridionali, contro il fisco, contro il centralismo statale) nel contesto di unacrisieconomica che, rispetto agli anni ‘80 del tumultuoso successo del movimento di Bossi, ha accentuato in maniera dirompente le tensioni e lo scontro sociale.A sinistra non è successo niente di tutto questo. Nel 1994 Rifondazione Comunista rappresentava circa il 10% dell’elettorato. Da allora in poi, mentre gli uomini dell’ex Pci intraprendevano la loro lunga marcia verso il centro, scandita dalle sigle Pds, Ds,Pd, quel 10% è andato sgretolandosi fino a configurarsi oggi come una costellazione di piccoli partiti rinchiusi nel ghetto di un’opposizione impotente. E’ il prezzo pagato a una sorta di coazione a ripetere che ha sempre portato a raccogliere le bandiere lasciate cadere dagli altri senza mai trovarne di diverse e spesso mutuando dagli altri le derive personalistiche, la frammentazione in correnti, un modo narcisistico e autoriferito di farpolitica. Per anni è sembrato che il problema fosse quello di trovare una leadership autorevole. Le esperienze in questo senso, da Bertinotti a Vendola, sono sempre naufragate; il loro tentativo non è andato oltre la soglia di una “narrazione” seduttiva, ma incapace di incidere sulla realtà.C’è stata poi la stagione disastrosa dei leader chiesti in prestito alla magistratura: il flirt con Di Pietro, l’abbraccio a De Magistris, gli entusiasmi per Ingroia. Ora tocca a Landini, alla Fiom e al sindacato con un trasporto che ricorda quello per Cofferati e per i tre milioni di manifestanti che affollarono Piazza San Giovanni. Ma ha un senso guardare alla magistratura e al sindacato come ad ambiti in cui si forma oggi una leadershippolitica? Il sindacato degli anni ‘70 fu quello che allargò la sua sfera di intervento dalla tutela del salario alla contrattazione complessiva di tutte le condizioni dellavoro, estendendo il suo raggio d’azione fino a interagire con il governo sulla scuola, la sanità, i trasporti, la casa. In quegli stessi anni la magistratura, finalmente, spezzò la continuità che aveva legato i suoi apparati ai codici del fascismo, aprendosi all’applicazione della Costituzione e ampliando gli spazi della nostra democrazia.Quel sindacato fu sconfitto nel 1985, con il referendum sulla scala mobile, perdendo da allora in poi rappresentanza e rappresentatività; e la magistratura in questi anni è stata chiamata ad esercitare un ruolo di supplenza nei confronti di una classepoliticainadeguata, fino ad assumere un ruolo improprio, con uno straripamento che ha funzionato come un vero e proprio boomerang per la sua credibilità. In questa coazione a ripetere è come se la fine del Novecento abbia provocato un lutto mai elaborato. IlPdha semplicemente rimosso quel passato. L’altra sinistra in quel passato è rimasta invischiata, limitandosi a contemplare attonita le macerie dei pilastri (Stato, Partito,Lavoro, tutti con la maiuscola) su cui si era fondata la sua tradizione novecentesca e incapace di trovare alternative alla dissoluzione di quella forma partito. Così, in attesa che si sviluppino le potenzialità intraviste nell’esperienza della lista Tsipras, si prospetta l’eventualità del vecchio gioco delle scissioni e delle fusioni, in un orizzonte che oggi guarda a Civati, domani a Bersani e poi ancora, forse, a D’Alema. Non un presagio rassicurante per ilfuturo.(Giovanni De Luna, “Un deserto a sinistra di Matteo”, da “La Stampa” del 25 ottobre 2014).Il conflitto tra il governo e la Cgil spalanca intere praterie a sinistra del Pd. E’ la conseguenza della scelta di Renzi di puntare sul partito pigliatutto, spostandosi verso il centro, inglobando gli uomini di Alfano ed esercitando una fortissima attrazione verso Forza Italia. Di fatto, il partito a vocazione maggioritaria tende a svuotare di senso il bipolarismo su cui si è fondata la Seconda Repubblica, dilatando gli spazi del “grande centro”, ma favorendo anche una radicalizzazione delle ali estreme del sistema politico. A destra questo è puntualmente avvenuto con il ritorno in campo della Lega; un sussulto difficile da prevedere dopo gli scandali che avevano segnato il tramonto di Bossi. Il partito di Matteo Salvini sembra in grado di intercettare i consensi dei transfughi del centrodestra berlusconiano (e di una composita galassia di ex fascisti) rilanciando l’immagine conflittuale della Lega degli esordi (quando legò le sue fortune alla lotta contro i meridionali, contro il fisco, contro il centralismo statale) nel contesto di una crisi economica che, rispetto agli anni ‘80 del tumultuoso successo del movimento di Bossi, ha accentuato in maniera dirompente le tensioni e lo scontro sociale. A sinistra non è successo niente di tutto questo. Nel 1994 Rifondazione Comunista rappresentava circa il 10% dell’elettorato. Da allora in poi, mentre gli uomini dell’ex Pci intraprendevano la loro lunga marcia verso il centro, scandita dalle sigle Pds, Ds, Pd, quel 10% è andato sgretolandosi fino a configurarsi oggi come una costellazione di piccoli partiti rinchiusi nel ghetto di un’opposizione impotente. E’ il prezzo pagato a una sorta di coazione a ripetere che ha sempre portato a raccogliere le bandiere lasciate cadere dagli altri senza mai trovarne di diverse e spesso mutuando dagli altri le derive personalistiche, la frammentazione in correnti, un modo narcisistico e autoriferito di farpolitica. Per anni è sembrato che il problema fosse quello di trovare una leadership autorevole. Le esperienze in questo senso, da Bertinotti a Vendola, sono sempre naufragate; il loro tentativo non è andato oltre la soglia di una “narrazione” seduttiva, ma incapace di incidere sulla realtà. C’è stata poi la stagione disastrosa dei leader chiesti in prestito alla magistratura: il flirt con Di Pietro, l’abbraccio a De Magistris, gli entusiasmi per Ingroia. Ora tocca a Landini, alla Fiom e al sindacato con un trasporto che ricorda quello per Cofferati e per i tre milioni di manifestanti che affollarono Piazza San Giovanni. Ma ha un senso guardare alla magistratura e al sindacato come ad ambiti in cui si forma oggi una leadership politica? Il sindacato degli anni ‘70 fu quello che allargò la sua sfera di intervento dalla tutela del salario alla contrattazione complessiva di tutte le condizioni del lavoro, estendendo il suo raggio d’azione fino a interagire con il governo sulla scuola, la sanità, i trasporti, la casa. In quegli stessi anni la magistratura, finalmente, spezzò la continuità che aveva legato i suoi apparati ai codici del fascismo, aprendosi all’applicazione della Costituzione e ampliando gli spazi della nostra democrazia. Quel sindacato fu sconfitto nel 1985, con il referendum sulla scala mobile, perdendo da allora in poi rappresentanza e rappresentatività; e la magistratura in questi anni è stata chiamata ad esercitare un ruolo di supplenza nei confronti di una classe politica inadeguata, fino ad assumere un ruolo improprio, con uno straripamento che ha funzionato come un vero e proprio boomerang per la sua credibilità. In questa coazione a ripetere è come se la fine del Novecento abbia provocato un lutto mai elaborato. Il Pd ha semplicemente rimosso quel passato. L’altra sinistra in quel passato è rimasta invischiata, limitandosi a contemplare attonita le macerie dei pilastri (Stato, Partito, Lavoro, tutti con la maiuscola) su cui si era fondata la sua tradizione novecentesca e incapace di trovare alternative alla dissoluzione di quella forma partito. Così, in attesa che si sviluppino le potenzialità intraviste nell’esperienza della lista Tsipras, si prospetta l’eventualità del vecchio gioco delle scissioni e delle fusioni, in un orizzonte che oggi guarda a Civati, domani a Bersani e poi ancora, forse, a D’Alema. Non un presagio rassicurante per il futuro.

mercoledì 22 ottobre 2014

Quella “cosa” chiamata libertà: libertà liberale e libertà socialista. | Pandora Pandora

Quella “cosa” chiamata libertà: libertà liberale e libertà socialista. | Pandora Pandora

Mezza Europa in deflazione, anche quella #fuoridalleuro - neXt Quotidiano

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Se il Pd esce da Civati

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Emiliano Brancaccio » PERCHE’ IL GOVERNO SBAGLIA LE PREVISIONI?

