sabato 29 settembre 2018

Aumentare il deficit non è l’unica strada | Megachip

Aumentare il deficit non è l’unica strada | Megachip

La crisi dei Democratici americani - Pandora Pandora

La crisi dei Democratici americani - Pandora Pandora

Democratizing Brexit by Yanis Varoufakis - Project Syndicate

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Brexit and the European Order by Joschka Fischer - Project Syndicate

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Angelo Zaccaria: L’Argentina nel cuore!

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Joel Mokyr, le innovazioni e le origini dell’economia moderna | Avanti!

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Reclaiming American Internationalism by Christopher R. Hill - Project Syndicate

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Spagna. I dolori del “giovane” Sanchez | Avanti!

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Pia Locatelli: Il Labour è forte perché unisce la Gran Bretagna | Avanti!

Il Labour è forte perché unisce la Gran Bretagna | Avanti!

La nube nera che si gonfia, la sinistra e il lume della ragione - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

La nube nera che si gonfia, la sinistra e il lume della ragione - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

Europee. Renzi contro i sovranisti ignora i socialisti | Avanti!

Europee. Renzi contro i sovranisti ignora i socialisti | Avanti!

Franco Astengo: Ancora la Costituzione

ANCORA LA COSTITUZIONE di FRANCO ASTENGO con una nota di Felice Besostri Come previsto ci troviamo costretti ad occuparci nuovamente della Costituzione: 1) Nella nota al DEF varata in questi giorni dal Governo con l’ormai celeberrimo innalzamento del deficit al 2,4%, non si parla soltanto di cifre. 2) Vi si legge infatti di rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta e di abolizione del quorum nel referendum abrogativo; 3) Riduzione del numero dei parlamentari 4) Abolizione del CNEL tutto questo significa: 1) Nella nota al DEF si tocca materia di valenza costituzionale e questo già di per sé fuori dal mondo sotto l’aspetto del rispetto delle istituzioni e indicativo gravemente delle intenzioni di promotori; 2) ricordato che è cogente un esito referendario determinatosi il 4 dicembre 2016, ci ritroviamo sulla stessa linea demolitrice del parlamento a suo tempo espressa dal PD (R). Di conseguenza non si può non notare l’assoluta strumentalità e doppiezza con cui sono stati indicati i “NO” in quell’occasione da parte degli attuali contraenti il Patto di Governo; 3) A sinistra si è mancata una clamorosa occasione di fornire risposta politica a quegli almeno 3/4 milioni di elettrici ed elettori che, tra i 19 milioni di NO, avevano votato sul serio per difendere la Costituzione (molte/i dei quali tornati al voto dopo un periodo di astensione e poi ripiombati nel limbo – o peggio attirati dall’inferno – il 4 marzo 2018). E’ questa una responsabilità estremamente grave che deve essere analizzata a fondo. Nota dell’avvocato Besostri: 4) L’avv. Felice Besostri, colui che davanti alla Corte Costituzionale ha contribuito in misura decisiva ad affossare prima il Porcellum e poi l’Italikum , in una sua nota fa notare come ,invece di ridurre le indennità parlamentari sulle quali si son sempre calcolati i vitalizi si riducono i parlamentari a 350 deputati (attualmente 630) e 200 senatori (attualmente 315 + senatori di diritto e a vita) e precisa come riducendo del 50% le indennità si risparmierebbe di più e sii avrebbero parlamentari espressione del pluralismo e teoricamente più raggiungibili dai cittadini. Questo governo prosegue sulla linea impostata da Renzi di diminuzione ulteriore del ruolo del Parlamento (nel M5S in verità c’è chi pensa addirittura all’abolizione della Camere e della democrazia rappresentativa). 5) Insomma: ci troviamo costretti a parlare ancora di Costituzione e nella sua parte più delicata, quella relativa alla forma dello Stato e a quella di Governo.

"ESTETISMO POLITICO" di Paolo Bagnoli

"ESTETISMO POLITICO" di Paolo Bagnoli

Appunti sulle elezioni europee, a otto mesi dal voto

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Jeremy Corbyn’s Labour Looks Poised to Shake Up the Status Quo | Chatham House

