lunedì 31 marzo 2014

Francesco Maria Mariotti: Non si cambia in fretta la Costituzione

Non sarà una riforma autoritaria, come denunciano alcuni esponenti in un appello pubblico, ed è bene vedere il testo che verrà proposto nei prossimi giorni, sperando chiarisca le idee confuse che sono girate in questi giorni. Però la fretta è cattivissima consigliera nelle riforme costituzionali: un conto è smontare il CNEL, un conto è l'"abolizione" del Senato. Ritoccare il Testo fondamentale della nostra Repubblica con approssimazione non porta alcun beneficio, e rischia di creare disequilibri nel funzionamento complessivo dello Stato. Un tempo i partiti della sinistra erano fin troppo timorosi degli eccessivi poteri attribuiti ad alcune figure. Oggi il principale partito della sinistra sembra allinearsi senza troppe remore alla "fretta" del suo leader, addirittura richiamando il Presidente del Senato alla disciplina di partito... Per riscrivere la Costituzione bisogna essere in grado di "trascendere se stessi, i propri interessi particolari" (vd. intervista del 2010 a Zagrebelsky, che riporto qui sotto). Oggi questa riforma sembra tutta segnata dall'urgenza del particolare, dell'interesse al successo di una strategia politica, della necessità di "far vedere" che si cambia in un qualsiasi modo. No, non si tocca così la Carta di tutti. Fermiamoci a riflettere. Francesco Maria Ebbene le proposte oggi in discussione si muovono in una prospettiva molto diversa: l’obiettivo sembra molto più semplice, eliminare la seconda Camera o comunque farne un organo sostanzialmente inutile o inefficiente. Si pensi in primo luogo alla composizione che mette insieme la rappresentanza di interessi diversi se non contrapposti come quelli delle Regioni e dei Comuni, secondo un modello che non esiste in nessuna parte del mondo. Si pensi, in secondo luogo,all’incertezza che c’è circa il “peso” che questi nuovi senatori avrebbero: possibile che un sindaco di un Comune di qualche migliaia di abitanti “pesi” come un Presidente di una grande Regione? Ma, soprattutto, i dubbi riguardano più in generale l’utilità di quest’organo, che in teoria dovrebbe consentire la prevenzione dei conflitti “legislativi” tra Stato e Regioni, quando contestualmente la proposta modifica del Titolo V di fatto azzera la potestà legislativa regionale, riconducendo alla potestà esclusiva dello Stato quasi tutto ciò che può essere oggetto di disciplina legislativa ed elimina la potestà legislativa concorrente delle Regioni. http://www.articolo21.org/2014/03/una-proposta-di-nuovo-senato-confusa-e-probabilmente-inutile/ Professore, ma che cosa è una Costituzione? «È lo strumento attraverso il quale ci diamo una forma di vita comune. Sottolineo il comune. Per darsi una Costituzione bisogna riuscire a trascendere se stessi, i propri interessi particolari. Benedetto Croce, all’inizio dei lavori dell’Assemblea costituente avrebbe voluto che si svolgessero sotto il segno del Veni Creator Spiritus. Aveva suscitato stupore che tale invocazione provenisse proprio da uno dei massimi esponenti della cultura laica. Ma non aveva nulla di clericale. Era la consapevolezza che ci si accingeva a un’opera che ha qualcosa di sovrumano. Fare, o cambiare, la Costituzione non è fare una legge qualunque. Oggi si crede che chiunque possa mettere mano alla Costituzione, che basti volere e poi scrivere quel che s’è voluto, come una legge qualunque. Che ingenuità e presunzione! Se si fa così, si creano mostri, dei quali, prima o poi, ci si pentirà. Un tempo si pensava che le costituzioni fossero opera della Provvidenza (De Maistre) o dello Spirito incarnato nella storia (Hegel), cioè per l’appunto di forze sovrumane. Oggi si pensa altrimenti, ma resta la questione: la Costituzione è fatta per valere nei confronti degli stessi che la fanno. Bisogna credere che questi, soggetti particolari, siano capaci di uscire dal bozzolo dei loro interessi e provvedano per il bene di tutti». http://legvaldicornia.wordpress.com/2010/01/15/zagrebelsky-sulla-costituzione/

domenica 30 marzo 2014

Livio Ghersi: Si fa presto ad invocare il riformismo costituzionale

Si fa presto ad invocare il riformismo costituzionale. Un Ernesto Galli della Loggia particolarmente accorato ci chiede: «che razza di Paese è quello in cui le migliori energie intellettuali non esitano a tradurre la loro legittima passione politica in pura faziosità, ignorando decenni (decenni!) di studi, di discussioni, di lavori di commissioni parlamentari, che hanno messo a fuoco in maniera approfonditissima i limiti del nostro impianto costituzionale di governo?» (editoriale titolato "I sacerdoti del non si può" nel quotidiano "Corriere della Sera", edizione del 30 marzo 2014). L'argomento "è decenni che se ne discute", tanto caro all'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, contiene una verità e due bugie: è vero che tanto la Forma di governo, quanto la Forma dello Stato, disegnate dalla Costituzione della Repubblica italiana sono state messe in discussione. E' però falso che ci sia concordia di vedute nell'analisi, ossia nell'individuazione dei motivi che imporrebbero un cambiamento. E' ancora più falso che ci sia concordia di vedute nelle soluzioni, ossia nei modelli alternativi da inserire in Costituzione al posto degli attuali. La realtà è complessa, la società è complessa, le culture politiche sono articolate; quindi risorge periodicamente nei semplificatori la tentazione di tagliare i nodi più aggrovigliati con un colpo di spada. Basta chiacchiere, bisogna affidarsi a chi non subisce la realtà, ma la vuole modificare. A tutti i costi. Come avvenne nel mito di un grande condottiero, conquistatore e costruttore di imperi: Alessandro il macedone, detto appunto "Magno". Ricordo a me stesso il saggio "Der gordische Knoten", in italiano "Il nodo di Gordio", di Ernst Jünger, in cui, tra l'altro si legge: «Le istituzioni libere hanno lo svantaggio di essere gestite da molte teste e molte idee. I movimenti che dipendono da trattative, interessi, alleanze incerte sono, di necessità, più deboli di quelli condensati da una sola volontà» (si veda Ernst Jünger - Carl Schmitt, "Il nodo di Gordio", a cura di Carlo Galli, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 46). Jünger, autore ostile al liberalismo ed alla democrazia, fu fautore del decisionismo e dell'autorità del Capo. Inizialmente vicino al nazional-socialismo tedesco, che poi criticò in nome di una concezione aristocratica. I teorici ed i sostenitori della liberaldemocrazia rovesciano completamente questa impostazione: il conflitto non è un male, ma è ciò che continuamente pone i detentori del potere come di fronte ad uno specchio e li costringe a rendere conto delle proprie decisioni. Il contrasto delle idee è sempre fecondo e aiuta tutti ad allargare i propri orizzonti, quindi a crescere intellettualmente e spiritualmente. La diversità delle opinioni serve a far sì che si possa arrivare a decisioni più ponderate, dove tutti gli elementi a favore e contro un determinato provvedimento siano stati considerati e infine risolti in una sintesi accettata da una maggioranza numericamente adeguata per adottare una decisione. Il pluralismo culturale e sociale arricchisce una comunità sociale, laddove, al contrario, semplificare può significare ricondurre ad uniformità, quindi impoverire. La Germania guglielmina, nel periodo precedente la prima guerra mondiale, era una potenza economica, industriale, militare, all'avanguardia nella scienza e nella tecnica, ma era un "nano" politico: comandava l'imperatore, il Kaiser. Cancelliere e Governo erano nominati dal Kaiser e potevano da lui essere licenziati in qualsiasi momento. Il Parlamento era poco più che un Organo consultivo. Fu così che il Kaiser assunse le proprie decisioni ascoltando i suggerimenti degli alti comandi militari e la Germania, fino ad allora potenza in ascesa negli equilibri mondiali, andò incontro ad una sconfitta rovinosa nella prima guerra mondiale. La morale è che chi decide da solo decide velocemente, ma non sempre saggiamente; e, se sbaglia, non ha di fronte a sé alcun Organo che possa correggere i suoi errori. Il popolo ne paga le conseguenze. La liberaldemocrazia non ama i costruttori di imperi e respinge la logica stessa dell'imperialismo. L'idea della libertà repubblicana è ben più antica di Cesare e dell'Impero romano. La repubblica deve fondarsi sulle virtù repubblicane diffuse fra i cittadini, in primo luogo l'amor di Patria, come insegnò Montesquieu. Quando, durante gli anni della dittatura fascista in Italia, studiosi come Benedetto Croce, Adolfo Omodeo, Meuccio Ruini, cercarono, come lascito teorico per le successive generazioni, di mettere in luce il periodo iniziale del liberalismo europeo, fissarono la propria attenzione sulla personalità e l'opera di una donna straordinaria, Madame de Staël, che aveva svelato le caratteristiche tiranniche dell'imperialismo di Napoleone Bonaparte e che fu come l'incarnazione vivente di una lotta senza quartiere contro Napoleone, condotta in nome della libertà, non in nome dell'oscurantismo. E' molto comodo raccontare la favoletta che in Italia finalmente si è manifestato il nuovo Demiurgo, al secolo Matteo Renzi, il quale vuole tutto innovare e tutto riformare. Nella medesima favoletta quanti si oppongono a cotanto Demiurgo vengono descritti come "conservatori costituzionali"; ma piace utilizzare nei loro confronti anche espressioni come "palude", "resistenze corporative", eccetera. Ricordo agli smemorati che l'attuale Costituzione della Repubblica italiana non è la stessa che entrò in vigore il primo gennaio del 1948. Vediamo di ripercorrere le più salienti modifiche. — Legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1: riguarda la Forma di governo delle Regioni. Ha il torto di avere demandato alle leggi regionali la disciplina del sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, nonché dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità (modica dell'articolo 122 Cost.). Soprattutto, ha il torto di avere affermato un modello di Forma di governo presidenziale che pone il Consiglio regionale, ossia l'Assemblea rappresentativa, in un ruolo subordinato rispetto al Presidente della Regione direttamente eletto dal Corpo elettorale. Al punto che è stabilito quanto segue: «l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie» (comunque motivate) del Presidente della Regione comportano lo scioglimento del Consiglio regionale (modifica dell'articolo 126 della Cost.). Come se questo non avesse una sua fonte di legittimazione democratica. — Legge costituzionale 23 gennaio 2001, n. 1: ha modificato gli articoli 56 e 57 della Costituzione, prevedendo che dodici deputati e sei senatori siano eletti in una Circoscrizione Estero. Con tutto il rispetto per la memoria dell'ispiratore di quella riforma, l'onorevole Tremaglia, resta il ridicolo di avere suddiviso il mondo in circoscrizioni elettorali del Parlamento italiano, riconoscendo il diritto di voto anche a cittadini di altri Stati, i quali magari non parlano neppure più la nostra lingua. — Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3: recante modifiche al Titolo quinto della Parte seconda della Costituzione. Questa legge costituzionale fu approvata da una maggioranza parlamentare di Centrosinistra. Si disse che mutava la Forma dello Stato italiano in senso federale; anche se lo Stato italiano aveva già un assetto istituzionale articolato in venti Regioni, cinque delle quali dotate di speciale autonomia. Quella legge fu fatta per compiacere la Lega Nord. Furono previsti quattro livelli di governo territoriale: Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni (modifica dell'articolo 114 Cost.). Si affermò che ciascuno dei quattro predetti livelli di governo territoriale avesse «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (modifica dell'articolo 119 Cost.). Il tutto senza preoccuparsi minimamente di promuovere un riordino dei Comuni esistenti, molti dei quali impossibilitati, per le ridotte dimensioni demografiche, a svolgere i compiti di istituto. Vennero eliminati il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione esercitato da un organo dello Stato (modifica del'articolo 125 Cost.) ed il controllo di legittimità sugli atti delle Province e dei Comuni esercitato da un organo della Regione (abrogazione dell'articolo 130 Cost.). Venne eliminata la figura del Commissario del Governo che in ciascuna Regione doveva apporre il visto sulle leggi approvate dal Consiglio regionale (modifica dell'articolo 127 Cost.). Con la conseguenza che tutte le leggi regionali sono promulgate e pubblicate ed, eventualmente, il Governo della Repubblica, entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale. Inutile esaminare puntualmente tutti gli inconvenienti determinati dalla legge costituzionale n. 3/2001. Basti ricordare che il contenzioso dinanzi alla Corte Costituzionale è aumentato esponenzialmente. Che il malcostume politico ed amministrativo nelle Regioni e negli Enti locali è stato incoraggiato dal riconoscimento di maggiore autonomia decisionale, anche conseguente all'eliminazione del sistema dei controlli prima previsto. E' lo stesso Presidente del Consiglio in carica ad avere proposto una nuova modifica del Titolo quinto della Costituzione. Con ciò riconoscendo ufficialmente che la riforma del 2001 non ha dato i risultati sperati. Personalmente sarei interessato pure ad un giudizio politico sulla qualità del riformismo dei decisori politici di allora. — Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1: riguarda l'introduzione del principio del pareggio di bilancio in Costituzione. Ha avuto un iter parlamentare da record, per la brevità dei tempi. Prima approvazione da parte della Camera il 30 novembre 2011. Prima approvazione da parte del Senato il 15 dicembre 2011. Approvazione, in seconda lettura, da parte della Camera il 6 marzo 2012. Approvazione definitiva da parte del Senato, in seconda lettura, il 17 aprile 2012. Non si è svolto il referendum confermativo, perché tanto la Camera, quanto il Senato, hanno approvato con una maggioranza superiore ai due terzi dei propri componenti. E' strano come di questa riforma costituzionale, che potrebbe essere citata ad esempio perché realizzata in meno di cinque mesi, nessuno abbia voglia di parlare. Invero quella riforma fu approvata in uno strano clima: con i deputati ed i senatori usi ad obbedir tacendo, come i Carabinieri, i grandi mezzi di informazione quasi silenti, ed i pochi osservatori che, magari tramite la rete Internet, riuscivano ad esprimere qualche critica, trattati come pericolosi sovversivi. La conclusione da trarre è che in Italia, purtroppo, il riformismo costituzionale è stato molto praticato. Ed ha fatto disastri. Di conseguenza, quando il nuovo Demiurgo chiede che siano prontamente approvate rilevanti riforme costituzionali così come lui le propone, minacciando altrimenti di lasciare la vita politica, gli rispondiamo sommessamente che delle riforme vogliamo soppesare pure le virgole. Quanto al suo eventuale abbandono, l'Italia è sopravvissuta alla morte di un Presidente del Consiglio che si chiamava Camillo Benso di Cavour, figuriamoci se non potrà fare a meno di Renzi. Palermo, 30 marzo 2014 Livio Ghersi

