sabato 31 agosto 2013

Senatori a vita, Elena Cattaneo: una luce contro oscurantismo e nuovi stregoni - Pia Locatelli - Il Fatto Quotidiano

Senatori a vita, Elena Cattaneo: una luce contro oscurantismo e nuovi stregoni - Pia Locatelli - Il Fatto Quotidiano

Franco Astengo: Elite, potere, classe politica

ELITE, POTERE E CLASSE POLITICA La domanda è di grande attualità: come si determinano i meccanismi di accesso all’effettiva gestione del potere politico in tempi di società complessa, dove appaiono evidenti i limiti dei “corpi intermedi” e delle stesse formazioni di governo? Come può essere possibile non confondere potere e governo, tanto più che il governo appare ormai esprimersi attraverso la formula a “bassa intensità” dell’obbligo alla governabilità quale fine esaustivo dell’agire politico? Per rispondere efficacemente è necessario ricostruire subito il quadro generale dentro cui ci troviamo: da una parte è cresciuto grandemente il fenomeno della “personalizzazione” della politica ormai giunto a sfiorare livelli preoccupanti in un rapporto tra il “capo” e le “masse” veicolato soltanto dal mezzo televisivo o dal web, attraverso cui si realizza un inquietante e per certi versi paradossale “dialogo” diretto tra il “politico” e la folla; contestualmente, e ci verrebbe da aggiungere quasi naturalmente, sono cambiati profondamente i partiti politici, ormai svuotati dalla partecipazione di iscritti e militanti ridotti al rango di “fruitori di eventi” (nel caso le cosiddette “primarie”) . Partiti politici trasformatisi in alcuni casi in “partiti personali elettorali” e in altri in una forma particolare del “partito acchiappatutti” : un modello questo che nella realtà del caso italiano appare molto più informe nella sua struttura e molto più caotico nella sua organizzazione di quanto non fosse stato immaginato nel momento della sua teorizzazione, quale punto possibile di superamento del “partito di massa”. Sarà bene intenderci subito su di una affermazione essenziale: la democrazia non è possibile senza partiti politici, perché il “pluralismo si esprime anche in organizzazioni stabili, durature, diffuse, che si chiamano – appunto – partiti” (Kelsen 1929, trad.it. 1966). I partiti svolgono funzioni non assolvibili da nessun’altra organizzazione e non soltanto dal punto di vista della promozione elettorale, ma anche nei compiti oggi largamente disattesi se non del tutto ignorati della partecipazione alla vita pubblica, della formulazione di programmi, ai compiti di acculturazione di massa e di vera e propria integrazione sociale. Partiti che vivono ormai soltanto attorno a due fattori determinanti: il potere si spesa e quello di nomina. Il punto da rimettere in discussione fino in fondo, allora, è quello riguardante il “come” si formano i gruppi dirigenti, come avviene la selezione del personale politico, come si costruiscono quelle élite chiamate al compito di dirigere la vita pubblica. In questo senso è necessario non cadere in un errore: scambiare la capacità di direzione politica da parte dell’élite con il “governo dei filosofi” basato esclusivamente sulla superiorità di una scienza predeterminata considerando così la posizione soggettivamente elitaria attribuita al singolo come insuperabile e inamovibile. L’elemento fondante di un possibile aggiornamento della “teoria delle élite” lo indica già lo stesso Vilfredo Pareto , allorquando individua nell’eterogeneità sociale il costruirsi di una dicotomia ”stabile” tra una classe superiore e una classe inferiore e indica l’unica possibilità per ritrovare i migliori nelle posizioni di vertice nel continuo ricambio delle élite e al passaggio di individui da una classe all’altra (Sola, 2000). Tocca però ad Antonio Gramsci costruire sul piano teorico la nozione di élite, partendo dall’insoddisfazione per la definizione coniata da Gaetano Mosca di “classe politica”. Al pensatore sardo (“Quaderni del carcere” volume III, edizione Einaudi 1975) la definizione “classe politica” appare “elastica e ondeggiante”, dal momento che “talvolta essa sembra sinonimo di classe media, altre volte è impiegata per indicare l’insieme delle classi possidenti, altre volte ancora fa riferimento alla “parte colta” della società o, più restrittivamente, al “personale politico” inteso come ceto parlamentare dello Stato. Per ovviare a questi inconvenienti e per ancorare la teoria delle élite alla metodologia marxiana e alla teoria delle classi, Gramsci, che pure utilizza in diverse occasioni il termine élite, propone di distinguere tra classe dirigente e classe dominante. Il criterio che egli adotta è direttamente riferito al lessico marxista, ma tiene conto anche delle riflessioni di Pareto in tema di “forza” e di “consenso”. Premesso quindi che la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come “dominio” e come “direzione intellettuale e morale” Gramsci propone di chiamare classe dirigente quel gruppo che s’impone attraverso il consenso, ovvero esercita l’egemonia sugli altri gruppi sociali. Viceversa è classe dominante quel gruppo che s’impone esclusivamente con la forza, con cui tende a liquidare o a sottomettere i propri avversari. Una classe può essere dominante e non dirigente oppure dirigente e non dominante. Per Gramsci una classe politica può essere veramente tale se riesce a stabilire un corretto equilibrio nell’esercizio dell’egemonia. Il tema della costruzione delle élite è quindi strettamente connesso al tema dell’egemonia come conferma anche lo stesso teorico del “governo” Robert Dahl (1958) allorquando indica che : l’élite deve costituire un gruppo ben definito; le opinioni di questa élite debbono essere in contrasto con quelle di ogni altro possibile gruppo analogo; in tali casi, implicanti questioni politiche fondamentali le scelte dell’élite prevalgono regolarmente. E’ proprio l’ultima affermazione che ci riporta all’attualità perché è proprio l’assenza di capacità nell’individuare le questioni politiche fondamentali che impedisce la formazione stessa delle élite (mancando il presupposto indispensabile del “gruppo”) e di conseguenza la possibilità di far prevalere una tesi sull’altra proprio per l’assenza di definizione precisa dei termini di alternatività tra le tesi stesse. Gli assunti di paradigma sui quali può poggiare il rinnovamento di una ricerca attorno alla costruzione di un élite possono essere così definiti: la politica è lotta per la preminenza e il potere va concepito come “sostanza” e non come “relazione”; è necessario avere ben presente la distinzione tra potere reale e potere apparente; la lotta per il potere e l’attività politica in generale è fatto “minoritario” nella società; la conquista, il mantenimento, la gestione del potere corrispondono alla capacità di coordinazione dei gruppi politici; la società è una realtà irrimediabilmente eterogenea, gerarchica, e conflittuale; ci si deve soffermare sul ruolo che le idee, i miti e le dottrine assumono nel processo di legittimazione dell’autorità ( a proposito, per esempio, della mistificante dottrina della “fine delle ideologie” propagandata fin dagli anni’80 dai gruppi conservatori statunitensi e britannici). In definitiva, il tratto essenziale della struttura di ogni società consiste nell’organizzazione dei rapporti che intercorrono tra governanti e governati, tra minoranza organizzata e maggioranza disorganizzata e nelle relazioni che si stabiliscono tra i diversi gruppi che detengono ed esercitano il potere: con buona pace di chi pensa come realistiche proposizioni quali quelle della “democrazia diretta” e della “democrazia del pubblico”. Sono questi gli elementi che debbono essere sottoposti alla riflessione politica nell’attualità del disfacimento del sistema cui stiamo assistendo : una riflessione da portare avanti attraverso un lavoro di studio che punti, proprio per citare nuovamente Gramsci, alla riunificazione tra teoria e prassi con un’ipotesi complessiva di trasformazione sociale collegata a un élite ricostruita nell’interezza della sua identità di gruppo. Naturalmente molte questioni sono state sottintese nell’elaborare questo intervento: l’analisi delle diverse specie di élite presenti in una stessa società, il tema delle relazioni tra le élite stesse e le masse, l’approfondimento circa i meccanismi di legittimazione che debbono essere attuati nell’acquisizione, nell’esercizio, nella detenzione e nel rovesciamento del potere. Si tratta di punti essenziali da sottoporre, prima di tutto, a un non facile lavoro di vera e propria “ricostruzione intellettuale”, quello al quale pensiamo ci si debba dedicare con grande impegno in questa fase, senza dimenticare però l’attualità drammatica dei fenomeni di vero e proprio arretramento di massa in corso sul terreno delle condizioni di vita, dell’arretramento nella disponibilità di diritti individuali e collettivi, nel restringimento dei termini di esercizio della democrazia. Franco Astengo