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25 ottobre, Camusso: uniti per cambiare l’Italia | labour

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CASE POPOLARI: RIANNODARE UN GLORIOSO PASSATO | Franco D'Alfonso | ArcipelagoMilano

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LA LEGA NON C'È PIÙ: QUELLA D’UNA VOLTA | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

LA LEGA NON C'È PIÙ: QUELLA D’UNA VOLTA | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

lunedì 20 ottobre 2014

Gim Cassano: Inadeguatezza ed incongruenze della manovra di renzi

INADEGUATEZZA ED INCONGRUENZE DELLA “MANOVRA” DI RENZI. 1-PREMESSA Molti hanno dichiarato di vedere con favore questa manovra, salutandola come una pragmatica ed utile correzione rispetto alla linea del rigore puro e semplice. Ma, andando ad osservare le cose un po’ più da vicino, ci si accorge che la sostanza è ben diversa, e che quel che riluce non è affatto oro. In buona sostanza, la manovra prevede: A1- 6,9 miliardi per spese a legislazione vigente. A2- 1,2 miliardi per cofinanziamento fondi europei. A3- 0,85 miliardi per scuola e giustizia. A4- 0,3 miliardi per ricerca e sviluppo. A5- 2,35 miliardi ad investimenti (cofinanziamento fondi europei, opere Comuni, Roma-metro, Milano-Expo). A6- 20,2 miliardi di minori imposte e sgravii contributivi, che sarebbero ripartiti tra famiglie (13,3 miliardi) e imprese (6,9 miliardi). A7- 2,0 miliardi per ammortizzatori sociali e sostegno alle famiglie numerose. A8- 3,4 miliardi di riserva. Da coprire con: B1- 15,0 miliardi di spending review, dei quali circa 7 a carico di Regioni, Province, Comuni. B2- 3,8 miliardi dalla lotta all’evasione. B3- 3,6 miliardi dall’aumento della tassazione sulle rendite delle fondazioni bancarie e dei fondi di previdenza. B4- 2,6 miliardi da riprogrammazione spese, banda larga, gioco d’azzardo. B5- 11,0 miliardi da incremento del deficit al 2,9%. Cosa che invece non è stata affatto pubblicizzata, ma che si accompagna al progetto di “manovra”, essendo contenuta nella recente Nota di Aggiornamento al DEF emessa dal Ministero Economia e Finanza, è la clausola di salvaguardia che stabilisce che il mancato raggiungimento delle coperture previste debba comportare l’aumento di IVA ed accise per 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 nel 2017, 21,4 nel 2018. Prescindendo per ora da una valutazione complessiva, la lettura preliminare di questi numeri (che bisognerà vedere, anche a seguito dei possibili rilievi in sede europea, se ed in quale misura verranno confermati) suggerisce alcune osservazioni di immediata evidenza: • Tosare ulteriormente i bilanci di Regioni, Comuni, Province, (di un’aliquota ben superiore a quella prevista per le Amministrazioni Centrali) è, oltre che insostenibile, credo anche impossibile. Ben lo sa lo stesso Governo, quando lo stesso ministro Padoan ha dichiarato che, nel caso, Regioni e Comuni potranno aumentare le aliquote di loro spettanza. Ed allora c’è da chiedersi a quanto si ridurrebbero i conclamati 18 miliardi di minori imposte. Ed i piccoli comuni privi di attività economiche significative, o le Regioni a basso reddito medio ed elevata disoccupazione, come sono in genere quelle meridionali, a cosa potrebbero applicare maggiori aliquote? • Stabilire, per il 2015, che da una spending review incompleta, interrotta, ed ostacolata a detta dello stesso Cottarelli da gran parte dei diretti interessati, possano emergere 15 miliardi, sembra quanto meno una pura ed ottimistica ipotesi. A parte i dubbi sul fatto che ciò sia praticabile, ciò significa prevedere tagli non tutti iscrivibili alla categoria degli sprechi, e ciò comporta un sicuro effetto deflattivo. Discorso analogo per quanto riguarda i previsti proventi dalla lotta all’evasione fiscale, a meno che non se ne stabiliscano con chiarezza metodi e strumenti. • E’ quindi più che probabile che il deficit reale “sfori” il 3% del PIL, specie se le previsioni di riduzione del PIL per il 2014 dovessero risultare sia pur di poco peggiorative rispetto alle già negative stime attuali, e se il 2015 non dovesse vedere una ripresa che, sulla scorta di quanto si vedrà qui avanti, non si capisce come possa prodursi. • Quindi, è bene che si sappia (cosa che non appare nelle slides del governo, e che certo Renzi non ha detto nei suoi tweets), come dietro l’angolo vi sia una clausola di salvaguardia che prevede, nel caso del mancato conseguimento degli obbiettivi stabiliti in termini di spending review, l’incremento di IVA ed accise per circa 50 miliardi nel triennio 2106-2018, con quali conseguenze sui vantati 18 miliardi di minori imposte, e con quali ulteriori fattori di recessione e deflazione, è facile immaginare. 2-CARATTERI RECESSIVI. Ma il punto vero è che la manovra, nel suo insieme, è recessiva. Pur ammettendo che possano venir pienamente conseguite le coperture previste dal Governo, come ha scritto Gustavo Piga, Il più grande taglio delle tasse della storia dell’uomo sarà recessivo. (vedi). In effetti, e ragionando in termini puramente macroeconomici e prescindendo da ogni valutazione sulla possibilità, opportunità e doverosità di tagliare o meno sprechi e costi, le cose stanno come segue: A meno di 18 miliardi di nuove spese e riduzioni di entrate fiscali (considerato che il “bonus” degli 80 euro è già operante, ma deve essere coperto per 7,5 miliardi), che dovrebbero costituire la parte “espansiva” della manovra, si contrappongono, pur prescindendo dalla clausola di salvaguardia, tagli di spesa ed aumenti di entrate fiscali per circa 20 miliardi, sicuramente ed ampiamente recessivi. Quindi, delle due l’una: o si riuscirà ad attuare i tagli previsti ed a rispettare tutte le previsioni della manovra, ed allora l’effetto sarà complessivamente recessivo e certo non espansivo; oppure, ciò non sarà possibile, ed allora il deficit sforerà ampiamente il 3% e certamente a farne le spese saranno i già modestissimi investimenti pubblici previsti; ed in più, la clausola di salvaguardia produrrà ulteriori e devastanti effetti recessivi. Non solo; l’inconsistenza della manovra a contrastare la recessione e far ripartire investimenti ed occupazione si manifesta ancor più nel fatto che, oltre ad avere un carattere recessivo nel suo insieme, questo carattere è amplificato dal fatto che il lato di essa che dovrebbe produrre effetti espansivi (quello delle minori entrate fiscali e contributive, che viene sbandierato sotto lo slogan dei 18 miliardi di minori tasse, e che ha spinto alcuni a definirla come una manovra antideflattiva), si fonda su presupposti molto deboli, e tutt’altro che scontati. Infatti, la “ratio”, non occulta, ma dichiarata, del provvedimento è la seguente: 1- Contenere, almeno formalmente il deficit sotto un 3% preventivo in ossequio parziale agli impegni europei, pur essendo prevedibile che ben difficilmente ciò potrà venir confermato nel corso del 2015, aprendo quindi la strada ad ulteriori provvedimenti di aggiustamento e salvaguardia a marcato contenuto recessivo. 2- Sperare (non si può dire di più) che gli effetti recessivi dei tagli di spesa siano più che compensati da quelli espansivi dei 18 miliardi di minori imposte, del bonus famiglie numerose, degli 1,9 miliardi di ammortizzatori sociali, che evidentemente si valutano molto più robusti di quanto non sia ragionevole prevedere. Questo è il nocciolo ottimista della manovra, nella speranza che possa innescare una crescita pur modesta, ma tale da mantenere comunque il rapporto deficit/PIL entro il 3%, come continuano a ripetere le esternazioni e tweets di Renzi, che il Presidente della Repubblica riprende pappagallescamente ed inappropriatamente. 3- E’ una logica che, accantonata ogni velleità di investimenti pubblici (limitati a circa 2,3 miliardi, dei quali 1,2 di cofinanziamento sostanzialmente obbligati), più utili al fin di produrre sviluppo capace di autosostenersi, ma meno produttivi ai fini della capacità di portare credito al governo, affida ogni prospettiva di crescita a tre ipotesi: A)- Quanto arriva alle famiglie in termini di detassazioni, bonus, contributi, va automaticamente e per intero a tradursi in incremento dei consumi privati; B)- Quanto arriva alle imprese (IRAP e agevolazioni sui nuovi contratti a tutele crescenti) va a tradursi in nuovi investimenti ed assunzioni; C)- Anche se questo non è un fattore strettamente economico, le facilitazioni concesse alle imprese in termini di maggior flessibilità e di più agevole possibilità di licenziare vanno miracolosamente a tradursi in nuove assunzioni. Sono, queste, tre ipotesi che la valutazione delle condizioni attuali e l’esperienza dimostrano come largamente infondate. Il fatto che il bonus degli 80 euro, in atto da maggio, non abbia determinato alcuna ripresa dei consumi sta a dimostrare come, nelle condizioni di oggi, la prudenza sia la prima forma di difesa degli italiani: lo dimostrano anche l’altrimenti inspiegabile aumento dei depositi bancari, la tendenza a sfruttare sino in fondo low cost e campagne di promozione, la strategia di mutamento dei consumi. Chi non sa bene cosa gli riserverà il futuro, e vede prezzi cedenti, ma teme emergenze, rincari di accise, aumenti di tickets e venir meno di servizi, non è assolutamente propenso ad anticipare spese ed a consumare. D’altra parte lo stesso governo sembra non esser molto convinto dell’adeguatezza di questa strada, nel momento in cui si è fortemente enfatizzata, anche in dichiarazioni ufficiali, l’importanza e l’effetto dell’anticipazione mensile in busta-paga delle quote di TFR, avvertendo gli italiani (o meglio, una parte di essi) del fatto che tra poco, chi lo vorrà non troverà solo 80, ma 200 euro in più nella propria busta-paga, cumulando così due elementi del tutto disomogenei, e definendo il tutto come “una buona dote”. In sostanza, si cerca di sostenere i consumi fornendo cinicamente ad una gran parte degli italiani, non maggiore reddito, ma la percezione ingannevole di un maggior reddito che in realtà non c’è: “ora spendete; poi si vedrà”. Considerato il significato che il TFR ha tradizionalmente ed utilmente avuto nei comportamenti delle famiglie italiane, la maggior tassazione che colpirebbe le quote di TFR anticipate rispetto a quelle accantonate, ed il venir meno della rivalutazione, è da presumere che il ricorso a tale provvedimento sarebbe visto come l’ultima risorsa cui attingere. In sostanza, scambiando la possibilità di arrivare alla fine del mese con quella di arrivare alla vecchiaia. E la maggior imposta che verrebbe a colpire le quote di TFR anticipate in busta-paga, risulterebbe una vera e propria tassa sulle difficoltà. L’altra gamba della fiducia espansiva del governo poggia sulle imprese. Anche qui, si spera (non c’è altro termine): in questo caso, che il taglio dell’IRAP e le agevolazioni sui futuri contratti a tutele crescenti (6,5-7 miliardi in totale), possano direttamente ed automaticamente tradursi in investimenti e, insieme alle modifiche delle norme relative ai licenziamenti, in nuove assunzioni. Sono, con tutta evidenza, norme che agevolano le imprese. Ma non è dato di capire da dove il governo tragga queste ottimistiche convinzioni. E’ molto più ragionevole supporre che, in assenza di una effettiva, nuova, ed aggiuntiva, domanda, il taglio dell’IRAP produca l’effetto, per le imprese in condizioni non brillanti, di nient’altro che un utile, ma non risolutivo, alleggerimento della situazione finanziaria delle stesse; e, per quelle in condizioni migliori, vada invece a consentire accantonamenti di riserve e/o politiche di dividendi più generose nei confronti degli azionisti. Ma non nuovi investimenti, ed ancor meno nuove assunzioni: gli uni e le altre potranno manifestarsi solo quando le imprese saranno in presenza di nuova domanda, che oggi può esser rapidamente e direttamente generata solo per via di investimenti pubblici (sperabilmente, quelli che abbinino alla creazione di domanda la capacità di ammodernare il sistema infrastrutturale e mettere in sicurezza il territorio). In altre parole, come già scrivevo mesi fa [ I limiti dello Jobs Act: incentivi o creazione di domanda? ], una politica fatta di soli incentivi (economici e normativi nei confronti del lavoro), di per sé, è insufficiente a rimettere in moto le cose: quali che siano gli incentivi, nessuna impresa assumerà dipendenti se non avrà domanda aggiuntiva da soddisfare. Occorre cioè che un motorino d’avviamento sufficientemente potente provveda prima a far ripartire il motore principale: dopodichè, gli incentivi potranno avere efficacia. E questo motorino, oggi, non può esser costituito che da nuova domanda per investimenti pubblici, dei quali si vede invece ben modesta traccia nella manovra che il governo propone. 3-CONCLUSIONI Queste sono le ragioni strettamente e freddamente tecniche che fanno giudicare la manovra come inappropriata e priva di realismo la manovra, e che possono esser sinteticamente riassunte così: 1- Insostenibilità della parte di spending review accollata agli Enti Locali. 2- Manca ogni certezza sulle ulteriori riduzioni di spesa riguardanti le Amministrazioni Centrali e sul ricavato della lotta all’evasione fiscale. 3- Nel suo insieme, la manovra non ha affatto i caratteri espansivi che essa si prefigge (vedi Piga). 4- A peggiorar le cose, gli effetti espansivi in termini di consumi, di investimenti, di nuove assunzioni, che si suppone possano derivare dai conclamati 18 miliardi di minori tasse, in base alle esperienze precedenti, risulteranno di molto inferiori a quanto è stato previsto. 5- L’eventuale e non improbabile scattare della clausola di salvaguardia in virtù di quanto qui esposto ai punti 1 e 2, verrebbe a più che azzerare (ma essenzialmente in danno delle famiglie delle fasce di reddito più basse) i benefici che sono stati previsti. 6- Senza un programma di investimenti pubblici serio ed adeguato in qualità e dimensioni è inutile sperare in una ripresa. Infine, una notazione che riguarda la filosofia politica che è sottesa a questa manovra. Che è quella di creare consenso sociale non più in via indiretta, attraverso l’espansione della spesa pubblica, come è troppo spesso stato costume della repubblica, ma in via assolutamente diretta: e cioè attraverso defiscalizzazioni e concessioni che arrivano direttamente nelle tasche di beneficiari costituiti essenzialmente dalla fascia medio-alta dei ceti popolari e da un ceto medio impoverito, da diverse centinaia di migliaia di piccole partite IVA, dalle imprese. Nulla tocca a chi non ha un lavoro ed ai pensionati. Questa è la ragione che ha indotto commentatori non certamente imputabili di sinistrismo, come Folli o come Diaconale, a definire come elettoralistica la manovra-Renzi, leggendola come mirata a consolidare attorno a sé il consenso della maggior parte del lavoro dipendente ed a poter vantare meriti nei confronti del mondo delle imprese. Va da sé che, come è avvenuto a proposito degli 80 euro, provvedimenti del genere sembrano fatti apposta per chiudere la bocca a chi non condivide l’operato del governo, che viene tacciato di estremismo e di sinistrismo da salotto. Qui sta la grande abilità di Matteo Renzi, che riesce a far percepire come riformismo progressivo quanto nei fatti e negli effetti rappresenta la prosecuzione delle politiche sinora seguite, incapaci di contrastare la recessione, ma capaci al tempo stesso di produrre l’incremento del debito. Meglio sarebbe, anziché far finta di “stare” nel limite del 3% cercando un accomodamento all’italiana con l’Europa basato sul far finta di non vedere, avere il coraggio di indicare il superamento di questo limite come condizione per rimettere in ordine i conti in una logica di crescita, sviluppando seriamente, accanto alle riduzioni di imposte, politiche di investimenti, innovazione, ed ammodernamento. E’ il senso della proposta “PER UNA LEGGE DI STABILITA’ ALTERNATIVA”, che Iniziativa 21 Giugno ha messo a punto. E’ una proposta che è molto più prudente sulle possibilità offerte dalla “spending review”, che prevede investimenti sensibilmente maggiori ed una diversa definizione dei sostegni al reddito e delle riduzioni di imposte. Ovviamente, portando il rapporto deficit/PIL al 4,2%, ma con risultati sicuramente più efficaci dal punto di vista dell’incremento del PIL, e quindi della stabilizzazione del debito. Senza alcuna pretesa che la proposta di Iniziativa 21 Giugno sia corredata da alcuna bacchetta magica, questa potrebbe esser assunta come utile contributo ad un ragionamento realistico che dovrebbe essere affrontato da tutti coloro che intendano finalmente affrontare i problemi veri superando facilonerie e facili speranze. Gim Cassano [Alleanza Lib-Lab], 19-10-2014