PERCHE’ LA SINISTRA: IL GOVERNO RENZI DOPPIAMENTE ILLEGITTIMO di Patrizia Turchi e Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: IL GOVERNO RENZI DOPPIAMENTE ILLEGITTIMO di Patrizia Turchi e Franco Astengo

René Maret: Francia ed Europa

Milan, le 27.08.2013 Chères et chers Camarades, Vous trouverez ci-joint un texte introductif au thème de l' Europe au programme de la table ronde organisée par notre Fédération lors de la CF avec la participation de notre Ministre Pierre Moscovici. En fait la première partie de ce texte est en grandes lignes le diagnostique fait par le PSE il y a plusieurs mois mais qui est toujours d'actualité. Le diagnostique : Nous pouvons convenir que l’évolution de la condition humaine au travers de ces dernières décennies en particulier a été l’objet de l’application d’un processus hétéroclite et pervers auquel les sphères financière, monétaire et économique ont largement contribué. Nous en subissons aujourd’hui les conséquences les plus dramatiques. En effet, la succession de périodes à forte croissance intercalées à celles de grave crise ont pour résultat de déstabiliser notre société dans tous les secteurs et sous toutes ses formes. Nous sommes arrivés au terminus, ce système n’offre plus de marge de manœuvre. Jusqu’à présent pour résoudre une crise nous avions utilisé des mécanismes financiers et économiques efficaces à court terme seulement sans se préoccuper de leur validité à long terme. Chaque nouvelle crise exigeait des solutions différentes et des outils toujours plus complexes pour la surmonter. Nous avons en fait navigué dans l’illusion que la croissance pourrait être infinie. Le concept de croissance n'est pas approprié il vaut mieux le remplacer par survie harmonieuse et stable ou développement durable. Bien avant l’imminence du point de non retour de cette catastrophe annoncée les politiques, les organismes financiers de contrôle ne sont pas intervenus. Pour intervenir il fallait d’abord se mettre tous d’accord pour coordonner un plan d’intervention efficace, mais l’entreprise était trop ardue et personne ne voulait prendre cette lourde responsabilité, ainsi le laisser faire a prévalu. Cette crise est de loin la plus grave que nous ayons connue jusqu’ici; globale, elle affecte le monde entier, tous les secteurs et chacun de nous. La gravité de cette crise est due principalement parce que les fondamentaux du système n’ont jamais été respectés. Nous avons accumulé à la fois, crise financière , monétaire, économique, énergétique, écologique, climatique, de l’immigration et surtout sociale. Cette crise est la démonstration que le marché ne peut s’autoréguler, donc le rôle des États doit être réhabilité, ceux-ci doivent coordonner avec les institutions internationales à la définition de critères à respecter scrupuleusement afin que le modèle de développement de la planète toute entière puisse trouver le plus tôt possible un équilibre stable et durable. C’est notre société qui doit changer de fond en comble et cela va prendre beaucoup de temps. A défaut d’avoir dans l’immédiat une gouvernance mondiale , changer la société dès maintenant est la seule voie possible pour garantir l’avenir des futures générations et l’Europe doit impérativement devenir un acteur prépondérant mais pour cela la structure de ses institutions politiques doit être refondée. C’est à dire la souveraineté populaire doit être représentée par le Parlement européen élu au suffrage universel qui devrait à son tour désigner les membres de la Commission. Les socialistes et sociaux démocrates européens ont élaboré et signé un projet commun : Le Manifesto qui place avant tout : Les citoyens d’abord, c’est la première étape pour changer la société. J' ajoute à ce texte les notes suivantes: Après un peu plus de 50 ans de construction de l' Europe le résultat actuel est à l'opposé de ce que souhaitaient ses habitants au départ. Les écarts de niveau de vie entre les différents pays européens et à l' intérieur de ceux-ci au lieu de se réduire ne font que se creuser. Exemple: Allemagne et Grèce. Pays de l' Europe du Nord et du Sud. Il n' y a pas eu d'intégration. Jusqu' à présent nous avons appliqué une politique " cut and try ", au jour le jour et de bouche trous, on navigue à vue. Il est inconcevable que le Conseil européen doit attendre les résultats des élections dans tel ou tel pays avant de prendre ses décisions; quelle perte de temps! Pourquoi tout cela? parce que les Pères fondateurs n'ont pas eu une vision précise de ce que devait devenir l' Europe à long terme et par conséquent n' ont pas défini un projet ni établi une feuille de route à moyen et à long terme. Il ne faut pas avoir peur de construire l' Europe! Sinon nous allons nous retrouver dans une situation qui sera pire que celle de l' après guerre: sans espoir!! avec l'exclusion de générations entières ce qui nous pose déjà des problèmes insurmontables. Nous avons sous nos yeux les effets pervers de l'ultra libéralisme. La cohabitation dans un même système de pays appliquant des règles différentes c'est accentuer les déséquilibres entre pays, ce qui est propice aux délocalisations et au capitalisme sauvage. Une Europe à la carte ne fonctionnera jamais. Il est donc nécessaire de changer de cap rapidement et de rédiger une Charte du Citoyen européen. Il faut réorienter l' Europe: pour cela nous pourrions nous inspirer de l'intervention de notre Président devant le Parlement Européen pour modifier l' architecture des institutions européennes. Le parlement européen devrait nommer un gouvernement ( la commission ) qui aurait pour tâche: - de donner à la BCE les mêmes pouvoirs dont jouit la FED. -d' harmoniser les politiques fiscales et tout ce qui touche les services publics: l' eau, l'énergie, les transports, l'éducation et la recherche, la santé, les retraites, la défense, définir et réaliser en commun de grands projets utiles . Définir une politique industrielle commune. Réglementer les multinationales et les paradis fiscaux. Prendre des mesures radicales pour éliminer l' évasion fiscale Utiliser le numérique dans tous les secteurs et à tous les niveaux, ne pas favoriser la rente. Définir en commun avec les pays africains un vaste projet d'investissement pour l' Afrique. A la fin du processus d'intégration de l' UE il ne devrait plus y avoir pour le citoyen européen quelque soit son lieu d'origine ou son lieu de résidence en Europe de différences en ce qui concerne ses droits, ses devoirs et son niveau de vie. Il faut prendre aussi en considération que nous sommes déjà entrés dans l' ère post industrielle, produire ce n'est plus un problème grâce aux progrès de la technologie. Le changement c'est une question de volonté politique. En vous souhaitant un fructueux débat à tous, amitiés socialistes, René Maret Milan

venerdì 28 marzo 2014

Economisti in rivolta: basta politiche monetarie, i neoliberisti sono una minoranza | Carlo Patrignani

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PROLETARI DAL COLLETTO BIANCO - N.Cacace - esclusi dal Jobs Act - | Sindacalmente

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Domanda e offerta, il mantra dell'austerity / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Le alleanze sociali al posto delle prediche | Redinking

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Europeismo, euroscetticismo e sovranità nazionale

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Verso una dimensione politica dell'UE

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Martin Schultz: Maggio: per l'Europa è tempo di cambiare

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Europe: The debate between Habermas and Streeck about the Left and Europe’s future - Luca Corchia | Reset Dialogues on Civilizations

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Habermas: This is Why the Anti-European Left is Wrong | Reset Dialogues on Civilizations

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Salvador, victoire de la gauche - Notes - Publications - Fondation Jean-Jaurès

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Nadia Urbinati: I doveri della sinistra