giovedì 29 agosto 2013

Edmondo Rho: Perché non possiamo non dirci renziani

Documento di un gruppo di INNOVATORI E SOCIALISTI CON MATTEO RENZI UNA RETE NAZIONALE DI ASSOCIAZIONI, CIRCOLI E PROFESSIONISTI DI CULTURA SOCIALISTA PER UN’ITALIA PIU’ GIUSTA E PROIETTATA NEL FUTURO Matteo Renzi rappresenta un’idea d’innovazione e una speranza per l’Italia. “Il mio Pd sarà nell’Internazionale Socialista”, ha dichiarato recentemente il sindaco di Firenze, spingendosi dove mai avevano osato altri leader democratici, da Massimo D’Alema a Walter Veltroni, fino a Pierluigi Bersani. Non ci stupisce che questa apertura venga proprio da Renzi, di storia e cultura cattolica ma con posizioni, a partire da quella sulle unioni civili, che si ispirano a valori sinceramente laici. La forza di Matteo Renzi è quella di essere un deciso innovatore ed un riformista convinto che vuole affrontare le contraddizioni del nostro Paese. Per questo noi, che in molti casi iniziammo l’impegno politico nei movimenti giovanili e nel Psi degli anni ’70 e ’80, ci ritroviamo ora in sintonia con diverse sue proposte che rappresentano un mix di modernizzazione e di sensibilità vera per la giustizia sociale: la nostra cultura socialista è da sempre quella dell’innovazione. E pensiamo che il buon governo debba partire dalle amministrazioni guidate dal centrosinistra: una continuità della grande esperienza dei sindaci socialisti del Novecento che, a partire da Milano e Torino, fecero diventare la solidarietà a livello municipale una realtà. Vediamo oggi il campo di Renzi come un cantiere aperto: per esempio, suscita interesse il documento “Il rilancio parte da sinistra. Come fare ridere i poveri senza fare piangere i ricchi” di Yoram Gutgeld, deputato democratico e consigliere economico del sindaco di Firenze. L’evoluzione in corso della “Renzieconomics” deve affrontare seriamente, in primo luogo, i temi del lavoro: in questo senso una prospettiva riformista dovrà contrastare, a partire dall’Europa unita, le recenti politiche rigoriste senza sviluppo che hanno aggravato drammaticamente la recessione economica. Inoltre notiamo con favore che viene ribadita l’importanza di un vero contrasto all’evasione fiscale, ribattezzato nel documento Gutgeld “rafforzamento della fedeltà fiscale”. Si tratta di un tema che va collegato alla trasparenza e semplificazione degli iter burocratici, che le nuove tecnologie permettono, alla riforma del sistema creditizio e di quello giudiziario: elementi irrinunciabili di una effettiva modernizzazione dell’Italia. E pensiamo che le idee innovative debbano riguardare anche altri punti, a partire dalla revisione della spesa pubblica e dalla riorganizzazione dello stato sociale. In questo senso, è fondamentale la riforma di una macchina amministrativa vecchia e costosa che, concentrando il potere nelle mani dei burocrati, si rivela troppo spesso clientelare e inefficiente nei servizi che deve dare ai cittadini. Noi pensiamo di poter dare un contributo importante alla metamorfosi in atto delle proposte di Renzi, uomo politico abile, intelligente e credibile ma che, nella sinistra italiana, rischia di apparire divisivo: per vincere e convincere, deve passare da soggetto a progetto. Vorremmo immettere una forte dose di cultura socialista, che viene da lontano, in un progetto politico che man mano risulta sempre più condivisibile. Perciò riteniamo sbagliato considerare il sindaco di Firenze come "un uomo solo al comando" e pensiamo che abbia anzi, evitando di apparire come un leader per tutte le stagioni, la necessità di includere nel suo programma sempre nuovi contributi, tra i quali possono trovar posto anche le nostre idee. Vorremmo infatti che si discutesse nel merito sulle idee, senza preconcetti, Invece, notiamo con preoccupazione che nella sinistra italiana troppi continuano a vedere la politica con i paraocchi. Oggi si rischia di ripetere, con l’ostracismo culturale nei confronti di Renzi, un errore simile a quello compiuto quasi un secolo fa dal gruppo dirigente del Partito Socialista che nel 1919 non volle l’accordo con i popolari di Don Sturzo: una scelta che ebbe allora come sua conseguenza quella di contribuire fortemente alla tragedia del fascismo, e che ora può avere come indiretto esito semi-permanente la farsa delle larghe intese. Il rischio è che, senza una svolta vera, a furia di accumulare errori si arrivi a una nuova tragedia politica, economica e sociale. Le donne e gli uomini di cultura socialista non devono più fare questi errori. Bisogna ritornare all’impegno politico genuino ed appassionato, dando il buon esempio alle nuove generazioni. Noi che abbiamo rappresentato tanto nella storia dell’Italia democratica ed antifascista, che ci siamo battuti per l’emancipazione delle donne, fino alle leggi sul divorzio e l’aborto, e abbiamo sempre coniugato la libertà con la giustizia sociale, non possiamo rinunciare all’attività politica: la cultura socialista deve essere seminata per costruire un’Italia più giusta e proiettata nel futuro. E, per uscire dalla crisi, il collegamento deve avvenire in primo luogo con i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei: nella prospettiva, indicata anche da Renzi, dell’Internazionale Socialista. In base a questi principi, oggi noi vogliamo dare un contributo di sostegno alla candidatura di Matteo Renzi sperando che il prossimo Congresso del Pd (partito cui molti di noi non sono, o non sono più, iscritti) sia effettivamente aperto. Ma noi guardiamo anche oltre. Oggi siamo perlopiù impegnati nelle nostre professioni e consideriamo un dovere l’impegno politico e sociale al servizio di un progetto per un’Italia più giusta e solidale, più efficiente e moderna. Progetto che crediamo debba avere come leader, per il governo del Paese, Matteo Renzi. Ecco perché con questo documento iniziamo a ri-costruire una rete basata sui valori laici e socialisti per modernizzare il centrosinistra italiano. Ecco perché non possiamo non dirci renziani, innnovatori e socialisti. Edmondo Rho, giornalista, consigliere d’amministrazione Inpgi (Milano) Giorgio Santerini, giornalista, già segretario nazionale Fnsi (Milano) Andrea Parini, avvocato, già segretario nazionale Fgsi e Psi Lombardia (Milano) Roberto Caputo, consulente e scrittore, consigliere provinciale Pd (Milano) Giuliano Morlando, ingegnere, coordinatore associazione BigBang SmartSud (Napoli) Luigi (Gino) Razzano, avvocato, comitato scientifico Futuridea, già presidente nazionale Fgsi (Benevento) Beppe Attene, professore, già vicepresidente nazionale Arci (Roma) Loreto Del Cimmuto, direttore generale Legautonomie, Consiglio nazionale Psi (Roma) Carlo Pileri, consulente e scrittore, già presidente Adoc (Roma) Claudio Valeri, giornalista (Roma) Tito Musso, commercialista (Cuneo) Giancarlo Boselli, consulente finanziario, già vicesindaco di Cuneo (Genova) Pietro Caruso, giornalista, già vicesegretario nazionale Fgsi (Forlì) Luca Guglielminetti, consulente aziendale, co-fondatore www.socialisti.net (Torino) Caterina Simiand, ricercatrice, co-fondatore www.socialisti.net (Torino) Roberto Tutino, co-fondatore e presidente www.socialisti.net (Torino) Giovanni Alba, già dirigente enti locali, segretario associazione Idea socialista (Verbania) Gianni Antoniella, giornalista, consigliere nazionale Fnsi (Milano) Sergio Astrologo, scrittore (Torino) Claudio Bellavita, consulente, consigliere Pd circoscrizione Centro (Torino) Lorenzo Borla, imprenditore, membro direttivo circolo Pd (San Giuliano Milanese, MI) Giulia Bruno Parini, giornalista, già direzione nazionale Fgsi (Milano) Teodoro Capannelli, presidente Club Amici di Sandro Pertini, già vicesindaco (Grugliasco, TO) Fausta Chiesa, giornalista (Milano) Michele Cibrario, consulente e manager finanziario (Milano) Giovanni Ciccarelli, ingegnere, già consigliere comunale (Giugliano in Campania, NA) Rino Ferrara, pensionato (Chieti) Antonio Ferraro, produttore esecutivo, già direttore generale Sacis (Roma) Carmine Giustiniani, giornalista, associazione BigBang SmartSud (Napoli) Claudio La Rosa, avvocato (Napoli) Mino Lorusso, giornalista, già consigliere nazionale Fnsi (Perugia) Claudio Melchiorre, consulente aziendale, dirigente associativo (Catania) Rossella Minotti, giornalista, già consigliere nazionale Fnsi (Milano) Ignazio Panzica, giornalista, già vicesegretario regionale Fgsi (Palermo) Gabriella Pascucci, responsabile marketing bancario (Macerata) Tiziana Rosati, giornalista, consigliere generale Inpgi (Milano) Fabrizio Salusest, commercialista, membro esecutivo nazionale Andoc (Pescara) Andrea Speranza, architetto, associazione BigBang SmartSud (Caserta) Mara Stecchini, consulente in psicologia di relazione (Firenze) Sergio Tazzer, giornalista e scrittore (Treviso) Pino Tursi Prato, consulente, già consigliere regionale Psi (Cosenza) Sergio Vicario, imprenditore, vicepresidente Circolo De Amicis (Milano) Matteo Zanellati, già segretario Giovani Democratici (Voghera e Valle Staffora, PV) Chi vuole aderire può mandare una mail a: socialisticonrenzi@gmail.com Sito internet della rete: http://www.socialisti.net/ Su facebook: I Socialisti per Renzi

Beyond Lenin And Prada -The Good Society And The Future Of Social Democracy

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I debiti della Germania e l’austerità della Merkel - micromega-online - micromega

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Sinistra, flessibilità e piena occupazione - micromega-online - micromega

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domenica 25 agosto 2013

Il Partito secondo Cuperlo: “La sinistra del passato è finita, ma serve un’economia civile” | Rifare l'Italia

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Pochi laureati, Italia lontana dagli standard europei - Rassegna.it

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Recessione finita? Questione di persone, non di PIL. E di morte all’austerità, non di riforme

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Schulz: "L'UE ha bisogno di un'Italia stabile" | EuProgress

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Emiliano Brancaccio » Leggere “Il capitale finanziario”

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L'Egitto e il rischio della sindrome algerina | Aspenia online

