sabato 31 agosto 2019

Livio Ghersi: Tra Di Maio e Zingaretti

Tra Di Maio e Zingaretti. Cronache di una crisi di governo. La soluzione sembra trovata. Circolano i nomi dei possibili nuovi ministri. Poi il leader politico del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio, esce dall’incontro con il Presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, e rilascia una lunga dichiarazione pubblica che rimette tutto in discussione. Siamo al pomeriggio di venerdì 30 agosto 2019. Tra qualche giorno, il 2 o il 3 settembre, il Presidente Conte dovrebbe sciogliere la riserva, in un senso, o nell’altro. Da osservatore esterno, rilevo alcune cose poco chiare. Il Partito Democratico ha esordito chiedendo e pretendendo "discontinuità" rispetto all’esperienza del Governo uscente. Ciò significa chiedere al Movimento Cinque Stelle di adottare indirizzi politici molto diversi, nei contenuti, rispetto a quelli seguiti nel periodo dell’alleanza con la Lega. Luigi Di Maio, da parte sua, si è seduto al tavolo della trattativa affermando che non si pentiva di niente. Sembrava di ascoltare la indimenticabile Edith Piaf: «Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien». Il Partito Democratico muove dal presupposto che il Presidente Conte sia il rappresentante politico del Movimento Cinque Stelle. Osservazione di buon senso: ma non spetterebbe al Movimento Cinque Stelle stabilire quali sono i propri equilibri politici interni e chi ha il ruolo di guidare la delegazione dei ministri del Movimento nell’eventuale nuovo Esecutivo? Può un partito come il PD, che ha intenzione di avviare un’alleanza politica, pretendere dall’altro partito che si dia una rappresentanza istituzionale definita in un certo modo, piuttosto che un’altra? Esponenti significativi del Partito Democratico, come il Vicesegretario Andrea Orlando, si sono seduti, con l’aria un po' schifata, al tavolo della trattativa e si sono dichiarati disposti ad ingoiare l’amaro boccone, a condizione di dar vita ad un nuovo Governo, con caratteristiche tali da essere "il più a Sinistra" nella storia dell’Italia repubblicana. Orlando conosce i risultati delle elezioni politiche del 2018 e delle elezioni europee del 2019? Ha contezza degli esiti di tutte le elezioni regionali che si sono tenute nel medesimo lasso di tempo? Di conseguenza, la richiesta di un Governo "più a Sinistra" è tanto lontana dalla realtà, ossia tanto velleitaria, da apparire un’inutile provocazione. Altri esponenti del PD, come Matteo Orfini, in ciò in perfetta sintonia con esponenti politici della Sinistra italiana, quali Nicola Fratoianni, hanno chiesto l’immediata revoca di alcuni fra i più rilevanti provvedimenti adottati dal Governo uscente, con particolare riferimento al contenimento del fenomeno dell’immigrazione (decreti cosiddetti "sicurezza", uno e due). La linea ufficiale del Partito Democratico, espressa dal Segretario Zingaretti, è più morbida: semplice correzione delle normative, accogliendo i rilievi a suo tempo espressi per iscritto dal Presidente della Repubblica. Sarebbe un eufemismo scrivere che, su questo argomento, l’ambiguità si taglia col coltello. Consideriamo, in ultimo, la questione del completamento della riforma costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari. Posto che manca soltanto la quarta lettura, spettante alla Camera dei Deputati, basterebbe stabilire una data. O definire un "cronoprogramma", come dicono gli addetti ai lavori. Invece, il Partito Democratico ha cominciato a chiedere "garanzie costituzionali", prima di approvare la riforma. Frase ambigua, che potrebbe anche significare: ricominciamo daccapo, perché la riduzione dei parlamentari è accettabile solo se si modificano, contestualmente, le attribuzioni della Camera e del Senato, arrivando ad un bicameralismo differenziato. Altri dicono: bisogna sospendere l’ultimo voto sulla riforma costituzionale, ed approvare prima una nuova legge elettorale e modificare i Regolamenti parlamentari. Si può comprendere che gli esponenti del Partito Democratico, dall’alto della loro scienza ed esperienza, considerino i rappresentanti del Movimento Cinque Stelle come dei "Minus habentes"; ma questi proprio fessi, non sono. É ovvio che alla riforma costituzionale debbano conseguire conseguenti modifiche della legge elettorale e dei Regolamenti parlamentari; ma devono "seguire" appunto. Nel senso che prima si definisce il quadro normativo a livello costituzionale; poi gli si dà compiuta e coerente attuazione. C’è poi da chiedersi, poi, perché mai questa ipotetica nuova legge elettorale dovrebbe essere integralmente proporzionale. Il Partito Democratico ha sempre insistito sulla esigenza della "governabilità". Il che significa prevedere leggi elettorali prevalentemente maggioritarie, che trasformino maggioranze relative di voti in maggioranze stabili di seggi parlamentari. La fantasia istituzionale del Partito Democratico, negli ultimi anni, ha prodotto degli autentici "mostri giuridici", nella vana ricerca della legge elettorale maggioritaria più confacente agli interessi del medesimo PD. C’è invece un rimedio antico e ben collaudato: quello dei collegi uninominali. Mutuati dall’esperienza storica inglese. Ogni territorio ha il suo rappresentante istituzionale assicurato e questo ruolo va al candidato più votato nel collegio di riferimento, con esclusione di tutti gli altri. Un sistema pulito, lineare, che si basa su una sana competizione politica (vince chi sa ottenere più consenso), e che agevola il formarsi di coalizioni politiche che si mettono insieme per esprimere candidati comuni nei singoli collegi. La legge elettorale vigente, la legge 3 novembre 2017, n. 165, prevede che circa un terzo dei parlamentari siano eletti in collegi uninominali con metodo maggioritario. Per l’esattezza, sono eletti con metodo maggioritario 232 deputati su un totale di 630; e 116 senatori, su un totale di 315. La delimitazione territoriale dei collegi è stata fatta di recente, in modo coerente con i dati più aggiornati sulla popolazione residente. Perché bisognerebbe buttare questo lavoro e ricominciare daccapo? I fautori di una legge elettorale integralmente proporzionale sostengono che questa sarebbe l’unico rimedio per non far vincere la Lega e le altre formazioni di Destra e di Centro-destra. Per il modo in cui attualmente è configurato il sistema politico italiano (è configurato come peggio non si potrebbe!), le destre, infatti, più facilmente raggiungono un legame di coalizione politica. Coalizione che ha i suoi presupposti nelle esperienze degli anni Novanta del secolo scorso, quando era egemone Silvio Berlusconi, ma che ha avuto tante importanti conferme recenti, soprattutto nelle elezioni regionali e locali. Il campo del Centro-sinistra, invece, è molto più indietro, quanto a possibilità di dar vita ad una alleanza politica fra più soggetti politici solidi, ciascuno dotato di una propria fisionomia ideale e programmatica, e ciascuno con un proprio affidabile radicamento territoriale. Il Movimento Cinque Stelle, poi, finora si è completamente sottratto alla logica della coalizione; ciò lo ha condannato alla puntuale sconfitta in tutte le elezioni regionali e locali. Accettare, senza riserve mentali, il sistema maggioritario in collegi uninominali significherebbe aprirsi ad una reale concorrenza politica: nella quale non si ha paura di confrontarsi con l’avversario, perché si ha fiducia nei propri valori di riferimento e nei propri programmi. Certo, una quota di seggi andrebbe comunque attribuita con metodo proporzionale, per garantire il pluralismo delle Assemblee parlamentari ed assicurare una sorta di diritto di tribuna pure alle liste minori. Come si può concludere la crisi? Bisogna ricordarsi che la proposta di dar vita ad un Governo che, prima di andare al voto, facesse poche cose, come mettere al sicuro i conti pubblici ed evitare l’aumento dell’IVA, e che consentisse nel contempo la conclusione dell’iter della riforma costituzionale, è partita non dal Segretario del PD Nicola Zingaretti, ma da Matteo Renzi. Zingaretti, anzi, non era d’accordo. Ha detto "No" a governicchi (l’ipotesi minimalista di Renzi) ed ha rilanciato, proponendo addirittura un governo di Legislatura. Governo che, nelle condizioni date, non sta né in cielo, né in terra. Non sono soltanto gli esponenti del Movimento Cinque Stelle a dover maturare. Possiamo dire che la classe dirigente "zingarettiana" si sta dimostrando inadeguata, velleitaria, ammalata del peggiore politicismo? Senso della realtà, ci vorrebbe. Accompagnato dalla sincera volontà di servire il Paese, di fare ciò che è meglio per l’Italia. Intanto, i mercati finanziari ci guardano con sospetto e l’avvenire è assai incerto. Palermo, 31 agosto 2019 Livio Ghersi