La Repubblica - 07 novembre 2013 I doveri della sinistra Il liberismo ha convinto per anni le maggioranze politiche che la sua ideologia fosse la strada migliore per realizzare la promessa di libertà. È il momento di riportare al centro la battaglia contro un pensiero che ci ha inculcato l'abitudine a leggere gli squilibri di potere come malasorte di NADIA URBINATI Come si può pensare di fare a meno della Sinistra in una società nella quale il tasso di disoccupazione ha superato il 12 per cento, la soglia di povertà è sempre più alta, e il senso di impotenza dei giovani e meno giovani ha effetti deprimenti sull'intera società? La domanda dovrebbe sembrare retorica e invece non lo è perché la Sinistra incontra difficoltà straordinarie a convincere i cittadini che di essa c'è bisogno. Non solo in Italia. L'ostacolo è prima di tutto ideologico; non dipende dal fatto che la Sinistra non può dimostrare di avere una storia di successo: la costruzione dello stato sociale è avvenuta anche grazie alla Sinistra ed è stata una storia di successo. Dopo di che, però, le idee che erano della Sinistra - la liberazione dal bisogno, la dignità e la libertà individuale, e perfino l'eguaglianza delle opportunità - sono state per anni rappresentate dalla Destra; e fino allo scoppio di questa crisi, sembravano meglio realizzate dal liberismo la cui potente ideologia - "meno stato più mercato" - ha convinto per anni le maggioranze politiche, un poco dovunque, che questa fosse la strada migliore per realizzare la promessa di libertà. Quella della Sinistra è stata una sconfitta ideologica dunque, che dura da molti anni. Aggravata dalla crisi di legittimità dei partiti politici che sta cambiando la faccia della democrazia rappresentativa e che alimenta l'insoddisfazione per la politica praticata la quale a sua volta dà ossigeno ai populismi e al mito della politica anti-partititica. Un mito che appartiene sia ai demagoghi sia agli esperti di economia che sognano di liberare la politica dall'ideologia e di portare la competenza tecnica al potere. Se non che le sorti possono cambiare - questo ha detto il nuovo sindaco di New York, Bill de Blasio. Possono cambiare se sappiamo spiegare di chi sono le responsabilità di questa crisi devastante: sono della Destra non della Sinistra, del giacobinismo liberistico che ha conquistato il palazzo d'Inverno prima a Londra e a Washington per poi mettere al bando in pochi anni la social-democrazia del vecchio Continente e dimostrare che al benessere diffuso si arrivava meglio e prima scatenando il capitale invece di responsabilizzarlo e regolarlo. Si tratta ora di deviare da questo percorso: la sfida non è facile, ma non utopistica come la vittoria del progressista de Blasio dimostra. Certo, ci vuole coraggio. Ci vuole la determinazione a recuperare il linguaggio e gli ideali che danno senso a questa sfida, la giustificano e, soprattutto, richiedono un soggetto politico che operi nel solco della tradizione social-democratica. Gli ideali sono gli stessi che erano alla base della costruzione delle democrazie europee nel secondo dopoguerra, e che la reazione neo-liberista ha sminuito; tre in particolare: 1) l'eguaglianza, non solo delle opportunità legali ma anche delle condizioni sociali che consentono ai cittadini di intraprendere le loro scelte di vita con responsabilità; 2) il senso di sé delle persone, la fiducia nelle proprie forze progettuali che nasce dalla libertà dal bisogno; e 3) la dignità delle persone per ciò che sono, comunque esse siano. Tre ideali sono contenuti nella nostra Costituzione e hanno spesso avuto come protagonisti attivi i cittadini che stanno ai margini, le minoranze morali e culturali appunto; coloro che hanno sperimentato e mostrato il valore del movimento e della partecipazione politica, spesso spontanea e non rappresentata dai partiti parlamentari: i movimenti femminili contro la violenza, per il lavoro e la non discriminazione nella carriera; quei cittadini che comprendono l'importanza di difendere beni comuni fondamentali, come la scuola e l'ambiente; gli omosessuali o chi ha differenze di stili di vita e di fede rispetto alla maggioranza - tutti questi protagonisti interpellano la collettività e la politica istituzionale nel nome di ciò che la democrazia promette: eguaglianza di considerazione e delle condizioni di partenza per poter esprimere se stessi; libertà dal bisogno che umilia la responsabilità individuale e rende passivi; libertà dall'offesa e dall'umiliazione che deriva dall'essere penalizzati per non appartenere alla parte giusta o alla maggioranza. Restituire alla Sinistra il significato progressista di emancipazione dalla servitù del bisogno - e per questo riportare al centro l'attenzione alle condizioni sociali della cittadinanza. Il preambolo della nostra Costituzione rende perfettamente il significato di questi valori quando afferma che l'Italia è "una Repubblica fondata sul lavoro". Ci dice infatti che la libertà politica (la repubblica) è possibile perché i cittadini sono socialmente autonomi, non soggetti al dispotismo degli amministratori delegati, ma nemmeno al paternalismo della carità pubblica. La cittadinanza lancia un progetto ambizioso contro la povertà perché la tratta come un male non da lenire ma da sradicare. Alla povertà, la democrazia sociale del dopoguerra ha dato un nome preciso: assenza di lavoro, disoccupazione. Perché questo sistema politico si regge sulla possibilità di ciascuno di pensare a se stesso e alla cura dei figli; di farlo con dignità e per mezzo di un'attività che non umilia: il lavoro in cambio di un salario dignitoso e di diritti ad esso associati, da quello alla scuola, alla salute e alla sicurezza sociale. Mettere il lavoro alla base del sistema politico comporta rivederne il significato, il valore, il senso: significa emanciparlo dallo stigma della sofferenza facendone una condizione di possibilità ed emancipazione. Un'impresa titanica che la democrazia moderna è riuscita a compiere solo molto parzialmente e quando si è legata alla tradizione socialista non quando se ne è distanziata. Perché lavoro dignitoso e fiducia nelle proprie capacità stanno insieme e possono decadere insieme, come vediamo oggi. La cultura politica di una Sinistra democratica dovrebbe riportare al centro la battaglia contro un'ideologia che ci ha inculcato l'abitudine a leggere gli squilibri di potere come malasorte o sfortuna, la diseguaglianza nelle condizioni sociali come meritata sconfitta.

giovedì 27 marzo 2014

La Cina diventa la seconda azionista di Eni e Enel | Gad Lerner

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Batosta francese - Eddyburg.it

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Spd, lotta al dumping fiscale - Casa Europa - ComUnità - l'Unità

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Che stupidaggine le sanzioni, parola di Helmut Schmidt - Casa Europa - ComUnità - l'Unità

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La solitudine di Hollande davanti al muro del Fiscal compact - Casa Europa - ComUnità - l'Unità

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mondiepolitiche: La Guerra Senza La Guerra

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Felice Besostri: Francia amara

LA FRANCE N’EST PAS DOUCE POUR LE SOCIALISTES ET LA GAUCHE Per chi ama le cose chiare il risultato delle elezioni municipali francesi semplifica la vita. Il PS è stato sconfitto e in modo cocente anche se il 30 Marzo potrebbe limitare i danni, con alleanze per il secondo turno con EELV(Ecologisti Europei-I Verdi) e il Front de la Gauche. Con i primi è più facile, poiché erano già alleati alle legislative. L’apporto ecologista, tra l’altro, appare più consistente di quello del FdG. A Parigi l’EELV 8,86% > 4,94% FdG, lo stesso a Lione, anche se con scarto più ridotto 8,9%>7,56%. Nelle grandi città fa eccezione Marsiglia perché PS e EELV si sono presentati uniti con Patrick Mennucci fin dal primo turno con un risultato rovesciato rispetti alle precisioni: un miserabile 20,77%, che lo colloca al terzo posto, dietro il Sindaco uscente di destra, J. C. Gaudin (37,64%) e il candidato FN(23,16%). A Parigi la sinistra (PS-EELV-FdG) supera di poco il 48% a fronte di un 43% del blocco di destra, a Lione l’inossidabile Collomb conta sul 52,22 al primo turno ed è favorito dalla triangolare. Gli elettori del FN non fanno tattica e non hanno interesse a favorire la destra e quindi si manterranno alle 229 triangolari di città medie ed importanti cui sono stati ammessi per la prima volta. In 17 città superiori ai 10.000 abitanti il FN è il primo partito. In termini di voti assoluti la vittoria del FN è oscurata dal fatto che si è presentato nella minoranza delle municipali, in quanto è ancor un voto di opinione e non è strutturato diffusamente sul territorio. Queste municipali saranno l’avvio di un maggiore radicamento. Il Partito Socialista ha sempre avuto nei municipi i suoi bastioni anche quando era in difficoltà sul piano nazionale, per questo è una sconfitta, che colpisce il Partito nel cuore. La sconfitta era messa in conto, ma non la sua dimensione: è la Presidenza Hollande e le delusioni seguite alla sua trionfale elezione del 2012, che gli elettori hanno punito in 2 modi, con l’aumento dell’astensione, raddoppiata in 30 anni dal 1 su 5 del 1983 ai 2 su 5 di quest’anno( 38,7%), cioè un 5% in più di quando erano 1 su 3 nel 2008 e con il voto al FN. Nel panorama delle sconfitte alcune sono simboliche. Le Monde si apre con una foto di Marine Le Pen, presidente del FN e Steeve Briois, segretario generale del FN, candidato sindaco eletto al primo turno a Hénin- Beaumont. Questa cittadina del Nord Pas de Calais, una delle culle del movimento operaio e socialista, dal 1919 al 1940 ha sempre avuto uno stesso sindaco della SFIO e nel dopoguerra, dopo una breve parentesi PCF, sempre sindaci PS o d’unione di sinistra. In questo caso è evidente che vi è stato un trasferimento diretto di voti dalla sinistra al FN. Già alle presidenziali la Le Pen aveva detto che la divisione non era destra sinistra, che non ha più senso, ma tra i privilegiati che si riconoscono nel Partito unico al potere UMPS (UMP+PS), che si alternano per fare le stesse politiche dettate dall’Europa e fgli altri. Dopo le municipali ha rafforzato il concetto che la divisione passa tra il basso e l’alto, cioè chi è colpito dalla crisi in maniera più dura Alcune cifre: 391 sono le città che hanno eletto il sindaco al primo turni, di queste 139 alla sinistra, 250 alla destra e 2 al FN. 27 città hanno cambiato maggioranza, di cui 24 da sinistra a destra, appena 3 in senso contrario, ma poco significative, 2 sono oltremare in Guadalupa Nelle città con oltre 10.000 abitanti la destra ottiene il 45,9%(45,5% nel 2008) , l’estrema destra 9,2%( 0,7% 2008), la sinistra 41,4%( 45,5% 2008) e l’estrema sinistra 1,3%( 1,5% 2008). La destra non vince per meriti suoi e considerata la minore partecipazione elettorale è praticamente certo che abbia perso in voti assoluti. L’altro dato è che le perdite della sinistra non vanno all’estrema sinistra, che perde in percentuale e quindi in voti assoluti. Una situazione spagnola dove le perdite del PSOE sono andate in minima parte a Izquierda Unida e il PP ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi perdendo voti. Nel 2009 in Germania federale le perdite della SPD solo per un terzo si distribuirono tra Linke e Verdi, il resto nell’astensione. L’astensione è il dato che ha caratterizzato anche i voti raccolti dall’Ulivo nel 1996 e quelli delle elezioni successive: un problema non solo quantitativo ma qualitativo, se l’astensione dal voto è percentualmente più alta tra i giovani e le classi popolari. Nel 2013 in Italia alla Camera votarono soltanto 500.000 elettori in più del Senato, benché sulla carta ci fossero 4 milioni e mezzo di elettori in più: la classe età 18-24 anni non è andata a votare. Il bipolarismo in Francia, se non è morto con questi risultati, è entrato in agonia: i collegi uninominali con ballottaggio eventuale non assicurano un effetto maggioritario, se le triangolari diventassero la regola. Nel 2012 sono state appena 46 su 577 seggi, meno del 8%, in Italia con i risultati 2013 sarebbero la regola e non sarebbero escluse quadrangolari nelle zone pedemontane del Nord Italia. Con l’Italicum si cerca di mettere le briglie agli elettori o le mutande alla politica: se non ha effetto è una sconfitta per chi lo propone, se ha effetto rimanda solo nel tempo la disaffezione verso le istituzioni e quindi la democrazia. Se aumenta la crisi economica, politica e sociale avere una maggioranza artificiale dei seggi non serve a nulla a meno di ricorrere a poteri speciali per reprimere il disagio sociale. La sensazione che le arti più svantaggiate della società non siano più rappresentate nelle istituzioni è un spinta verso i partiti fuori sistema, che sono i più vari dal FN al Blocco Fiammingo, dall’UKIP a i Veri Finlandesi per finire al M5S, che è meglio che se la protesta fosse rappresentata da Fratelli d’Italia Forza Nuova. La riduzione del numero dei rappresentanti elettivi e i sistemi maggioritari semplificano solo apparentemente il sistema politico, tanto più se di accompagnano alla demagogia dell’anti-politica interpretata da figure istituzionali. Matteo Renzi sottovaluta l’effetto devastante di caratterizzare l’abolizione delle Province con “ abbiamo tolto l’indennità a 3.000 politici”, come aveva giustificato l’abolizione del Senato con un risparmio di un miliardo di Euro. Se sono questi i risparmi aboliamo la Camera che ne costa 2, ovvero Camera e Senato così se ne risparmiano 3 forse 4 di miliardi. Il rafforzamento degli esecutivi e la riduzione dei poteri dei Parlamenti e delle assemblee elettive sono strettamente collegate al capitalismo finanziario, che non ha bisogno della Stato se non nel senso che non ci siano poteri pubblici, che possano regolare i mercati o porre freni al libero movimento dei capitali. Per la loro libertà gli interlocutori pubblici devono essere ridotti di numero e quindi più facilmente influenzabili , controllabili se non corruttibili. I governi sono più direttamente dipendenti dai voti delle agenzie di rating, quando il sistema mediatico amplifica le loro valutazioni. La democrazia è in pericolo e la sinistra che fa? Interessante è notare che mentre si cerca di far passare il messaggio che la distinzione sinistra destra non c’è più in un coro a più voci dove cantano sia Marine Le Pen, che Massimo Cacciari, a sinistra con forza si sostiene che di sinistre ce ne sono addirittura 2 ovviamente una, la propria, è quella vera e quella degli altri è la falsa sinistra. Il tutto in assenza di un’analisi delle classi sociali e del modello di società cui si aspira e dei mutamenti introdotti dalla finanziarizzazione del capitalismo. Continuiamo così e delle 2 sinistre 2 fra un po’ non ne rimarrà nemmeno una. Felice Besostri Presidente Rete Socialista-Socialismo 26 marzo 201

martedì 25 marzo 2014

La «gauche» intollerante e la crisi ideologica francese / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

