Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
lunedì 17 novembre 2025
Il deserto dei Tartari della crescita italiana: diagnosi e strategie per il rinnovamento*, Francesco Toni, Mauro Napoletano | Menabò di Etica ed Economia
domenica 16 novembre 2025
sabato 15 novembre 2025
Franco Astengo: Centro-sinistra e numeri
CENTRO SINISTRA E NUMERI di Franco Astengo
E' stato presentato a Genova presso l'Associazione "Le radici e le ali" il nuovo lavoro di Renato Mannheimer (questa volta in collaborazione con Pasquale Pasquino) "Gli Italiani al Voto", un'accurata analisi sui cambiamenti nelle scelte elettorali avvenute nel corso degli ultimi anni in comparazione con un testo analogo pubblicato nel 1985 ancora ai tempi della "Repubblica dei partiti".
Un lavoro che dovrebbe essere tenuto in grande considerazione dagli operatori politici che nel momento in cui hanno la pretesa di impegnarsi nella contesa elettorale, costruire alleanze, promuovere candidature dovebbero tenerlo quale vero e proprio baedeker.
In questo senso i punti di maggiore interesse riguardano, nello specifico del "caso italiano", il definirsi di un profilo bipolare del sistema in un quadro di progressivo acuirsi delle contraddizioni geopolitiche e sociali.
Gli elementi caratteristici della fase possono essere, infatti, riassunti in una volatilità quasi completamente interna ai blocchi, in una restrizione dello spazio politico per il "centro", e in una diversa misura di potenzialità di espansione fra le forze politiche dove Fratelli d'Italia sembra in una qualche misura aver "fatto il pieno" entrando in diretta competizione con Forza Italia ma avendo come unico bacino di riferimento l'elettorato leghista che si considera "di destra" in una misura più ampia di quella autodichiarantesi tra elettrici ed elettori dello stesso partito della signora presidente del consiglio.
Attorno a queste indicazioni fondamentali è il caso di aggiungere alcuni elementi allo scopo di suggerire una conclusione riguardante il possibile schieramento di centro-sinistra.
1) Il fenomeno dell'astensione è in costante crescita almeno dal 2013 in avanti per tutti i tipi di elezione. Nessuna forza politica è stata in grado di drenare il flusso in uscita di elettrici ed elettori, tanto meno quello più dichiaratamente populiste come M5S e Lega. Da notare come l'astensione colpisca anche gli eventi elettorali riguardanti quelle istituzioni che un tempo erano ritenute le "più vicine ai cittadini" come i Comuni;
2) Sta emergendo, in particolare a livello giovanile, il fenomeno di una attivizzazione culturale, sociale e anche politica magari su tematiche non direttamente legate al quotidiano (si vedano le manifestazioni Pro-Pal) che non sembra corrispondere a scelte di tipo elettorale;
3) Attorno al punto di conseguimento della maggioranza relativa abbiamo assistito dal 2014 in avanti, tra elezioni legislative generali e per il Parlamento Europeo, ad un vero e proprio turn over con la quota di voti in costante diminuzione. Nelle elezioni europee 2014 il PD a trazione renziana ottenne poco più di 11 milioni di voti (una quota che fece scattare un meccanismo di illusione ottica avendo i media strillato del 40%. In realtà la percentuale effettiva sul totale degli aventi diritto superava di poco il 22%, era iniziata la fase della "grande diserzione"). Politiche 2018 (territorio nazionale) maggioranza relativa al M5S con circa 10 milioni di voti. Europee 2019 maggioranza relativa alla Lega con 9 milioni di voti. Politiche 2022 maggioranza relativa a Fratelli d'Italia con poco più di 7 milioni di voti. Europee 2024 la maggioranza relativa si conferma a Fratelli d'Italia con 6.713.000 voti. Nel frattempo i voti validi sul territorio nazionale sono scesi da 32.841.70 nelle politiche 2018 a 23.308.066 nelle europee 2024. Una perdita attribuibile in buona parte alla caduta del M5S sceso da 10,732.066 suffragi a 2.327.868 (primo dato Politiche 2018, secondo dato Europee 2024). Deve essere chiaro che la gran parte della volatilità elettorale registrata nel corso di questi anni si è rivolta all'esterno del sistema verso l'astensione.