mercoledì 28 agosto 2019

Franco Astengo: Paradigma

PARADIGMA di Franco Astengo La soluzione della crisi di governo si presenta come un punto di vero e proprio mutamento di paradigma. Crisi di governo che ha impegnato gli attori presenti nel sistema politico italiano nel corso di questo mese di Agosto. Scrivo nel momento in cui alcuni tasselli debbono ancora essere sistemati e quindi l’esito finale formalmente incerto, ma l’aver approcciato all’esito della crisi nella forma a questo punto evidente del reincarico a Conte rappresenta un fatto che consente l’avvio di una riflessione a mio giudizio assai impegnativa. Molti tra gli analisti, i commentatori e i protagonisti politici del passato possono a ragione considerarsi sconcertati e ritenere ormai possibile tutto e il contrario di tutto, almeno secondo i loro consolidati criteri di riferimento nei collegamenti sociali se non addirittura ideologici. In realtà arriva all’approdo quel processo di personalizzazione direttamente collegato alla trasformazione del sistema dei partiti in atto ormai da qualche decennio e strettamente connesso al fenomeno della disintermediazione che aveva già avuto in Forza Italia e nel PD (R) gli epigoni più impegnati nel corso dei primi anni del XXI secolo. Tra il 2006 e il 2016 avevamo anche assistito all’elaborazione di progetti di riforma costituzionale, l’uno imperniato sul presidenzialismo, l’altro su di una sorta di cancellierato, entrambi tendenti a superare la democrazia parlamentare e respinti dal voto popolare. Quei due progetti erano comunque ancora legati a schemi classici, sia pure in evoluzione: oggi siamo al cambio di paradigma. Il sistema potrebbe ritrovare a questo punto un suo riferimento pivotale sul piano delle dinamiche politiche esprimendosi appunto attraverso una personalizzazione di nuovo conio. Emergono, infatti, figure in grado di tenere aperti diversi fronti in politica estera, facendosi appoggiare in forma inedita dal presidente USA operando, in contraccambio dell’adoperarsi per far rientrare la Russia nel G8: segnale evidente della prevalenza del tecnicismo degli affari sulla geopolitica, in un quadro nel quale appare ben evidente la conclusione di quello che era stato definito “ciclo atlantico”. Nello stesso tempo sembra possibile tenere aperti varchi con la Commissione Europea al fine di innalzare il livello del rapporto deficit /PIL: lo scopo dovrebbe essere quello di combattere la povertà attraverso la crescita di livello di assistenzialismo e di rinuncia definitiva alle prospettive di sviluppo così come queste erano state intese nella fase dei “trenta gloriosi”. Qualsiasi ipotesi di risposta di tipo “socialdemocratico” o “popolare” alla crisi sembra inattuale e meno che mai ci potrà essere spazio per una sorta di “riformismo” nel momento in cui si determina una adesione complessiva ai dettami della “decrescita felice”. Del tutto da analizzare, inoltre, la realtà e il peso della completa “mediatizzazione” dell’agire politico e del tipo di rapporto sociale e culturale stabilito tra le azioni compiuta nella sfera politica e quelle portate avanti nella quotidianità. Relazioni ormai consolidatosi nella mediazione totalizzante dell’uso degli strumenti informatici. Per questi motivi, esposti fin qui in maniera del tutto abborracciata in assenza di un’elaborazione ancora tutta da sviluppare, l’esito della crisi di governo non può essere valutata attraverso l’utilizzo di antiche categorie compresa quello dello scampato pericolo di una involuzione a destra. Ciò appare evidente se si aderisce, com’è avvenuto per il PD in questo frangente, al superamento dei concetti di destra e di sinistra, consentendo a un sottosegretario uscente del M5S di scrivere:” per noi Lega o PD è indifferente”. Questa o quella per me pari sono. Ormai l’espressione dei contenuti progettuali e programmatici avviene attraverso una dimensione variabile quella di volta in volta, ritenuta opportunisticamente utili, ai più diversi . variegati(anche ideologicamente)interlocutori politici. Il quadro generale è ormai quello dell’autoreferenzialità delle scelte portate avanti dai singoli al massimo collegati fra di loro in cordate in lotta per il potere. Si tratta appunto del compimento di un processo vero e proprio rovesciamento di paradigma: se si pensa di ricostruire una sinistra legata all’inasprimento nella complessità delle contraddizioni sociali si tratta di elementi d’analisi da tenere in conto in una valutazione del tutto dirimente.