Jeremy Corbyn’s Labour Looks Poised to Shake Up the Status Quo | Chatham House

giovedì 27 settembre 2018

I nuovi socialisti d’America | Aspenia online

I nuovi socialisti d’America | Aspenia online

Sindacato e lotte sociali negli USA di oggi di Cinzia Arruzza

Sindacato e lotte sociali negli USA di oggi di Cinzia Arruzza

Luigi Fasce: Sull'identità

Luigi Fasce Mia dissertazione su articolo di Piero Bevilacqua del 18 9 2018 pubblicato su il manifesto: L’identità ha bisogno del nemico, a uso e consumo elettorale. Mi qualifico, sono psicologo di scuola psicoanalitica con quasi cinquanta anni anni di esperienza. Pur partendo dall’assunto di Bevilacqua che <…l’identità è un costrutto ideologico-culturale, finalizzato a scopi di aggregazione umana e di coesione sociale. ... Ma l'identità si costruisce sempre in contrapposizione a quella di un altro, altrimenti essa non nasce. Se siamo tutti uguali, non è necessario un nemico che ci spinge a unirci per combatterlo.> In scienza e coscienza non sono d’accordo. Mi spiace contraddire Piero Bevilacqua di cui ammiro molte delle sue riflessioni, che cito anche nel mio libro di recente pubblicazione "Politiche costituzionali per le riforme” ma trovo riduttiva e distorna questa sua opinione sulla questione “identità”. Senza identità non c'è la possibilità di relazione umana con l'Altro pur sempre “diverso” da sè. In senso psicoanalitico io con la mia identità, con altro da me, posso fare all’amore, instaurare amicizia ma anche conflittualità e inamicizia. Dunque perché mai l'identità presuppone solo il nemico ? Da dove spunta fuori questa affermazione assoluta ? Ritorniamo a “l’identità è un costrutto ideologico-culturale”. Giusto, però va declinata nel modo appropriato. Qui invece si riduce identità a identità etnica, linguistica, religiosa, ecc., ma nel caso delle identità politiche, nazional-statuali, nella modernità, vanno riferite alla scelta costituzionale che ogni Stato-nazione si è dotato. L’identità politica del Popolo Italiano è definita nella nostra Costituzione. Inizia così. >Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.> L''art.3 – voglio sottolinearlo bene - sancisce il principio della laicità dello Stato: E poi a proposito di identità che presuppone il nemico rileggere l'>Art. 11. L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.> E poi, le nostre Madri e Padri costituenti che avevano ben presente la lezione marxiana per cui “chi detiene i mezzi di produzione é padrone", e che pertanto i soli principi, pur "fondamentali" se non sono innestati sul modello economico in cui il potere pubblico è prevalente e controlla il potere economico privato hanno scritto a ciò finalizzato il titolo terzo Rapporti economici (da art.35 a art.47). E’ su questo impianto economico-sociale che diventa possibile il principio fondamentale sancito per cui “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, …”struttura che determina l’identità della persona umana.

Emanuele Macaluso: Il Labour di Corbyn, dove fanno il congresso vero

EM.MA in corsivo 1 h · IL LABOUR DI CORBYN DOVE FANNO IL CONGRESSO VERO Il congresso del partito laburista britannico, svoltosi in questi giorni a Liverpool, si è concluso approvando la relazione di Geremy Corbyn. Il quale ha proposto una piattaforma politico-programmatica in cui si sostiene che il capitalismo liberista è responsabile della grave crisi economica e sociale che ha attraversato il mondo dal 2008 in poi ed è un capitalismo che contrasta radicalmente con gli interessi e le esigenze del Regno Unito. E, quindi, Corbyn ha proposto un’alternativa che consiste in una politica di riforme radicali nell’economia e nella vita sociale che richiama gli ideali del socialismo. Innanzitutto vorrei dire, a chi in Italia milita o ha militato nel Pd, che quello del Labour è un congresso vero, si svolge ogni anno, con delegati eletti dagli iscritti che in questi anni sono cresciuti con una larga partecipazione dei giovani e dove si votano le mozioni congressuali. Questa è la democrazia di un partito. Il Pd, invece, non fa congressi veri e gli iscritti, pochini, non contano niente. Infatti ormai sono i capicordata che posseggono pacchi e pacchetti di tessere fasulle da utilizzare quando occorre. I laburisti a Liverpool hanno approvato democraticamente un programma di riforme che, come ho detto, fanno riferimento agli ideali del socialismo. Sul Corriere della Sera, che ha mosso continuamente pesanti e spesso immotivate critiche a Corbyn, oggi il corrispondente Luigi Ippolito, dopo aver elencato le riforme proposte da Corbyn (consegnare ai lavoratori delle grandi aziene il 10% delle azioni, fare sedere i rappresentanti degli operai nei consigli di amministrazione, nazionalizzare le ferrovie, le poste e le industrie energetiche) annota: “Idee queste (di Corbyn) che, stando ai sondaggi, trovano il consenso della maggioranza dei cittadini”. Quindi, il leader laburista esprime oggi esigenze e problemi che interessano la gran parte del popolo britannico. Il corrispondente de La Repubblica, Enrico Francheschini, a sua volta osserva che Corbyn “ha proposto una narrazione convincente”. E, tra l’altro, sottolinea che “se non sarà la sinistra ad offrire una soluzione radicale alla crescita del razzismo e della xenofobia, alla crisi della democrazia, saranno altri a riempire il gap con la politica dell’odio e della divisione”. Nessuno, più di noi in Italia, sa per averlo vissuto, quando sia vera questa constatazione. (27 settembre 2018)

Il Jobs Act bocciato dalla Corte Costituzionale: «Tutele crescenti illegittime» - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

Il Jobs Act bocciato dalla Corte Costituzionale: «Tutele crescenti illegittime» - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

"Labour is ready to rebuild Britain" – Corbyn's full conference speech | LabourList

"Labour is ready to rebuild Britain" – Corbyn's full conference speech | LabourList

Bridges, Not Trenches, Between Social Democrats! • Social Europe

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martedì 25 settembre 2018

Svezia. Come (non) raccontare i risultati delle elezioni di Roberto Reale

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Rosa Fioravante: Questa nostra sinistra che balla sul Titanic – Strisciarossa

Questa nostra sinistra che balla sul Titanic – Strisciarossa

Ciò che caratterizza la sinistra è la lotta contro la disuguaglianza - nuovAtlantide.org

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La falsa alternativa tra liberalismo e nuova destra - Senso Comune

La falsa alternativa tra liberalismo e nuova destra - Senso Comune

New York’s First Socialist State Senator? Dalia Gebrial Meets Julia Salazar | Novara Media

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The Left Should Welcome Mélenchon

