domenica 22 febbraio 2009

Enrico Galavotti: Davvero non esiste una scienza proletaria?

Dal sito Arruotalibera

DAVVERO NON ESISTE UNA SCIENZA PROLETARIA?
da Enrico Galavotti

Perché oggi si sostiene che non esiste e mai esisterà una “scienza proletaria”? Il motivo principale sta nel fatto che dicendo “proletaria” si teme d’essere accusati di non fare “scienza” ma “ideologia”, cioè di dire cose non perché oggettivamente vere ma perché politicamente strumentali, finalizzate appunto a una posizione di parte.

Ma il motivo è anche un altro: il marxismo ha avuto la pretesa di dimostrare, servendosi della scienza borghese, che il capitalismo ha in sé delle contraddizioni così antagonistiche che ne rendono inevitabile il superamento in direzione del socialismo. E’ la stessa scienza economica borghese che porta a questa conclusione, ovviamente a condizione che si faccia del nesso capitale/lavoro un’antinomia di fondo, un insanabile contrasto.

Detto questo, gli economisti borghesi continuano a sostenere che in realtà non vi sono alternative praticabili al capitalismo, e quelli socialisti insistono nel dire che, andando avanti di questo passo, il capitalismo è destinato a rendere sempre più invivibile la vita sociale e civile. Entrambi gli schieramenti, quando parlano di “scienza”, non mettono mai in discussione i principi generali su cui essa si fonda, che sono poi quelli stabiliti con la nascita dell’umanesimo, con la nascita dello sperimentalismo galileiano, con la nascita di tutte quelle riflessioni filosofiche che hanno voluto porre l’uomo al disopra della natura.

La scienza borghese s’illude di poter considerare il sistema capitalistico una formazione sociale di tipo non “storico” ma “naturale”; e la scienza proletaria ha la pretesa di dire esattamente il contrario. Davvero dunque la differenza tra le due scienze si pone solo a questo livello? Davvero non possiamo pretendere una vera scienza “proletaria”, che non sia semplicemente una diversa interpretazione dei fatti economici, fatta salva una base borghese condivisa?

Una “scienza proletaria” andrebbe anzitutto intesa in senso “antiscientifico”, cioè in un senso che rimetta in discussione i presupposti stessi della scienza su cui si è edificata la società borghese e su cui si vorrebbe edificare anche quella socialista, pur nella variante del primato concesso al lavoro, intrinseco a una previa socializzazione dei mezzi produttivi.

Sono in realtà proprio questi stessi “mezzi produttivi” che vanno ripensati. Aspirare a socializzarne la gestione non serve a nulla, se prima non ci si chiede qualcosa di sostanziale sulla loro legittimità. Una vera “scienza proletaria” non può più darla per scontata.

Alla luce di quanto accaduto alla natura, in questi ultimi due secoli, occorre rimettere in discussione la legittimità degli stessi mezzi produttivi, i quali, nati in ambito borghese, dovrebbero essere ereditati (e nel “socialismo reale” lo sono effettivamente stati) dalla futura società socialista, stando alle previsioni dei classici del marxismo.

In 70 anni di “socialismo reale” non abbiamo soltanto sperimentato l’illusorietà di far coincidere “socializzazione” dei mezzi produttivi con la loro “statalizzazione” (con tutto quel che di antidemocratico, sul piano politico e culturale, ha comportato un’equiparazione del genere). Abbiamo anche sperimentato l’illusorietà di poterci risparmiare conseguenze nefaste sull’ambiente solo perché la proprietà dei mezzi produttivi era state resa “pubblica”.

Una “scienza proletaria” dovrebbe dunque essere una scienza che si rifà in toto alle leggi della natura. Il vero “proletario” è colui che, non possedendo nulla, si lascia “possedere” dalla natura. Lascia cioè che sia la natura a dettargli le condizioni della propria esistenza in vita.

Il “proletario” diventa un “soggetto di natura”, colui che non usa nulla che possa ostacolare i processi riproduttivi di chi gli offre i beni essenziali per sopravvivere.

Il moderno “proletario” non fa soltanto un discorso di socializzazione dei mezzi produttivi, ma anche uno sull’uso ecocompatibile di tali mezzi. E considera quest’uso prioritario su tutto, l’unico vero parametro per stabilire il grado di benessere, il livello di vivibilità, di umanizzazione di una qualunque comunità sociale.

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