domenica 19 ottobre 2014

The Party of European Socialists invites you to join the PES Democracy and Society Network Conference on 21-22 November in Vienna - PES

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PES Finance Ministers meet in Luxembourg and focus on EU Investment Strategy - PES

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PES Ministers Discuss New Social Policy Momentum - PES

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Quali politiche per uscire dalla crisi? Intervista a Danilo Barbi

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La Sanità italiana migliore d’Europa e terza nel mondo

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Il più grande taglio delle tasse della storia dell'uomo sarà recessivo | Gustavo Piga

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Consumi renziani e risparmi tedeschi: vincerà chi pensa agli investimenti (pubblici) | Gustavo Piga

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Gli economisti deviati e la crisi del capitalismo | Economia e Politica

Gli economisti deviati e la crisi del capitalismo | Economia e Politica

venerdì 17 ottobre 2014

Prove di tempesta sui mercati: e l'Europa dov'è? | Angelo Baglioni

Prove di tempesta sui mercati: e l'Europa dov'è? | Angelo Baglioni

La manovrona | Massimo Bordignon

La manovrona | Massimo Bordignon

New Thoughts On Capital In The Twenty-first Century

New Thoughts On Capital In The Twenty-first Century

Gim Cassano: Sinistra, si muove qualcosa?