The Left Should Welcome Mélenchon

lunedì 24 settembre 2018

Vijay Prashad: Neoliberalism, Global Capital & the Indian Left | Novara Media

Vijay Prashad: Neoliberalism, Global Capital & the Indian Left | Novara Media

Franco Astengo: Condono, pace fiscale, deficit

CONDONO, PACE FISCALE, DEFICIT di Franco Astengo Il governo, in questa fase convulsa di preparazione della manovra, gioca sulle parole tra “Condono” e “Pace Fiscale”: in realtà si sta preparando un grosso premio a quella che è stata l’enormità dell’evasione fiscale accumulata nel corso degli anni. Si parla di 1.050 miliardi. Arrivano al pettine i nodi creati dal modello economico – produttivo ispirato dal centro-destra nella sua versione “classica” degli ultimi anni’90 del XX secolo e del primo decennio del secolo che stiamo vivendo: quello degli “spiriti animali del capitalismo”, della “imprenditoria rampante”, di un in molti casi ingiustificato e avventuristico, “spirito imprenditoriale” alimentato dalla filosofia del “sogno”, stile “american way life”. Tutto questo emerge benissimo, ad esempio, in un’intervista rilasciata dall’ex-sindaco di Padova e attuale sottosegretario, Bitonci, che in un assoluto crescendo giustificazionista parla di “ci hanno imposto il nero o non abbiamo potuto lavorare, aiutateci”. E’ la filosofia del considerare lo stato criminogeno e di considerare quindi l’evasione un “diritto naturale”, del resto proclamata dallo stesso Berlusconi nel suo famoso discorso di giustificazione dell’evasione e dell’elusione tenuto all’ANCE il 2 aprile del 2008 nel corso della campagna elettorale che registrò una rimonta del centrodestra, superato dall’eterogenea “Unione” per soli 24.000 voti. Il centrosinistra dell’epoca ebbe le sue pesanti responsabilità sotto quest’aspetto per aver espresso una contraddittorietà di fondo tra la “bellezza delle tasse” evocata da Padoa Schioppa e l’adesione complessiva al modello che, a partire dal discorso sulle privatizzazioni dell’industria pubblica, approdò all’accettazione piena e supina del neo – liberismo. Sono risultati profondamente sbagliati i modelli dei “distretti del Nord – est”, della “fabbrichetta”, del “sciur Brambilla” anni ’80: è lì che nasce la questione dell’evasione fiscale a dimensioni gigantesche, equilibrata drammaticamente dall’esplosione del debito pubblico e fautrice di disuguaglianza, sfruttamento, lavoro nero svolto in particolare dagli immigrati (pensiamo alle concerie di Vicenza), di arricchimenti indebiti. Così sono stati distrutti i settori portanti e decisivi dell’industria italiana, si è abdicato a qualsiasi idea di programmazione economica, si è data via libera a un mercato selvaggio del quale – appunto – i 1.050 miliardi di evasione e contenzioso fiscale rappresentano l’espressione più evidente, si sono impoveriti interi pezzi di società, demoliti settori portanti come quelli dell’amministrazione pubblica, della scuola, dell’Università. La differenza tra centro destra e centro sinistra, a suo tempo, è stata quella che il centro destra ha perseguito ferocemente la strategia dell’arricchimento per poco e della disarticolazione e anestetizzazione della società italiana, mentre il centro sinistra in alcune sue parti ha perseguito una stupida politica di accreditamento a palazzo e in altre parti esaltandola necessità di unirsi contro il pericolo della destra facendo finta di non accorgersi di stare sviluppando proprio la politica della destra (un classico “storico”). So bene che la giustificazione a tutto ciò è stata data dal procedere della tecnologia, dalla necessità di scrostare imposizioni corporative, dall’irrompere della globalizzazione, dallo spostarsi dell’economia verso la finanziarizzazione da cui la scaturigine della crisi del 2008. Non mi è parso però il caso di starci dentro all’epoca, accumulando anche una buona quota di propaganda espressa da luoghi comuni, in una sorta di adeguamento continuo al ribasso, come è stato fatto anche attraverso il tirar fuori come alternativa“i beni comuni”, il “mutualismo” in attesa di riscoprire i falansteri di Fourier e i pre- marxisti. Tutte belle cose ma del tutto insufficienti rispetto alla bisogna che stava esprimendosi pesantemente sulle condizioni materiali di vita, di lavoro, di ambiente. Sono questi punti sui quali riflettere, così come sarebbe il caso di pronunciarci sulla questione del deficit. Abbiamo sempre sostenuto la necessità di utilizzo del “deficit – spending” e osteggiato fortemente le politiche rigoriste imposte dall’UE. Adesso è il caso di affermare che la questione risiede nell’utilizzo dei margini di deficit (al di là della trattativa con Bruxelles): un conto è l’utilizzo del deficit allo scopo di varare un forte piano di programmazione economica e di intervento pubblico destinato all’innovazione tecnologica, alla creazione di lavoro “vivo e vero”, di adeguamento delle infrastrutture, di difesa ambientale (come dimostra purtroppo ancora Taranto) e ben diverso è il quadro che si presenta di utilizzo del deficit per misure assistenziali come il reddito di cittadinanza. Questo va detto chiaro: il reddito di cittadinanza contiene in sé il rischio di rivelarsi una misura assistenziale che nasconde anche una idea negativa del lavoro (ben diversa dall’idea marxiana del “liberarsi” del lavoro); ricordando anche e sempre che, ad esempio, il tema delle pensioni dovrebbe essere legato, per quel che riguarda l’INPS, alla scissione tra assistenza e previdenza di cui si parla dal 1958 e adesso sparita dall’agenda. Così come è sicuramente una misura di ulteriore agevolazione verso i ricchi l’altra faccia della medaglia per la quale si vorrebbe utilizzare il “deficit – spending”. Assistenzialismo, “pro ricchi”, aumento delle diseguaglianze questa pare essere, in pratica, la cifra che esprime attualmente il governo italiano anche oltre il tema politico generale dello spostamento a destra insito nelle logiche razziste – sovraniste. Personalmente con nessun timore, anzi con orgoglio, di essere definito un retrogrado cultore delle “magnifiche sorti e progressive” e dell’antico scontro di classe: ma rimane questo il punto vero di distinzione filosofica e politica.