La «gauche» intollerante e la crisi ideologica francese / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Rosarno e l'Inghilterra di Marx / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Rosarno e l'Inghilterra di Marx / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

Paolo Zinna: Ad un amico che va a lavorare per il Governo

Ad un amico che va a lavorare per il Governo

Europa: il ritardo del PD e le speranze del PSE

Europa: il ritardo del PD e le speranze del PSE

Vittorio Melandri: La lezione della Francia

La lezione che viene dalla Francia I “sinistri” cugini d’oltralpe, già nel 2002 al tempo dello scontro Le Pen padre Vs. Chirac, si erano con le loro stesse manine messi nelle condizioni di dover sostenere al ballottaggio il “destro” Chirac, per battere il “destrissimo” Le Pen. Il PD, ancora oggi affetto dal cretinismo del 51%, lascito dell’ottimo Enrico Berlinguer, in questi anni ha fatto di tutto per ripetere l’impresa dei cugini, e forse per invidia, ha cercato in ogni modo di infilarsi in tutti i “cul de sac” possibili e immaginabili, per poi poter dire che non c’erano alternative alle opzioni politiche scelte ob torto collo, ovvero a quelle più masochistiche per la sinistra e sbagliate per il paese. Sia chiaro, anche altre “sinistre idiote” non hanno fatto di meglio del PD. Da quelle sedicenti radicali che ancora ripetono il mantra adottato anche da Grillo, “noi non ci alleiamo con nessuno”, prendendo però a differenza di Grillo lo 0,25% anziché il 25; a quelle che assorbite per caso in alleanze più decenti, di quelle con Alfano e Berlusconi, hanno puntualmente fatto poi di tutto per farle saltare; in grande con i Bertinotti e in piccolo con i Turigliatto. Insomma gira e rigira, dobbiamo tutti rassegnarsi, a sinistra all’IDIOZIA non c’è limite che tenga. Detto con la morte nel cuore, visto che mi considero un cittadino elettore capace solo di votare a sinistra. Vittorio Melandri

lunedì 24 marzo 2014

Aldo Penna: I nuovi Unti

La Terza Repubblica è nata nel novembre del 2011 e, come accade a nascite illustri da tenere segrete, i suoi natali non sono stati celebrati. Due anni dopo quel parto si è ripetuto e la Nuova Repubblica sta mettendo salde radici. Prima un tecnico prestato alla politica, poi per pochi mesi un mancato tecnico intestarditosi a far politica, infine sulla scena è arrivato il leader ideale. Non è ingessato, non è antipatico, si destreggia con i vecchi e nuovi media, rottama il passato assetto, ma non tutto. Parla tanto ma non impaurisce nessuno. I depositari di antichi privilegi, i cerchi magici dei poteri sanno che occorre cambiare o perire e hanno scelto di cambiare il proscenio e tenere in mani salde la regia. E per timore che il mutamento possa produrre sorprese, l'affiorare di elementi non controllati ne hanno pilotato l'arrivo secondo un rigido manuale: giovani sì, ma affidabili. Di poca esperienza sì, ma di solidi lignaggi. Alzata la nebbia colorata che accompagna ogni spettacolo di illusionista e assicuratosi che il cartellone è stato con abbondanza di mezzi pubblicizzato, è iniziata la sequela degli annunci: roboanti per sentirne l'eco, magniloquenti per lasciare dietro molte tracce. Un occhio a maggio, al primo maxi sondaggio sul nuovo corso, e un altro per capire a quale dei partner assestare il colpo di grazia dopo avergli assicurato lealtà imperitura. Peccato, perché mentre il Gran Protettorato debuttava, molte speranze si andavano posando su quel nuvolo di cavalli che dall'orizzonte promettevano un rapido e liberatorio arrivo. Il nuovo unto doveva passare attraverso il lavacro di un'elezione che lo rendesse popolare ma non forte: le primarie. Alleanze impossibili si celebrano in prossimità delle battaglie. Schierare un debole per rendere massiccia una vittoria altrimenti non travolgente è stato il piccolo capolavoro del Machiavelli dei giorni nostri. Il rigido, impacciato, e scolorito antagonista dava pugni all'altro e colpiva se stesso. La vittoria quando gli avversari non esistono diviene clamorosa anche se non eroica. La promessa su un futuro comune prossimo venturo si suggellava con l'affermazione favorita dalla non competizione e la rappresentazione poteva avere inizio: nuovi attori ma gli impresari di sempre. Come sempre il Paese reale è solo uno sfondo a tinte acquerellate delle battaglie di Paladini con spade sguainate, parole graffianti, ma con forti fili e mani sapienti che li tengono dritti sulla scena. La stessa legge elettorale in via d'approvazione, palese tradimento di ventinovemilioni di elettori referendari e continuazione del Porcellum che si diceva di voler abbattere, regolerà l'accesso a una sola camera non per rimarcare la volontà di riforma della Costituzione ma come garanzia che il possibile agguato parlamentare di alleati interni ed esterni non conduca immediatamente alle elezioni. Invece dello "yes, we can" di Obama e della rinascita dello spirito migliore di una nazione, ci ritroviamo un nuovo, vecchio, gigantesco "io farò" a lungo declinato nello scorso ventennio e le cui macerie impastate di menzogne occludono ancora le nostre strade. Aldo Penna

venerdì 21 marzo 2014

Emiliano Brancaccio » “La dottrina della precarietà espansiva è la nuova illusione europea”

Emiliano Brancaccio » “La dottrina della precarietà espansiva è la nuova illusione europea”

Vittorio Melandri: Ma le mafie hanno perso?

MA LE MAFIE HANNO PERSO??? “Il problema principale dell’Italia: cercare sempre il brutto, criticare, criticare, criticare e solo criticare. Io cerco il bello.” Parole di Oscar Farinetti (Il Fatto Quotidiano 21 marzo), pronunciate nel paese dei “servi” dei “tengo famiglia”, della “piaggeria” sport nazionale…. …. e …….. Nel paese in cui è ancora possibile leggere un elenco “aperto” di vittime innocenti di mafia, che arriva a 900, è possibile chiedersi se le “mafie hanno perso?”, e non solo accomodarsi nella convinzione, ancorché umanissima, che le mafie non siano manco loro immortali, né tanto meno che abbiano vinto? Il rischio denunciato da Silvio Messinetti (il manifesto 21 marzo) in chiusura del suo pezzo elogiativo (mi pare), del libro di Giovanni Fiandaca e Michele Lupo, «La mafia non ha vinto», ovvero il “rischio che la giustizia penale si tramuti in una sorta di sociologia del crimine nella sede sbagliata”, come si coniuga con la certezza che la giustizia penale in Italia, e cito solo a mo di esempio fra i tanti possibili, ancora arranchi penosamente, rispetto all’utilizzo di quelle “misure preventive di tipo patrimoniale” che la “Commissione Fiandaca 1999-2001”, rilevava essere “lo strumento più efficace di aggressione alla ricchezza di tipo criminale”? Elio Veltri nel 2006 su l’Unità, ricordava che sempre la stessa Commissione raccomandava si adottasse …. “«l’inversione dell’onere della prova», che significa che la provenienza lecita del bene la deve dimostrare il possessore”. Da profano, ad occhio e croce, mi pare cosa da far inorridire i “garantisti ad una via”, ma in un paese in cui per dirla con un sociologo che fa il suo mestiere, Manuel Castell, che nel terzo volume della sua trilogia, intitolato “Volgere di Millennio” scrive fra l’altro: «Complesse architetture finanziarie e reti commerciali internazionali collegano l’economia legale a quella criminale (..). L’economia e la politica di molti paesi (tra cui l’Italia, la Russia, le repubbliche dell’ex Unione Sovietica ..) non possono essere comprese senza considerare la dinamica delle reti criminali che gravano sul loro funzionamento quotidiano»…. ….. come si può pensare di essere garantisti solo nei confronti dei “presunti colpevoli”, e non anche delle “certe vittime”? Certe vittime che continuiamo ad essere noi tutti cittadini, anche quando non aggrediti fisicamente, bontà loro, da poteri criminali sempre più trasformisti e “all’onor del mondo”. Vittorio Melandri

giovedì 20 marzo 2014

Renzi non ha letto e rottama il Manifesto del Pes per le europee | Carlo Patrignani

Renzi non ha letto e rottama il Manifesto del Pes per le europee | Carlo Patrignani

PERCHE’ LA SINISTRA: OLTRE L'AGIOGRAFIA VELTRONIANA: ENRICO BERLINGUER E IL COMPROMESSO STORICO di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: OLTRE L'AGIOGRAFIA VELTRONIANA: ENRICO BERLINGUER E IL COMPROMESSO STORICO di Franco Astengo

Enrico Berlinguer e le strane amnesie di Scalfari | Avanti

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Fermare l'austerità, espandere la democrazia / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Ripensare l’economia senza cavalcare la moda della decrescita felice

Ripensare l’economia senza cavalcare la moda della decrescita felice

«Renzi porterà il paese contro il muro della Bce»

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Il cambio di passo dell’Europa

Il cambio di passo dell’Europa

Le misure di Renzi e gli stimoli alla ripresa

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Fabian Society » Is socialism back?

Fabian Society » Is socialism back?

L’Europa degli inganni - Eddyburg.it

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lunedì 17 marzo 2014

Il governo Renzi e la finanza - micromega-online - micromega

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Jobs Act: precari per decreto e per sempre - micromega-online - micromega

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Stati Uniti, la disuguaglianza al centro del dibattito - micromega-online - micromega

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La grande mistificazione della crisi finanziaria - micromega-online - micromega

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Il crimine dell’austerità e l’impunità dei vertici Ue - micromega-online - micromega

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Livio Ghersi: Il partito che non c'è