Sinistra: si muove qualcosa? Mi sembrano significative, e da osservare con interesse e favore le novità emerse dalla manifestazione di SEL del 4 Ottobre, che alcuni hanno voluto, un po’ pomposamente ed impropriamente, battezzare come una sorta di “Patto dei Santi Apostoli” alternativo al “Patto del Nazzareno”. Ciò detto, e ferma restando l’attenzione e la piena convinzione che si tratti di un passo che va nella giusta direzione, mi sembra però opportuno tenere i piedi per terra, evitando di attribuire ad un fatto, per quanto reale e positivo, dimensioni e prospettive che sono ancora tutte da valutare. Si tratta di un primo e necessario passo, ma del tutto preliminare. La sua importanza sta nel fatto che, da parte di SEL, e da parte di un settore della minoranza PD che i fatti dimostrano non essere ancora chiaro quanto sia vasto e quanto sia determinato, si inizia a riconoscere la necessità di azioni comuni volte a ricostruire la Sinistra. Sottolineo i due termini “comune” e “ricostruire”, perché è da qui che penso si debba partire. Non essendovi infatti le condizioni per le quali nessuno possa pensare di rivendicare per sé ed in via esclusiva tale responsabilità, non disponendo né delle necessarie potenzialità, né di titoli indiscutibili, diventa condizione necessaria l’avviare un percorso tale da far convergere, evitando facili scorciatoie, esperienze, storie, sensibilità, diverse; ed occorre essere ben convinti che una prospettiva per la sinistra italiana possa riaprirsi solo per via di approcci culturali e metodi non ispirati passivamente a tradizioni ed abitudini, e tali da evitare di ripercorrere strade costellate da errori di strategia, settarismi, opportunismi, defezioni. Deve tra l’altro diventare chiaro il fatto che è venuto meno, ritengo in via definitiva, l’alibi dello schema centrodestra/centrosinistra, e che il “Patto del Nazzareno”, quali che siano le divergenze tattiche interne, prefigura un’area politico-culturale tendente ad omogeneizzarsi. Questa vede nel sincretismo populista di Matteo Renzi la capacità di cavalcare strumentalmente le diverse manifestazioni della crisi italiana, non con la conseguenza del loro superamento, ma con quella di perfezionare il ridimensionamento delle premesse istituzionali, sociali, economiche, della nostra democrazia. Ridimensionamento che la destra berlusconiana, sia pure in ritardo rispetto al conservatorismo britannico e americano, aveva avviato senza riuscire a portare a compimento definitivo. Se, pur passando per inevitabili contraddizioni -delle quali la fiducia votata al Senato da parte di quasi tutta la sinistra PD è un esempio- i fatti confermeranno che quanto è emerso il 4 Ottobre verrà progressivamente ad assumere questi significati, saremo così davanti ad un primo, necessario ed importante, passaggio. Ad avviare la messa in campo di una sinistra credibile, occorre poi che vadano man mano maturando altre consapevolezze, cui si riferiscono largamente i ragionamenti e le iniziative che, senza alcuna rivendicazione di esclusiva al riguardo, “Iniziativa 21 Giugno” ha iniziato a sviluppare. · Occorre avviare un percorso largo ed aperto a tutte le realtà politiche, associative ed individuali disponibili, senza primogeniture, fondato sulla partecipazione e sulle capacità di aggregazione, proposta, presenza e lotta politica, e riguardo al quale non può oggi essere immaginata una forma predeterminata. Più che ad un nuovo partito, oggi occorre pensare a costruire un movimento che possa caratterizzarsi per la capacità di aggregare esperienze e storie sinora separate ed il più delle volte tra loro conflittuali. · E’ un carattere che non può derivare da altro che dalla capacità di rileggere esperienze e storie in termini critici ed alla luce di fenomeni che hanno fatto venir meno molte delle premesse e delle fiducie attorno alle quali si sono sviluppate le democrazie industriali nel corso del XX° secolo. Limiti allo sviluppo, marginalizzazione del lavoro, finanziarizzazione dell’economia, concentrazione della ricchezza, sviluppi oligarchici e tecnocratici, riflussi populisti, stanno comprimendo in termini del tutto nuovi quegli spazi di libertà, democrazia, giustizia sociale che, lentamente allargatisi sino agli anni ’70, ci si era poi illusi di poter mantenere comunque e nonostante il cedimento della capacità propulsiva delle forze di sinistra ed il conseguente progressivo loro indebolimento e perdita di radicamento sociale e territoriale. · Se una forza di sinistra trova la sua ragion d’essere nel difendere, estendere e generalizzare questi spazi, occorre allora che sappia sviluppare capacità di analisi, di elaborazione e di proposta, innovative nel tener conto di questi fenomeni e di come e quanto negli ultimi decenni si siano indebolite e frammentate l’economia e la società italiane più di altre, avviando spirali nelle quali cause ed effetti di crisi economica, sociale, politica, istituzionale, si intrecciano ed amplificano vicendevolmente. Più che ricercare atti fondativi o costitutivi, dei quali è sin troppo piena la sua storia, si tratta di mobilitare le forze disponibili sulla condivisione di progetti ed iniziative che, muovendo da un rapporto con la realtà centrato sul definire risposte concrete e credibili alle più evidenti ed immediate emergenze del Paese, avviino però prospettive ampie di sviluppo, innovazione, mobilità e crescita complessiva della società e dell’economia indirizzate a combattere una stagnazione complessiva di sistema cui corrispondono dinamiche interne tendenti a dividere ulteriormente la società comprimendo spazi di libertà e di democrazia. · Ciò comporta il considerare come obbiettivi prioritari ed immediati: 1)- difendere la democrazia, con riferimento alla rappresentanza, alle sue regole, alle istituzioni, sia al centro che nelle realtà civiche, e con riferimento al funzionamento del sistema politico e dei partiti; 2)- avviare la discussione e la messa a punto di politiche di sviluppo aventi l’obbiettivo immediato di superare le emergenze economiche (quella del lavoro in particolare), e quello di prospettiva di modernizzare il Paese correggendone i più evidenti squilibri sociali e le molte arretratezze, organizzative e materiali; 3)- riportare il concetto di programmazione, finalizzata allo sviluppo, all’innovazione, al riequilibrio territoriale, al centro dei compiti e dei metodi delle pubbliche amministrazioni; 4)- affermare, con indicazioni concrete, il principio di una concezione complessiva ed inscindibile dei diritti e dei doveri individuali, civili, sociali. · Si tratta di obbiettivi da inquadrare in un’assunzione di responsabilità di respiro nazionale ed europeo, che richiede di sviluppare e praticare senza opportunismi e senza sconti una solida cultura delle istituzioni democratiche, delle regole, della giustizia, e della buona amministrazione della cosa pubblica e dei beni comuni. Occorre ridare fiducia al Paese promuovendone, anche in sede comunitaria, un interesse generale che confligge con l’immobilità sociale, con l’allargarsi delle disparità, col formarsi di caste chiuse e che si autoriproducono mortificando la modernizzazione e la valorizzazione di meriti, capacità, potenzialità. Ciò comporta la necessità di politiche per l’innovazione e lo sviluppo, per l’istruzione, per la rivalutazione del lavoro, per i diritti, e per la tutela dei più deboli, nella convinzione che queste siano nell’interesse generale della comunità e condizioni per la sua crescita, e che costituiscano le basi sulle quali si fonda e sviluppa la democrazia. Il fatto che, in termini concettuali, di metodo, di proposta, maturino larghe consapevolezze in tal senso non è percorso facile e che possa procedere senza contraddizioni e resistenze, dovute anche alle obiettive diversità di ruoli e funzioni tra partiti e loro settori, sindacati, associazioni, che è inutile nascondere; si tratta di procedere, un passo dopo l’altro, senza velleità dogmatiche o aspirazioni ad annettere, verso una sinistra più larga possibile e sviluppata nel rispetto reciproco. Il fine comune non può limitarsi alla critica dell’operato di questo governo nella logica e nell’auspicio del tanto peggio, tanto meglio; perché il peggio sarebbe comunque quello dell’intero Paese ed il meglio potrebbe venir colto o da una destra dichiaratamente autoritaria, o da coloro che, pur non convinti del nuovo corso imboccato da Renzi, sperano ancora nella possibilità di ripristinare un centrosinistra debole nella testa e nelle gambe, ed attendono il momento di poter preparare un: “Matteo, stai sereno” di palazzo. Prescindendo dalla tenuta o meno di questo governo, dall’eventualità di un soccorso azzurro, dal ricatto elettorale, non può esservi altro fine che quello di riaffermare in Italia la presenza politica di una sinistra configurata secondo criteri non difformi da quanto si è accennato. Perché questa è una condizione comunque necessaria: o per poter condurre una credibile battaglia di opposizione in quel che resterà del Parlamento e nel Paese; o, nel caso, a far sì che possa configurarsi un centrosinistra “forte” e dotato di reale capacità di riforma. In tal senso, mi pare necessario il metodo che “Iniziativa 21 Giugno” ha iniziato a proporre e sviluppare, attraverso la capacità di rapportarsi a diverse esperienze di una sinistra frammentata e prescindendo da ogni condizionamento derivante da questa o da quell’altra provenienza, ed utile il suo ruolo. Se infatti è evidente la necessità di adeguati approfondimenti concettuali, non ci si può fermare a questi, ma occorre sviluppare la capacità di proposta, la costruzione di rapporti politici, la promozione o partecipazione di/ad iniziative e campagne politiche, in sede nazionale e, cosa altrettanto importante, nelle diverse sedi locali ove ne sussistano le condizioni. Il che non può avvenire per effetto del semplice incollaggio orizzontale di spezzoni di politica, quanto come risultato di un processo che mira sì all’aggregazione, ma che considera questa possibile solo se conseguenza logica di comuni approfondimenti analitici e di proposta, e di comuni iniziative; il viceversa sarebbe con tutta probabilità destinato al fallimento. Le iniziative ed i comportamenti che sinora “Iniziativa 21 giugno” ha avviato, vanno in questa direzione. Altre dovranno seguirne. Gim Cassano ( gim.cassano@tiscali.it ). 13-10-2014