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venerdì 23 agosto 2013

Susan Watkins reviews ‘Un New Deal pour l’Europe’ by Michel Aglietta and Thomas Brand, ‘Gekaufte Zeit’ by Wolfgang Streeck, ‘The Crisis of the European Union’ by Jürgen Habermas, translated by Ciaran Cronin, ‘For Europe!’ by Daniel Cohn-Bendit and Guy Verhofstadt, ‘German Europe’ by Ulrich Beck, translated by Rodney Livingstone, ‘The Future of Europe’ by Jean-Claude Piris and ‘Au Revoir, Europe’ by David Charter · LRB 29 August 2013

Susan Watkins reviews ‘Un New Deal pour l’Europe’ by Michel Aglietta and Thomas Brand, ‘Gekaufte Zeit’ by Wolfgang Streeck, ‘The Crisis of the European Union’ by Jürgen Habermas, translated by Ciaran Cronin, ‘For Europe!’ by Daniel Cohn-Bendit and Guy Verhofstadt, ‘German Europe’ by Ulrich Beck, translated by Rodney Livingstone, ‘The Future of Europe’ by Jean-Claude Piris and ‘Au Revoir, Europe’ by David Charter · LRB 29 August 2013

Measuring The Cost Of Austerity

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Felice Besostri: Il difetto sta nel manico

IL DIFETTO STA NEL MANICO di FELICE BESOSTRI Il voto sulla decadenza di Berlusconi sarà un voto politico, non una scelta giuridica tra diverse interpretazioni. Giusto o sbagliato - e a mia avviso è sbagliato- è la scelta della nostra Costituzione e discende direttamente dall’art. 66 Cost.,” Art. 66. Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. Una scelta che in origine aveva una forte motivazione di tutela dei parlamentari, per proteggerli dall’assolutismo regio e da una magistratura asservita al potere esecutivi, ma allora i parlamentari erano individui non espressione di partiti o di gruppi parlamentari: non che fossero migliori, quando alla Camera dei Comuni c’era un ufficio dal quale passavano i deputati per riscuotere il compenso per il loro voto conforme ai desideri del Governo. Semplicemente non c’era una logica politica nel loro comportamento. I membri del PdL hanno fatto un uso arbitrario dell’art. 66 Cost. In occasione della 14° legislatura non convalidando 14 deputati delle opposizioni in spregio al diritto, come anche vi fu un uso illegale da parte di tutti per lasciar fuori i radicali dal Senato nel 2006. Non solo il potere del Parlamento con accordo trasversale di decidere sui suoi membri è stato esteso complice la magistratura ordinaria e amministrativa persino alle operazioni elettorali preparatorie, comprese l’ammissione o esclusione di liste e candidati. Un governo Berlusconi non diede attuazione ad un precisa delega del Parlamento di affidare alla giustizia amministrativa i ricorsi contro le operazioni elettorali preparatorie decisa con l’art. 44 della L. 69/2009. Una grave decisione passata sotto silenzio, anche dei giuristi democratici, che vedono attentati alla Costituzione un giorno sì ed uno no. Simo un paese che ha legalizzato un colpo di Stato, complici le leggi elettorali maggioritarie Una maggioranza artificiale come quella del porcellum consente ad una minoranza politica, trasformata in maggioranza parlamentare di modificare la legge elettorale: nulla teoricamente impedisce di dare un premio di maggioranza del 70%, cioè tale da poter cambiare la Costituzione senza neppure un referendum confermativo. Pochi sano o fanno finta di non sapere che una legge elettorale incostituzionale non è impugnabile prima delle elezioni e dopo competenti ad esaminare i ricorsi sono le Camere elette con la legge incostituzionale Uno scandalo unico in Europa e nel più assoluto silenzio delle forze politiche tutte e dei costituzionalisti. Si parla spesso di contrasti tra magistratura e politica, ma non della loro alleanza contro i diritti deli elettori e delle elettrici, che rappresentano il popolo, unico detentore della sovranità secondo l’art. 1 della Costituzione. Il meccanismo di protezione giudiziale del potere politico è stato rotto grazie alla Corte di Cassazione con l’ordinanza 12060 del 21 marzo-17 maggio 2013 e all’acribia di un pugno di cittadini elettori. Per rimediare bisogna rompere alcuni tabù come il divieto di ricorso diretto alla Corte Costituzionale e come in Germania assegnare l’ultima parola alla Corte Costituzionale sulle decisioni del Parlamento in termini di convalida degli eletti. Nei tempi ristretti a disposizione a Berlusconi si applicano le norme vigenti e quindi il voto in Giunta delle Elezioni e in Senato sarà una decisione politica, nel bene e nel male. I suoi supporter stanno blaterando di ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo ignorando che i rappresentanti del Governo italiano presso la Corte nominati dal Governo Berlusconi hanno sostenuto la tesi dell’inammissibilità dei ricorsi 11583/08 e altri 16, tra cui il 35953/08, presentato dagli stessi cittadini che avevano impugnato le elezioni del 2008: La convenzione Europea di Diritti dell’Uomo tutela i diritti civili e non quelli politici. Forse la Nemesi esiste. 20 agosto 2013.

LE PRIMAVERE ARABE COME IL '68 EUROPEO?di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: LE PRIMAVERE ARABE COME IL '68 EUROPEO?di Franco Astengo

giovedì 22 agosto 2013

Lorenzo Borla: Vendola

Come valutano, i rosselliani, questo scampolo di notizia? <. Per quell'ipotetico governo il nome per Palazzo Chigi che sta in cima ai desiderata di Vendola e dei suoi sarebbe proprio quello del sindaco di Firenze. E questo è uno spettro che anche il Pdl sta cominciando a intravedere. E che fa paura pure a Berlusconi>> (Tomaso Labate, Corriere, 20 agosto 2013)

Franco Astengo-Patrizia Turchi: Riorganizzazione operaia

LA RIORGANIZZAZIONE OPERAIA PER LANCIARE SUBITO UNA “VERTENZA INDUSTRIA” di Patrizia Turchi e Franco Astengo dal blog http://sinistrainparlamento.blogspot.it Mentre l’Italia “ufficiale”, quella del sistema politico, appare attorcigliata attorno al nodo dell’incandidabilità del Cavaliere, l’Italia “vera”, quella del lavoro sta andando letteralmente in pezzi. Basta guardare la realtà, anche oltre le illuminanti cifre fornite dall’Ufficio Studi della CNA di Mestre che ci indicano tutta la gravità della situazione: altro che “luce in fondo al tunnel”, alla fine del 2013 saranno altre centinaia di migliaia i posti di lavoro mancanti all’appello. Sta letteralmente disfacendosi quello che fu il “secondo modello” della nostra produzione industriale: quello geograficamente concentrato sulla dorsale adriatica e nel Nord – Est, fatto di medie aziende, di prodotti manifatturieri finiti, di marchi di grandissimo prestigio. Da Natuzzi a Berloni a Ideal – Standard, a tantissimi altri, le nuove condizioni di competitività internazionale e la complessità della crisi paiono non risparmiare nessuno, salvo la voglia di profitto dei soliti “padroni del vapore”. Dopo la vera e propria tragedia della privatizzazione della siderurgia, la completa sparizione degli altri settori dell’industria di base ad alta concentrazione di mano d’opera: dalla chimica, all’elettromeccanica, all’elettronica appare ormai completo il depauperamento di una realtà fatta di produzione, know-how, ricerca. E’ la fine di un modello sul quale si era molto forzato, fin dagli anni’80: quello dei “distretti”, della specializzazione, dell’intensificazione esasperata dello sfruttamento operaio, oggi tragicamente beffato con “chiusure” meramente speculative e “delocalizzazioni” fatte alla chetichella, di notte, trasferendo i macchinari in condizioni analoghe alla fuga della Casa Reale a Brindisi dopo l’8 Settembre. L’attenzione su questi fatti è minima, del tutto insufficiente rispetto alla loro gravità: non parliamo del governo, tutto proteso nelle logiche monetariste interne al gioco della BCE; delle forze politiche, interamente prese dai loro giochi interni; del sindacato confederale che pare proprio non avere più la capacità di vedere le grandi questioni nella loro interezza, nella loro piena prospettiva nazionale e internazionale. Altro che “Piano del Lavoro” di Di Vittorio, come qualcuno vagheggiò per puro spirito di propaganda partitica alla vigilia delle elezioni, organizzando improbabili convegni – passerella. Non entriamo qui nei singoli aspetti che presentano queste delicate (e dolorose problematiche). Lanciamo, invece, una proposta immediata: serva una forte spinta dal basso, una vera e propria “Riorganizzazione Operaia” per lanciare subito una vertenza “industria” che reclami l’essenzialità del settore industriale senza mezzi termini o concessioni di sorta ad ipotesi diverse. Una vertenza “industria” che reclami, da subito, un ruolo diverso dello Stato a partire dalla nazionalizzazione della siderurgia e ad un piano molto forte sul piano delle infrastrutture ad un’iniziativa di vera e propria regolazione pubblica circa l’utilizzo delle aree industriali. “Riorganizzazione Operaia” e “Vertenza Industria”: due parole d’ordine da lanciare immediatamente alla ripresa della mobilitazione del mondo del lavoro e in vista dei grandi appuntamenti di lotta previsti per le prossime settimane.