Dove sta andando la Svezia? di Amedeo Cottino

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La misura corretta del debito pubblico | Economia e Politica

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Accountable Capitalism or Democratic Socialism?

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domenica 23 settembre 2018

Costruire una sinistra credibile, è possibile? - nuovAtlantide.org

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‘For A Left Populism’: An interview with Chantal Mouffe | Red Pepper

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Israel Chooses Identity Over Democracy by Shlomo Ben-Ami - Project Syndicate

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I dilemmi della Brexit - micromega-online - micromega

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Who Really Creates Value in an Economy? by Mariana Mazzucato - Project Syndicate

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Franco Astengo: Il voto in Europa nei "Trenta gloriosi"

IL VOTO IN EUROPA NEI “TRENTA GLORIOSI” di Franco Astengo Questo lavoro di comparazione dei dati elettorali riguardante i principali paesi europei è rivolto a confrontare i risultati delle prime elezioni politiche svoltesi all’indomani della seconda guerra mondiale e quelle svoltesi a cavallo della conclusione del ciclo dei cosiddetti “trenta gloriosi”, tra il 1975 e il 1976, negli anni immediatamente seguenti la crisi petrolifera del 73- 74 e l’avvenuta liberazione dalle dittature fasciste di Spagna, Portogallo, Grecia. Inutile descrivere la realtà economico – sociale di quegli anni che ricordiamo tutti benissimo. Erano anni contraddistinti dalla ricostruzione dopo il disastro bellico, dall’applicazione del welfare – state, dalla decolonizzazione, dai tentativi nel Nord Europa della ricerca di una “terza via” a partire dal “Fondo dei salariati” (vulgo Piano Maidner in Svezia), dall’avvio del processo di distensione tra i due blocchi con tutti i suoi contraccolpi, dell’inizio del processo di unità europea. Ci troviamo anche alla vigilia delle prime elezioni a suffragio diretto per il Parlamento Europeo che si sarebbero svolte nel giugno 1979. Andiamo per ordine e cominciamo ad esaminare i dati: AUSTRIA 1945 Socialisti 44,6, Popolari 49,8 Comunisti 5,4 1975 Socialisti 50,4, Popolari 41,8, Liberali 6,0, Comunisti 1,2 Socialisti più 5,81, Popolari meno 8,00, Liberali più 6,00, Comunisti meno 4.20 BELGIO 1946 Democristiani (PSC/CUP) 42,5, Socialisti (PSB/BSP) 32,4 Liberali (PLP-PVV) 9,6 Comunisti (PCB/CPB) 12,7 1974 Democristiani 32,3, Socialisti 26,7 Liberali 15,1, Comunisti 3,2, Fiamminghi 10,2, Valloni 10,9 Democristiani meno 10,2, Socialisti meno 5,7, Liberali più 5,5, Comunisti meno 9,5 partiti regionali più 21,1 DANIMARCA 1945 Socialdemocratici 32,8, Radical-liberali 8,1, Liberali 23,4, Conservatori 18,2, Comunisti 12,5, Lega del Diritto 1,9 1975 Socialdemocratici 29,9, Radical-Liberali 3,6, Liberali 12,0, Conservatori 5,5 Lega del Diritto 2,2, Cristiano Popolari 5,3, Progresso 15,9, Democratici di Centro 2,2 Socialdemocratici meno 2,9, Radical Liberali meno 4,5, Liberali meno 11,4, Conservatori meno 12,7 comunisti meno 8,3 Sinistra (socialdemocratici e comunisti) 1945 45,3 1975 41,2 meno 4,1 FINLANDIA 1945 Socialdemocratici 25,1 Unione democratica (comunisti) 20,9, Socialisti operai 2,6 Centro 21,3, Nazionalisti 15,0 Popolari Svedesi 7,9, Liberali Popolari 5,2 Contadini 1,2 1975 Socialdemocratici 24,9 Unione Democratica 18,9, Socialisti operai 0,3 Centro 17,6, Nazionalisti 18,4, Popolari Svedesi 4,7, Liberal Popolari 4,3 Contadini 3,6 Unione Popolare 1,7, Unione Cristiana 3,3 Costituzionali 1,6 Socialdemocratici meno 0,2, Unione democratica meno 2,0, Socialisti