Le Elezioni europee ed il partito che non c'è. Il prossimo 25 maggio 2014 si svolgeranno le elezioni dei rappresentanti dell'Italia nel Parlamento europeo. Si tratta delle ottave consultazioni elettorali, a partire dal 1979 quando, per la prima volta, i parlamentari europei furono eletti direttamente dal Corpo elettorale. Non per sciocca vanità, ma come testimonianza di libertà nelle scelte elettorali, riassumo le mie precedenti espressioni di voto: — 1979: votato nella Circoscrizione Nord-Ovest (facevo il servizio militare di leva a Legnano); dato il voto al Partito Radicale, con preferenza per Leonardo Sciascia. — 1984: votato nella Circoscrizione Italia insulare (in seguito sarà sempre così, quindi non ripeterò tale informazione); dato il voto al Partito socialista italiano (PSI), con preferenza per Anselmo Guarraci. — 1989: votato per la Federazione delle liste Verdi (Sole che ride). — 1994: votato per il Partito democratico della sinistra (PDS), con preferenza per Luigi Colajanni. — 1999: non ho votato perché ero appena stato dimesso dall'ospedale, dove ero stato operato per due fratture, conseguenti ad una caduta, e non potevo camminare. Se fossi potuto andare al seggio, probabilmente avrei votato per i Democratici di sinistra, con preferenza per Claudio Fava. — 2004: votato per la lista Uniti nell'Ulivo, con preferenze per Claudio Fava, Alessandra Siragusa e Vincenzo Garraffa (quest'ultimo esponente del Movimento dei Repubblicani europei, MRE). — 2009: votato per il Partito democratico (PD), con preferenza per Rita Borsellino. Nel 1979 i tre eletti del Partito Radicale non vollero aderire al Gruppo dei Liberaldemocratici europei. Al quale, invece, aderirono i tre eletti del Partito liberale italiano (PLI) ed i due eletti del Partito repubblicano italiano (PRI). Gli eletti del PDS nel 1994 e dei Democratici di sinistra nel 1999 aderirono al Gruppo socialista europeo. Gli eletti della lista Uniti nell'Ulivo nel 2004 aderirono solo in parte al Gruppo socialista europeo. Gli eletti del Partito democratico nel 2009 hanno aderito ad un Gruppo, denominato Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, che includeva i partiti socialisti europei. Per il prossimo 25 maggio ho certezze soltanto in negativo. In relazione alle mie convinzioni ideali ed alla mia formazione politica, ovviamente non voterò per partiti di Centrodestra (Fratelli d'Italia - Alleanza Nazionale, Forza Italia, Nuovo Centrodestra, UDC e Popolari per l'Italia). Fermo restando che, sul piano europeo, il candidato del Gruppo popolare per la Commissione, Jean-Claude Juncker, e la stessa Cancelliera della Germania, Angela Merkel, esprimono posizioni molto più rispettabili di quelle dei berlusconiani italiani. Meno che mai voterei per la Lega Nord che, oltre ad essere sostanzialmente di Centrodestra, è anche antieuropea con contenuti ed accenti che non posso accettare. Non voterò per il Movimento Cinque stelle che si è caratterizzato per una protesta fine a sé stessa in quanto non costruttiva; e che vuole fare concorrenza alla Lega Nord nell'impostazione antieuropea. Dal punto di vista liberale, Grillo e Casaleggio esprimono posizioni ideali inaccettabili: critica della democrazia rappresentativa in nome di una non meglio definita democrazia diretta; pretesa che i parlamentari siano soggetti a vincolo di mandato, contro la lettera e lo spirito della Costituzione della Repubblica italiana; repressione del dissenso, con sistematica espulsione delle minoranze dissenzienti. La principale novità, rispetto al passato, è che non voterò la lista del Partito democratico (PD). La legge elettorale frutto dell'accordo fra Renzi e Berlusconi, recentemente approvata dalla Camera dei deputati, dal mio punto di vista è una pessima legge: impedisce che gli elettori possano scegliere liberamente i propri rappresentanti in Parlamento; viola il principio costituzionale dell'uguaglianza del voto, imponendo soglie diversificate per l'accesso alla rappresentanza; contraddice l'esigenza del pluralismo politico, puntando ad un sostanziale bipartitismo imposto per legge. Renzi dovrebbe semplicemente vergognarsi di avere legato il proprio nome ad una siffatta controriforma elettorale. Su Renzi, condivido questo giudizio espresso dal sempre lucido Emanuele Macaluso (classe 1924): «Renzi è figlio di un'epoca che non capisco. La cultura politica non è più nulla. Tutto è comunicazione» (intervista di Macaluso resa ad Aldo Cazzullo, nel "Corriere della Sera" del 17 marzo 2014, p. 13). Però capisco che, in democrazia, c'è una sola arma che il cittadino-elettore può usare contro un leader politico nei cui confronti ha disistima: non votare il suo partito e creare le condizioni perché quel leader sia ritenuto responsabile di un grave insuccesso elettorale. Va punito il Partito democratico nel suo insieme, perché anche la componente non renziana del Partito non è riuscita ad andare oltre manovre tattiche, senza avere il coraggio di pronunciare un "no" chiaro ed inequivoco tutte le volte che era il caso di farlo. In occasione delle prossime elezioni europee, avvertirò ancora una volta la mancanza di un serio Partito liberale democratico che, rispetto alla storia politica italiana, sia continuatore non soltanto della cultura politica propria della tradizione risorgimentale di Cavour e della Destra storica, ma anche della tradizione risorgimentale di Mazzini e dei repubblicani e radicali storici. C'è stato un antifascismo liberale, che ha avuto i suoi caduti nella lotta per la libertà e per la civiltà della politica: penso alle care memorie di Giovanni Amendola, di Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di Leone Ginzburg. C'è stata una importante cultura liberale e democratica, di rilevanza europea, espressa proprio nel Mezzogiorno d'Italia: penso a Giustino Fortunato, Benedetto Croce, Francesco Saverio Nitti. Ci sono stati esponenti importanti della cultura liberaldemocratica che, nel periodo delle elezioni della Assemblea Costituente nel 1946, fecero una scelta netta per la Repubblica: penso, in particolare, a Guido De Ruggiero ed Adolfo Omodeo. Il serio Partito liberale democratico che oggi manca è quello che avrebbe potuto richiamarsi all'esperienza antifascista del Movimento "Giustizia e Libertà" e ad un arco di forze politiche che purtroppo, già nel 1946, si presentarono frammentate in ben quattro formazioni: l'Unione Democratica nazionale di Croce, Einaudi, Nitti e Ruini, la Concentrazione democratica repubblicana di La Malfa e Parri, il Partito repubblicano (PRI) di Pacciardi, Giovanni Conti e Carlo Sforza, il Partito d'Azione che comprendeva anche componenti liberalsocialiste e socialiste liberali, e cito per tutti Ernesto Rossi, Guido Calogero, Piero Calamandrei e Norberto Bobbio. Nel vuoto politico determinato dall'assenza del predetto partito, hanno buon gioco l'ignoranza, la demagogia, la sguaiatezza, la mancanza di amore e di rispetto per la Patria italiana, che poi coincide con la mancanza di rispetto nei confronti della cosa pubblica e nella brama di saccheggio delle risorse finanziarie pubbliche. Palermo, 17 marzo 2014 Livio Ghersi

Vittorio Melandri: Per quale Italia?

PER QUALE ITALIA? In chiusura dell’elzeviro in memoria di Cesare Segre, Corrado Stajano ci offre anche una fotografia del nostro Paese che in troppi ci ostiniamo a non voler guardare, come se IL FARE, a cui Segre, ricorda Stajano, non ha mai rinunciato, sia un FARE possibile solo a condizione di credere che tutto si possa superare, a cominciare da quell’impegno civile che ci dovrebbe impedire non solo di dire, ma anche solo di pensare, che con un “DELINQUENTE” si possa por mano anche ad una sola virgola della Costituzione. «ERA UN UOMO CURIOSO CHE ODIAVA LA MEDIOCRITÀ. SEMPRE IN GUARDIA, IL PIÙ DELLE VOLTE DELUSO. LA GIOIA DELLA LIBERAZIONE FU BREVE, I FASCÌSTÌ ERANO RIMASTI, AI LORO POSTI. PROVÒ LA STESSA DELUSIONE DOPO IL FALLIMENTO DEL CENTROSINISTRA; IL ’68 NON LO SCANDALIZZÒ; NEL 1994 DOPO LA VITTORIA ELETTORALE DEL POLO DELLA LIBERTÀ SENTÌ IL PERICOLO E PROMOSSE CON PERSONE DI GRANDE E PICCOLO NOME DELLA CULTURA ITALIANA IL MANIFESTO DEMOCRATICO, UN’AZIONE RIBELLE.» L’ARTICOLO DI STAJANO L’impegno civile fu la bussola nonostante le delusioni. SPERIMENTÒ LE PERSECUZIONI E NON SCELSE LA TORRE D’AVORIO. Di Corrado Stajano (Corriere della Sera 17 marzo 2014) Non ha fatto in tempo, Cesare, a goder la festa cui diceva di tener tanto, la festa per la sua Opera critica, il Meridiano uscito in febbraio. Chissà se poi ci credeva veramente o fingeva anche con gli amici, dopo che il male dal primo di agosto dell’anno scorso l’aveva assalito. Si era rotto una vertebra a Cortina, ma il vero tormento era nascosto nel corpo sofferente. Diceva di non sapere, lui abituato a scovare le varianti di un frammento nelle pieghe delle pagine degli amati scrittori di secoli lontani e anche di oggi. Il suo corpo doveva essere per lui come quelle righeimpresse sulla carta antica e nuova su cui fin da ragazzo aveva curvato gli occhi e l’anima. Era stato adulto fin da piccolo, Cesare Segre, nato a Verzuolo, in Piemonte, nel 1928, passato attraverso le tragedie del Novecento che gli avevano plasmato la vita e che non aveva mai dimenticato, tra passato e presente. Quel sorrisino che si captava sempre nei suoi occhi acuti era il suo segno. E spesso non si capiva se era ironico, deridente nei confronti delle sciagure e delle bassezze umane o soltanto triste per un Paese che con le opere e gli scritti aveva sempre cercato di render migliore, più civile, rispettoso della cultura e della sua Storia. Philologus in aeternum scrisse nel 1984 in un’intervista immaginaria pubblicata su «Belfagor». Ma non fu certo un filologo della normalità. Un filologo della complessità, piuttosto, sempre aperto al nuovo, cancèllatore degli schemi. Usò gli strumenti della stilistica, poi dello strutturalismo, poi della semiotica cercando sempre di mantenere un equilibrio nell’interpretazione dei testi letterari, un punto d’incontro tra la volontà dell’autore, del critico, del lettore. Si considerava simile a un restauratore, felice quando riapparivano, come per miracolo su un muro, i colori originari di una pittura malamente guastati. Era sempre alla ricerca del nuovo, non lo disdegnava mai, lo mescolava, invece. Chi lo ascoltava parlare con quella sua voce appena sussurrata non immaginava il suo fervore di giocatore della letteratura e della storia, la sua passione, l’amore per la sfida. Le persecuzioni della prima giovinezza, gli anni trascorsi nascosto nel collegio della Madonna dei Laghi, ad Avigliana, furono nodalì per lui, sempre dalla parte delle vittime, dei perseguitati. Fu un cittadino fedele di libertà e giustizia, maestro di se stesso, allora lettore onnivoro. E dopo fu fedele sempre ai suoi maestri, erede e rinnovatore della loro lezione: Santorre Debenedettì, fratello della nonna paterna, personaggio mitologico ed eccentrico, storico erudito; Benvenuto Terracini, il secondo grande maestro, professore di Storia della lingua e di Glottologìa, con cui si laureò; e Gianfranco Contini, il terzo maestro, crìtìco ed editore di testi, del quale fu il più giovane degli allievi. Per la loro influenza, era solito dire, aveva assorbito le tre diverse tendenze della filologia, arricchendo così il suo repertorio di idee e le sue possibilità di uomo e di studioso. Era un uomo curioso che odiava la mediocrità. Sempre in guardia, il più delle volte deluso. La gioia della liberazione fu breve, i fascisti erano rimasti, ai loro posti. Provò la stessa delusione dopo il fallimento del centrosinistra; il ’68 non lo scandalizzò; nel 1994 dopo la vittoria elettorale del Polo della libertà sentì il pericolo e promosse con persone di grande e piccolo nome della cultura italiana il Manifesto democratico, un’azione ribelle. Non restò mai chiuso nelle torri d’avorio. L’impegno morale e civile gli fecero da bussola. Sostava certe volte malinconico davanti alle piccole lapidi dei ragazzi partigiani con le loro coroncine appassite. Per quale Italia?, diceva come a se stesso ma non rinunciava a fare.

domenica 16 marzo 2014

PERCHE’ LA SINISTRA: CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO (CHE CONTINUA). MARZO 1994, VENT’ANNI FA: LA PRIMA VOLTA DEL MAGGIORITARIO E DI BERLUSCONI di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO (CHE CONTINUA). MARZO 1994, VENT’ANNI FA: LA PRIMA VOLTA DEL MAGGIORITARIO E DI BERLUSCONI di Franco Astengo