Città metropolitane e province: la confusione continua

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venerdì 16 agosto 2013

DETROIT, LA NUOVA GRECIA - P.Krugman - globalmondo | Sindacalmente

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The Ghost of Inflation Future by Brigitte Granville - Project Syndicate

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Milano Presidenza del Semestre Europeo 8 agosto 2013

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PERCHE’ LA SINISTRA: QUESTIONE POLITICA E QUESTIONE MORALE di Franco Astengo

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Karl Polanyi e l’accettabilità sociale dell’economia

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Dove guarda l’Europa

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Expo non va in vacanza | LetteraPolitica.it

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Talk by Don Kalb: Socialism, Postsocialism, Neoliberalism – Interconnections in CEE | LeftEast

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Emiliano Brancaccio » Brancaccio: “Non illudiamoci, la Germania dopo le elezioni non cambierà linea”

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Emiliano Brancaccio » Brancaccio sul Sole 24 Ore: “La domanda interna è strategica”

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Porcellum e costituzione - Eddyburg.it

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La miccia egiziana - Eddyburg.it

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CGIL - Camusso: ripresa ancora lontana. Il governo deve cambiare passo

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lunedì 12 agosto 2013

Felice Besostri: Occasioni perdute mondoperaio#comments

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Lorenzo Borla: Il PD e la questione identitaria

Il Pd e la questione identitaria La "questione identitaria" che riguarda il Partito democratico, è ricorrente fin dalla sua nascita. Deriva dal fatto che, come è noto, nel Pd sono confluiti comunisti e cattolici di sinistra. Due storie, due culture, due sistemi di valori. Nell'arco di tempo della sua esistenza (2007/2013), infinite volte, da politici e giornalisti, è stata preconizzata la sua fine. Non è successo. Il Pd non è esploso, imploso, spaccato, frantumato, sgretolato, disintegrato, o anche più semplicemente diviso. E non credo che lo sarà a breve. I giornali battono la grancassa dei contrasti per ragioni di cassetta: battaglie, lotte, scontri, spaccature, aumentano la readership. I politici che fanno gli uccelli del malaugurio (specie a sinistra) sono quelli della concorrenza, che sperano (invano) nelle divisioni del Pd a proprio vantaggio. La questione identitaria secondo me non si pone in quanto, contrariamente a ciò che afferma chi ci vuol male, la conciliazione fra le due tradizioni, è avvenuta. Ovviamente un certo numero di iscritti e di votanti si è allontanato verso Rifondazione, verso Sel, ultimamente verso il M5S o l'astensione, ma il grosso è rimasto; e l'unico partito in Italia con una struttura radicata nel territorio, il Pd, è fin qui sopravvissuto ed è probabile che resterà indiviso. A proposito di territorio, cosa ne pensano gli iscritti? Per esempio, cosa ne pensano gli iscritti di San Giuliano Milanese? San Giuliano Milanese è una città di 37.000 abitanti alla periferia di Milano. Fin dal 1946 è stata governata dalla sinistra, ovvero dai Pci/Pds/Ds, da soli, o con alleati. Nel 2007 io ho partecipato a San Giuliano alla fondazione del Partito democratico. Da allora sono passati sei anni. Il Pd ha sempre riportato il maggior numero di voti in tutte le elezioni avvenute da quella data, come in precedenza il Pci/Pds/Ds. In questo arco di tempo ex comunisti ed ex democristiani hanno convissuto senza forti contrasti. Abbiamo fatto tutte le primarie con un confronto civile sui candidati, ed esiti accettati da tutti. Nessuno ha mai sollevato questioni identitarie. Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo (che cosa mangeremo stasera, che è la domanda più importante per una buona fetta dell'umanità). Se chiedessimo a qualcuno dei militanti che cosa è oggi il Pd, credo risponderebbe che è un partito della sinistra moderata e riformatrice. Con un sacco di cose che non vanno, a cui però resta fedele. Se poi, per "questione identitaria", intendiamo il posizionamento del Pd nell'arco politico, da sinistra a destra, è chiaro che coesistono, nell'alveo del partito, posizioni meno moderate o più moderate, più di sinistra o meno di sinistra. Nelle ultime elezioni per il Comune di San Giuliano (2011), il Pd ha riportato la maggioranza, con Idv e Udc, senza Sel. Nelle primarie di Bersani vs Renzi, abbiamo votato Bersani al 60%, Renzi al 40%, in linea con il risultato nazionale. Se si facessero oggi le stesse primarie, da quello che percepisco, ritengo che il risultato verrebbe capovolto. Questa è la situazione del Partito qui da noi, e non credo che a livello nazionale sia molto diversa. I problemi che stanno a cuore ai militanti, a parte opinioni diverse sulla gestione del nostro Comune - ma non eccessivamente discrepanti - sono i problemi economici, e cioè quelli che investono il novanta per cento della italica popolazione, e cioè la povertà crescente, la diminuzione del potere di acquisto dei propri redditi, le tasse eccessive. Poi vengono le eccessive spese della politica. Poi viene il sistema elettorale, che il vertice del Partito non sembra per niente avere a cuore, che è uno dei motivi per cui è affondato il mite Bersani. E poi, se c'è tempo, magari tutto il resto. Cordialmente, Lorenzo Borla

Franco Astengo: Una definizione teorica tra movimenti e partiti

PER ONESTA’ INTELLETTUALE: UNA DEFINIZIONE TEORICA TRA MOVIMENTI E PARTITI dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it “Il Manifesto” del 10 Agosto pubblica l’ennesimo intervento a favore della formazione di un nuovo soggetto politico, definito questa volta dall’autore dell’articolo Marco Rovelli “reticolare e libertario, che riparta dai movimenti e metta al centro dell’azione i beni comuni e i diritti”. Nel testo si reclama come le dinamiche di movimento, nonché il suo personale politico siano l’espressione dei processi reali del territorio e, ancora : “ un movimento che non sia finalizzato al momento elettorale, ma dove esso (il momento elettorale, si direbbe: n.d.r.) sia uno dei momenti di un processo più ampio di risocializzazione del territorio, dei territori, anche dal punto di vista di quello che Ulrick Beck chiama “subpolitica”. Un primo commento: un capolavoro di ipocrisia di puro stampo doroteo. E prosegue: è necessario un soggetto reticolare e non identitario, fondato sulle pratiche, dove il “fare” preceda l’essere. Su questo punto è necessaria una domanda: quale fare? Per quale obiettivo? In che modo? E ancora” solo così può rinascere un soggetto collettivo che sappia mettere al centro del discorso politico il tema dei beni comuni, che ripensi a un nuovo legame sociale basato senza tentennamenti sull’inclusione e l’universalità dei diritti, che sappia contrastare l’ideologia e la pratica dei poteri forti globali, quell’intreccio inestricabile tra classe politica, finanziaria ed economica che costituisce il nerbo del finanzcapitalismo”. Qui davvero si scrive tanto per scrivere e si parla tanto per parlare. Infatti : a quali contraddizioni sociali si risponde? A quali rapporti di forza? Tutti eguali nell’universalismo della ricerca dei diritti? E le diseguaglianze sociali? Il nodo scorsoio della ricollocazione di classe che la gestione capitalistica produce ogni giorno per sacrificare nello sfruttamento milioni e milioni di donne e di uomini sfuma nella genericità di “nuovi legami sociali”? Infine: “ è necessario un soggetto aperto, dal basso, che si confronti con le istanze della democrazia diretta, che sia strumento della democrazia partecipativa, di una diffusa partecipazione dal basso”. Anche in questo caso sorgono domande immediate: “quali meccanismi, quali strutture, per raccogliere questa partecipazione dal basso”? “in quali sedi potrà esprimersi la democrazia diretta”? “attraverso quali livelli di rappresentanza”? Per rispondere compiutamente ed evitare questa rovinosa deriva è necessario tornare alle origini, ai “fondamentali” delle definizioni politologiche. Si continua , infatti, a non riflettere, tra l’altro, sul recente passato della sinistra italiana e le sue tragiche esperienze elettorali, condotte – nelle ultime due esperienze relative alle consultazioni legislative generali – all’insegna di “cartelli” indistinti per forma e sostanza, fondati proprio sull’idea del rapporto tra movimenti e politica, del resto drammaticamente interpretato da Rifondazione Comunista fin dal 2001 con l’inserimento del partito all’interno del Genoa Social Forum rinunciando al ruolo di sintesi e di direzione politica che gli sarebbe stati di competenza. Come possono essere considerati, allora, i “movimenti”? In primo luogo i “movimenti” possono essere considerati come una rete di relazioni informali tra una pluralità di individui e gruppi, più o meno strutturati dal punto di vista organizzativo. Se i partiti o i gruppi di pressione hanno confini organizzativi abbastanza precisi, essendo l’appartenenza sancita da una tessera di iscrizione (che, adesso, può anche essere acquisita virtualmente “on line”) a una specifica organizzazione, i movimenti sono invece composti di reticoli dispersi e debolmente connessi di individui che si sentono parte di uno sforzo collettivo. Sebbene esistano organizzazioni che fanno riferimento ai movimenti, i movimenti non sono organizzazioni, ma piuttosto reti di relazioni tra attori diversi, che spesso includono, a seconda delle condizioni, anche organizzazioni dotate di struttura formale (ad esempio, come accaduto all’interno del “Genoa Social Forum” all’epoca del G8 2001). Un tratto peculiare dei movimenti è, infatti, il poterne far parte, sentendosi quindi coinvolti in uno sforzo collettivo, senza dover automaticamente aderire a una qualche organizzazione. Queste reti di relazione assolvono la fondamentale funzione di permettere la circolazione delle risorse necessarie per l’azione collettiva, favorendo l’elaborazione di nuove interpretazioni della realtà. Esse vengono considerate come costituenti un “movimento sociale” nella misura in cui i loro membri condividono un “sistema di credenze” (definizione da Donatella Della Porta – introduzione alla Scienza Politica – il Mulino 2002) nutrendo nuove solidarietà e identificazioni collettive. E’ possibile, allora, su queste basi progettare un’organizzazione politica che davvero pensi a realizzare una rappresentanza anche istituzionale, senza che questa struttura che si vuole “reticolare” e utilizzante la “democrazia diretta” non sia “signoreggiata” in alto da un gruppo di “eccellenze” non elette, come nel caso del resto di quel “Cambiare si può” più volte richiamato nell’articolo in questione, che si arroga la rappresentanza quasi per “diritto di scienza”? Proviamo, comunque, a pensare anche a una definizione dell’ormai tanto aborrito “partito politico”, partendo da quello che può comunque essere definito il modello “principe”: quello del partito di massa. Il partito è chiamato a svolgere una funzione di “integrazione sociale”: deve essere capace, cioè, non solo di rappresentare ma anche di offrire basi di identificazione ai suoi aderenti. Come scrive Max Weber: il partito deve essere fondato su di una “intuizione del mondo”, per servire all’attuazione di ideali di contenuto politico. L’ideologia assume una funzione fondamentale per l’organizzazione, in quanto strumento per forgiare gli interessi di lungo periodo, e quindi la stessa identità degli attori. Ha scritto Alessandro Pizzorno: “ nel suo tipo più puro, il partito organizzato di massa si caratterizza perché introduce l’ideologia come principio di identificazione. Tende così a presentare domande e , in genere, a ispirare la sua azione, in vista di progetti relativi a degli stati di cose future da realizzare per mezzo dell’azione politica”. L’ideologia permette di rafforzare la solidarietà fra i membri del Partito, contribuendo a formare e a saldare le convinzioni di condividere fini comuni. Essa diventa, inoltre, una “guida all’azione” indirizzando le scelte strategiche e tattiche del Partito. Il partito di massa ha di fronte due problemi da risolvere preventivamente: quello del saper svolgere una funzione educatrice, e quello del finanziamento che deve arrivare, per la gran parte, dagli aderenti. Esiste una stretta correlazione tra l’avanzare del processo democratico e la presenza dei partiti di massa, e viceversa tra la crescita dei partiti di massa e l’avanzare del processo democratico, come ha ben dimostrato la storia italiana del secondo dopoguerra. Oggi, in un’evidente fase di restringimento dei margini di agibilità democratica e con la presentazione di proposte mirate a un vero e proprio “soffocamento” della democrazia, come quelle ispirate al filone della personalizzazione della politica e del presidenzialismo, appare ancor più necessaria la presenza di soggetti politici ispirati al livello di partecipazione del tipo di quello presente nei partiti di massa. E’ in pericolo oggi, non soltanto nella realtà italiana come ben dimostrano fatti di pregnante attualità, quella che Robert Dahl ha definito la caratteristica fondamentale della democrazia: “ come la capacità dei governi a soddisfare, in maniera continuativa, le preferenze dei cittadini in un quadro di eguaglianza politica”. Prosegue Dahl: “Nella sua concezione moderna la democrazia è quindi rappresentativa e la rappresentanza politica deve essere definita come un sistema istituzionalizzato di rappresentanza”. La democrazia deve avere due dimensioni teoriche: la prima è definita come “diritto di opposizione”, la seconda è relativa al “grado di partecipazione”. La democrazia si caratterizza, insomma, come concessione di diritti di opposizione e di estensione di questi diritti alla maggior parte della popolazione. Nella sostanza e per concludere: sarà possibile trovare un luogo, una sede, dove sviluppare un confronto serio tra queste due diverse concezioni della politica, tenendo conto di un ultimo elemento, del tutto decisivo: per quanto si voglia mantenere una struttura “reticolare”, un meccanismo di democrazia diretta, e quant’altro che punti a dissacrare l’agire politico cosiddetto “novecentesco” se l’orizzonte saranno le elezioni l’assetto non potrà essere che quello “verticale” della costruzione di una “élite” e di una gerarchia (come già ben dimostra la parabola parlamentare del M5S)? Franco Astengo

