martedì 10 febbraio 2009

Arrigo Levi: Israele, un voto sulla pace

da La stampa

10/2/2009

Israele, un voto sulla pace





ARRIGO LEVI

Volgendo lo sguardo a Israele, a poche ore da elezioni che potrebbero decidere se il negoziato di pace andrà avanti, o se subirà un’altra ennesima battuta d’arresto, si ha l’impressione di guardare in un caleidoscopio. Ripensando a Israele com’era sessant’anni fa, al momento della nascita dello Stato, e riportando alla mente alcune delle immagini-chiave d’Israele come ci è apparso in momenti decisivi della sua storia, si vede una realtà in continuo cambiamento.

L’Israele del 1948, che si batté per impedire che gli ebrei venissero «buttati a mare», vittime di una strage degna dei tempi dei mongoli e dei Crociati, come assicuravano i leader arabi, si ispirava a un sionismo in cui l’antica identità del popolo della Bibbia si fondeva con ideali socialisti, liberal-democratici, nazional-mazziniani dell’Europa dell’Ottocento. Ne era simbolo il laburista Ben Gurion. L’Israele che fece la prima pace con uno Stato arabo, l’Egitto di Sadat, aveva però alla testa il grande rivale di Ben Gurion, il nazionalista Menachem Begin. La pace con la Giordania di re Hussein fu firmata da un successore di Ben Gurion, Yitzhak Rabin, e fu «la pace dei soldati», da nemici divenuti amici, ambedue rappresentanti del «campo della pace». Il processo di pace con i palestinesi ebbe per protagonisti ancora i laburisti Rabin e Peres, affiancati a Stoccolma, per il Premio Nobel, da Yasser Arafat. La lunga strada del negoziato è tappezzata da accordi, o da accordi mancati, negoziati sia dal successore di Begin Bibi Netanyahu (accordo della Wye Plantation), sia dal successore di Rabin Ehud Barak. Il primo ritiro dai territori occupati (la Striscia di Gaza) fu voluto da Sharon, un altro eredi di Begin, come lo era anche Olmert, suo successore alla testa del nuovo partito centrista Kadima, che fino all’altro ieri negoziava col successore di Arafat Abu Mazen.

Ma se questa sintesi di nomi ed eventi può dare un’impressione di continuità nella diversità, intanto la realtà israeliana cambiava in modo stupefacente. Ci fu prima l’invasione degli ebrei provenienti dal mondo arabo. Più di recente quella dei russi ebrei, che dopo settant’anni di comunismo hanno, temo, assai poco in comune con i pionieri sionisti venuti dalla Russia zarista col loro carico di ideali. Oggi ne è simbolo Avigdor Lieberman, il «bulldozer della destra», violentemente anti-arabo, nemico non solo del terrorismo palestinese dei nuovi fondamentalisti di Hamas, ma anche degli arabi cittadini israeliani. Al caleidoscopio israeliano si è affiancato un caleidoscopio arabo-palestinese. Forse il nazionalismo laico di Arafat è superato. E intanto in America, grande protettrice d’Israele, non c’è più Bush, ma Obama.

Più lungo è il tempo della conoscenza che si ha d’Israele, come del mondo palestinese (per me, la memoria torna fino a quell’esercito di cittadini senza uniformi che combatté la guerra del ’48, vinta la quale, fra la sorpresa generale, si pensava ingenuamente di avere vinto anche la pace), e meno si è sicuri di conoscere gli israeliani e i palestinesi d’oggi. Certamente, il «campo della pace» ha ancora i suoi portabandiera, dall’una e dall’altra parte. Il presidente Peres ha scambiato cortesie col re saudita. Voci di intellettuali importanti, di fama mondiale, hanno fatto emergere nella coscienza israeliana anche le ragioni dei palestinesi, e l’idea (anche la grande avversaria elettorale di Netanyahu, Tzipi Livni, l’ha fatta propria), che la sopravvivenza d’Israele sarà certa soltanto dopo la nascita di uno Stato palestinese. Non manca chi ritiene possibile, magari sotto la pressione di Obama, comunque vadano le elezioni in Israele, un trattato generoso e giusto fra lo Stato ebraico e Abu Mazen: confidando che poi lo stesso Hamas riconoscerà (forse nella scia di una lunga tregua con Israele, che potrebbe firmarsi fra pochi giorni al Cairo), che anche per i palestinesi c’è un solo futuro: la pace fra due Stati indipendenti e liberi. Amos Oz giudica un trattato «possibile e forse persino imminente». Oz è un grande scrittore e un grande uomo. E’ anche un idealista.

Attendiamo l’esito delle elezioni con l’animo carico di dubbi e incertezze. Si pensava che l’invasione di Gaza, in risposta alle deliberate provocazioni di Hamas, rafforzasse le «colombe» israeliane. Forse ha invece rafforzato i falchi di Netanyahu e Lieberman. Non conosco altro Paese al mondo in cui ad ogni elezione il tema dominante sia quello della strada migliore da scegliere per assicurare la sopravvivenza dello Stato. Si succedono le generazioni, tutto cambia, ma il problema resta lo stesso.

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