Understanding Economic Populism by Allison Schrager & Elmira Bayrasli - Project Syndicate

Understanding Economic Populism by Allison Schrager & Elmira Bayrasli - Project Syndicate

venerdì 23 agosto 2019

Livio Ghersi: La politica dei peones

La politica dei "peones" Sentite le dichiarazioni del Presidente della Repubblica di giovedì 22 agosto 2019, al termine del primo giro di consultazioni, mi sembra che la prospettiva di andare, rapidamente, ad elezioni anticipate, si faccia più concreta. L’ipotetica nuova maggioranza fra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico incontra tutte le difficoltà, già messe in conto, ma, soprattutto, dovrebbe vincere resistenze psicologiche che hanno poco a che vedere con la razionalità politica. Per il Movimento Cinque Stelle, il PD è stato sempre una forza portante dell’Establishment in Italia. I militanti del Movimento hanno avuto, tra le proprie parole d’ordine, quella di incarnare una politica diversa da quella tradizionalmente rappresentata dal PD. Ritrovarsi ora alleati proprio con il PD in un’esperienza di governo, sarebbe cosa durissima da far digerire agli elettori dei Cinque Stelle. Anche il Segretario del Partito Democratico ha pochissima voglia di farsi coinvolgere in un’alleanza con il Movimento; ne diffida e non gli si può dare torto. Di conseguenza, gli incontri, per la parte nota al pubblico, hanno avuto e, probabilmente, continueranno ad avere, più un valore tattico che effettiva sostanza. Si tratta di una rappresentazione teatrale, per dimostrare che, fino all’ultimo, si è provato di tutto, pur di evitare la conclusione anticipata della diciottesima Legislatura. Così il leader della Lega, apparentemente messo in minoranza nelle procedure parlamentari di formalizzazione della crisi di governo, si rifarà vincendo a mani basse le prossime elezioni anticipate, insieme ai suoi alleati di Destra e Centro-destra. A destra c’è qualcosa che somiglia ad una coalizione politica e questo è un vantaggio rilevante, nella competizione elettorale. La vigente legge elettorale, la legge 3 novembre 2017, n. 165, prevede che circa un terzo dei parlamentari siano eletti in collegi uninominali con metodo maggioritario. Per l’esattezza, sono eletti con metodo maggioritario 232 deputati su un totale di 630; e 116 senatori, su un totale di 315. Nelle elezioni del marzo 2018, il Movimento Cinque Stelle, interpretando un voto di protesta, straordinariamente consistente e concentrato territorialmente, riuscì a conquistare 76 collegi uninominali degli 80 complessivamente istituiti nelle otto Regioni dell’Italia meridionale e insulare: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna. Ciò sovvertì ogni previsione, perché il Movimento Cinque Stelle correva da solo, mentre il sistema dell’elezione nei collegi uninominali con metodo maggioritario, potenzialmente premia chi disponga di una capacità di coalizione più larga possibile. Il Partito Democratico ha, in aggiunta ai suoi limiti strutturali, il limite di una ridottissima capacità di coalizione. Non esiste una vera coalizione di Centro-sinistra, perché il PD, in ciò davvero miope, ha sempre fatto di tutto affinché non si consolidassero altre formazioni politiche in quest’area. Più Europa, i Verdi, la Sinistra, la quale non si sa neanche più bene che nome abbia, sono piccole formazioni, sempre a rischio di non ottenere rappresentanza, perché non in grado di superare la soglia di sbarramento. Pure il Movimento Cinque Stelle continuerà a correre da solo, ma non è detto che il grande serbatoio elettorale del Sud continuerà a funzionare come nel 2018. Penso, anzi, che il successo elettorale del 2018 sia destinato a diventare presto il ricordo di un bel tempo che fu e che mai più tornerà. La molto probabile vittoria della coalizione delle destre, a guida leghista, nelle prossime elezioni anticipate, oltre a tutte le conseguenze negative che già abbiamo individuato, nei rapporti con l’Unione Europea e nella tenuta dei conti pubblici, comporterà anche che la maggioranza destrorsa del nuovo Parlamento eleggerà il prossimo Presidente della Repubblica, alla scadenza del mandato del Presidente Mattarella. Cosa volete che siano queste quisquilie agli occhi del Segretario Zingaretti, sempre pronto a declamare che il PD non ha paura del giudizio degli elettori! C’è una voglia di perdere che richiederebbe, anch’essa, una terapia psicanalitica. Tra i temi in discussione fra Movimento Cinque Stelle ed il Partito Democratico c’è il completamento della riforma costituzionale che prevede di ridurre il numero dei parlamentari, portando a 400 il numero dei membri della Camera dei deputati, e a 200 il numero dei membri del Senato. Il Partito Democratico ha già votato contro la riforma nelle prime tre letture, e mantiene la sua contrarietà. Facendo appello alla mia modesta esperienza di ex funzionario dell’Assemblea regionale siciliana, ricordo agli smemorati che, nelle ultime elezioni regionali siciliane del 5 novembre 2017, gli elettori hanno eletto 70 deputati regionali. Nelle precedenti sedici legislature (a partire dal 1947), i deputati regionali erano, invece, 90. Poiché lo Statuto speciale della Regione Siciliana è stato approvato con legge costituzionale, la modifica del numero dei deputati regionali ha richiesto una legge costituzionale. Con doppia lettura da parte delle due Camere, eccetera, secondo la procedura fissata dall’articolo 138 della Costituzione. Viene appunto in considerazione la legge costituzionale 7 febbraio 2013, n. 2, recante "Modifiche all’articolo 3 dello Statuto della Regione siciliana, in materia di riduzione dei deputati dell’Assemblea regionale siciliana". Tale legge costituzionale, promulgata dal Presidente della Repubblica Napolitano, è stata controfirmata dal Presidente del Consiglio dei Ministri Monti e dal Ministro Guardasigilli Severino. Il Partito Democratico votò sempre a favore della riduzione, in tutte e quattro le letture. Ma c’è di più. La procedura di modifica dello Statuto regionale fu avviata dalla stessa Assemblea regionale siciliana, con una cosiddetta "legge-voto", presentata al Parlamento nazionale. Tale legge-voto fu approvata durante la quindicesima Legislatura dell’ARS, quando, per la cronaca, nessun deputato del Movimento Cinque Stelle sedeva fra i banchi di Sala d’Ercole. Si era partiti da un disegno di legge di iniziativa parlamentare. Presentato, udite, udite, da un deputato regionale del Partito Democratico. Del quale mi piace ricordare il nome: l’onorevole Giovanni Barbagallo. C’è stata una stagione in cui l’esigenza di ridurre i costi della politica era considerata un argomento serio. Tanto da non poter essere ignorata da alcuna parte politica. Ad esempio, al tempo dell’ultimo Governo presieduto da Silvio Berlusconi, fu approvato il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 che, all’articolo 14, fissava, per le Regioni a Statuto ordinario, il numero massimo dei consiglieri regionali, in proporzione alla popolazione residente. Così, ad esempio, nelle Regioni con popolazione fino a un milione di abitanti, il numero dei consiglieri non può essere superiore a 20. Nelle Regioni con popolazione eccedente gli otto milioni di abitanti, il numero dei consiglieri non può essere superiore a 80. Quella normativa era tutt’altro che risolutiva. Richiedeva provvedimenti attuativi da parte delle singole Regioni e ciò non sempre è avvenuto. In ogni caso, la Regione in assoluto più popolosa, la Lombardia, elegge 80 consiglieri regionali. Oggi si vorrebbe ricondurre il tutto alla deriva "populista" del Movimento Cinque Stelle. É sbagliato, tanto più in tempi di crisi economica. Il risparmio annuale derivante dalla soppressione di 345 parlamentari non è un’entità trascurabile. C’è però in ballo molto altro. Quando si chiedono sacrifici ai cittadini per provvedere, tramite le entrate fiscali, a finanziare i servizi pubblici diretti alla generalità, proprio i rappresentanti della classe politica devono ("dovrebbero") essere i primi a dare il buon esempio. Ciò significa non soltanto rinunciare a benefits che non sono strettamente necessari per lo svolgimento del mandato rappresentativo e che, nella misura in cui non servono a questo scopo, sono meri privilegi. Significa anche quantificare in modo razionale i numeri della rappresentanza, a tutti i livelli: deve trattarsi di numeri equilibrati. Il superfluo, proprio perché viene mantenuto a spese dei cittadini contribuenti, va tagliato. Senza troppi complimenti. Avete presente la coesione sociale? Ecco, una politica non percepita come "vita comoda, a spese dei contribuenti", fa bene alla coesione sociale di un Paese. Il mito della "partecipazione democratica" è quello al quale si fa appello per aumentare i numeri della rappresentanza. Così un più alto numero di mestieranti della politica può avere un avvenire assicurato. Il lavoro politico non è lavoro? Certo. Ma la politica è attività nobile quando è fatta volontariamente, per passione ideale e per amore nei confronti della comunità sociale della quale si fa parte. Io che sono avanti negli anni, mi onoro di aggiungere, per amore della propria Patria. La politica si arricchisce se a farla sono personalità come Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Luigi Einaudi, Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Giovanni Malagodi, Ugo La Malfa, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat. Tra gli attuali 630 deputati quanti sono soltanto dei meri "peones", come appunto vengono chiamati? Resta l’ultimo argomento della compressione della "capacità rappresentativa". Se, in ipotesi, dopo la riduzione del numero dei parlamentari, si mantenessero i 232 attuali collegi uninominali per la Camera, e i 116 attuali collegi uninominali per il Senato, in ciascun collegio uninominale la capacità rappresentativa del parlamentare eletto rimarrebbe invariata. Ogni territorio, a partire dalla Valle d’Aosta, avrebbe il proprio rappresentante istituzionale garantito. Bisognerebbe, invece, ridurre il numero dei collegi plurinominali. Qui resterebbero da eleggere, con metodo proporzionale, 168 deputati, e 84 senatori. Quando sostengo che i collegi plurinominali dovrebbero essere meno possibile nelle elezioni per la Camera (comunque, dovrebbero essere uno per Regione, al Senato), immagino collegi molto ampi. Molto ampi, nel senso che in ciascuno di essi ci sarebbe un relativamente alto numero di rappresentanti da eleggere con metodo proporzionale. Come gli esperti di leggi elettorali sanno, più ampio è il collegio, maggiore sarà il numero delle liste che otterranno rappresentanza. In questo modo si garantirebbe l’effettivo pluralismo del Parlamento e si garantirebbe una sorta di diritto di tribuna anche alle liste minori. Nel contempo, la legge elettorale funzionerebbe meglio di adesso, nel senso che sarebbe più facile formare una maggioranza parlamentare, capace di dare un governo stabile al Paese. Tutte le teorie secondo cui ad una riduzione del numero dei parlamentari debba necessariamente corrispondere una legge elettorale integralmente proporzionale sono del tutto destituite di fondamento. Le migliori leggi elettorali non sono né integralmente proporzionali, né integralmente maggioritarie. Devono tendere ad un contemperamento dei due caratteri. Con la legge proporzionale pura diventa molto più difficile eleggere governi stabili. La polemica contro i proporzionalisti puri, i quali sognano di dare rappresentanza anche a partiti dello zero virgola, è, a ben vedere, la stessa polemica contro i mestieranti della politica, che vogliono gonfiare i numeri della rappresentanza, in nome della "partecipazione democratica". Una democrazia parlamentare funzionante deve essere una costruzione razionale; tutti gli interessi minori, le piccole ambizioni personali, vanno sacrificati a questo fine. Palermo, 23 agosto 2019 Livio Ghersi