operai meno 2,3, Centro meno 3,7, Nazionalisti più 3,4 Popolari Svedesi meno 3,2, Liberal Popolari meno 0,9, Contadini più 2,4 Sinistra 1945 (Socialdemocratici, Unione Democratica, Socialisti operai) 48,6 1975 44,10 meno 4,5 FRANCIA 1945 PCF 26,1 SFIO 23,8 Radical Socialisti 11,1 Repubblicani Popolari 24,9 Moderati 13,3 1973 Trozkisti 3,33, PCF 20,55, PSF 22,58, Radical Socialisti 2,11, Repubblicani Popolari 13,8 Gollisti 37,9 PCF meno 5,55, PSF meno 1,22, Radical socialisti meno 8,99, Repubblicani popolari meno 11,1, Gollisti (comparazione con i Moderati) più 24,6 Sinistra 1945 61,0 1973 48,57 meno 12,43 GRAN BRETAGNA 1945 Conservatori 39,8, Laburisti 48,3, Liberali 9,1, Comunisti 0,4, Irlanda del Nord 2,1 1974 (febbraio) Conservatori 37,8, Laburisti 37,1, Liberali 19,3, Comunisti 0,1, Fronte Nazionale 0,3, Scozzesi 2,0, Gallesi 0,6, Irlandesi del Nord 3,1 1974 (ottobre) Conservatori 35,8, Laburisti 39, 2, Liberali 18,3, Comunisti 0,1, Fronte Nazionale 0,4, Scozzesi 2,9, Gallesi 0,6, Irlandesi del Nord 3,1 Conservatori meno 4,00, laburisti meno 9,1, liberali più 9,2, nazionalisti più 4,5 GRECIA ( dal 1964 al 1974 dittatura dei colonnelli, KKE fuori legge dal 1946) 1946 (guerra civile) Estrema destra 8,9, Conservatori 55,1, Liberali 33,7 1974 Conservatori 54,3, Liberali 20,4, Socialisti (PASOK) 13,5, Comunisti (KKE) 9,4 IRLANDA 1944 Fianna Fail (Nazionalisti repubblicani) 48, 9 Fin Gael (Gaelici) 20,6 Labour 8,9 National labour 2,2, Figli della Terra 9,8, Sinn Fein (partito del lavoro) 9,6 Indipendenti 9 1973 Fianna Fail 46,2, Fin Gael 35,1, Labour 13,7 Sinn Fein 1,1, Indipendenti 3,9 Fianan Fail meno 2,7, Fin Gael più 14,5, Labour più 4,8, Sinn Fein meno 8,5, Indipendenti meno 5,1 ISLANDA 1946 Indipendentisti (Conservatori) 39,4, Progressisti (Liberali di Sinistra) 23,1, Alleanza del Lavoro (sindacati e comunisti dissidenti da Mosca) 19,5 Partito del Lavoro (socialdemocratici) 17,8 1974 Indipendentisti 42,8, Progressisti 24,9, Alleanza del Lavoro 18,3, Partito del Lavoro 9,1, Liberali di Sinistra (usciti dai Progressisti) 4,6 Indipendentisti meno 3,4, Progressisti più 1,8, Alleanza del Lavoro meno 1,2, Partito del Lavoro meno 8,7 ITALIA 1946 Uomo qualunque 5,3, Liberali 6,8, DC 35,2, PRI 4,4, PSIUP 20,7, PCI 18,9, partito d’azione 1,5 altri 7,2 1976 MSI 6,1, PLI 1,3, DC 38,7, PRI 3,1, PSDI 3,4, PSI 9,6, PCI 34,4, PR 1,1, PdUP 1,5 PLI meno 5,5, DC più 3,5, PRI meno 1,3, PSI meno 11,1 PCI più 15,5 Sinistra 1946 (PCI – PSIUP – Pd’A) 41,1 1976 (PCI – PSDI-PSI-PduP) 48,9 più 7,8 NORVEGIA 1946 Laburisti 41,0, Conservatori 17,0, Popolari Cristiani 7,9, Comunisti 11,1, Centro 8,1, Venstre (radicali di sinistra) 13,8 1973 Laburisti 35,3, Nuovo Partito Popolare 3,4, Conservatori 17,4, Popolari Cristiani 12,3, Centro 11,1 Socialisti di Sinistra 11,2, Venstre (anti CEE) 3,5 Progressisti (ex-Venstre pro CEE) 5,0 Laburisti meno 5,7, Conservatori più 0,4, Popolari Cristiani più 4,4, Centro più 2,9 Sinistra 1945 (Laburisti e Comunisti) 52,1 1973 (Laburisti e Socialisti di sinistra) 46,5 meno 5,6 OLANDA (proporzionale puro) 1946 Cattolici Popolari 31,3, Antirivoluzionari 13, Cristiani storici 7,9 Laburisti 28,6, Liberali 6,5, Comunisti 10,7 1977 Alleanza Cristiano Democratica 31,9, Laburisti33,8, Liberali 17,9, Comunisti 1,7, Democrazia’66 5,4, Socialisti 3,3 Partiti Cristiani (adesso raccolti nell’alleanza cristiano democratica) meno 20,3 Laburisti più 5,2, Liberali più 11,4, Comunisti meno 9 Sinistra 1946 (laburisti e Comunisti) 39,3 1977 (laburisti, Comunisti, Socialisti) 38,8 meno 0,5 PORTOGALLO Risultati elezioni 1976, le prime dopo la caduta della dittatura sala zarista Socialisti 35,0, Social democratici (centro destra) 24,0, comunisti 14,6, centro democratico 14,9 GERMANIA