Renato Fioretti: Giù la maschera: aridatece i puzzoni

“Giù la maschera; aridatece i puzzoni” (di Renato Fioretti) Ci sono cose che vanno obbligatoriamente dette - senza alcun timore di contraccolpi e/o conseguenze - pena il concreto rischio di non essere (poi) in grado di spiegarne altre; apparentemente indecifrabili. In questo senso - quale premessa - a costo (anche) di produrre un eccesso di collera in qualche collega di vecchia data, se non - addirittura - generare qualche inimicizia, esporrò alcune considerazioni che esulano dal politically correct; praticamente: “fuori dai denti”! In oltre trent’anni di attività sindacale in Cgil, dal ‘76 al 2008, frequentando quotidianamente - e nelle più svariate occasioni - tanti “compagni” che si richiamavano alla componente “comunista”, avevo già avuto occasioni per verificare che, in effetti: “Non era tutto oro ciò che sembrava luccicare”! Intendo dire che, mentre alla stragrande maggioranza degli stessi risultava assolutamente naturale ricorrere a toni da perfetti e smaliziati “imbonitori”, nel rifarsi (fedelmente e acriticamente) al più recente articolo de “L’Unità” - se non all’ultima dichiarazione del “Segretario” di turno - per esprimere qualsiasi “posizione”, non sarebbe poi stato agevole dimostrare, nel corso degli anni, altrettanta coerenza ai principi e ai comportamenti dei quali pretendevano essere gli unici depositari. Quanti aspri confronti - tra le c.d. “componenti” - con i compagni comunisti che, in pratica, reclamavano (ed erano convinti) di essere gli unici legittimati a rappresentare (tutti) i lavoratori e gli iscritti al Sindacato. La Cgil - naturalmente - Cisl e Uil erano considerate poco più che “serve dei padroni”. Quante infuocate polemiche con soggetti che - semplicemente perché iscritti al Pci - ritenevano di essere depositari della verità. Quanti “sproloqui” sulla “lotta di classe” e quanta animosità nei confronti dei compagni socialisti; accusati di richiamare - addirittura - il “social fascismo”, solo perché sostenitori del “riformismo”! Quale peggiore e infamante accusa (dal loro punto di vista) da rivolgere a un iscritto al Pci - considerato fuori dalla “linea ufficiale” del Partito - se non quella di “socialdemocratico”. Attraverso quali e quante “Forche caudine” era costretto a passare (persino) un qualificato rappresentante della componente socialista - rispetto a un qualsiasi “peones” iscritto al Pci - prima di poter assumere qualsivoglia incarico di (pur) minima responsabilità e, soprattutto, “visibilità”. Quanti nomi potrei citare di dirigenti sindacali comunisti che accusavano noi socialisti di connivenze con i “padroni” quando condividevamo l’opportunità di perseguire i falsi “malati” e/o gli “assenteisti ingiustificati”, piuttosto che sostenere assurde pretese attraverso le quali, ad esempio, si esigeva - in ambito Enel - il riconoscimento “dell’indennità di guida” a tutti e 5/6 i componenti della stessa squadra! Qualcuno ne ha memoria? Personalmente, mi sono imposto di non dimenticarlo. Quante “balle” sul “Paradiso in terra” - rappresentato dal “Socialismo reale” - da contrapporre all’invisa “Socialdemocrazia” di stampo Nord/europeo. Quanto tempo (perso) a declamare le conquiste della “Rivoluzione d’ottobre”, mentre, in realtà - come tanti di noi già sapevano - dai Paesi del c.d. “Blocco orientale” si levavano, intense, grida di dolore! Quanti entusiastici “reportage di viaggi” - con l’immancabile presenza di una “guida di Stato” al seguito - per decantare le meraviglie del “sistema collettivistico” a economia pianificata e delle “performance” produttive industriali dei paesi dell’Est, da contrapporre ai resoconti imparziali di singoli viaggiatori (me compreso, in numerose occasioni) che tornavano in occidente sconvolti dalle esperienze vissute tra le interminabili “file del pane” e “del latte” a Bucarest e le invasive “attenzioni” delle polizie “politiche” a Praga o Budapest, piuttosto che a Varsavia! Naturalmente, è superfluo sottolineare che tanti di quei miei interlocutori non facevano altro che esprimere concetti e posizioni perfettamente (e idealmente) sovrapponibili a quelli espressi - da altri iscritti allo stesso partito - negli anni precedenti e in quelli successivi. Penso, ad esempio, ai decenni che sono stati necessari affinché questi soggetti - a partire da quello che oggi è il nostro capo dello Stato - riconoscessero che ciò che si verificò nell’agosto del ’56 non fosse derubricabile a general/generici “Fatti d’Ungheria”, quanto, piuttosto, al tentativo di un intero popolo di sottrarsi alla tirannide dell’URSS! Quanti, a questo proposito, ricordano che, dopo quei tragici giorni, mentre L’Unità (organo ufficiale del Pci) continuava a definire “teppisti” gli operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano - nel polemizzare con Antonio Giolitti che, per protesta, aveva lasciato il partito - scriveva: ” L’intervento sovietico, oltre che impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ha contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo”? Come dimenticare che nel corso della mia lunga militanza sindacale ho condiviso tante esperienze e interessi - ma, contemporaneamente, spesso aspramente polemizzato - con quei compagni comunisti, della mia stessa generazione, ai quali mi (già) ero fortemente contrapposto quando, nel dicembre 1968, manifestavo contro l’invasione della Cecoslovacchia? Si tratta, evidentemente, di cose che non andrebbero mai dimenticate e/o sottotaciute. Soprattutto quando, come verificatosi negli ultimi anni nel nostro Paese, ci si trova nella condizione - che (personalmente) non so se considerare esilarante, piuttosto che tragica - di registrare che tutti, o quasi tutti, si definiscono “Riformisti”. Certamente sono in tantissimi a farlo - e li ricordo bene - tra coloro che in un passato neanche troppo lontano, ritenevano che definirsi tali corrispondesse a un “mea culpa”, con conseguente, automatica, auto collocazione “fuori dalla sinistra”! Probabilmente, passa il tempo, gli interessi - del partito e, spesso, personali - cambiano e si assiste a una sorta di lenta e inesorabile “mutazione genetica” di quegli stessi soggetti che, ancora negli anni ottanta, invocavano la nazionalizzazione delle banche e tuonavano contro i famigerati “Poteri forti”. Però, a mio parere, si tratta (in sostanza) di un’evoluzione darwiniana “al contrario”! Infatti, se pur tra gli eccessi di alcuni dogmi del comunismo realizzato nei Paesi del “Patto di Varsavia” - assolutamente “indigeribili” e, comunque, sostanzialmente sconfessati dal riconoscimento del “Superamento della spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre - i principi ispiratori che sostenevano l’affermazione e la realizzazione del “socialismo” rappresentavano - e continuano a rappresentare, per quanto mi riguarda - un’ipotesi di consorzio umano ideale, rispetto al quale confrontarsi e misurare la propria idea di giustizia ed eguaglianza sociale. Purtroppo, invece, la storia del nostro Paese - insieme alle vicende personali e politiche di tanti di quei compagni (all’epoca) appartenenti “all’altra componente” - ha dimostrato la vacuità di tante loro “supponenti” prerogative e peculiarità; per cui, in definitiva, è come se avessero “buttato anche il bambino, oltre che l’acqua sporca”! In questo senso - e non ho né timore di esagerare né di essere smentito - non avrei alcuna difficoltà a indicare decine e decine di compagni ex comunisti (tra ex colleghi dirigenti sindacali, ex interlocutori “istituzionali”, semplici conoscenti e tantissimi amici) che hanno, costantemente e ripetutamente dimostrato, nel corso degli anni, una straordinaria propensione al “Realismo politico”. Un’evidente (ottimale) condizione di spirito e predisposizione al “nuovo”, in virtù della quale coloro i quali si vantavano di essere “duri e puri”, allergici ai compromessi, rivoluzionari “per principio” e, soprattutto, con le “mani pulite”, hanno dimostrato di poter tranquillamente “assorbire” “digerire” e, soprattutto, giustificare “oscenità politiche” inimmaginabili! A questo riguardo, l’elenco sarebbe troppo lungo da stilare; ritengo sufficiente riportare (solo) alcuni significativi esempi di particolare interesse. Il primo, relativo a un tema che - una volta - sembrava essere molto caro a chi pretendeva di avere “l’esclusiva” in tema di lotta di classe; il lavoro. Qualcuno ricorda, per esempio, che la primogenitura sulla proposta di una congrua “moratoria” sull’applicazione dell’art. 18 dello Statuto non appartiene ad alcun “reazionario” di estrema destra, ma a D’Alema (in veste di Presidente del Consiglio)? E’ ancora presente il ricordo dello scellerato invito al c.d. “voto utile” che Veltroni - sì, proprio Walter, quello che si sarebbe dovuto ritirare in Africa - rivolgeva agli elettori affinché, alle politiche del 2008, si votassero i vari Fioroni, Lanzillotta, Franceschini, Letta e similari, piuttosto che i partiti “a sinistra” del Pd? Quanti ricordano che il “tabù” dei finanziamenti alle scuole private - a quelle cattoliche, per intenderci - non è stato (sostanzialmente) abbattuto grazie alle ruvide spallate assestate all’Istituzione pubblica da un qualsiasi barbaro “padano”, quanto, piuttosto, dall’intraprendente iniziativa di un ministro - Luigi Berlinguer, classe 1932 - perfetto esempio di “pseudo tecnico” formatosi alla scuola della vecchia “nomenclatura” Pci? Perché meravigliarsi, quindi, del sostegno degli ex Pci - ex Pds, ex Ds, oggi Pd - l’altro ieri al governo Monti e appena ieri alle “larghe intese” con l’indomito “Caimano”? Perché perdere tempo a interrogarsi sulle cose che dovrebbero oggi dividere l’attuale Segretario del Pd e Presidente del Consiglio dei ministri, dagli Alfano, Monti, Formigoni e - in sostanziale “appoggio esterno” al governo - l’indiscusso capo della pseudo opposizione? E così difficile prendere atto che, nel corso degli ultimi anni, come già anticipavo, si è realizzata una sorta di “involuzione darwiniana” degli ex Pci? Una serie di fasi “in progress” - corrispondenti, a mio parere, ad altrettanti “arretramenti” politici - dal Pci, al Pds, ai Ds (senza più neanche l’ingombrante onere di definirsi “partito”), al Pd del 2007 e fino alla degenerazione dell’avvento di Renzi! Personalmente - anche a rischio di compromettere il già difficile rapporto con l’ultimo degli amici (ex Pci) eventualmente rimastomi - ritengo che, una volta realizzata l’impossibilità di una “terza via” al socialismo nel nostro Paese, i compagni dell’ex Pci avessero deciso di intraprendere - strumentalmente - l’unica strada di accesso al governo del Paese: la conquista politica del “centro”! Che questo avrebbe significato sacrificare, sull’altare dello “opportunismo politico”, decenni di storia “antagonista” - o, almeno in apparenza, tale - rappresentava, evidentemente, un “prezzo” equo. La cosa strabiliante - che si spiega, a mio parere, solo si prende atto dell’assenza di uno strutturale convincimento “di fondo” circa la bontà e l’efficacia dell’affermazione della propria idealità politica, unita a straordinarie doti di “trasformismo” - è la sostanziale (indiscussa) facilità con la quale gli ex dirigenti Pci sono riusciti a far “assorbire”, nel corso degli anni, a tante parte dei loro attivisti, sindacali e politici - ma non ad altrettanti elettori degli “anni d’oro” - “cambi di marcia” così sfacciatamente “revisionisti”! Revisionismo che, grazie alla costante opera di tanti epigoni della famigerata “doppiezza togliattiana” è stato, di volta in volta, contrabbandato per “senso di responsabilità”, “opportunità politica”, “esigenze nazionali”, “emergenza sociale” e - balla tra tutte le balle - “governabilità”! In definitiva - agli occhi attenti di un osservatore “disincantato” - migliaia di “quadri” ex Pci - sindacali e politici - hanno alla fine dimostrato, attraverso il susseguirsi delle diverse tappe, di saper essere ben “più realisti del Re”. In ultima istanza - perché credo e mi auguro di poterla considerare tale - per giustificare (perfino) il ricorso al giovane ex Dc “in carriera nel Pd”, ci si è addirittura aggrappati semplicemente al bisogno di “novità”. Quasi che fosse difficile stimare, a priori, quanto possano concretamente - poco - concorrere le “chiacchiere” e le “smorfie” di Renzi alla soluzione della drammatica crisi, sociale prima che politica, che attanaglia il nostro Paese. Forse, è il caso di far rilevare, a questi miei vecchi compagni “di lotta (?) ”, che il primo atto - in materia di lavoro - del giovane capo dell’Esecutivo, ha rappresentato la completa “liberalizzazione” dei contratti di lavoro a termine e l’ulteriore “deregolamentazione” dell’apprendistato. Naturalmente, Paoletti - il neo Ministro del Lavoro - per non essere da meno, svolge opera di “contrabbando lessicale” e, rispetto alle (suddette) misure, inserite in un primo decreto legge, parla di: ”Segnali di semplificazione”! Che cosa ha in comune la (pur) apprezzabile opera di “semplificazione” delle norme di legge - di tutte le leggi - con un provvedimento che, di fatto, consente a un datore di lavoro di reiterare, nell’arco di trentasei mesi, un rapporto di lavoro (falsamente) a termine - di durata, teoricamente, anche quotidiana, ma, comunque (è facile immaginare) di breve o brevissima durata - per prestazioni che, invece, prevedrebbero, a priori, una durata indeterminata della prestazione lavorativa? Come può - quello stesso mio vecchio compagno, congiuntamente a tanti altri ex - non fremere di sdegno, insieme a me, piuttosto che “autoassolversi” in nome della “governabilità”, insieme a Renzi, rispetto a una disposizione che, nell’abolire l’obbligo della forma scritta del piano formativo per un giovane apprendista, calpesta un’elementare forma di civiltà giuridica del nostro Paese? Come restare indifferenti, nel Paese europeo che, nel detenere il vergognoso primato dell’evasione previdenziale e contributiva (a danno del lavoratori) - oltre che fiscale, naturalmente - sperpera milioni di € in incentivi “a pioggia” alle imprese (e alle banche) e, contemporaneamente - sempre in nome della semplificazione - consente, in maniera che non esito a definire truffaldina e di natura criminale, di abolire la norma secondo la quale le aziende, prima di procedere all’assunzione di altri apprendisti, avrebbero dovuto trasformare in rapporti di lavoro a tempo indeterminato almeno il 30 per cento dei precedenti contratti di apprendistato? Va da sé che non mi meravigliano le incondizionate lodi che l’ex Ministro del lavoro Sacconi rivolge a Renzi e Paoletti. Ricordo ancora bene che, nel 2008, il primo atto ufficiale del Ministro Sacconi - in nome di un’altra (fantomatica e fraudolenta) “sburocratizzazione” dei rapporti di lavoro - fu quello di abrogare la legge 188/2007, del precedente governo Prodi, che aveva cercato di porre un freno alla vergognosa pratica delle c.d. “dimissioni in bianco”, da parte, in particolare, delle donne; future lavoratrici madri! In definitiva, risulta, ai tanti ex “duri e puri” - prodi alfieri della “lotta di classe” a favore dei lavoratori - che le “mosse” di Renzi saranno prossimamente rivolte: a) all’istituzione del c. d. “salario minimo legale”, che comporterà - contrariamente a quanto si sforzeranno di farci credere - un adeguamento “al ribasso” degli attuali “minimi di categoria”; senza minimamente concorrere all’emersione del “nero”? b) al sostanziale ripristino delle famigerate “gabbie salariali”, con salari differenziati per aree geografiche? Se ci siete, per favore, battete un colpo!