Il segno di discontinuità del Pd qualunque sia l'esito della crisi - Strisciarossa

Il segno di discontinuità del Pd qualunque sia l'esito della crisi - Strisciarossa

M5S-PD, accordo possibile o accordo suicida? - micromega-online - micromega

M5S-PD, accordo possibile o accordo suicida? - micromega-online - micromega

Bernie’s Green New Deal Is for the Working Class

Bernie’s Green New Deal Is for the Working Class

mercoledì 21 agosto 2019

Mazzucato: ‘Se non cambiamo il capitalismo ci sarà l’avanzata di un nuovo fascismo cavalcato dai Salvini e dai Trump’ - nuovAtlantide.org

Mazzucato: ‘Se non cambiamo il capitalismo ci sarà l’avanzata di un nuovo fascismo cavalcato dai Salvini e dai Trump’ - nuovAtlantide.org

Salvini Can Be Beaten

Salvini Can Be Beaten

Why I’m a Socialist

Why I’m a Socialist

Flat tax, disuguaglianze e le tasse dei futuri governi - Jacobin Italia

Flat tax, disuguaglianze e le tasse dei futuri governi - Jacobin Italia

Il tribunale boccia il Jobs Act renziano. Una spina per un nuovo governo M5S-Pd-LeU - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

Il tribunale boccia il Jobs Act renziano. Una spina per un nuovo governo M5S-Pd-LeU - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

Socialists Need to Be Part of the Labor Movement

Socialists Need to Be Part of the Labor Movement

CHE FARE di Roberto Biscardini del 15 agosto 2019 - Il Socialista

CHE FARE di Roberto Biscardini del 15 agosto 2019 - Il Socialista

mercoledì 14 agosto 2019

L'ex premier israeliano Barak ad Huffpost: "La mia ultima missione: abbattere il regime di Netanyahu" | L'HuffPost

L'ex premier israeliano Barak ad Huffpost: "La mia ultima missione: abbattere il regime di Netanyahu" | L'HuffPost

Liberalsocialismo

Liberalsocialismo

The Puzzle of Economic Progress by Diane Coyle - Project Syndicate

The Puzzle of Economic Progress by Diane Coyle - Project Syndicate

Alberto Benzoni: Compagni, sveglia | Risorgimento Socialista

Compagni, sveglia | Risorgimento Socialista

Argentina, l'accoppiata Alberto Fernández-Cristina Fernández de Kirchner batte Macrì alle primarie - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