OVEST 1949 Democristiani (CDU/CSU) 31,0, SPD 29,2, Liberali (FPD) 11,9, Comunisti (KPD) 5,7 Bavaresi 4,2 Partito Tedesco 4,0, Zentrum 3,1, NPD (neonazisti) 1,8 1976 CDU/CSU 48,6, SPD 42,6, Liberali 7,9, Comunisti 0,3, NPD 0,3 CDU/CSU più 17,6, SPD più 7,18, Liberali meno 4,00, Comunisti meno 5,4 SPAGNA 1977 prime elezioni per le Cortes dopo quelle per l’Assemblea Costituente alla caduta del franchismo Centro Democratico 34,5 Partito Socialista 28,7 Comunisti 9,2, Alleanza Popolare 8,4, Socialisti Andalusi 1,7, Democratici Catalani 2,9, PNV (Baschi) 1,7 , Sinistra Democratica 1,4 SVEZIA 1944 Socialdemocratici 46,7, Centro 13,6, Liberali 12,9, Conservatori 15,9, Comunisti 10,3 1976 Socialdemocratici 42,9, Centro 24,1, Liberali 11,1, Conservatori 15,6, Comunisti 4,7 Socialdemocratici meno 3,8, Centro più 10,5, Liberali meno 1,8, Conservatori meno 0,3, Comunisti meno 5,6 1944 Sinistra (Socialdemocratici e comunisti) 57,0 1976 47,6 meno 9,4 SVIZZERA 1947 Popolari Cristiano Democratici 21,2, Liberali 23,0, Socialisti 26,2,Fronte Popolare 12,1, Indipendenti 4,4, Partito del lavoro (ex comunisti) 5,1 1975 Popolari Cristiano Democratici 21,1, Liberali 22,2, Socialisti 24,9, Fronte popolare 9,9, Indipendenti 6,1, Azione Nazionale 1,4, Partito del Lavoro 2,4 Popolari più 2,9,Liberali più 1, Socialisti meno 1,3, Fronte Popolare meno 2,2, Indipendenti più 1,7, Partito del Lavoro meno 2,7 Sinistra 1947 (Socialisti e Partito del Lavoro) 31,6, 1975 27,6 meno 3,7 SOCIALDEMOCRATICI, SOCIALISTI, LABURISTI Paesi in crescita Austria più 5,81, Irlanda più 4,6, Olanda più 5,2, Germania Ovest più 7,18 Paesi in calo Belgio meno 5,7, Danimarca meno 2,9, Finlandia meno 0,2, Francia meno 1,22, Gran Bretagna meno 9,1, Islanda meno 8,7, Italia meno 7,7 (al risultato del 1976 di PSI e PSDI), Norvegia meno 5,7, Svezia meno 3,8, Svizzera meno 1,3 VARIAZIONI PERECENTUALI DEI PARTITI COMUNISTI Austria meno 4,20, Belgio meno 9,5, Danimarca meno 8,3, Finlandia (SKDL) meno 2,0, Francia mento 5,55, Gran Bretagna meno 0,3, Grecia più 9,4 (non presente nel 1946), Islanda (Alleanza del Lavoro) meno 1,2, Italia più 15,5, Norvegia (da comunisti a socialisti di sinistra) più 0,1, Olanda meno 9,0, Portogallo più 14,6 (risultato del 1976 prime elezioni), Germania Ovest meno 4,00, Spagna più 9,2 (risultato del 1976 prime elezioni), Svezia meno 5,6, Svizzera (partito del lavoro) meno 2,7 PARTITI CENTRISTI CONSERVATORI Paesi in crescita Francia più 24,6, Italia più 3,5, Norvegia più 0,4, Germania Ovest più 17,6, Svezia più 10,5, Svizzera più 2,9 Paesi in calo Austria meno 8,00, Belgio meno 10,2, Danimarca meno 12,7, Finlandia meno 3,7, Gran Bretagna meno 4,00, Islanda meno 3,4 POSSIBILI (MA NON SEMPRE REALIZZATE) ALLEANZE DI SINISTRA Francia (SFIO poi PS- PCF) 1945 61,0 1973 48,57 meno 12,43 Italia (PCI-PSIUP-PdA, poi PSDI e PdUP) 1946 41,1 1976 48,9 più 7,8 Olanda 1946 39,3 1977 38, 8 meno 0,5 Svezia 1946 57,0 1976 47,6 meno 9,4 Svizzera 1947 31,3 1975 27,6 meno il 3,7 Tre punti conclusivi 1) Nel corso dei “trenta gloriosi” si notano sia una ulteriore articolazione del quadro politico in molti paesi e una prevalenza di spostamento verso il centro dell’elettorato; 2) Un calo abbastanza generalizzato della socialdemocrazia (salvo quella tedesca) nonostante la diffusione del welfare – state 3) Una conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, dell’assoluta anomalia del “caso Italiano”. Sarà il caso di analizzare al più presto gli anni’80 fino alla vigilia dell’89 e del trattato di Maastricht, a quel punto potremmo avere un quadro più chiaro delle dinamiche politiche nella seconda metà del ‘900. I dati sono stati tratti da “I partiti del’Europa Ocicdentale” di Joachim Raschke, editori Riuniti 1983.