Elio Veltri: Tutto cambia perché tutto resti

Tutto cambia perchè tutto resti come prima Il Gattopardo, in questo nostro paese, immobile come un cadavere, continua a fare scuola. Sono cambiate tutte le cariche istituzionali: Presidente e vice Presidente del consiglio, ministri, dall'Economia, al Lavoro, alla Istruzione ecc, vice ministri e compagnia cantando. E' cambiato il segretario del partito democratico ed è rimasto al suo posto quello del Pdl, il quale era cambiato da poco. Sono cambiati i capigruppo parlamentari di tutti i partiti e sotto-partiti. E' stato rinnovato il Parlamento: ringiovanito, aumentate le donne ed è rimasto solo il venti per cento dei vecchi parlamentari. Sono cambiati i Presidenti delle due Camere, provenienti dalla società civile. Entrambi molto presenti nelle cerimonie commemorative, ma assolutamente distratti riguardo agli istituti interni alle due Camere come le Giunte per le elezioni e per le autorizzazioni a procedere che non solo producono conflitti di interesse a catena ma sono esse stesse in conflitto di interesse. A questo si aggiunge, da sempre, la rinuncia programmata a qualsiasi controllo sui fondi pubblici erogati ai partiti e ai gruppi. A proposito, quando ho chiesto di avere i bilanci dei gruppi parlamentari degli ultimi tre anni, un funzionario della Tesoreria della Camera mi ha detto senza peli sulla lingua:” Non ci faccia perdere tempo. I bilanci dei gruppi non li abbiamo”. Milioni di euro ogni anno, probabilmente usati come quelli regionali, che hanno anche visto alcuni arresti, dei quali non si sa nulla. Aggiungo di avere segnalato con garbo e spirito collaborativo questi problemi ai due Presidenti neoeletti ma non hanno risposto. Qualcuno avverte cambiamenti? Qualche scossa etica? Qualche novità politica? Qualche competenza in più? Non se ne parla. Tutto cambia perchè tutto resti come prima. Abbiamo letto sui giornali che lo Stato ha emesso ruoli per 807 miliardi di euro di tasse da riscuotere dal 2000 al 2012, ma ha incassato solo 69 miliardi, 9 euro su ogni 100 che gli sono, ci sono, dovuti. Che l'economia sommersa equivale a 500 miliardi di PIL circa e produce almeno 270 miliardi di evasione fiscale. Che l'esportazione di capitali nei paradisi fiscali imperversa. E' successo qualcosa? Ad esempio, è stato chiesto da qualche gruppo parlamentare al governo di assumere impegni precisi e scritti per recuperare almeno una parte delle somme e per presentare in Europa e ai singoli stati- paradisi fiscali una richiesta per conoscere i nomi e l'entità delle somme esportate degli italiani illegalmente? Tutti zitti. Tutti muti. Stesso comportamento per quanto riguarda i patrimoni delle mafie italiane. Però nelle piazze e nei convegni davanti alle telecamere si sparano impegni di lotta alla mafia. Governanti e Parlamentari sulla stessa lunghezza d'onda. Anzi, questi ultimi hanno fatto peggio. Mentre i ministri hanno pubblicato i loro redditi, solo il 15% dei parlamentari l'ha fatto. Aprono la bocca per parlare di trasparenza da mattina a sera e poi nascondono i redditi personali e familiari. O tentano di farlo. E quanti hanno inviato i dati sui loro patrimoni all'Autorità Antitrust? La metamorfosi degli eletti e dei governanti sembra un mistero. Invece la spiegazione è semplice e facile. In questo paese, da oltre trenta anni, non si arriva a ricoprire incarichi importanti se l'analisi del sangue dei prescelti non ha dato risultati certi: devono essere persone che non si sono mai scontrate per ragioni politiche e programmatiche, che non proporranno soluzioni troppo traumatiche e che, possibilmente, sono disponibili a farsi dire cosa devono fare. Insomma, non devono provocare traumi e devono assecondare il quieto vivere. Altrimenti non vengono scelti. Solo se eccellono in ubbidienza ai capi la carriera è assicurata. I “ discoli” vengono uccisi nella culla. Nel libro “ Mafia Pulita” i due autori hanno scritto:” non si capisce se è la mafia che ha mutuato i metodi dalla politica e è la politica che li ha mutuato dalla mafia”. Penso che l'interscambio sia sempre andato in entrambe le direzioni. L'unico valore che conta davvero è la fedeltà Elio Veltri