PERCHE’ LA SINISTRA: LA MANOVRA DEL GOVERNO RENZI: UN'OPERAZIONE DI CLASSE, UNA POLITICA ECONOMICA SBAGLIATA, UNA SOTTRAZIONE DI FUTURO di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: LA MANOVRA DEL GOVERNO RENZI: UN'OPERAZIONE DI CLASSE, UNA POLITICA ECONOMICA SBAGLIATA, UNA SOTTRAZIONE DI FUTURO di Franco Astengo

giovedì 16 ottobre 2014

Démocratie participative : l’expérience d’Amsterdam West - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Démocratie participative : l’expérience d’Amsterdam West - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

Mario Deaglio: Fare le riforme vuol dire redistribuire i redditi

Fare le riforme vuol dire ridistribuire i redditi (Mario Deaglio, La Stampa) , , . Banchieri centrali, esponenti economici, responsabili di centri dì ricerca internazionali, da anni ripetono come un mantra tibetano lo stesso ritornello. A questo coro sempre più nutrito si è aggiunto di recente il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, con due specificazioni importanti: le riforme devono essere “strutturali” (non una tantum) e devono riguardare non solo l'Italia ma l’intera Europa. Che cosa sono, allora, queste riforme che l'Italia e il resto d'Europa dovrebbero fare? L'espressione fare le riforme è una foglia di fico per nascondere qualcosa di politicamente scomodissimo: un ridisegno della società attraverso una diversa distribuzione dei redditi. Negli ultimi vent'anni, la distribuzione dei redditi si è ovunque spostata dal lavoro alle rendite. In Germania, gli anziani che vivono di rendite e di altre entrate fisse non sono mai stati così ricchi e così in buona salute, come titolava di recente il tedesco Welt am Sonntag. Negli Stati Uniti, dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli utili delle società non sono mai stati così alti. E mai così alto negli ultimi decenni, è stato l’indice Gini (che misura la disuguaglianza dei redditi), che ha visto l’Italia di diventare uno dei Paesi avanzati con maggior disuguaglianza, solo di poco inferiore a quella degli Stati Uniti. Mentre però negli Stati Uniti la società è diseguale ma anche relativamente mobile, e chi è povero può ragionevolmente pensare di migliorare sensibilmente la propria posizione economica, in Italia diventano sempre più rigide le barriere che rendono difficile questo miglioramento, come dimostrano le norme per l'ingresso alle varie “libere” professioni. Fare le riforme significa quindi ridistribuire i redditi in modo più equo. Le vie sono molteplici e tocca ai politici dire chiaramente quale e quanta ridistribuzione intendono attuare. Fare le riforme implica però non tanto - o non solo - la riduzione del carico fiscale, come chiedono gli imprenditori ma anche la riduzione dei costi “esterni”. Occorre ripensare radicalmente la burocrazia organizzandola sulla base dei modelli, più semplici e più efficaci, di Paesi come la Germania o la Gran Bretagna, e ridurre così i tempi delle decisioni pubbliche, essenziali nel modo di produzione postindustriale. Per far questo non basta, o non serve, “tagliare i costi” lasciando invariata la struttura, come hanno latto, in vario modo, i governi degli ultimi dieci anni. E' necessario ridurre i livelli decisionali e, per conseguenza, imboccare una strada scomodissima che implica una riduzione sensibile nel numero dei pubblici dipendenti A tale riduzione fa da contrappunto la riduzione degli incarichi di lavoro di numerose categorie professionali che, volenti o nolenti, vivono sulla complicazione delle procedure pubbliche. Un esempio fra i tanti: l'invio a domicilio, già dal 2015, della dichiarazione precompilata dei redditi toglierà lavoro ai Caf e ai commercialisti. L'(eventuale) semplificazione della giustizia e l'accorciamento dei tempi potrebbe significare meno lavoro per le professioni legali. E l'elenco, naturalmente, potrebbe continuare. Dietro il generico “fare le riforme” si nasconde quindi una trasformazione rapida e non indolore della società. Alcuni Paesi - Portogallo, Grecia, Irlanda - non se la sono sentita di fare tutto da soli, pur avendo i loro governi maggioranze più solide dell'attuale governo italiano e hanno conferito alla cosiddetta troika (composta di rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale, della Bce, della Commissione di Bruxelles) una sorta di giudizio di ultima istanza sulla adeguatezza e la sufficienza quantitativa delle manovre di risanamento. Hanno passato un paio d'anni d'inferno e sembrano oggi in via di guarigione. L'Italia non è nella loro condizione ma, se vorrà conservare un ruolo rilevante nell'economia, nella politica, nella società globale, non potrà semplicemente evitare il problema. Che è già, tra l'altro, in maniera inconfessata, al centro del dibattito politico italiano.

mercoledì 15 ottobre 2014

La giustizia sociale nei paesi europei secondo il Rapporto Bertelsmann - Menabò di Etica ed Economia

La giustizia sociale nei paesi europei secondo il Rapporto Bertelsmann - Menabò di Etica ed Economia