venerdì 21 settembre 2018

EUROPP – What is wrong with the Nordic model?

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L’integrazione europea secondo Draghi – L'Argine

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The Left Will Decide Poland’s Future by Sławomir Sierakowski - Project Syndicate

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What's Behind the Increase in Inequality? | Insight

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La socialdemocrazia e il Modello Sociale Europeo | Insight

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Free markets and the decline of democracy | Insight

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Industrial relations at FIAT: Dr Marchionne’s class war | Insight

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giovedì 20 settembre 2018

Carlo Clericetti: La Patria è di destra o di sinistra?

Carlo Clericetti: La Patria è di destra o di sinistra?

Franco Astengo: Sinistra e paura della politica

SINISTRA E PAURA DELLA POLITICA di Franco Astengo Due articoli apparsi giovedì 20 settembre a pagina 4 del “Manifesto” sembrano scritti apposta per far tornare indietro di almeno quarant’anni i militanti più anziani: all’epoca cioè delle rotture e scissioni tra i diversi gruppi. Una vicenda che ebbe sicuramente il suo epicentro nella formazione della lista elettorale del 1976. Da una parte (articolo firmato da Adriana Pollice) si narra dello scontro interno a “Potere al Popolo” che si sta svolgendo attorno all’elaborazione dello Statuto tra un’anima che vede in PaP una nuova soggettività politica (con un uso molto accentuato del web come strumento di comunicazione e di decisionalità) e un’altra anima in particolare derivante da Rifondazione Comunista che vede il soggetto come un assemblaggio di sigle e movimenti, ciascheduno dei quali manterrebbe la propria distinta identità e concorrerebbe a formare una sorta di cartello che, alla fine, mi si consenta lo scetticismo, altro non si risolverebbe che in un cartello elettorale (con tante scuse per la semplificazione). A fianco (a firma di Daniela Preziosi) si resoconto su LeU con un titolo sconsolato e assieme sconsolante: “ LeU, l’amarezza di Grasso, A rischio di consunzione”. Nel caso di LeU l’oggetto del contendere è un altro pezzo del classico degli orrori della sinistra italiana: quello del rapporto con il PD. Tra SI e MdP la contesa della costruzione del nuovo partito si gioca (anche in questo caso situazione descritta con l’accetta, ma credo con veridicità sostanziale) nella relazione da stabilire con il PD. Una caricatura del vecchio dibattito che, alla fine degli anni’70, aveva interessato l’allora “nuova sinistra” sul tema delle relazioni da intrattenere con il PCI (terzo polo a sinistra, o “area comunista”?). Inutile per gli addetti ai lavori rimarcare, in questo momento, la differenza “storica” tra PCI e PD. Ritengo però che ben pochi ormai hanno idea di quale fosse la consistenza politica, sociale, culturale del Partito Comunista Italiano. Tutto questo si verifica in un quadro di mancata riflessione rispetto a ciò che realmente è accaduto nel corso di questi anni attraverso un vero e proprio spostamento d’asse nel rapporto tra sistema politico e società, l’imporsi di nuove contraddizioni, l’emergere di fenomeni in parte inediti e in parte già presenti nella realtà, di assoluta perdita da parte della sinistra della capacità di lettura dei fenomeni economici, politici e culturali fino a ridursi a entità ( non soltanto sul piano elettorale) assolutamente irrilevanti favorendo così l’ascesa dei soggetti che, ridotta la politica a pure apparire, stanno (provvisoriamente?) dominando la scena. E’ davvero grave che si riduca a diatribe di questo genere (era Marx che scriveva, quando la storia si ripete, lo fa in farsa?) senza che si pensi di avviare una riflessione di fondo sulla realtà: segnali di questa riflessione a livelli adeguati pare proprio che non ne stiano arrivando e il “politicismo” dilaga quale unica forma possibile. Queste poche righe contengono semplicemente una constatazione. La constatazione riguarda l’intera sinistra italiana, quella rivoluzionaria, quella massimalista, quella riformista (tanto per rispettare le antiche separazioni e appartenenze) che sembra aver trovato – in negativo – un denominatore comune: quello della paura della politica e, di conseguenza, del ricercare di nascondersi e di mistificarsi (pensare di mantenere semplicisticamente, in queste condizioni, determinate etichette è – appunto – mistificarsi). Partiamo dal principio: è’ stata negata, nel corso di questi anni, la storia originale e particolare delle formazioni politiche che hanno rappresentato, nel ‘900, il movimento operaio italiano, le parti più avanzate dell’intellettualità del nostro Paese, i rappresentanti di un agire politico che aveva prodotto aggregazione e iniziativa all’interno dei grandi partiti di massa. Non si è cercato di apprendere nulla da questa storia. Si è rinnegata la forma della politica attiva con la scusa della modernità, una modernità intesa come individualismo, negazione dell’agire pubblico e collettivo. Si è fraintesa la politica con l’idea della governabilità come unica frontiera possibile, scambiando le elezioni come il solo momento possibile di espressione politica, riducendosi a un elettoralismo deteriore: com’è dimostrato sia dalla vicenda dell’evoluzione del PDS in PD, sia dalla storia dell’involuzione drammatica dell’area che aveva dato vita a Rifondazione Comunista che, di scissione, in scissione dopo aver tentato un davvero improbabile connubio tra movimento e governo, si è ridotta – letteralmente – a nascondersi com’è stato nel caso dell’Arcobaleno, della Lista Ingroia, di quella Tsipras e ancora a PaP. Ci si è nascosta la verità: non era sparita la classe operaia, non erano venuti a mancare i soggetti di una possibile alternativa politica e sociale. Al contrario, proprio la ferocia capitalistica nella gestione del ciclo che stiamo vivendo ha riacutizzato gli elementi portanti di quella che era sta la nostra identità, a partire dalla necessità di misurarsi appieno con la contraddizione di classe, da intrecciarsi strettamente con quelle contraddizioni post-materialiste tra le quali emerge l’altro feroce atteggiamento del capitalismo rispetto all’ambiente naturale e alla devastazione del territorio e alla progressiva negazione della differenza di genere, nascosta in una logica dei “diritti” di pretta matrice individualista. Inoltre ha fatto passi da gigante la visione riguardante la necessità di un drastico “taglio” nel rapporto tra decisionalità politica e istanze sociali nella logica della riduzione di un presunto “eccesso di domanda”. Ancor più grave ciò che è accaduta nella componente di sinistra rimasta nel PD: accecata a tal punto dalla paura di non riuscire a sopravvivere da accettare per un lungo tratto disegni di tipo autoritario fino a rompere soltanto in una situazione che non ha saputo realizzare il vero punto che sarebbe risultato fondamentale: fornire una risposta politica a quella parte di sinistra che convintamente era tornata alle urne per respingere, il 4 dicembre 2016, proprio quel tentativo autoritario di rottura dell’impianto costituzionale. La paura più evidente e drammatica riguarda però la “forma” dell’azione politica. Questo disastro è stato attuato da una generazione che non lascia eredi e dietro l’apparente impossibilità di ricostituire un’adeguata soggettività politica, punta a perpetuare ignavia e sostanziale cinismo. Le generazioni successive che si approcciano alla politica, esaurita la fase della riflessione sugli universali e sull’appartenenza diretta alla rappresentanza delle contraddizioni sociali, non paiono trovare sbocchi e riferimenti adeguati. La sinistra italiana ha alle sue spalle una storia lunga e gloriosa che non può essere dismessa; così come non possono essere dismesse le volontà di rivolta e di riscatto sociale. L’appello riguarda tutti, indipendentemente da dove si collocano e nell’idea di fare in modo di cercare di comprendere l’insufficienza di tutte le posizioni di improbabile rendita organizzativa. La necessità è quella di ripensare l’organizzazione politica rifiutando sempre di considerare le idee di eguaglianza come marginali o minoritarie e ricollocando l’idea della costruzione del partito politico nella sua insuperabile “centralità sistemica”. Non ci sono margini di conservazione o ritagli di primazia.