4) Il grado di contendibilità della maggioranza nelle prossime elezioni politiche (e in precedenza nel referendum costituzionale sulla magistratura al riguardo dell'esito del quale avrà senz'altro un peso rilevante il pronunciamento degli schieramenti politici ben oltre il merito, del resto assai complicato da decifrare) dipende quindi da una complessità di fattori non riducibile all'ampiezza delle coalizioni;
5) Grande importanza assume la possibilità di espansione delle diverse forze politiche. In questo senso è necessario aprire un punto di riflessione molto delicato: il centro-sinistra deve poggiare su di un soggetto pivotale strutturalmente collocato attorno al 30% dei consensi sui voti validi che presumibilmente diminuiranno ancora se forse non in dimensione vertiginosa come nel recente passato. Per capirci meglio con i numeri assoluti probabilmente forse non sarebbe sufficiente neppure sommare i voti di PD e AVS alle europee 2024 rispettivamente 5.613.769 e 1.569.453 per formare una maggioranza relativa solida al punto da determinare una ipotesi di alternativa;
6) Serve una riorganizzazione a sinistra sia in senso orizzontale (nel rapporto diretto con le esigenze, i bisogni, l'articolazione sociale) sia in senso verticale (della rappresentanza politica di un partito organizzato ai diversi livelli del territorio fino a quello centrale che non sia abbandonato agli eletti nelle istituzioni eternamente in caccia della riconferma attraverso politiche di tipo corporativo o imperniate sul voto di scambio). Un tema difficile ma sul quale sarà necessario riflettere (esiste anche una questione di identità politica: ad esempio il ritorno della socialdemocrazia negli USA può rappresentare un tema non secondario di discussione su un non trascurabile elemento di identità, in un quadro oggettivamente - e necessariamente - plurale).
mercoledì 12 novembre 2025
lunedì 10 novembre 2025
domenica 9 novembre 2025
Dove andrà la sinistra americana
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9 novembre 2025
La newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna
Dove andrà la sinistra
Dopo la disfatta delle presidenziali la sinistra statunitense è entrata in autoanalisi, e ne è uscita mesi dopo con una nuova parola d’ordine: affordability. È una parola, traducibile con “accessibilità economica”, che da settimane trovo in quasi in ogni commento, dibattito elettorale e resoconto di eventi politici. L’idea di fondo è che il Partito democratico abbia ignorato troppo a lungo le questioni relative al costo della vita e la crescente frustrazione per l’inflazione, e che per tornare a essere competitivo debba proporre soluzioni semplici, concrete, ai problemi che contribuiscono di più a creare la sensazione di un’economia che funziona solo per pochi: alloggi, istruzione, trasporti.
Quando sono cominciate le campagne elettorali per le elezioni locali, tutti i candidati democratici hanno battuto ossessivamente su questo tasto e hanno cercato di sfruttare l’impopolarità di Trump, accusandolo di aver peggiorato la situazione economica con i dazi e i tagli al governo. Il 4 novembre tutti, sia i moderati sia i radicali, hanno raccolto i frutti di questa strategia.
Sostenitori di Zohran Mamdani dopo la vittoria a Brooklyn, il 4 novembre. (Angelina Katsanis, Afp)
A New York Zohran Mamdani, giovane socialista e figlio di immigrati, ha vinto con un ampio margine contro Andrew Cuomo concentrandosi sul costo degli alloggi e sulla giustizia sociale, evitando controversie ideologiche e trasformando l’appoggio di Trump al suo avversario in un’arma elettorale.
La moderata Abigail Spanberger, ex agente della Cia ed ex deputata del Partito democratico, è diventata governatrice della Virginia stracciando la repubblicana Winsome Earle-Sears, e la sua performance ha trascinato alla vittoria democratici candidati per altri incarichi locali. In campagna elettorale Spanberger si è concentrata soprattutto su temi economici e legati alla sicurezza, ricevendo tra l’altro l’appoggio del sindacato degli agenti di polizia.
Nel New Jersey Mikie Sherrill è diventata governatrice smentendo i sondaggi che la davano in svantaggio, con una campagna che ha galvanizzato un elettorato preoccupato per il costo della vita e la crisi dei servizi pubblici.
In tutti questi casi si sono spostati verso i democratici molti elettori che alle presidenziali avevano scelto a sorpresa Trump – a cominciare dalle minoranze –, segno che in quel voto c’era una forte componente di protesta contro Joe Biden; ma è evidente che i democratici, a lungo accusati di essere troppo deboli e troppo woke, hanno tutto da guadagnare quando si tengono alla larga dalle battaglie ideologiche (secondo un sondaggio di qualche mese fa, il 58 per cento degli elettori democratici pensano che sia più importante nominare qualcuno che possa vincere invece di qualcuno che condivida le loro posizioni).