giovedì 8 agosto 2013

Giuseppe Aragno: L'anomalia Napolitano

Da Liberazione: 08/08/2013 L’anomalia Napolitano Ridurre l’anomalia italiana al caso Berlusconi e - peggio ancora - illudersi di superarla monitorando le reazioni dei berlusconiani e andare avanti con questo governo significa votare al suicidio la nostra democrazia. Comunque vada, il modo in cui esce di scena un uomo che, piaccia o meno, s’intesta un’età della storia d’Italia, proietterà sul futuro le ombre di un passato con cui fare i conti. Inutile ingannare se stessi, la tempesta non ha precedenti. Si naviga a vista, l’ago della bussola è impazzito e se le stelle segnano la rotta si sa: non c’è mare che non abbia tragedie da raccontare e gli astri che guidarono Colombo oltre l’Oceano mare, fino alle sue Indie americane altre volte avevano spinto al naufragio esperti nocchieri. Questo è in fondo la storia: maestra senza allievi, Cassandra di verità negate, che trovano conferma postuma nel disastro invano previsto e mai evitato. Ora tutto pare chiaro e persino facile: c’è una sentenza e si applichi, ipso facto decada il condannato e le Istituzioni facciano quadrato. Basterà solo questo a difendere la legalità repubblicana? Se un conformismo più dannoso della mancanza di rispetto non fosse la foglia di fico di Istituzioni sempre meno credibili, qualcuno troverebbe l’animo di riconoscerlo: la sacrosanta condanna di Berlusconi giunge quando l’uomo incarna una crisi che ormai lo trascende. Paradossalmente egli non ha tutti i torti a sentirsi tradito e in questo suo indecente «diritto» di recriminare si cela forse l’origine vera dell’ultima e più pericolosa anomalia italiana. Un’anomalia che stavolta riguarda direttamente il capo dello Stato. Tre anni fa, in occasione del decennale della morte di Craxi, condannato in ultima istanza come il leader delle destre, Napolitano gli rese omaggio e scrisse alla moglie parole che oggi pesano come macigni: «Cara Signora, ricorre domani il decimo anniversario della morte di Bettino Craxi, e io desidero innanzitutto esprimere a lei, ai suoi figli, ai suoi famigliari, la mia vicinanza personale in un momento che è per voi di particolare tristezza, nel ricordo di vicende conclusesi tragicamente». Non si può tacerlo, perché ha legami diretti con quanto accade e ha fatto molto male alla salute della repubblica. Allora come oggi, il Parlamento era figlio di una legge decisamente incostituzionale, ma Napolitano si mostrava inconsapevole della gravità della situazione. Mentre manipoli di «nominati» di ogni parte politica bivaccavano nell’aula grigia e sorda di mussoliniana memoria, egli non trovava di meglio che ricordare il pregiudicato Craxi e il suo personale rapporto «franco e leale, nel dissenso e nel consenso» col quello che giungeva a definire «protagonista del confronto nella sinistra italiana ed europea». Per il Capo dello Stato, l’uomo che aveva chiuso nella vergogna i cento, nobili anni di storia del partito di Turati, Nenni e Pertini, aveva dato un «apporto incontestabile ai fini di una visione e di un'azione che possano risultare largamente condivise nel Parlamento e nel paese proiettandosi nel mondo d'oggi, pur tanto mutato rispetto a quello di alcuni decenni fa». E’ a questi precedenti, che fanno appello gli eversori quando perorano la causa del loro pregiudicato. Salvandolo dall’estrema ingiuria, la morte impedì a Gaetano Arfè, grande storico del socialismo, politico tra i più intellettualmente onesti dell’Italia del Novecento e irriducibile nemico di Craxi, di replicare a Napolitano. Oggi, tuttavia – ecco Cassandra e la storia maestra senza allievi – quando il disastro è compiuto, oggi il suo giudizio, espresso nel fuoco di mille battaglie, si proietta fatalmente sul caso Berlusconi e si fa per Napolitano un dito puntato che non si può piegare ricorrendo alla Corte Costituzionale. Dove il Capo dello Stato vedeva il lavoro di uno statista, Arfè coglieva la rozza sostituzione degli ideali dell’antifascismo con una sorta di strumentale «sovraideologia, brandita e utilizzata come strumento di costruzione di un nuovo potere». A Bettino Craxi anche Arfè attribuiva un progetto; si trattava però di «un disegno venato di paranoia, […] perseguito con magistrale destrezza tattica, ma con altrettanto grande miseria morale». Per questo era «affondato nel fango». Perché lo meritava. Se Napolitano indugiava su un dato marginale - «il peso della responsabilità caduto con durezza senza eguali sulla persona di Craxi» – e si spingeva fino a ricordare che per una delle sentenze subite da Craxi «la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo […] ritenne […] violato il diritto ad un processo equo». Arfè guardava lontano e, senza tirare in ballo Strasburgo e l’equità dei processo, coglieva il nodo irrisolto della vicenda: il nesso di continuità tra craxismo e berlusconismo. Per Arfè il craxismo pervadeva ormai l’intero mondo politico, offriva modelli di comportamenti ai gruppi dirigenti, pericolosi strumenti di lotta politica e nuove tecniche di propaganda e manipolazione del consenso. «Sotto questo aspetto – egli denunciò lucidamente - il craxismo è sopravvissuto a Craxi». Questo rinnovarsi della «sovraideologia» craxiana nell’esperienza berlusconiana e il suo perncioso radicarsi nei gangli della vita pubblica italiana, Napolitano l’ha colpevolmente ignorato fino alla sua discutibile rielezione, avvenuta anche grazie al consenso di Silvio Berlusconi; è stato Napolitano a volere le «larghe intese» con Berlusconi e con i berlusconiani e sempre lui, Napolitano, ha invitato un nuovo Parlamento di nominati a metter mano alla Costituzione. Si può gridare allo scandalo per le posizioni eversive assunte dal partito di Berlusconi e stupirsi per il caso «anomalo» del leader condannato, sta di fatto, però, che è difficile negare a Berlusconi ciò che Napolitano ha ritenuto si dovesse a Craxi: pregiudicato, sì, ma degno di essere lodato. In questo senso, i fatti e la loro estrema crudezza parlano chiaro: l’anomalia italiana non si identifica solo con Berlusconi e meglio sarebbe per tutti se, risolta la pratica dell’arresto e messo il condannato fuori dal Senato, il suo sponsor, ottenuta una legge elettorale, lasciasse quel Quirinale mai occupato due volte dalla stessa persona. Giuseppe Aragno

The Euroarea: Premature, Diminished, Divergent

The Euroarea: Premature, Diminished, Divergent

domenica 4 agosto 2013

Patrizia Turchi-Franco Astengo: UN MOVIMENTO PER IL SISTEMA ELETTORALE PROPORZIONALE