Franco Bartolomei: Il Pd, nuova cerniera moderata

Il PD nuova cerniera moderata della governabilita' del sistema-paese. 12 ottobre 2014 alle ore 8.41 La Partita giocata da Renzi da tre anni nel PD per la sua trasformazione da partito della sinistra di governo ,centro di alleanze di governo costruite in una logica bipolare, sostanzialmente legato nelle sue politiche , pur con grandi limiti e contraddizioni , alle socialdemocrazie d'europa , a nuova cerniera, centrale e moderata , della governabilita' del sistema-paese attorno a cui andra' a ruotare il nuovo sistema politico in via di ricomposizione , e' ormai bella e chiusa . La abolizione dell'art 18 e' un punto di non ritorno su questa via della trasformazione strutturale del PD verso la piena assunzione del ruolo di centro politico del sistema paese , deputato a mediare gli interessi in gioco sempre in termini di assoluta garanzia delle compatibilita' di sistema, all'interno di un sistema politico che si punta a rendere sostanzialmente unipolare . Questo disegno di cui Renzi e' solo la faccia esterna , che punta alla trasformazione del PD nello stabile asse di riferimento della governabilita' del paese ,secondo tutti i dettami di strasburgo ,ed in nome rispetto rigoroso delle compatibilita' complessive del sistema bancario e finanziario che regola l'attuale modello di sviluppo occidentale, si ' e' compiuto addirittura prima del previsto, e purtroppo senza neanche uno scontro interno palese ed esplicito in quel partito con tutti quelli che , anche se in modo illusorio ed ipocrita , avevano concepito il PD come la possibile esaltazione di una sinistra di governo moderna in grado costruire una forte egemonia progressista sulla societa ' civile . La fase politica che abbiamo appena attraversato ha in realta' preparato adeguatamente questo esito , e ora diviene di ancor piu' facile lettura se analizziamo con attenzione il senso della assoluta assenza di una opposizione sostanziale, ormai garantita stabilmente dopo i primi tentennamenti ,da parte di Forza Italia e del suo leader Berlusconi al governo Renzi . E' evidente come Berlusconi , non solo in cambio dello scioglimento delle sue ambasce giudiziarie, si sia messo anch'esso , dopo i montiani , completamente a disposizione, di un disegno di consolidamento degli equilibri del nostro sistema -paese attorno ad un quadro politico che possa assicurare una gestione , senza tentennamenti , delle grandi scelte di compatibilita' ,che dovranno inevitabilmente esere adottate in linea con le necessita' del nuovo sistema globale ,integrato e vincolante ,di relazioni finanziarie e geo-politiche che l'occidente sta ricostruendo come via d'uscita complessiva alla crisi finanziaria ed economica delle proprie economie sviluppate . In attuazione di questo obiettivo il Cavaliere , per cio ' che lo compete ,sta sistematicamente lavorando ad una " eutanasia "progressiva di Forza Italia , con l'obiettivo , neanche particolarmente dissimulato , di favorire, direttamente o indirettamente, il consolidamento di un ulteriore forte consenso dell' elettorato moderato attorno a Renzi , che vada a consolidare la prima confluenza di consensi sul suo nuovo PD gia' realizzata alle europee dai Montiani , in modo da rendere il presidente del consiglio libero da qualsiasi possibile forte condizionamento da parte della componente interna del PD ancora legata ad una tradizione di sinistra , e metterlo, in prima battuta , nelle condizioni di essere pienamente in grado di agire del tutto liberamente nelle scelte di politica sociale, finanziaria , economica , fiscale , ed internazionale ,che dovranno necessariamente caratterizzare la propria azione di governo immediata . Il disegno e' pero' molto piu' ampio , ed il consenso di Forza Italia al progetto Renziano di riforma elettorale ed istituzionale ne ' rappresenta solo un aspetto particolare. In prospettiva ,ed in caso di necessita', l'obiettivo e' lavorare in modo che Renzi al momento opportuno , in un eventuale possibile futuro confronto elettorale che dovesse scaturire da una crisi verticale dei rapporti interni del PD , divenga in condizione di poter costruire attorna alla sua nuova leadership una vittoria elettorale di un PD, in cui i conti interni siano definitivamente regolati anche attraverso una fuoriuscita di parte della sinistra , finalmente pienamente trasformato in una grande forza moderata di massa, che divenga nel lungo periodo l'asse politico di riferimento del processo di riorganizazione del paese richiesto dai nuovi assetti di potere economico e politico sovranazionale a cui l'occidente ha ormai riaffidato , dopo lo sbandamento degli ultimi anni successivi al 2008 , il ruolo di guida e definizione delle caratteristiche dei propri modelli sociali e politici . Purtroppo l'indsipienza di cio' che resta della Sinistra Italiana sembra renderlo un disegno perfetto , nonostante sia pieno di buchi , e soprattutto sia fondato su un'ipotesi di modello economico non piu' fondato su uno schema di crescita e di sviluppo reale , ma caratterizzato da un andamento tendenzialmente stagnante all'interno di un quadro di fortissimi vincoli di spesa pubblica, totalmente privo di politiche anticicliche e di interventi di riequilibrio sociale , e gestito attraverso un sistema di relazioni economiche che ,non andando a riequilibrare i processi di redistribuzione della ricchezza sociale esistenti , finira', inevitabilmente ,per collidere nelle sue implicazioni sociali con un assetto costituzionale pienamente democratico . Un sistema globale integrato strozzato da gravi contraddizioni sociali , che gia ' da ora ricomincia a mettere nel conto un possibile scontro frontale con le forti realta ' politiche ed economiche esterne ad esso , a cominciare dai Bric ,ed in particolare Russia e Cina , come strada pericolosissima di un tentativo estremo di possibile risoluzione delle proprie insolubili contraddizioni interne . Da questo ragionamento scaturisce per corollario logico che I Socialisti che non sono daccordo con Nencini sulla confluenza , esplicita o camuffata fa' lo stesso , nel PD , debbono risolversi finalmente a lavorare ad un nuovo processo costituente a Sinistra con una loro nuova soggettivita' politica organizzata , aspettando i reduci sconfitti della sinistra diessina fuori dal PD , e con essi radunare tutto cio' che da sinistra e' fuori dal progetto renziano , anche riassorbendo tutta l'esperienza della lista Tsipras . su un progetto di ricostruzione, in termini nuovi , della sinistra , fondato su un modello alternativo della crescita e dei rapporti sociali . FRANCO BARTOLOMEI

Franco Astengo: Adattarsi al PD?

Il 14/10/2014 17:22, Astengo Francesco ha scritto: ADATTARSI AL PD? RISPOSTA AD UN ARTICOLO DI ENZO SCANDURRA PUBBLICATO DAL “MANIFESTO” IL 13-10-2014 di Franco Astengo “La mutazione darwiniana del PD renziano”, sotto questo titolo il Manifesto del 13 Ottobre dedica ampio spazio a un articolo di Enzo Scandurra che finisce con il sollevare interrogativi piuttosto inquietanti. La tesi che l’autore sostiene è contenuta, grosso modo, nel catenaccio che recita: “Il partito democratico è il più adatto a sopravvivere nella geopolitica italiana e europea. Capire perché vince è compito nostro se la sinistra non vuole fare la fine dei dinosauri”. E l’articolo si conclude con questa frase: “..Perché poi le idee del PD –R (nel senso di Partito Democratico Renziano n.d.r.) siano le più adatte ad avere successo è una storia ancora tutta da scrivere ma che faremmo bene a capire al più presto -raccogliendo l’appello lanciato da Norma Rangeri – se non vogliamo fare la fine dei dinosauri, i quali dopo aver dominato in maniera incontrastata il pianeta per 160 milioni di anni, diventarono ecologicamente insostenibili e si estinsero lasciando il campo ad altri viventi più adatti”. Cosa significano queste parole? Il mutare delle regole e delle condizioni nella convivenza umana, cui l’agire politico è strettamente legato, sono da considerare fatti naturali e quindi soggetti a mutamenti che non sono causati da fatti storici? Esiste un “ambiente” neutro che muta le proprie condizioni di abitabilità per via delle piogge, dei venti, della temperatura atmosferica, dell’eruzione dei vulcani, della caduta delle meteoriti e sulla base delle condizioni imposte da questo “ambiente” ci si adatta e di conseguenza si agisce? Sono sparite le grandi contraddizioni sociali, moderne e post-moderne, sulla base delle quali si dovrebbe sviluppare l’azione politica di soggetti diversi che seguono interessi complessi e articolati, in certi casi alternativi tra di loro come quello dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo che genera lo scontro di classe? Lo scontro di classe, nel caso indicato da Scandurra, resterebbe per così dire “congelato” all’interno del quadro delle condizioni date alle quali i soggetti dovrebbero cercare di adattarsi, nell’impossibilità di mutarle. Sembrano perfino troppo per il PD renziano che non nasce da un cataclisma tellurico, ma da precise scelte compiute da ceti sociali e politici perseguenti l’intenzione di sopraffare determinati settori della società e allargare il proprio potere. Oppure siamo ad una sorta di “onnipotenza” da parte di chi è capace di adattarsi all’ambiente circostante, traendo da questa sua capacità una possibile sopravvivenza. Spariscono in questo modo due riferimenti ai quali la sinistra ha sempre guardato: l’idealismo hegeliano e il marxiano “abolire lo stato di cose presenti”. Davvero è difficile comprendere se ci troviamo dentro alla facile categorie dei dinosauri usata da Scandurra (quasi il paio con la “rottamazione” del Renzi antemarcia). Più facile rendersi conto che le grandi contraddizioni sociali delle quali la sinistra è chiamata ad occuparsi, sia per via rivoluzionaria, sia per via riformista, sono tutte lì, in bella evidenza, nella crudezza della sopraffazione e dello sfruttamento. Dimenticare questo elemento decisivo dell’assoluta attualità delle “fratture” sociali e politiche per assumere le sembianze necessarie per brucare l’erba dai cespugli più bassi significa rinunciare davvero al senso della storia e alla stessa dignità della lotta quotidiana necessaria per difenderci e, possibilmente, avanzare. Emerge dall’articolo di Scandurra (ma anche da quello della Rangeri che è stato citato) un senso quasi “universale” dell’irrimediabilità della sconfitta. Siamo qui nell’Italia provinciale, lontana periferia dell’Impero: ma adattarsi al PD perché “vincente” non pare proprio il caso, rifiutando con grande nettezza questa logica assurda dei dinosauri. Se si va in giro e si guarda alla materialità delle condizioni di vita delle masse popolari si trovano mille ragioni per sentirsi moderni, capaci di interpretare la realtà e proporsi di mutarlo questo fasullo ambiente naturale che ci circonda. Con l’obiettivo, come scrisse una volta Rossana Rossanda di: “Cambiare questa società, pietra, su pietra”.

spazio lib-lab » INIZIATIVA 21 GIUGNO PARTECIPA E SOSTIENE LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE DELLA CGIL (Roma, 25 Ottobre 2014).