Le vittorie del 4 novembre, però, difficilmente indicheranno una rotta chiara per la sinistra; al contrario, renderanno più visibili e più aspre le divisioni tra le due forze che si stanno scontrando per orientare la futura direzione del Partito democratico, entrambe uscite rafforzate dal voto: da una parte c’è il fronte populista di Bernie Sanders, di Alexandria Ocasio-Cortez e ora di Zohran Mamdani; dall’altra c’è chi pensa che il Partito democratico vinca quando propone candidati pragmatici e tendenzialmente moderati. Di recente questa fazione ha trovato un’espressione teorica a partire da un libro scritto da due giornalisti, Ezra Klein del New York Times e Derek Thompson dell’Atlantic, che si intitola Abundance, e da cui il mese scorso è nata anche una nuova pubblicazione online. La “teoria dell’abbondanza” ha conquistato molti politici democratici, compresi alcuni con ambizioni presidenziali come Pete Buttigieg (segretario ai trasporti nell’amministrazione Biden) e Gavin Newsom (governatore della California).
I due gruppi hanno in comune il fatto di spostare l’attenzione dai temi identitari a quelli economici, di parlare di cose concrete – salari, case, servizi, tasse – ma hanno idee molto diverse su come risolvere i problemi.
I primi hanno una diagnosi semplice e radicale: la democrazia americana è ostaggio di una minoranza di miliardari che controllano la politica e l’economia. La parola d’ordine è “combattere l’ologarchia”: una battaglia di classe per restituire potere alla maggioranza. Sanders e i suoi alleati denunciano un Partito democratico troppo vicino ai grandi interessi, accusato di aver dimenticato il lavoro e di essersi rifugiato in battaglie simboliche. Le loro proposte si concentrano sulla redistribuzione economica: sanità e istruzione pubbliche universali, aumento dei salari, lotta alla speculazione immobiliare, controllo pubblico dei servizi essenziali e riduzione drastica delle spese militari. La battaglia politica centrale non è tra destra e sinistra ma tra il popolo e l’élite.
In netto contrasto con questa visione, i seguaci dell’abbondanza sostengono che sia riduttivo restringere tutto alla lotta contro i ricchi. Per Klein e Thompson il vero problema non è la disuguaglianza ma la paralisi del sistema produttivo e amministrativo. Gli Stati Uniti non sanno più “costruire”: sono soffocati dalla burocrazia, dai regolamenti e dall’opposizione di gruppi locali che impediscono di realizzare infrastrutture, case e innovazioni. Le città governate da decenni dai democratici ne sono una prova evidente, e questo contribuisce a rafforzare l’immagine del partito come forza incapace di agire e risolvere problemi. Il movimento dell’abbondanza propone un modello in grado di conciliare efficienza pubblica e iniziativa privata: non mira a ridurre il ruolo dello stato, ma a renderlo più efficiente.
Per la verità entrambi i gruppi sembrano avere una visione semplicistica del perché l’economia sia poco “accessibile” per tante persone. È il risultato, spiega un ottimo articolo di Vox, di molti fattori intrecciati: mercati distorti da monopoli o da regole che limitano l’offerta, ma anche redditi troppo bassi, disuguaglianze crescenti e shock economici che erodono in modo duraturo il potere d’acquisto.
Sta di fatto che il successo del partito alle elezioni di metà mandato del prossimo anno e anche dopo dipenderà, probabilmente, dalla capacità di far convivere queste due anime. Sul New York Magazine, Ed Kilgore ha scritto che “i democratici hanno vinto non imponendo una linea unitaria, ma adattando linguaggi e priorità ai diversi contesti locali, all’interno di un più ampio sentimento di resistenza e frustrazione nei confronti di Trump e dei suoi alleati”. In altre parole, i democratici possono vincere quando sanno rispecchiare la diversità del paese.
Un discorso che non vale solo per le campagne elettorali ma anche per le politiche da adottare una volta al governo. In California, per esempio, il parlamento statale ha fatto importanti passi avanti sul fronte dell’edilizia abitativa approvando leggi per favorire le costruzioni e l'aumento della densità edilizia, e allo stesso tempo varando misure antimonopolistiche, tra cui il divieto di software algoritmici per la determinazione dei prezzi degli affitti. Queste politiche sono state sostenute dai legislatori democratici di orientamento progressista e moderato.