Argentina, l'accoppiata Alberto Fernández-Cristina Fernández de Kirchner batte Macrì alle primarie - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

martedì 13 agosto 2019

Anna Falcone: "Chi odia non ha idee e nasconde il suo vuoto dietro la rabbia. Noi idee ne abbiamo tante e sappiamo come realizzarle. Facciamolo" - nuovAtlantide.org

Anna Falcone: "Chi odia non ha idee e nasconde il suo vuoto dietro la rabbia. Noi idee ne abbiamo tante e sappiamo come realizzarle. Facciamolo" - nuovAtlantide.org

Why the Labor Movement Needs the Left

Why the Labor Movement Needs the Left

Il fascismo (storico) non tornerà ma la democrazia (costituzionale) non può resistere a tutto – laCostituzione.info

Il fascismo (storico) non tornerà ma la democrazia (costituzionale) non può resistere a tutto – laCostituzione.info

LA FRAGILITA' ITALIANA E LA UE - R.Prodi - crisi di governo, i conti, manuale di difesa - | Sindacalmente

LA FRAGILITA' ITALIANA E LA UE - R.Prodi - crisi di governo, i conti, manuale di difesa - | Sindacalmente

Daniel Finn, Corbyn, Labour and the Brexit crisis

Daniel Finn, Crosscurrents, NLR 118, July–August 2019

Macaluso: «Una destra pericolosa, nessuno ora indebolisca il centrosinistra»

Macaluso: «Una destra pericolosa, nessuno ora indebolisca il centrosinistra»

lunedì 12 agosto 2019

Franco Astengo: Crisi

LA CRISI di Franco Astengo In queste ore di grande confusione la non ancora ufficializzata crisi di governo sta mostrando la sua vera cifra complessiva: 1) Autoreferenzialità del sistema politico; 2) Unico obiettivo l’incasso o il pagamento di dividendi (veri e/o presunti) da parte di alcuni spericolati imprenditori politici che già conoscevamo come veri e propri avventurieri: Salvini e Renzi “in primis”; 3) Cambiali in scadenza molto salate da pagare: prima fra tutte quella relativa all’aumento dell’IVA; 4) Assoluta mancanza di un’alternativa credibile. Comunque vada, elezioni o non elezioni, il risultato finale sarà quello di un’ulteriore caduta di credibilità del sistema e di scivolamento verso l’affermazione dell’idea dell’antipolitica da trasformarsi in svolta autoritaria. A sinistra dovremmo cercare di occuparci della qualità della democrazia e delle fragilità (ormai arrivata al limite del logoramento) del sistema politico – istituzionale, partendo dalla difesa della Costituzione Repubblicana.

domenica 11 agosto 2019

Livio Ghersi: per un governo di garanzia elettorale

Per un governo di garanzia elettorale Nella politica italiana si naviga a vista. Tutto è incerto; quindi i protagonisti politici si rifugiano nell’ambiguità. Ci sono dichiarazioni ufficiali, ma in questa fase contano più i retropensieri. Il fatto politico oggettivo è la decisione della Lega di sfiduciare il Governo presieduto da Giuseppe Conte. Del tutto discutibile, invece, che a questa scelta politica della Lega debba conseguire, necessariamente, la conclusione della diciottesima Legislatura del Parlamento. Certo, il partito della Lega vuole le elezioni prima possibile, nella previsione di aumentare considerevolmente il numero dei propri deputati e senatori nella legislatura successiva. Non c’è, però, nessuna legge ineluttabile, di natura politica, o giuridico-costituzionale, che lo imponga. La Lega ha ridato potenza alla destra italiana; ma è una "potenza" più apparente che reale. La strategia di continuare a contrapporsi alle Istituzioni dell’Unione Europea è di per sé sbagliata e pericolosa. Immaginare di poter, non soltanto evitare l’aumento dell’Iva, ma, contemporaneamente, di poter spendere altre ingenti risorse per ridurre significativamente le entrate tributarie, il tutto in deficit, significa non soltanto violare le regole europee in materia di tenuta dei conti pubblici, ma, soprattutto, equivale a sfidare i mercati finanziari. Considerate le dimensioni del debito pubblico italiano e tenuto conto che Mario Draghi sta per lasciare la presidenza della Banca centrale europea, assumere atteggiamenti di sfida nei confronti dei mercati finanziari è la cosa peggiore da fare. C’è da stendere un velo pietoso, poi, sull’incultura istituzionale che contraddistingue l’uscente Ministro dell’Interno, in costume da bagno e maglietta. Egli, infatti, chiede i "pieni poteri". Li chieda pure, ma sta proprio a quanti hanno sufficiente esperienza di mondo, memoria storica, attaccamento ai valori della Costituzione repubblicana, rispondergli cortesemente, ma con la massima fermezza, un chiaro "No". Nelle situazioni difficili, si vede quale sia la stoffa di un politico. L’intervista, rilasciata da Matteo Renzi al quotidiano Corriere della Sera di domenica 11 agosto 2019, dimostra come Renzi sia un uomo che non si impicca alla "coerenza". Ciò per un politico puro è un bene, non un male. La coerenza va bene per Martin Lutero che, nell’aprile del 1521, al cospetto della Dieta imperiale di Worms, diceva: «Qui sto io. Non posso fare altrimenti. Dio mi aiuti. Amen». I rappresentanti del popolo in Parlamento, invece, siedono nelle due Camere proprio per trovare, di volta in volta, la soluzione che sembra loro più rispondente agli interessi generali dell’Italia. Nelle situazioni difficili e confuse, devono scegliere l’orientamento che costituisca il meno peggio, per evitare un peggio certo e sicuro. Renzi ha parlato dell’esigenza di dar vita ad un "governo di garanzia elettorale" con tutti quelli che ci stanno; va da sé, infatti, che non si possa consentire all’uscente Ministro dell’Interno di gestire tutta la delicatissima fase elettorale. Tanto più in un momento in cui la tensione fra le forze politiche è alta. Ha poi aggiunto che bisogna far entrare in vigore la riforma costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari. L’iter è quasi completato, perché già ci sono state tre letture e manca soltanto l’ultimo e definitivo voto della Camera dei deputati. Per quanto mi riguarda, sono sempre stato d’accordo con la proposta di ridurre il numero dei membri del Parlamento italiano. Ai rappresentanti del popolo si possono applicare i medesimi criteri che spiegano il meccanismo dell’inflazione monetaria in economia: più aumenti il numero complessivo dei rappresentanti, meno vale il singolo parlamentare. Viceversa, se fissi un numero equilibrato, avrai un parlamentare "pesante", realmente rappresentativo di un territorio. Avrai un singolo parlamentare che conta individualmente di più, quindi può essere più incisivo. A me, poi, non piace che un troppo alto numero di persone "vivano" di politica; ossia che facciano del loro ruolo istituzionale la propria fonte di sussistenza economica. La democrazia rappresentativa ha dei costi inevitabili, certo, e ben volentieri occorre sopportarli. Non bisogna, tuttavia, ampliare a dismisura il numero degli eletti, nella falsa logica di aumentare la partecipazione democratica. Chi ha a cuore la cosa pubblica fa politica indipendentemente dalle indennità parlamentari; anzi, investe nella politica tempo e denaro proprî. Ciò di cui certamente non c’è bisogno è di mantenere, a spese dei contribuenti, un ceto politico sovradimensionato; il quale, proprio nella misura in cui è sovradimensionato, è parassitario. Il numero alla fine individuato dalla riforma costituzionale ora in discussione, 400 deputati e 200 senatori, è equilibrato. Un Senato di 200 membri può funzionare perfettamente; mentre, invece, non avrebbe potuto funzionare un Senato di soli 100 membri, come previsto dalla scriteriata riforma costituzionale proposta proprio da Matteo Renzi ed a ragione respinta dal Corpo elettorale nel referendum del 4 dicembre 2016. La riforma costituzionale è "minimalista"? Non realizza un bicameralismo differenziato, diversificando le competenze delle due Camere? Dal mio punto di vista è, comunque, un passo in avanti. Realizza finalmente almeno una parte di progetti riformatori che si trascinano da decenni. Quindi, non soltanto mi farebbe piacere che questa riforma costituzionale venisse approvata; ma la difenderei anche in un eventuale, successivo, Referendum confermativo. La riduzione del numero dei parlamentari rimette in qualche modo in discussione le leggi elettorali di Camera e Senato. É previsto che si possa votare con le leggi elettorali vigenti, però rideterminando le percentuali di quanti vanno eletti nei collegi uninominali con metodo maggioritario e di quanti vanno eletti nei collegi plurinominali con metodo proporzionale. Dipendesse da me, lascerei invariato l’attuale numero dei collegi uninominali; il che presenterebbe il vantaggio di non doverli ridisegnare un’altra volta. Così, alla riduzione del numero dei parlamentari, conseguirebbe un’accentuazione del carattere maggioritario dei sistemi elettorali; nel senso che resterebbe una significativa quota di deputati e senatori eletti con metodo proporzionale, ma il loro numero non sarebbe così preponderante come adesso. In ogni caso, posto che occorrono tempi tecnici, anche se non lunghi, per ricalibrare le leggi elettorali, l’approvazione della riforma costituzionale adesso farebbe il gioco di quanti vogliono rinviare la data della fine anticipata della Legislatura. Anche i nemici della riforma dovrebbero fare buon viso a cattiva sorte. Il Movimento Cinque Stelle, che sembrava annientato dall’iniziativa della Lega, potrebbe rivendicare il merito di avere determinato una effettiva, concreta, riforma della Costituzione, in un senso certamente gradito alla stragrande maggioranza del popolo italiano. Ne uscirebbe così con onore, limitando i danni. Anche se l’esperienza del Governo Conte è sotto gli occhi di tutti e gli elettori avranno ora tanti elementi di giudizio in più per esprimere il proprio voto in proseguo di tempo. Un governo di garanzia elettorale, appoggiato in qualche modo (la fantasia dei politici è illimitata) sia dal Movimento Cinque Stelle, sia dal Partito Democratico, e con l’apporto di tutte le altre forze politiche disponibili, non potrebbe mai rappresentare una bizzarria politica superiore alla bizzarria della quale ha dato prova la cosiddetta maggioranza "giallo-verde". Ci rimettiamo, per il resto, alla saggezza del Presidente della Repubblica. Palermo, 11 agosto 2019 Livio Ghersi