UN MOVIMENTO PER IL SISTEMA ELETTORALE PROPORZIONALE di Patrizia Turchi e Franco Astengo Il lunghissimo e tormentato iter di modifica della legge elettorale 270/2005 potrebbe anche essere giunto a un punto di svolta, considerato che è stato approvato, dalla Camera, un calendario che dovrebbe permettere una discussione “con corsia preferenziale” per Settembre. Del resto l’urgenza, questa volta, è dettata da una situazione politica molto complessa che richiede la “messa in salvaguardia” della legge elettorale stessa, ponendola al riparo dal giudizio della Corte Costituzionale: giudizio pendente dopo la coraggiosa iniziativa di alcuni avvocati, cui la Cassazione ha dato ragione, rimandando – appunto – la legge stesse al vaglio della Consulta (caso unico in una democrazia occidentale). Tralasciamo i commenti, ma prendiamo spunto da questo stato di cose per lanciare la proposta di costituire un movimento d’opinione e di battaglia politica perché prevalga l’ipotesi di una legge elettorale proporzionale, attraverso la quale risultino evidenti due elementi: la centralità della democrazia parlamentare così come scritta nella Costituzione e la prevalenza del concetto di rappresentatività politica su quello di governabilità. E’ nostra precisa opinione, infatti, attribuire al passaggio dal sistema proporzionale a quello misto maggioritario/proporzionale avvenuto nel 1993 (con successiva modifica nel 2005: sistema proporzionale “finto” con abnorme premio di maggioranza, varietà di soglie di sbarramento, liste bloccate) grandi responsabilità nella crisi verticale che sta incontrando il sistema politico italiano e l’insieme della convivenza sociale e civile nel nostro Paese. Ma, nel proporre questo movimento, abbiamo cercato anche di interrogarci più a fondo, rispetto alle pur pressanti esigenze contingenti. Perché, dunque, riformare un sistema elettorale? Esiste una sola risposta plausibile e accettabile a questo quesito: perché quello in uso non consegue gli effetti desiderati. Infatti, gli obiettivi che un sistema elettorale dovrebbe porsi, e le relative valutazioni sulle quali, il giudizio circa il loro conseguimento si basano, o dovrebbero basarsi: essi possono essere di due tipi, partigiani o sistemici (Pasquino 1982). Vale a dire che qualsiasi sistema elettorale può essere considerato buono o cattivo, efficace o inefficace, utile o controproducente a seconda delle valutazioni che ne danno i singoli attori politico – partitici in chiave di parte, o a seconda di una considerazione sui suoi effetti complessivi sul sistema, con una valutazione che miri a preservarne le caratteristiche più tipicamente democratiche: la competizione elettorale e il potere dei cittadini sulla formazione dei governi. Degli obiettivi partigiani si può prendere atto, magari per criticarli quando non siano accompagnati da una visione sistemica e quando non possano, in nessun modo, essere collocati in una visione di riforma. Ecco: In Italia dal 1993 in avanti le modifiche del sistema elettorale hanno corrisposto soltanto a obiettivi partigiani. Degli obiettivi sistemici, invece, bisogna parlare approfonditamente poiché essi non possono che basarsi su una valutazione del tipo di sistema politico (e di regime democratico) che si è sviluppato fino a quel punto, e come questo sistema democratico possa essere modificato. Torniamo, comunque, al filo principale del nostro ragionamento. Prima di individuare gli obiettivi sistemici, cui dovrebbe cercare di fare riferimento, è decisamente opportuno dare una valutazione complessiva degli apporti che i diversi livelli di rappresentanza, nella versione italiana, hanno fornito al radicamento e al funzionamento della nostra democrazia. Infatti, solo chi è capace di non fare di ogni erba un fascio, ma di distinguere gli apporti dagli inconvenienti, dimostra di possedere quelle capacità riformatrici, senza le quali potremmo tutti rivelarci allegri (e pericolosi) apprendisti stregoni. E' fuor di dubbio che, almeno nel contesto dell'Italia dopo il 1945, come forse in tutte le democrazie di massa, a partecipazione allargata, la rappresentanza proporzionale consentì il radicamento dei regime democratico (Rokkan 1982). A fronte di una società civile, già debole in partenza e comunque uscita atomizzata dall'esperienza fascista e incapace di darsi un’organizzazione autonoma, e di fronte all'imperativo di creare istituzioni nuove, repubblicane e democratiche, solo i partiti, con le strutture e il seguito che la proporzionale impose loro di creare e di attrarre, potevano garantire quella competizione elettorale di massa caratteristica dei regimi democratici (Pasquino 1985). Ben diversa avrebbe potuto essere la situazione, e imprevedibili avrebbero potuto essere gli effetti, se fosse stato adottato (senza alcun altro accorgimento) un sistema elettorale di tipo anglosassone: circoscrizioni uninominali, con la vittoria assegnata al candidato che ottiene la maggioranza, anche, e spesso, soltanto relativa dei voti. Questo tipo di competizione, per quanto variegata e forse addirittura rappresentativa della società italiana, difficilmente avrebbe garantito il radicamento della democrazia. Sicuramente avrebbe tenuto ai margini del sistema politico italiano considerevoli quantità di “cittadini”, producendo una mobilitazione selettiva (sotto questo aspetto si possono, ancora oggi, leggere con interesse i saggi di Caciagli – Scaramozzino del 1983). Ancor più sicuramente un sistema di tipo anglosassone avrebbe dato origine, prima a un parlamento di eletti senza disciplina, poi a un Parlamento di rappresentanti debitori della loro elezione a singoli e facilmente individuabili gruppi di sostegno (tutt'altro che disposti a transigere sulla restituzione del favore, ed è stupefacente come chi parla del voto ridotto a merce, non si renda conto che si può far peggio del sistema proporzionale, voto di preferenza.). Occorre, allora, ricordare che i partiti hanno adempiuto in maniera efficace alle funzioni classiche (che solo i partiti possono svolgere soddisfacentemente, come i ripetuti, e falliti, tentativi di sostituirli hanno dimostrato in maniera convincente) di presentare alternative elettorali. Per restare al “caso italiano” la crisi di sistema dell'inizio degli anni'90, pose in evidenza la necessità di superare la fase del radicamento della democrazia attraverso i partiti, ponendo all'attenzione del mondo politico nuovi obiettivi sistemici, che furono così indicati: a) sbloccare la democrazia e creare condizioni per un'alternanza mai realizzata, non per difetto del sistema, ma per la presenza di una forza anti – sistema della consistenza del PCI; b) rinnovare i singoli partiti e trasformarne il sistema; c) ampliare gli spazi della società civile e rendere autonome le istituzioni dai partiti; d) aumentare il potere dei cittadini. E' evidente come questi quattro obiettivi sistemici si “tenessero” tra loro, rafforzandosi ( o indebolendosi) reciprocamente e siano risultati, alla fine, tutti falliti anche quello del realizzare l’alternanza, vista l’attuale situazione di governo del Paese Ne deriva, ed è questo lo scopo di questo schematicissimo testo, la necessità di avviare un’accurata opera di chiarificazione del tipo di obiettivi che si intendono perseguire, allo scopo di aprire spazi effettivamente riformatori. Neppure una chiarificazione di questo tipo, che è necessaria, potrà però essere sufficiente se non sarà accompagnata (come, in effetti, è avvenuto in una misura troppo parziale, nel 1993, affidando la valutazione addirittura all'intero corpo elettorale attraverso la strategia referendaria) dalla volontà politica. Infatti, quella operazione di riforma del sistema elettorale che molti si ostinano a definire come “ingegneristica” è, al contrario, una grande operazione di (alta) politica, di politica sistemica e riformatrice. Oggi tutti, o quasi , parlano dei diritti dei cittadini: sarà opportuno prenderli sul serio e sottolineare che, fra i diritti dei cittadini, si può a giusto merito e a pieno titolo annoverare quello di influire sui processi decisionali. Questa influenza, com’è noto, nella versione, che per brevità si può definire di Schumpeter (1955) e Downs (1988), può forse addirittura essere esercitata direttamente sulla scelta delle compagini governative. L'interrogativo di fondo risiede proprio su questo punto: il sistema elettorale attualmente in uso(scontati i suoi limiti insuperabili in materia di sovranazionalità) non funziona neppure, come hanno dimostrato gli avvenimenti più recenti, per consentire l’affidamento di un mandato di governo in regime di alternanza. Ecco allora che, rispetto alla scelta del sistema elettorale, la riflessione deve essere aperta sulla configurazione dell’intero sistema politico e in particolare del ruolo partiti. Se si pensa, infatti, che le organizzazioni partitiche possano esercitare una funzione positiva sul piano della rappresentanza e della partecipazione politica, allora l'idea di un sistema di tipo proporzionale (che, come nel nostro caso, possa funzionare sia sul versante della governabilità sia della rappresentanza politica) deve essere nuovamente presa in considerazione, come intendiamo proporre adesso. L'affermazione che, di per sé, nessun sistema elettorale possa essere definito in astratto superiore a qualsiasi altro sistema, però non deve essere interpretata, qualunquisticamente, come se tutti i sistemi elettorali fossero equivalenti. Tutt'altro. Esiste, invece, un preciso rapporto tra sistema elettorale, sistema dei partiti e forma di governo (Bettinelli 1982 e Lanchaster 1981). Esistono, altresì, problemi che un sistema elettorale apposito può minimizzare, o ingigantire, risolvere o aggravare, creare o distruggere. Non esiste, pertanto, intercambiabilità fra i sistemi elettorali. Sembra continui ad affermarsi una sorta di filosofia della riforma elettorale, che merita di essere catalogata come “minimalista”. Come fu del resto quella del 1993,e ancor peggio nel 2005, equilibrate entrambe su obiettivi “partigiani”. Poco e probabilmente nulla, in materia di riforma elettorale, è accettabile se non fornisce con una qualche credibilità risposte a obiettivi che ci permettiamo di ricordare: a) la centralità del Parlamento e la rappresentanza – appunto – di tipo proporzionale in quella sede del complesso di “sensibilità politiche” presenti e attive nella società;b) b) creazione delle condizioni dell'alternanza e sblocco della democrazia. Senza che necessariamente questo avvenga attraverso una coartazione nella complessità delle scelte effettuate da elettrici ed elettori (attenzione! In un sistema sano ciò può avvenire anche nel corso del libero gioco parlamentare, senza che necessariamente si debba gridare al “tradimento” o al “ribaltone”. Il centrosinistra italiano del 1963 rappresentò, al di là dei diversi giudizi storici un sicuro avanzamento del nostro processo democratico, e prese l'avvio proprio in Parlamento, tre anni prima, come risposta ai tragici “fatti Tambroni”, in una fase, cioè, in cui pareva proprio che la nostra democrazia tendesse a restringere le proprie basi sociali); c) c) rinnovamento del sistema politico e delle classi dirigenti, attraverso meccanismi di selezione non necessariamente legati all'esasperata personalizzazione legata a certi tipi di presentazione elettorale, considerati veicolo esaustivo di partecipazione alla politica; d) d)ampliamento dello spazio della società civile e dell'autonomia delle istituzioni; aumento del potere decisionale dei cittadini (prestando attenzione alla possibilità di intervenire, attraverso i meccanismi della partecipazione e della rappresentanza, sui fatti politici). Non si capirebbe d'altronde, perché si dovrebbe ingaggiare una battaglia politica su questo argomento se non per ampliare la democrazia dei cittadini, per migliorare il rendimento del sistema politico, per restituire la speranza di cambiamenti di fondo coerenti con le preferenze degli elettori, incisivamente espresse. Questa deve essere la filosofia politica di qualsiasi riforma elettorale. L'obiettivo di fondo dovrà essere quello della politica che recupera i criteri della legittimazione sociale, nell'idea di una rappresentanza quale fattore fondamentale dei processi di inclusione. Un cammino che siamo convinti valga la pena di percorrere, non certo in forma isolata, ma costruendo interesse collettivo, capacità di dibattito, costanza di un’iniziativa tale da produrre effettivi momenti di crescita nella conoscenza, nella consapevolezza, nella realtà di una proposta rivolta verso il futuro. Per questi motivi, dopo aver già assunto diverse iniziative a proposito, cercheremo di lavorare per organizzare un vero e proprio movimento che faccia della legge elettorale il suo obiettivo politico.