giovedì 13 marzo 2014

Commissione UE, il rapporto sugli squilibri economici | EuProgress

Commissione UE, il rapporto sugli squilibri economici | EuProgress

Progressive economy forum: cambio direzione contro disuguaglianza

Progressive economy forum: cambio direzione contro disuguaglianza

L’insostenibile rimborso del debito | Economia e Politica

L’insostenibile rimborso del debito | Economia e Politica

Lanfranco Turci: La svolta buona?

LA SVOLTA BUONA ? Innanzi tutto Renzi ha sventolato lo scalpo della legge elettorale passata alla camera. Uno scalpo un pò spettinato, ma pur sempre la prima vittoria propriamente renzian-berlusconiana, apportatrice, se il Senato non la bloccherà o cambierà a fondo,, di danni immensi alla democrazia italiana. Poi ha presentato con abbondanza di effetti scenici una manovra che raccoglie per gran parte il frutto delle iniziative avviate da Letta, cui lui però aggiunge una efficace dose di vitalismo e di decisionismo, con la scelta giusta e intelligente di concentrare sui lavoratori a basso reddito i !0 miliardi di sconto fiscale. I 10 MD ci saranno davvero o forse saranno trovati con un pò di finanza creativa, ma non sono per questo criticabili, perchè cmq abbiamo bisogno, e in ben altra misura!, di politiche antiausterity. E se questo ci metterà in linea di conflitto con Bruxelles tanto meglio!. Nella manovra c'è anche qualche pillola avvelenata che una Susanna Camusso troppo benigna ( forse in concorrenza con Landini!) non ha rilevato. Ad esempio i 3 anni di contratto a tempo determinato senza causale! Oppure una legge-delega sul lavoro ancora tutta da scoprire. La vera domanda è se questa manovra, modesta nell'importo in proporzione inversa al battage pubblicitario, segnerà l'avvio di un altro discorso in Europa o se si fermerà a questi fuochi d'artificio, che non è neppure detto che finiranno tutti col botto. Ivi compresa la misura, più importante ai fini della ripresa economica, del pagamento dei debiti delle P.A. alle imprese. Cmq il ragazzo che noi giustamente non amiamo ha dimostrato di avere fiuto politico e di sapersi muovere in vista delle elezioni con una tempestività e spregiudicatezza che i vecchi ex comunisti e ex democristiani avevano da tempo perduto!

La trappola del Fiscal compact / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Unione europea, cambiare le regole / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Crescita: vecchi e nuovi problemi / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Un'altra strada per l'Europa / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Sergio Ferrari: La “cecità” dei capitalisti e lo Stato “garante” dell’economia

La “cecità” dei capitalisti e lo Stato “garante” dell’economia

Ed Miliband: Britain's Place In The European Union

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Paul Collier: What Is Europe About?

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Inequality Is The Number One Challenge Of The 21st Century

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Italicum, peggio della Legge Acerbo voluta dal fascismo - micromega-online - micromega

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domenica 9 marzo 2014

Paolo Bagnoli: L'occasione mancata. A proposito delle elezioni europee

L’OCCASIONE MANCATA A PROPOSITO DELLE ELEZIONI EUROPEE Alle prossime elezioni europee molti socialisti militanti in un ideale e non in un partito,come chi scrive, avevano guardato come un’occasione da non perdere per vedere se si potevano ricomporre alcuni cocci e ridare senso,se non proprio alla presenza,alla battuta di un colpo utile, peraltro,alle sorti della sinistra italiana. Si pensava,cioè,che si potesse comporre una lista italiana del socialismo europeo più nell’interesse della ripresa di un discorso nazionale che non per le sorti di Martin Schulz; e non perché si abbia una qualche contrarietà nei suoi confronti,ma in quanto è,e rimane,prevalente far rinascere un “luogo” socialista quale punto proprio e germoglio della rinascita della sinistra. Pensavamo,illudendoci, che ciò fosse interesse dello stesso Schulz e,quindi,del socialismo europeo che non ha perso,esso no,l’occasione per disinteressarsi delle sorti del socialismo italiano. Che l’adesione del Pd al Pse fosse nell’aria lo sapevamo,ma il Pd,anche se entrasse nella IV Internazionale, non potrà mai essere espressione né del socialismo né della sinistra in Italia.Sulla questione, anzi, esso è fonte di un equivoco che la potenziale sinistra sconterà caro in quanto la scelta promossa da Renzi risponde solo alla logica del bipolarismo forzato che ispira anche il ragionamento intorno alla nuova legge elettorale pensato dal duo Renzi-Berlusconi.Essendo Forza Italia nel Ppe,il Pd – socialismo o non socialismo – non poteva restare senza campo europeo e quindi,essendoci già in Europa un gruppo parlamentare tra socialisti e democratici,via dentro il Pse.Quest’ultimo, rispetto al socialismo, accentua ancora di più la cifra di un’etichetta evanescente. Schulz sarà in Italia il candidato del Pd. Qualcuno,come Guido Compagna (“Il Sole 24 Ore”,5 marzo 2014,p.10) ha osservato che “il campo politico del socialismo non è masi stato un campo di ortodossie e che se in esso erano “confluite tante eresie a cominciare da Salvemini a Rosselli” perché, accanto a queste eresie, “non possano convivere gli eredi di Dossetti,La Pira,Moro,e Don Milani.” Con tutto il rispetto per questi ultimi non sarà certo arrecare un’offesa alla loro memoria ricordare che a nessuno di essi è mai venuto in mente di essere socialisti;eretici,magari,ma di un altro campo e di un’altra storia,mentre Salvemini e Rosselli lo sono di quella socialista. Insomma,una tragica amenità come quando Piero Fassino,segretario dei Ds per sostenere la scelta di dar vita al Pd diceva che occorreva fare un”partito di “laici e cattolici”;beata ignoranza poiché i partiti sono fatti da credenti o non credenti! E poiché da qualche parte occorrerà pur lanciare un grido,pur scontando contraddizioni,si riteneva che la lista Tsipras avrebbe rappresentato un’occasione per una interlocuzione sul campo da parte di chi ritiene che al socialismo occorra ridare vita,autonomia,funzione e credibilità e che il vuoto che si è creato in Italia non solo non è più tollerabile,ma è dannoso per la stessa,peraltro assai incerta,salute della nostra democrazia. Così,come “Rete Socialista”, si pensava di mettere sul tavolo la disponibilità del presidente Felice Besostri quale contributo specifico e segnale significativo. Come si può vedere,però, dalle liste di Tsipras di socialisti non ve ne è nemmeno l’ombra e per quanto la lista copra,effettivamente,uno spazio di sinistra questa non si sa che natura abbia se non ribellistico più che propositivo nei confronti di un’Europa che va cambiata,che deve essere cambiata,che Schulz anche se vincerà non avrà la forza ideale,prima ancora che politica,per cambiare considerato che da sinistra essa si cambia solo avendo presente la natura alternativa al capitalismo di ogni genere –manifatturiero o finanziario - che deve avere il socialismo e perseguendo il fine di un cammino politico federalista. Esso in Italia richiama di uomini grandi come Eugenio Colorni,Ignazio Silone e Piero Calamandrei;richiami indicativi ed evocativi,ma tanti altri ne dovremmo fare e,naturalmente,non dimentichiamo Altiero Spinelli. La lista Tsipras per quanto raffazzonata – almeno ci sembra – se non si è posta il problema di avere una qualche presenza socialista è affetta da un morbo basico anche se,nella situazione data,siamo sicuri che tanti socialisti senza tessera la voteranno perché è l’unica postazione che si colloca a sinistra;per la necessità di lanciare,appunto,un urlo e non rimanere in qualche modo senza voce. Ciò deve spingere la Rete Socialista a intensificare gli sforzi per impostare una Epinay italiana chiamando a raccolta i socialisti ovunque essi siano e rifare del socialismo un pensiero compiuto e un soggetto di autonoma cultura politica che guardi al futuro partendo dalle aspre difficoltà del presente,forte di una grande e nobile storia che è sopravvissuta all’omicidio politico che lo ha cancellato dall’Italia. PAOLO BAGNOLI