È in gioco la democrazia, la sinistra non si divida come nel 1921 | Left

È in gioco la democrazia, la sinistra non si divida come nel 1921 | Left

Franco Astengo: Sinistra costituzionale

SINISTRA COSTITUZIONALE di Franco Astengo Possiamo considerare la battuta pronunciata da Salvini sui “pieni poteri” una sorta di “voce dal sen fuggita” in occasione di un eccitato comizio d’apertura di quella che si annuncia come una campagna elettorale decisiva per molti degli imprenditori politici attivi nello scenario italiano? Tralasciamo i paragoni con le analoghe richieste mussoliniane all’indomani della Marcia su Roma e concentriamoci su di una realtà innegabile legata al tempo presente: la richiesta di “pieni poteri” arriva in chiusura di una lunga stagione nel corso della quale, in nome della “modernità del decisionismo” abbiamo assistito a una serie di attacchi alla Costituzione Repubblicana e soprattutto alla forma parlamentare della Repubblica, all’introduzione del maggioritario addirittura inteso come “vocazione”, all’esasperazione del concetto di “personalizzazione della politica”. Sulla “personalizzazione della politica” ci sarebbe ancora da ragionare nei termini di corrispondenza del fenomeno al tipo di mutamenti avvenuti in direzione dell’affermarsi dell’individualismo (prima “competitivo” poi “della paura”). L’egemonia culturale dell’individualismo ha così provocato un vero e proprio sfrangiamento sociale al punto tale da far salire la richiesta del ritorno a un “Comando autoritario”. L’esasperazione dei concetti di governabilità e di decisionismo sono degenerati in una richiesta di forme autoritarie di governo considerate come i soli strumenti in grado di affrontare drasticamente le contraddizioni emergenti e in particolare quella riguardante il flusso dei migranti. E’ stato questo l’humus sul quale è fiorita l’idea dei “pieni poteri” e oggi fior di analisti, svegliatisi in colpevole ritardo, si affrettano a ricordare come un tale passaggio non sia previsto in alcuna parte del nostro ordinamento. E’ lecito però aspettarsi che, in base all’esito elettorale prossimo venturo (indipendentemente dalla data di svolgimento dei comizi) assisteremo a un nuovo attacco alla Carta Fondamentale: ed è lecito, in questa situazione, pensare che difenderla sarà molto più problematico di quanto non sia avvenuto in passato. Proprio in previsione di questo passaggio deve essere rilanciata la prospettiva di una “Sinistra Costituzionale”, autonoma sul piano della presenza politica, capace sul terreno elettorale di sviluppare un discorso di alleanze, formata nel segno di una vera e propria “ricostruzione di soggettività” e programmaticamente orientata su di un progetto legato al riconoscere la complessità delle contraddizioni da affrontare nel segno di una capacità di “riconoscimento sociale” all’altezza dei tempi avendo sempre al centro la necessità di combattere l’imperante logica dello sfruttamento, ormai estesa ben oltre i classici “clevages” investendo il rapporto tra struttura e sovrastruttura ormai modificatosi radicalmente rispetto ai canoni classici del ‘900. Infine un’annotazione di stretta attualità riguardante il tema del taglio nel numero dei parlamentari: si prospetta, infatti, una gigantesca truffa all’insegna di un voto semplicemente mediatico e propagandistico, in piena linea con l’attacco nuovamente in corso che prevedibilmente proseguirà intensificato se si arriverà a una nuova legislatura in tempi brevi. Attenzione: sul tema della struttura del Parlamento si gioca il bene inalienabile della rappresentanza politica. In conclusione: il tema della qualità della democrazia, in tempi di attacchi di matrice autoritaria e di crisi del liberalismo classico, deve diventare il tema prioritario per una sinistra che intende essere attivamente presente nei processi politici attuali e di conseguenza anche nell’eventualità di una campagna elettorale che dovrebbe svolgersi in tempi molto ristretti. Una “Sinistra costituzionale” capace anche di valorizzare le diverse matrici storiche che a suo tempo rappresentarono il fulcro di quel pensiero superando divisioni ormai anacronistiche. Si tratta di tenere sulle nostre spalle, come prezioso bagaglio culturale, quel pensiero profondo che tradotto in politica costituì la base per affrontare il consolidamento della democrazia dopo il fascismo, contribuì a ricostruire il Paese dalle macerie della guerra rappresentando i settori sociali che in quel frangente pagarono il prezzo più alto sapendo esprimere compattezza sociale e visione di un concreto e non semplicisticamente utopico futuro di cambiamento.