Franco Astengo: IL PD TRA VOCAZIONE PLEBISCITARIA E VOCAZIONE PRESIDENZIALISTA

IL PD TRA VOCAZIONE PLEBISCITARIA E VOCAZIONE PRESIDENZIALISTA dal blog: http://sinistrainparlamento.blospot.it Nadia Urbinati, dalle colonne di Repubblica del 4 Agosto, ha sviluppato un’analisi sulla natura del PD di grande interesse e che, davvero, come recita il titolo, “Riguarda tutta la politica”. L’articolo, in relazione all’attuale disputa interna sulla titolarità della scelta del segretario del Partito e all’identificazione nei ruoli di segretario e candidato alla presidenza del Consiglio, esamina gli elementi di natura fondativa del Partito stesso e li pone in relazione ai contenuti del primo articolo del suo Statuto. Il PD, infatti, com’è noto fu “pensato e strutturato come se dovesse diventare il protagonista di una democrazia bipolare all’americana e convocazione presidenzialista”. Proprio in ragione di ciò il primo articolo dello Statuto recita “il Partito Democratico è un partito federale costituito da elettori e iscritti” (quanti, tra l’altro, che hanno aderito al PD convinti della continuità PCI-PDS-DS, ecc, ecc, hanno letto con attenzione tutto ciò’). Non si tratta, attenzione (e nell’articolo in questione il tutto è spiegato con dovizia di particolari) di una visione del partito di tipo “inclusivo”, in sintonia cioè con una visione di partito permeabile, aperto a tutti in ogni momento, in piena sintonia con la tanto richiamata e decantata “società civile”. E’ questione, invece, di una visione definita “peculiarmente post-partitica” all’interno della quale il raggruppamento (definito “partito”) comprenderebbe potenzialmente l’intero corpo elettorale, o almeno color che iscrivendosi a un apposito Albo rinunciano alla segretezza del voto, affinché, scrive proprio Nadia Urbinati: “ destra e sinistra si confondano come in un grande minestrone di idee e interessi pronti a salire sul carro dell’ipotetico vincitore”. Ne deriva una vera e propria vocazione plebiscitaria, che interpreta – appunto - la partecipazione come plebiscito di conferma per un leader e per un’immagine, piuttosto che verso l’esigenza di mettere a fuoco idee e programmi. Da questo punto, giudicabile del tutto essenziale, deriva quasi naturalmente l’accettazione della forma di governo di tipo presidenziale (sia pure nella sua versione, sotto l’aspetto tecnico, del cosiddetto “semipresidenzialismo alla francese”) e la conseguenza, ovvia, della necessità di modifica della Costituzione proprio in quel senso. Uno scenario inquietante per l’intera democrazia italiana dal quale derivano almeno tre punti di riflessione diretta: 1) Appare evidentemente del tutto strumentale un ruolo del PD nella difesa dello spirito e della lettera della Costituzione Repubblicana, fondata sulla centralità della democrazia rappresentativa, a partire dal Parlamento. 2) Siamo di fronte, rispetto alla politica portata avanti dal PD, a un errore macroscopico di valutazione dell’attualità del sistema politico italiano e del rapporto tra i soggetti politici e la società. Errore di analisi che sta alla base dei ripetuti insuccessi elettorali del PD, ogni qual volta si affrontano le elezioni politiche. Il sistema politico italiano, nel suo complesso di proposizioni ideali, programmatiche, di insieme di relazioni sociali non è riducibile al bipolarismo. Di questo fatto sarebbe importante che i dirigenti del PD, ammaliati da tempo dal falso mito della “governabilità”, riuscissero a rendersi conto. L’esito elettorale del Febbraio 2013 appare essere stato la testimonianza più diretta di questo stato di cose e non basta la legge elettorale a ridurre questo elemento alla dimensione da loro sperata. 3) Appare del tutto necessario proporre da subito non semplicemente una difesa della Costituzione Repubblicana nei suoi passaggi fondamentali riguardanti l’architettura dello Stato e delle istituzioni, ma come proposta politica alternativa a questo tipo di deriva: serve un modello di democrazia diverso sia nel rapporto tra la società e le istituzioni, sia al riguardo della strutturazione partitica. A sinistra si tratta di affrontare, in piena autonomia d’analisi e di pensiero anche questo tema evitando di giudicarlo in una qualche misura marginale. E’ in gioco, ormai da qualche anno, la precondizione stessa dell’agibilità democratica e sarebbe bene rendersene conto tutti fino in fondo. Franco Astengo

Rodotà: “E’ il momento di unire le forze” – di Eleonora Martini (Manifesto) | Manifesto per un soggetto politico nuovo

Rodotà: “E’ il momento di unire le forze” – di Eleonora Martini (Manifesto) | Manifesto per un soggetto politico nuovo

Per un Manifesto della Politica Industriale in tempi di crisi fiscale | Sviluppo Felice

Per un Manifesto della Politica Industriale in tempi di crisi fiscale | Sviluppo Felice

sabato 3 agosto 2013

Associazione Labour: No alla modifica dell'art. 138 della Costituzione

Comunicato Ass. ne LABOUR “Riccardo Lombardi” NO ALLA MODIFICA DELL’ ART. 138 DELL A COSTITUZIONE L’Associazione LABOUR “Riccardo Lombardi” esprime la più ferma opposizione alle ipotesi di modifica dell’art.138 della nostra Costituzione e invita i compagni dell’Associazione e i cittadini ad aderire ad ogni manifestazione di dissenso verso provvedimenti di questa natura. Oltre alle motivazioni critiche che sono state già indicate dalle varie iniziative e prese di posizione, noi intendiamo sottolineare come il mettere mano a modifiche non marginali del nostro testo costituzionale richieda l’esistenza nel Paese di una clima e di una tensione etica nonché di una moralità sociale e civile la cui assenza rappresenta in questi anni la dimensione ben nota del nostro declino. In queste condizioni i rischi d’introdurre nella nostra Costituzione modificazioni che traducano, in termini coscienti o meno, questa condizione negativa sono gravi e sin troppo evidenti. In particolare correggere la nostra Carta Costituzionale “semplificando” le norme che ne consentono la modifica rappresenta non un tentativo di ridurre quel nostro declino, quanto piuttosto quello di rimuovere gli ostacoli alla sua ulteriore diffusione. Peraltro iniziative normative in questa direzione non possono essere accolte come una necessità per un Governo anomalo come l’attuale e tanto meno per un Governo di “servizio”, specie dopo la condanna definitiva per frode fiscale di Silvio Berlusconi, vero e unico padrone del Pdl. Oltretutto, un Governo sostenuto da un Parlamento eletto con una legge elettorale pessima che permette ai partiti di nominare i deputati e i senatori. Deve, dunque, essere chiaro che se il Governo dovesse persistere in una direzione che non era nemmeno indicata nel suo Programma, questo non potrebbe che allargare l’area della opposizione anche parlamentare togliendo il necessario supporto al Governo stesso. Si lavori dunque per uscire da un declino che non è solo economico e sociale, ma che è anche etico e morale, iniziando dalla legge elettorale e ponendo così, tra l’altro, le precondizioni per gli eventuali aggiornamenti della nostra Costituzione. Per l’Associazione LABOUR “Riccardo Lombardi” Renzo Penna, Mauro Beschi, Sergio Ferrari Roma, 3 agosto 2013

venerdì 2 agosto 2013

Francesco Somaini: E che non li chiami più Cavaliere

I requisiti per ottenere e conservare l'onorificienza del cavalierato del Lavoro (così come stabilito dalla legge n° 194 del 15-V-1986, art. 3) sono i seguenti: "a) aver tenuto una specchiata condotta civile e sociale; b) aver operato nel settore per il quale la decorazione è proposta in via continuativa e per almeno vent'anni con autonoma responsabilità; c) aver adempiuto agli obblighi tributari ed aver soddisfatto ogni obbligo previdenziale e assistenziale a favore dei lavoratori; d) non aver svolto né in Italia, né all'estero attività economiche e commerciali lesive dell'economia nazionale". Il comma "c" è palesemente in contrasto con la condanna per evasione fiscale che la Corte di Cassazione ha ieri comminato in via definitiva nei riguardi di Berlusconi. In base all'art. 13 della suddetta legge del resto "Incorre nella perdita dell'onorificenza l'insignito che se ne renda indegno". Il signor Silvio Berlusoni deve dunque essere privato del titolo di Cavaliere con cui viene abitualmente chiamato dagli organi di informazione. Il Consiglio dell'Ordine dei Cavalieri del Lavoro, che è presieduto dal ministro delle attività produttive, dovrà necessariamente deliberare la perdita del titolo da parte di Berlusconi. E il presidente della Repubblica dovrà disporre la revoca dell'alta onorificenza che gli era stata conferita il 2 giugno del 1977. Vediamo se lo faranno. Un saluto, Francesco Somaini

Vittorio Melandri: E continuano a chiamarlo trinità

E CONTINUANO A CHIAMARLO TRINITÀ Silvio Berlusconi è uno e trino: "imprenditore, politico e delinquente". Ma l'esimio Antonio Polito sulla prima pagina del decano dei quotidiani italiani, che nonostante le sue traversie, su piazza gode ancora di autorevolezza, rivoluziona il dogma cattolico. "Il conflitto di interessi dell'imprenditore che si è fatto politico ha pagato così il suo prezzo più alto: è infatti il suo agire di imprenditore che è stato sanzionato dai giudici, nella convinzione che sia proseguito anche mentre sedeva a Palazzo Chigi." Altro che scissione dell'atomo, il fine Polito scinde la "trinità", ed il terzo fattore, si coniuga solo con il primo, essendo il secondo, sanzionato solo dalla "convinzione dei giudici", che come noto, in Italia al più è cosa da rispettare, non certo da condividere. Ma senza alcun pudore, qualcuno del desk del Corriere non ha esitato a scegliere come titolo del "pezzullo" di Polito, la frase che lo stesso rivolge a tutti, escluso ovviamente sé stesso.. Siate seri.. Forse sarebbe il caso che cominciassero ad essere seri dalla Prima Pagina del Corriere della Sera. Vittorio Melandri

Social Democracy For Our Time | Jacobin

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UE, disoccupazione in discesa | EuProgress

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Bce, tassi invariati e ripresa graduale | EuProgress

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