Giuseppe Casanova: Cnel, Brunetta e la questione morale
CNEL, Brunetta e la questione morale: una vicenda che interroga la coscienza istituzionale del Paese.
Nel dicembre 2016, il governo Renzi sottopose agli italiani una riforma costituzionale che prevedeva, tra le altre misure, la soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL). L’ente, istituito dalla Costituzione con funzioni consultive in materia economica e sociale, era da tempo considerato superfluo e costoso. Il referendum fu bocciato, e il CNEL rimase in vita.
Oggi, a distanza di quasi un decennio, il CNEL torna al centro del dibattito pubblico per una vicenda che solleva interrogativi non solo economici, ma etici. Il suo presidente, Renato Brunetta, già ministro e noto per la sua opposizione al salario minimo, ha deliberato un aumento del proprio stipendio da 250.000 a 310.000 euro annui, invocando una sentenza della Corte costituzionale che ha rimosso il tetto di 240.000 euro per i dirigenti pubblici. Contestualmente, sono stati previsti aumenti per i vertici e lo staff dell’ente, per un totale di circa 1,7 milioni di euro.
La decisione ha suscitato reazioni indignate da parte di esponenti di maggioranza e opposizione, e ha costretto Brunetta a revocare l’aumento. Ma il gesto, seppur formalmente legittimo, resta politicamente inopportuno e moralmente discutibile.
In un Paese dove sei milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.000 euro al mese, dove il salario minimo è ancora oggetto di scontro ideologico, e dove la povertà assoluta ha raggiunto livelli storici, l’idea che un ente considerato da molti inutile possa raddoppiare le proprie spese per retribuzioni appare come una provocazione.
La vicenda del CNEL e di Brunetta non è solo una questione di cifre. È una questione di credibilità delle istituzioni, di rispetto per i cittadini, di coerenza tra parole e azioni. È il sintomo di una distanza crescente tra chi governa e chi è governato.
La revoca dell’aumento non cancella la pessima figura, né risolve il nodo politico: ha ancora senso mantenere in vita il CNEL? E soprattutto, quali criteri etici devono guidare la gestione delle risorse pubbliche?
In tempi di sacrifici collettivi, serve sobrietà, trasparenza e senso della misura. La politica non può chiedere rigore ai cittadini e indulgere nel privilegio. La vicenda del CNEL sia l’occasione per riaprire un dibattito serio sulla riforma delle istituzioni e sulla moralità pubblica.
Giuseppe Casanova
Quartu Sant’Elena (CA)
sabato 8 novembre 2025
venerdì 7 novembre 2025
giovedì 6 novembre 2025
mercoledì 5 novembre 2025
Franco Astengo:New York, New York!
NEW YORK, NEW YORK di Franco Astengo
Verrebbe voglia di gridare: W New York socialista ! Anche se insomma un urlo del genere apparirebbe un po' strano.
Mettendo da parte per un attimo la necessaria complessità dell'analisi del voto e nascondendo (sempre per un attimo) l'enorme montagna che Mamdami si troverà a dover scalare questo è il momento di respirare: qualcuno ha scritto "Ha vinto la generazione Z contro i miliardari".
Si apre uno squarcio nella cupa e guerrafondaia america (scritta volutamente con la minuscola) di Trump, anche guardando ai risultati del New Yersey e della Virginia: forse la lunga traversata nel deserto di Sanders e Ocasio Martinez ha dato qualche frutto.
New York però è diversa dalle altre vittorie dei democratici: non solo perchè si tratta della metropoli più importante del mondo ma soprattutto in ragione del fatto che la vittoria di oggi è una vittoria socialista.
Una vittoria socialista attraverso la quale si dovrà tentare di coltivare l'intreccio tra l' idea del vecchio welfare, del socialismo nella libertà e quella della modernità delle grandi contraddizioni in um vortice di cosmopolitismo, di mescolanza di culture e di necessità sociali ed anche generazionali.
Una vittoria che, adesso nel momento in cui si verifica, apre davvero uno spazio nel cielo dell'umanità.
Esagerazioni? Eccesso d'enfasi ? Forse: ma come non pensare a una prospettiva diversa adesso in quella che usando un linguaggio antico potremmo definire "una civiltà affluente", molto complicata ma sicuramente avanzata.
Certo è soltanto una vittoria elettorale che si verifica in una democrazia limitata ma comunque una vittoria netta e convincente che si colloca al di là della sconfitta di Trump.
Non è la rivoluzione socialista ma non è cosa da poco.
martedì 4 novembre 2025
lunedì 3 novembre 2025
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