sabato 10 agosto 2019

Pierluigi Fagan: Dove va la transizione italiana?

Pierluigi Fagan: Dove va la transizione italiana?

Trump’s Deficit Economy by Joseph E. Stiglitz - Project Syndicate

Trump’s Deficit Economy by Joseph E. Stiglitz - Project Syndicate

Scandals Aren’t Enough to Stop Salvini

Scandals Aren’t Enough to Stop Salvini

What a Socialist Society Could Actually Look Like

What a Socialist Society Could Actually Look Like

The Myth of Welfare Dependency by Rema Hanna - Project Syndicate

The Myth of Welfare Dependency by Rema Hanna - Project Syndicate

Socialism After the United Kingdom

Socialism After the United Kingdom

Quel silenzio sul Donbass, stretto tra il regime ucraino e quello russo | Left

Quel silenzio sul Donbass, stretto tra il regime ucraino e quello russo | Left

martedì 6 agosto 2019

How can we build a 21st-century Labour Party? - LabourList

How can we build a 21st-century Labour Party? - LabourList

Franco Astengo-Felice Besostri: Per la ricostruzione della sinistra italiana

PER LA RICOSTRUZIONE DELLA SINISTRA ITALIANA: LINEE DI SUCCESSIONE di Franco Astengo e Felice Besostri Da molto tempo la sinistra italiana ha bisogno di avviare un processo di vera e propria ricostruzione. Alcuni punti fermi di una tale rifondazione sono a nostro avviso ben individuabili e costituiscono i presupposti fondamentali della possibile ripartenza: 1) L’inutilità del mero assemblaggio delle residue forze esistenti e della stanca riproposizione di liste elettorali sempre diverse, ma immancabilmente votate al fallimento; 2) la necessità di richiamarsi ad un patrimonio storico e culturale valido sia sul piano della teoria, sia su quello della dinamica politica, superando in avanti antiche divisioni. Di qui l’impegno ad evitare d’ora in avanti ogni ridicola diatriba sul “aveva ragione questo” o “aveva torto quello”, come ogni pretestuosa richiesta di scuse davanti alla storia (anzi alla Storia) ecc., ecc.; 3) è ora di riavviare, senza anacronistici riferimenti a modelli passati (Bad Godesberg, Epinay, Primavera di Praga: tra l’altro tra loro del tutto diversi) l’elaborazione di un progetto originale che riparta delle contraddizioni e “fratture” fondamentali, incrociandole però con le nuove contraddizioni imposte dal presente. Se da una parte infatti non basta più da sola l’antica “contraddizione principale” fra capitale e lavoro, certo non si può neanche sbilanciare il discorso dall’altra parte, lasciando campo solo a temi pure urgenti come la questione ambientale, peraltro strettamente legata al modo di produzione, o una strategia dei diritti riorganizzata esclusivamente attorno alle questioni di genere. Occorre invece tornare a pensare insieme i due piani: materiale e immateriale, struttura e sovrastruttura, economia e diritto. Le faglie oggi definite “post- materialiste” devono stare dentro una strategia complessiva di trasformazione dell’esistente. Per dirla con Carlo Marx: “Non basta interpretare il mondo, occorre cambiarlo”; 4) Strettamente connesso a quanto appena detto sui mutati rapporti tra economia e politica, finanza e modello sociale, tecnica e vita civile, è anche lo sfrangiarsi individualistico della società, ma soprattutto la crisi evidente della democrazia, palesatasi dopo il 1989. Allora la fine della Guerra Fredda lungi dall’aprire ad un’epoca di “noia democratica”, ad un mondo pacificato all’insegna del liberalismo/liberismo, aprì piuttosto all’epoca della “guerra infinita” ovvero a modelli equivoci detti di “democrazia del pubblico” o “democrazia recitativa”. Si aprì insomma un’epoca di tensioni planetarie potenzialmente antidemocratiche, fondate sulla scissione tra procedimento elettorale e partecipazione dei cittadini, con l’esercizio del potere popolare messo pericolosamente in discussione. Per questo la sua rifondazione è oggi più che mai una priorità per una nuova sinistra che voglia essere all’altezza delle sfide del tempo nuovo; 5) della crisi di sistema appena richiamata sono indizio anche alcune pulsioni che pensavamo ormai accantonate, da quelle nazionalistiche, a quelle imperialiste, al ritorno di fantasmi quali il razzismo e il fascismo. Anche tutto questo ovviamente deve essere inquadrato nel contesto del mutamento delle dinamiche internazionali degli ultimi decenni. La fase presenta infatti elementi di emersione di nuovi livelli di confronto tra le grandi potenze e di profonda modificazione del processo di globalizzazione, così come si era presentato alla fine del XX secolo e, successivamente, nella fase della “grande crisi” del 2007. Sotto quest’aspetto il grande tema rimane quello di un rilancio concreto dell’internazionalismo e della prefigurazione di un modello economico e sociale alternativo a quello neoliberista; 6) in questo quadro un “dialogo Gramsci - Matteotti”, che parta dalla loro analisi dell’avvento del fascismo dopo la fine della Grande Guerra, può essere propedeutico ad un rinnovato discorso culturale e politico di sinistra all’indomani della fine della Guerra Fredda (e in presenza dei ricordati fenomeni di crisi della democrazia e di fascismo di ritorno). Non ci interessa costruire una sorta di Pantheon comune fra compagne e compagni che hanno vissuto passate divisioni e che invece oggi sono unicamente impegnati ad affrontarne sfide nuove ed inedite; molto più interessante semmai una ricerca in mare aperto su quelle che definiamo “linee di successione” rispetto ai grandi del pensiero e dell’azione politica di sinistra del ‘900. Ritornare a Gramsci e Matteotti dunque. E non solo in ragione del grande valore morale e politico rappresentato dalla loro comunanza di martirio, ma soprattutto per alcuni tratti comuni della loro analisi. Che ci paiono tanto proficue a tanta distanza di tempo ed entro tutt’altra temperie politica e sociale. Come preziosa ci appare la coerenza e l’intransigenza, scevra di settarismo, che sempre sottese la loro vita. Sicuramente qualcuno potrà trovare fra i due autori testi o passaggi contradditori tra loro: condanne reciproche, interventi svolti sull’onda del contingente, che in apparenza parrebbero smentire la praticabilità di una ricerca attorno appunto a comuni “linee