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GLI STATUTI METROPOLITANI E L’ESEMPIO DELLE MÉTROPOLES FRANCESI | Roberto Camagni | ArcipelagoMilano

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martedì 14 ottobre 2014

Ma come mai Evo Morales ha rivinto a mani basse in Bolivia? - Gennaro Carotenuto

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art.18 La mutazione genetica del Pd - Eddyburg.it

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La questione giovanile e la sinistra - Eddyburg.it

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Equilibrismi tra conti nazionali e regole europee | Bordignon e Landi

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Finanziaria, i giochi di prestigio del premier / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Finanziaria, dentro la “scatola nera” del Def / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Criticare il capitalismo oggi / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Una “Bretton Woods” per l’eurozona / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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I democratici e le deleghe in bianco / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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venerdì 10 ottobre 2014

Come uscire dalla crisi senza uscire dall’euro - micromega-online - micromega

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Una scossa da 40 miliardi per rianimare l’economia - micromega-online - micromega

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Quale futuro per la socialdemocrazia? - micromega-online - micromega

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Il video dell’intervento di Thomas Piketty alla Camera dei Deputati - micromega-online - micromega

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Tutti i paradossi del TFR in busta paga - Pagina99.it

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Il primo turno delle elezioni in Brasile: un imprevisto prevedibile | Aspenia online

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Pedro Sánchez And The Political Challenges For The PSOE

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La lunga strada verso una fiscalità equa | Fernando Di Nicola e Ruggero Paladini

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Massimo Gramellini: Un solo partito

Massimo Gramellini, La Stampa, 10 ottobre 2014 In Italia è rimasto un solo partito, e non è di sinistra. Si chiama Pd, ma è la versione moderna, senza tessere né sacrestie, della Democrazia cristiana, la balena interclassista che tutti apertamente criticavano, e di nascosto votavano. Il processo ha raggiunto il suo culmine questa settimaqna con la sconfitta degli ultimi eredi del Pci sull'articolo 18. Renzi ha celebrate il proprio trionfo con una scelta significativa, andando a pontificare negli unici talk shaw che parlano all'ex popolo berlusconiano, quelli capitananti da Porro e da Del Debbio. Con la spregiudicatezza tipica delle persone cresciute in un ambiente familiare sereno, e quindi molto sicure di sé, l'annunciatore fiorentino sta disintegrando i tabù che hanno paralizzato per decenni i suoi predecessori comunisti e pidiessini. Renzi ha cacciato dietro di sé il timore di avere nemici a sinistra e di mettersi contro la Cgil, ma soprattutto l'imbarazzo nel chiedere voti alla base sociale dell'incantatore dì Arcore: liberi professionisti, commercianti, piccoli imprenditori e disoccupati, che secondo Il Sole 24 Ore hanno cambiato verso alle elezioni europee, dirottando per la prima volta i loro consensi sul partito che finora gli aveva procurato solo attacchi di orticaria. La realtà è che oggi chiunque, da Passera a Della Valle, pensi di entrare in politica per rifondare il centrodestra deve prendere atto che al momento non esiste un bacino di voti disponibile. Renzi ha fatto il pìeno, lasciando scoperta solo la zona riservata ai lepenisti italiani magistralmente interpretati dall'altro Matteo, il becero ma efficacissimo Salvini (che raccoglie l’8% secondo i sondaggi). Il resto è un mondo finito e svuotato di consensi, che sopravvive sui giornali per vecchi automatismi, che inducono i cronisti a interessarsi alle ultime convulsioni nelle file di Berlusconi. I voti di Alfano e di Monti sono già tutti in pancia al Pd. E quei pochi che restano a Silvio, finiranno in parti uguali a Matteo uno e Matteo due. L'unica terra di conquista elettorale è dunque quella che un tempo avremmo chiamato Sinistra. Sono i giovani e i precari attratti da Grillo, i pensionati, i nostalgici dello Stato sociale e in genere gli oppositori di un sistema capitalistico che, per un processo apparentemente ingovernabile, sta privilegiando le rendite, disintegrando il ceto medio e creando sacche sempre più ampie di povertà. Il pigliatutto di Palazzo Chigi, naturalmente, si considera di sinistra anche lui. Anticomunista, ma di sinistra. Solo che la sua non è la sinistra europea e statalista dei Palme e dei Mitterrand, ma quella anglosassone e meritocratica dei Clinton e dei Blair. Per chi non vi si riconosce rimarrebbe in teoria uno spazio persino più ampio di quello occupato dagli emuli del greco Tsipras. Manca però, appunto, uno Tsipras. Cioè un leader in grado di indicare un modello sociale alternativo ma praticabile, e di perseguirlo con coerenza. Difficile possa esserlo Civati e meno che mai possono esserlo Bersani e D'Alema, con il sostegno delle truppe ormai poche e brizzolate della Camusso. Se i grandi vecchi non se ne vanno dal Pd, non è certo per fedeltà a un partito che non sarà mai più il loro, ma perché sanno che fuori dal Pd si condannerebbero all'insignificànza di un Gianfranco Fini. Nella settimana in cui comincia ufficialmente l'era del partito unico, bisogna riconoscere che l’Antirenzi potrà nascere solo dentro il nuovo Pd, così come i rivali dei leader democristiani venivano prodotti in serie dalla stessa Dc. Renzi lo sa talmente bene che sta provvedendo a ucciderli tutti nella culla. Resta da vedere se, come accade sempre in politica, prima o poi qualcuno riuscirà a sopravvivergli e a fargli la pelle.

martedì 7 ottobre 2014

Angelo Giubileo spazio lib-lab » Le insidie del TFR in busta paga.

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Germania: il vero malato d’Europa | Eunews.it

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CGIL - Vertice Sindacale Europeo: sindacati, riaprire subito dialogo sociale

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Keynes, Brüning And Pierre Moscovici's Hearing With Econ

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Europa intrappolata nel labirinto delle regole | Boitani & Landi

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Tfr in busta paga? | Stefano Patriarca

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Non aspettiamoci miracoli dal Tfr in busta paga | Fausto Panunzi

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Renewal | Wolfgang Streeck, Ben Jackson | Interview: capitalism, neo-liberalism and democracy

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mondiepolitiche: Diritti Di "Famiglie" Tra Legge e Coscienza: Un Primo Passo Da Fare, Una Riflessione Da Proseguire

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domenica 5 ottobre 2014

The Lima Ecosocialist Declaration / Declaración Ecosocialista de Lima | CNS web

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Gim Cassano: Il crollo degli iscritti al Pd