Vittorio Melandri: La speculazione edilizia

LA SPECULAZIONE EDILIZIA POTEVA ANDARE DIVERSAMENTE?.... SÌ!!! …… MA LA NOSTRA GENERAZIONE HA FATTO VERAMENTE SCHIFO Leggo che Giovanna Calvino è intervenuta su Fb per difendere un “abuso di citazione” messo in opera dall’autorevole esponente del PD Vincenzo De Luca, sindaco pluri incensato di Salerno, che appunto ha citato il padre Italo Calvino, per difendere la validità di una “scelta edilizia” del comune che De Luca amministra da molti anni. Questo è quanto mi suggerisce questa ennesima vicenda, che oltre che maltrattare come sempre il devastato territorio italiano, maltratta la nostra di per sé colpevole, in quanto davvero scarsa, attenzione di popolo per la speculazione edilizia in cui siamo immersi. La parola edificio deriva dal latino aedificium, ed è composto di aedes «casa» e dal tema di facåre «fare». Cosa c’è di più umanamente nobile del fare case? Il sostantivo femminile “edilizia” che è facile intuitivamente cogliere come ne derivi, indica appunto il….. “complesso delle attività che si riferiscono alla costruzione di edifici d’ogni genere”. Quand’è che al termine edilizia si è accostato per la prima volta il termine “speculazione”, inteso nel suo significato di .. “attività intesa a conseguire un profitto o un vantaggio personale, condotta senza scrupoli”? Non so rispondere, ma come tutti i cittadini italiani che come me sono nati nel secondo dopoguerra, so che “la speculazione edilizia” mi è coeva, è cresciuta insieme a me, e si è abbattuta senza soluzione di continuità sul Paese dove siamo nati, in presenza di una singolare circostanza…., al cospetto delle denuncie più varie e circostanziate, varie per le forme che via via hanno assunto, e circostanziate per lo scrupolo con cui sono state documentate, al cospetto dell’evidenza più evidente, gli “edifici”, di qualsiasi natura essi siano, non sono occultabili alla vista, in Italia ….. la “speculazione edilizia” ha continuato a crescere senza sosta, indifferente a tutto, comprese le crisi economiche congiunturali e/o di sistema, ché manco loro sono riuscite a fermarla. Così in poco più di sessant’anni, usando parole di Lanfranco Caretti scritte nel 1958 a commento del racconto lungo del 1957 di Italo Calvino richiamato dalla figlia, “… al ritmo precìpite del generale sfacelo, della comune corruzione…”, siamo arrivati a devastare un Paese che secoli e secoli di storia ci avevano consegnato, e che nemmeno due ultime guerre mondiali avevano reso irriconoscibile allo sguardo, come appunto è riuscita a fare la “speculazione edilizia” posta a titolo del libro ristampato nel 2011 negli Oscar Mondadori, che è sarcasticamente preceduto dalla nota: “I luoghi, i fatti, le persone, i nomi di questo racconto sono assolutamente fantastici e non possono esservi trovati riferimenti con la realtà ….. se non per caso”. Poteva andare diversamente? A leggere e raccogliere gli insegnamenti contenuti negli “Scritti di urbanistica e di industria 1933-1943” raccolti sotto il titolo CIVITAS HOMINUM di Adriano Olivetti e riproposti alla nostra attenzione dall’editore Aragno nel 2008, che contiene fra l’altro “Il piano regionale della Valle d’Aosta” del 1935… A guardare e senza rimuovere il raccapriccio che ingenera, “Le mani sulla città”, film del 1963 diretto da Francesco Rosi, intriso di impegno civile, espressione di una spietata denuncia della corruzione e della speculazione edilizia dell’Italia degli anni sessanta, “Le mani sulla città” che ha avuto il Leone d’oro a Venezia nel 1963 ed il cui personaggio centrale, è quell’Edoardo Nottola (Rod Steiger doppiato da Aldo Giuffré) che radunato con alcuni in un terreno brullo, sullo sfondo dell’estrema periferia di Napoli, ad un compare che gli chiede: “e mo cambiamo il piano regolatore?” risponde: «Non c’è bisogno…. la città va in là? .. e questa è zona agricola e quanto la puoi pagare oggi 300, 400, 1000 lire al metro quadrato? … ma domani questa terra questo stesso metro quadrato ne può valere sessanta settantamila e pure di più tutto dipende da noi, il cinquemilapercento di profitto … eccolo là, quello è l’oro oggi, e chi te lo dà il commercio l’industria? … l’avvenire industriale del mezzogiorno … sì investili i tuoi soldi in una fabbrica, sindacati rivendicazioni scioperi cassa malattia, ti fanno venire l’infarto con stì cose, e invece niente affanni e niente preoccupazioni tutto guadagno e nessun rischio, noi dobbiamo solo fare in modo che il comune porti qua le strade le fogne e l’acqua il gas la luce e il telefono….». A guardare senza essere sopraffatti dalla malinconia che instilla, “C’eravamo tanto amati”, il film del 1974, diretto da Ettore Scola che è sì una commedia all’italiana, ma dal gusto amarissimo, affiorante dalla denuncia spietata del degradare della società italiana… Viene di rispondere che sì, sarebbe stato possibile, ma avremmo dovuto ribellarci tutti quanti insieme, non bastava una minoranza, manco se fosse stata classe dirigente… … e non l’abbiamo fatto…. perché la nostra generazione (quella coeva alla nostra Costituzione)….. HA FATTO VERAMENTE SCHIFO….. (Ettore Scola per bocca di Vittorio Gassman) vittorio melandri

sabato 8 marzo 2014

L’acqua pubblica sbarca a Bruxelles - micromega-online - micromega

L’acqua pubblica sbarca a Bruxelles - micromega-online - micromega

Fabbriche senza padroni - micromega-online - micromega

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Impostura mondiale. Impoverimento e ineguaglianza nel mondo negli ultimi 40 anni - micromega-online - micromega

Impostura mondiale. Impoverimento e ineguaglianza nel mondo negli ultimi 40 anni - micromega-online - micromega

SERGIO CESARATTO / LANFRANCO TURCI – Primi della classe in rigore, ultimi in crescita » LA PAGINA DEI BLOG - MicroMega

SERGIO CESARATTO / LANFRANCO TURCI – Primi della classe in rigore, ultimi in crescita » LA PAGINA DEI BLOG - MicroMega

Renzi, la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi - micromega-online - micromega

Renzi, la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi - micromega-online - micromega

“Subito un comitato anti-italicum, la riforma è incostituzionale”. Appello della Rete per la Costituzione - micromega-online - micromega

“Subito un comitato anti-italicum, la riforma è incostituzionale”. Appello della Rete per la Costituzione - micromega-online - micromega

giovedì 6 marzo 2014

PERCHE’ LA SINISTRA: CRISI UCRAINA: LA GUERRA AL TEMPO DELLE SUPERPOTENZE di Franco Astengo

PERCHE’ LA SINISTRA: CRISI UCRAINA: LA GUERRA AL TEMPO DELLE SUPERPOTENZE di Franco Astengo

Livio Ghersi: L'ipotesi Verhofstadt

L'ipotesi Verhofstadt Ciascuno ha le proprie contraddizioni, prima nel difficile sforzo di fare chiarezza nelle proprie idee, poi nell'altrettanto difficile esercizio di rendere coerenti i propri comportamenti con le convinzioni ideali che si dichiara di avere. Per dei liberali italiani autenticamente indipendenti e capaci di un anticonformismo non esibito per vezzo, ma quotidianamente praticato, quali ad esempio sono gli amici di "Critica liberale", si pone, tra l'altro, il problema dell'orientamento da assumere nelle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Un uomo politico belga, personalmente simpatico e capace di esprimersi anche in un decente italiano, Guy Verhofstadt, sembra sia riuscito a ricondurre tutte le sensibilità genericamente liberali del nostro Paese a riconoscersi in una comune lista elettorale. Impresa straordinaria, come può comprendere chi abbia una sia pure approssimativa conoscenza di quanto sia variegato e politicamente eterogeneo il campo di coloro che in Italia definiscono sé stessi liberal-democratici. La lista si chiamerà "Scelta europea"; denominazione che richiama immediatamente l'esperienza di "Scelta civica". Perché, appunto, questa formazione politica italiana sarà la componente più strutturata dell'alleanza elettorale che vuole supportare la politica europea dell'ALDE ("Alliance of Liberals and Democrats for Europe"). Per quanto riguarda tutte le altre sigle e siglette, in questa sede se ne risparmia l'elenco, anche se spiace non ritrovarvi quella del Partito Repubblicano italiano, che, almeno in termini di riconoscimento di una tradizione politica, avrebbe avuto molto più senso di tante altre. Nelle elezioni europee gli elettori hanno la possibilità di esprimere preferenze per i candidati. Tale circostanza renderebbe possibile, in teoria, presentare liste forti e competitive in tutte e cinque le circoscrizioni italiane. I primi posti delle liste potrebbero tranquillamente essere lasciati a coloro che hanno bisogno di pennacchi, fermo restando però che in una competizione con le preferenze l'ultimo candidato di una lista vale quanto il primo. Un'intelligente gestione delle liste (qui Verhofstadt dovrebbe fare un secondo miracolo) consentirebbe a tutte le formazioni aderenti al cartello elettorale di esprimere almeno due o tre candidature, coinvolgendo le proprie personalità più rappresentative laddove si presume possano raccogliere più consenso. Il risultato finale sarebbe così rimesso al libero voto espresso dagli elettori. Obiettivo certamente non facile: andrebbe ribaltato un antico malcostume politico, da cui nessun partito italiano è immune: quello secondo cui è meglio ottenere meno voti, ma sforzandosi di garantire l'elezione proprio di quei determinati candidati su cui si punta, piuttosto che ottenere magari una copiosa messe di voti, ma consentendo che risultino eletti candidati che non si controllano. Qualora, invece, dovesse prevalere la consueta, meschina, logica di precostituire l'elezione di qualcuno, presentando liste in cui tutti gli altri candidati sono selezionati con il criterio che non devono fare ombra a quel qualcuno, il risultato elettorale sarebbe anch'esso stentato e meschino. La libera concorrenza non è una regola fondamentale per la mentalità liberale? Allora si faccia in modo che proprio i liberali comincino a praticarla, già nella composizione delle liste elettorali. Tutto ciò premesso, penso sia positivo questo tentativo di riorganizzazione di un'area politica che in Italia è giunta alla assoluta irrilevanza. Resta però il problema iniziale. Una persona che oggi, nel ventunesimo secolo, ami definire sé stessa liberaldemocratica in politica, come deve rapportarsi ad una lista elettorale dichiaratamente collegata alla famiglia dei liberali europei? La risposta di chi scrive è che non c'è alcun obbligo, logico, di coerenza politica, di affinità culturale, che imponga di votare per la lista "Scelta europea". Il fatto che non ci sia un voto obbligato, riconduce questa ad una fra le opzioni possibili. Spetterà all'elettore fare la fatica di scegliere, valutate le caratteristiche delle liste. Dichiararsi liberali non significa che tutti gli Autori che storicamente si iscrivono nella tradizione culturale liberale piacciano allo stesso modo. Un liberista economico ed un liberale politico possono arrivare a conclusioni diametralmente diverse, anzi opposte. L'Italia ci è cara, così come ci è cara l'Europa, di cui ci sentiamo e siamo figli. Ma l'Unione Europea, nella sua concreta esperienza storica, è certamente è molto meno dell'Europa che amiamo, amiamo proprio per la sua ricca complessità. L'ALDE sta alla crisi del liberalismo, come il Partito socialista europeo sta alla crisi del socialismo. Le antiche etichette non riescono più a definire realtà che si sono tropo diversificate in secoli di storia. I liberali europei non sono troppo diversi dai popolari europei e dai socialisti europei, quanto a responsabilità nella conduzione delle Istituzioni dell'Unione. Il volto arcigno del finlandese Olli Rehn, membro della Commissione, non diventa più simpatico per l'appartenenza all'ALDE. In discussione non è la simpatia individuale, ma una politica economica che dà importanza primaria all'equilibrio dei conti pubblici, al contenimento del disavanzo, al rientro forzoso dal debito pubblico. Una politica economica che fa male all'economia, perché se il Prodotto interno lordo (PIL) decresce, l'incidenza del debito pubblico sarà sempre maggiore, a dispetto di qualsiasi, anche durissima, politica di ripiano del debito medesimo. Una politica economica che non è a misura d'uomo. Ed i liberi liberali almeno un orientamento dovrebbero averlo: quello di essere dalla parte di ciò che serve a migliorare la condizione e la dignità degli esseri umani. Palermo, 6 marzo 2014 Livio Ghersi