di successione”, ma si tratterebbe di letture superficiali e strumentali. Non ci si rapporta così ai classici. E Gramsci e Matteotti sono certamente dei classici della nostra modernità politica. Di certo a noi non interessa indulgere in polemiche di corto respiro. Molto più utile fissare alcune “linee” di lavoro: 1) intanto l’impegno a sviluppare una adeguata “profondità di pensiero politico”. Potrebbe essere utile in questo senso riscoprire la categoria di “pensiero lungo”, a indicare uno sforzo di analisi e proposta che abbia respiro e profondità; premessa indispensabile tanto alla ricerca delle origini classiche di una teoria critica dell’esistente, quanto alla immaginazione e realizzazione di scenari futuri all’insegna della qualità e della civiltà; 2) recuperare poi la capacità di riflessione e intervento sul presente che fu innanzitutto propria di Gramsci e Matteotti. Se il primo infatti è stato tanto l’organizzatore degli operai di Torino, quanto l’acuto interprete dei termini essenziali della “questione meridionale” (all’epoca coincidente in larga parte con la “questione contadina”), Matteotti è stato il riferimento dei braccianti di una delle zone più povere e d’intenso sfruttamento, quella del Delta del Po, ma anche chi indagò e denunciò le trame spesso oscure che intrecciavano già allora finanza e sfruttamento delle fonti energetiche; 3) ma decisiva è anche la questione morale. In Gramsci essa costituiva una sorta di stile di pensiero e di vita, strettamente connessa alla fatica del pensiero, al rigore degli studi e delle analisi indispensabili all’azione politica di una classe operaia che doveva essere classe dirigente nazionale. Ebbene era la stessa serietà e intransigenza che animava Matteotti, quella che sempre ne sostenne l’azione politica e parlamentare; si pensi solo alla capacità d’inchiesta, alla fermezza con cui agitò proprio la “questione morale” in faccia al fascismo rampante, quella stessa che costituì la vera ragione della sua condanna a morte; 4) ora fu proprio una radicale e coerente capacità di analisi a consentire sia a Gramsci sia a Matteotti di antivedere le dinamiche sociali e politiche che avrebbero portato al regime fascista. La cosa è tanto più significativa perché le loro intuizioni si sviluppavano in un clima nel quale, anche in ambiente antifascista, inizialmente ci si illuse che il movimento mussoliniano potesse essere solo un fenomeno passeggero, una “parentesi”, magari addirittura utile per riportare all’ordine liberale, dopo i drammi della guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra. Del resto allora addirittura a sinistra vi fu chi non riuscì a cogliere la pericolosità del fenomeno, considerandolo mero elemento degenerativo del capitalismo, cui ovviare attraverso il mero rilancio della dinamica della lotta di classe. Ebbene le analisi ben altrimenti approfondite di Gramsci e Matteotti, un certo stile intellettuale e morale, tornarono utili non solo dopo il 1945 per la ricostruzione dei grandi partiti della sinistra dell’Italia repubblicana, ma mantengono un’intatta utilità ancora oggi, in un paese in cui la sinistra è letteralmente scomparsa e ci troviamo di fronte a problemi immani ed inediti di rifondazione e ricostruzione. Per questo ci sembra indispensabile avviare un processo di “confronto costituente”. Gramsci e Matteotti possono contribuire a trovare la giusta direzione di marcia. Resta per altro per noi chiaro che quella che ci attende non è una operazione di mero valore scientifico, individuare infatti le linee “di frattura” e “di successione” deve servire a meglio preparare il terreno per lo sviluppo del più alto livello possibile di progettualità sistemica. Se ancora a cavallo tra il XIX il XX secolo definire cosa fosse il socialismo era abbastanza semplice e la divisione era su come raggiungere l’obiettivo di una società senza classi e con i mezzi di produzione in proprietà collettiva, oggi non solo in quel che resta della sinistra ci sono profonde differenze programmatiche, ma proprio il punto del socialismo è tutt’altro che condiviso. Si tratta dell’ennesima riprova della profondità di una crisi che è politica, teorica, morale, di classi dirigenti. Di qui l’esigenza, che avvertiamo impellente, di un ripensamento dei fondamenti di una teoria e pratica politica che possano dirsi di sinistra, socialiste, riformiste, radicali, intransigenti. Partire da Gramsci e Matteotti dunque come modo migliore per riprendere il cammino. Per dare sostanza ad un progetto politico ambizioso: che mira a ridare a poveri e sfruttati il loro partito e alla democrazia italiana una soggettività politica indispensabile. Necessaria alla sua qualità, alla sua rappresentatività, alla sua stessa sopravvivenza.

giovedì 1 agosto 2019

Fracassi e Scacchetti (Cgil). In un anno il governo ha portato l’economia in stagnazione. Dati Istat: occupazione non cresce. Crescita zero. Critiche da Renzi, Speranza, Brunetta, Confindustria, Confesercenti, Confcommercio, Federdistribuzione | Jobsnews.it

Fracassi e Scacchetti (Cgil). In un anno il governo ha portato l’economia in stagnazione. Dati Istat: occupazione non cresce. Crescita zero. Critiche da Renzi, Speranza, Brunetta, Confindustria, Confesercenti, Confcommercio, Federdistribuzione | Jobsnews.it

La sinistra latinoamericana ci riprova - Jacobin Italia

La sinistra latinoamericana ci riprova - Jacobin Italia

The Democratic Debate Showed the Left Is Winning

The Democratic Debate Showed the Left Is Winning

Red and green values | Fabian Society

Red and green values | Fabian Society

Corbyn on a vote of no confidence, Brexit, antisemitism and diversity - LabourList

Corbyn on a vote of no confidence, Brexit, antisemitism and diversity - LabourList

Giovanna Baer: Fra Stato e Mercato. L'ossimoro cinese

Giovanna Baer: Fra Stato e Mercato. L'ossimoro cinese

La rivista il Mulino: Madrid, 29/7/2019

La rivista il Mulino: Madrid, 29/7/2019

In Night 1 of the Democratic Debate, It Was Elizabeth Warren and Bernie Sanders Versus the Moderates | The New Yorker

In Night 1 of the Democratic Debate, It Was Elizabeth Warren and Bernie Sanders Versus the Moderates | The New Yorker