Il crollo degli iscritti al PD si spiega con la manifesta inutilità dell’esservi iscritto. Il crollo degli iscritti al PD: 100.000 contro circa 500.000 un anno fa (anche se ora si dirà che il dato non tiene conto del fatto che la campagna di tesseramento non è ancora chiusa, e che sarà prolungata) è fenomeno che deve far riflettere anche chi, come il sottoscritto, non ha mai avuto alcuna intenzione di aderire a quel partito. Ed è un fenomeno la cui osservazione apre la strada a diverse considerazioni sullo stato della nostra democrazia. Se un fatto del genere poteva essere prevedibile, c’è però poco di che esserne soddisfatti ed invece non poco di che esserne preoccupati, specie per chi, pur non avendo nulla a che fare con quel partito, è però convinto che la democrazia sia un meccanismo delicato, da preservare e sviluppare in tutti gli ambiti. Il fatto che i cittadini-iscritti fuggano dal maggior partito italiano mi pare in ogni caso un indice del crollo dei meccanismi partecipativi e del ruolo di corpi intermedi che in una democrazia matura sono assegnati ai partiti politici, ed un ulteriore tassello che va ad aggiungersi ai già tanti che si stanno assemblando a comporre un mosaico complessivo che vede progressivamente inaridirsi l’esercizio della democrazia. Il crollo degli iscritti al PD è indice, temo irreversibile, di una trasformazione del partito politico che fu espressa con chiarezza da Walter Veltroni nel suo discorso di candidatura-investitura alla guida del PD, nel giugno del 2008 al Lingotto, nel rivendicare il presunto carattere innovativo di una forma-partito fondata non più sugli iscritti, ma sugli elettori. Un tale modello di funzionamento, in presenza del più “veltroniano” tra i segretari via via succedutisi alla guida del PD, e di una virata oligarchico-decisionista impressa da Renzi, trova ora piena espressione: in sostanza, in questa visione, la presenza degli iscritti ed il manifestarsi del dibattito interno che ne dovrebbe seguire è cosa inutile, al limite fastidiosa e paralizzante: quel che conta è il consenso in termini di plebisciti interni ed in termini di risultati elettorali. La legittimazione del vertice non segue al confronto ed alle contrapposizioni interne ad un corpo partecipato, ma al plebiscito una-tantum da parte di un corpo fluttuante nei confronti di un leader, dal quale promanano le scelte politiche e le decisioni circa gli assetti, in un processo non bidirezionale, ma a senso unico, dall’alto verso il basso, con ridotte possibilità di confronto e discussione. E, nel caso attuale dell’assunzione della responsabilità di governo, queste scelte non hanno origine dal partito, ma dal governo o dagli accordi che ne hanno preceduto la formazione, anche in virtù della coincidenza nella stessa persona dei ruoli di Segretario e di Presidente del Consiglio. E, se in un organo-chiave quale la Direzione Nazionale, cui spetterebbe la discussione e la definizione della “linea”, questa viene presentata come un dato già acquisito, già comunicato all’esterno, e che addirittura è già stato oggetto di patti ed impegni definiti con altre forze politiche, la discussione diventa puro esercizio verbale, ed il tutto si riduce alla pura ratifica, o meno, di decisioni già assunte, o di impegni già presi con altri, e quindi presentati come immodificabili. Non c’è quindi alcuna ragione per la quale un cittadino medio, mediamente informato da TV e stampa circa i fatti della vita politica, che scorre siti e blogs senza perdercisi dentro, ma che è interessato all’andamento della cosa pubblica, dovrebbe restare iscritto ad un partito nel quale non ha nessuna possibilità di discutere, di partecipare, di far sentire la sua, di organizzarsi con altri che abbiano le stesse vedute per affermarle. Si obietterà che il PD è strutturato sui circoli, e che i circoli ne sono l’ambito di discussione e partecipazione. Ma, agli effetti della linea politica del partito sulle questioni determinanti (quali, recentemente, Patto del Nazzareno, legge elettorale, trasformazioni istituzionali, mercato del lavoro), è evidente che il ruolo dei Circoli, e quindi degli iscritti in quanto tali, è risultato meno che nullo. E’ così venuto meno il ruolo del cittadino-iscritto, che non trova possibilità di partecipazione ed intervento nelle cose del Partito; possibilità che inizia a manifestarsi solo a partire da quadri locali che costituiscono il livello inferiore della piramide d’apparato, non ancora e del tutto divenuto ceto politico professionale, ma che aspira a farne pienamente parte, assumendone metodi e stili. Costoro hanno, non foss’altro che in virtù del loro ruolo di semiprofessionisti della politica, di persone di fiducia del boss locale, della presenza in organi amministrativi ed elettivi locali, qualche possibilità di interlocuzione coi vertici, locali e nazionale. Ne risulta un meccanismo che esclude il cittadino-iscritto in quanto tale, e nel quale la partecipazione è riservata a chi faccia stabilmente parte dell’apparato, o almeno aspiri ad entrarvi accettandone regole del gioco e metodi, non sempre encomiabili. Le primarie per la scelta dei vertici, aperte ad elettori e simpatizzanti, non arrivano a correggere tale realtà, nonostante la trita retorica che si ascolta ad ogni loro celebrazione circa la “grande prova di democrazia” che esse fornirebbero, e nonostante si sia detto, confrontando le centinaia di migliaia di iscritti con i milioni di votanti alle primarie interne, che l’aver sostituito ad un partito di iscritti un partito di elettori sia un passo avanti sulla strada dell’apertura e della partecipazione. Esse, nonostante il numero dei partecipanti, non sono infatti strumento di partecipazione e confronto, ma di acclamazione e plebiscito; ed il massimo che si possa dire al riguardo è che esprimano una sorta di sondaggio d’opinione. Non possono sostituire il concetto di un partito quale “libera associazione di cittadini”, quale corpo intermedio, quale strumento di lotta democratica, che presupporrebbe la pratica della democrazia interna. Ma la pratica della democrazia interna ne richiede gli attori permanenti, cioè gli iscritti. Se questi vengono meno per manifesta inutilità, non resta altro che una struttura leaderistica a base plebiscitaria, la cui base è costituita, in forma piramidale, da un apparato sostanzialmente professionale. E’, a ben vedere, una forma-partito funzionale ai progetti di involuzione della nostra democrazia che sono in corso; anzi, li precorre, nel limitare di fatto le possibilità di partecipazione del cittadino in quanto tale, per sostituirvi l’acclamazione, e nel porre di fatto il governo di un partito politico nelle mani di un ceto semiprofessionale alla base, e pienamente professionale ai vertici. Non c’è poi da stupirsi se vien meno il radicamento nelle realtà sociali e territoriali, che si fonda sull’attività diffusa di iscritti ed attivisti la cui presenza e numero è funzione delle possibilità di effettiva partecipazione e d influenza. Questa è la ragione per la quale il calo degli iscritti al PD, oltre che un problema per il PD (cosa che non è certo in cima ai miei pensieri), è un ulteriore indice di una democrazia malata, fatto al quale invece dovremmo tutti essere interessati. Gim Cassano, 04-10-2014

Def. Congelato il fiscal compact, ma senza idee per ripartire / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Le differenze tra Francia e Italia su deficit, debito e pil - rivista italiana di geopolitica - Limes

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Associazione LavoroWelfare » JOBS ACT, MERCATO DEL LAVORO ITALIANO E MODELLO TEDESCO

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Se il NO è della Confindustria, il governo ci ripensa | [ciwati]

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mercoledì 1 ottobre 2014

Giuseppe Berta: Da Blair e Schröder in poi

Da Blair e Schröder in poi “La sinistra? Guarda a destra. Ed è finita” di Carlo Di Foggia Il Fatto Il cambiamento è epocale. Immaginiamo l’articolo 18 come un perno: “Ci si appoggia per rivoltare la sinistra in qualcosa di diverso, senza una matrice socialista e lungo il solco tracciato da quelle che un tempo furono le sinistre socialdemocratiche europee”. E che oggi, per Giuseppe Berta, storico dell’industria e docente alla Bocconi di Milano, sono agonizzanti: “Se Matteo Renzi vede in Tony Blair il suo mentore, allora è normale che cerchi di spezzare il legame con i sindacati: lo hanno fatto i laburisti inglesi e i socialdemocratici tedeschi. I primi non si sono ancora ripresi e vivono delle disgrazie altrui, i secondi fanno parte di una coalizione su cui non riescono a incidere, a parte il salario minimo, lo strumento che dovrebbe far salire gli stipendi dei mini job creati durante il mandato del socialdemocratico Gerhard Schröder”. Il premier sull’articolo 18 rischia di spaccare il suo partito. Nessuno pensa che questo, in una fase recessiva, generi posti di lavoro. A cosa serve allora? Ci si rivolge all’Europa, ma soprattutto a un pubblico più ampio: quello che apprezza la politica antisindacale. L’elettorato di destra? Il ceto medio, che è poi quello che si deve sobbarcare il peso maggiore delle tutele sociali. Così si aumenta la base elettorale: è la sfida che si è posta di fronte ai partiti socialisti europei dopo la lunga fase degli anni 80 lontani dal governo. Con quali risultati? La fine della sinistra come la conoscevamo. E con essa il difensore del welfare state (le tutele dello stato sociale, ndr) e dell’economia mista: la compresenza di due poli - il pubblico e il privato - come motori dell’economia. Un declino iniziato negli anni 80 con le idee di Margareth Thatcher e proseguito con Blair e Schröder. Tutti contro i sindacati? Blair non fece nulla per sanare gli squilibri creati dalla Lady di Ferro, Schröder fece di peggio: affidò le riforme del mercato del lavoro a Peter Hartz, capo del personale della Volkswagen, poi condannato per corruzione dei rappresentanti sindacali. Perché il welfare state è rimesso in discussione? Perché costa, tanto. Perfino i partiti socialdemocratici scandinavi si sono indeboliti difendendolo. Nel ’76, prima della Thatcher, dopo 40 anni al governo la socialdemocrazia svedese perse le elezioni: era il segno dell’insofferenza verso una forma di tutele che comporta una pressione fiscale elevata, ma è anche l’unica via per ridurre le disuguaglianze. La sinistra è in disarmo. La svolta a favore della globalizzazione, se all’inizio li ha riportati al governo, li ha poi svuotati della loro stessa natura. Ora ne pagano le conseguenze: i socialisti francesi sono al minimo storico. Zero idee e mancanza di coraggio: hanno perfino accolto l’euro senza porsi il problema delle conseguenze. Colpa della globalizzazione? Vi hanno aderito convinti, come se contenesse un moltiplicatore di ricchezza, ma la globalizzazione riduce l’autonomia degli Stati - consentendo alla grande industria di trasferire gli investimenti dove più conviene - e la sinistra ha sempre fatto perno sullo Stato-Nazione. Renzi ha in mente questo piano? Segue la stessa logica. Ma una riforma del lavoro può essere utile. Certo, ma c’è un paradosso incredibile: si riforma il mercato del lavoro senza sapere qual è il modello economico che vogliamo adottare, e con una gigantesca incertezza sugli ammortizzatori sociali. In Europa si vuole tutelare il lavoratore sul mercato e non all’interno del luogo di lavoro. Lo Statuto dei Lavoratori fa l’esatto opposto, perché è nato in un contesto molto diverso. Nessuno dei due è giusto o sbagliato a prescindere, ma bisogna saper scegliere. Invece si attacca il sindacato. Che però si è dimenticato di milioni di lavoratori precari. Ha colpe gigantesche, ma i problemi sono altri: abbiamo perso un quarto dell’apparato produttivo. Ora si parla di “modello tedesco”. Lì si è fatto perno sulla potenza di fuoco di alcune grandi imprese, con buoni ammortizzatori sociali. Ma si rischia l’implosione. Se lei fa un giro a Berlino si accorge che i supermercati sono vuoti e la vita costa meno che a Torino: significa che la domanda interna è depressa.

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L’imperfezione dei mercati / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Articolo 18, di che stiamo parlando? / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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