mercoledì 19 settembre 2018

Dieci anni di crisi, ritorno al passato - Sbilanciamoci.info

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The siren song of left-wing populism | International Politics and Society - IPS

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SANDERS-VAROUFAKIS - Guardian - un comitato delle sinistre per un New Deal mondiale - | Sindacalmente

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Anna Falcone, sinistra: tutti questi balletti sono desolanti, serve un progetto più grande e serio - nuovAtlantide.org

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A dieci anni dalla crisi più disuguaglianze e meno democrazia - Forum Disuguaglianze Diversità

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PD dove vai se una cultura politica non ce l’hai? #HuffPost « gianfrancopasquino

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martedì 18 settembre 2018

Baromètre «Être de gauche aujourd’hui» - Vague 5 - IFOP

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La rivista il Mulino: Monaco di Baviera, 18/9/2018

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Cosa ci dice la vittoria di Ocasio-Cortez sulla politica americana

Cosa ci dice la vittoria di Ocasio-Cortez sulla politica americana

Franco Astengo: Intervento pubblico e stato sociale

INTERVENTO PUBBLICO E STATO SOCIALE di Franco Astengo Si fa presto a dire “Intervento pubblico e Stato sociale”, magari aggiungendo che la “confusione sotto il cielo è grande”, e basta. Tanto per spiegare lo stato delle cose in atto si può prendere come riferimento un’intervista ad Andrea Roventini, presentato da”Repubblica” come il Ministro del Tesoro “in pectore” scelto dal Movimento 5 stelle nel fantomatico governo formato nel corso della campagna elettorale. Lo stesso Roventini si auto definisce: “ keynesiano eretico, critico con il liberismo e la deregolamentazione sfrenata dei mercati finanziari”. Fin qui tutto bene, ma per cercare di capirci meglio partiamo dal titolo dell’intervista stessa: “L’economista che piace ai 5S: Pace fiscale? Nome orwelliano, questo è solo un condono”. Un titolo che sembra tutto un programma, al quale – sempre allo scopo di comprendere la situazione andrebbe aggiunta la risposta all’ultima domanda dell’intervista: Domanda: Appunto. Gli elettorati di M5S e Lega rischiano di restare delusi. Risposta del prof. Roventini: “Guardi, io dico solo che le misure pensate dal M5S puntano a stimolare la domanda. Mi sembra la giusta strada, perché servono interventi di rilancio della crescita visto che il vero problema italiano non è tanto quello del debito quanto piuttosto quello della produttività. Se il nostro Paese chiedesse all’Europa qualche decimale di deficit in più per fare interventi di politica industriale incontrerebbe maggiore disponibilità da Bruxelles. Se invece quei margini li chiedesse per sperperarli in flat tax o misure simili, non ci sarebbe riscontro”. Allora andiamo per ordine, saltando a piè pari il piccolo particolare della “disponibilità di Bruxelles” e degli intendimenti fin qui sbandierati nel confronto dell’Europa. Andando, invece, nel merito: preso atto della posizione su condono e flat tax che credo debbano essere considerati entrambi come un grosso regalo ai ricchi e agli evasori. E fin qui il giudizio può apparire assolutamente scontato e banale. Il quesito vero però potrebbe essere così sintetizzato: come si accompagnano gli “interventi di politica industriale” con il reddito di cittadinanza? Com’è possibile scegliere tra lo stimolo alla domanda attraverso l’incremento di produttività in un Paese come l’Italia in totale deficit nei settori strategici dell’industria e in grave difficoltà infrastrutturale, e l’elargizione di sussidi che, al massimo, una volta incassati potrebbero provocare – in situazioni soggettive di assoluta sopravvivenza – una minima crescita del consumo individuale a livello di bassissimo incremento produttivo? Non ritorniamo a questo punto nel dettaglio di antiche recriminazioni partendo dall’ errore clamoroso (denominiamolo ancora così per “carità di patria”) che fornisce l’idea concreta di ciò che è stata ed è la classe presuntuosamente dirigente di questo Paese: a partire dall’operazione smantellamento delle PPSS e scioglimento dell’ IRI negli anni’80. Le poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno 2000 l'IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in Fintecna, scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua controllata ha però pagato un assegno al Ministero del Tesoro di oltre 5000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito. Qualsiasi idea d’intervento pubblico nella politica industriale deve necessariamente partire dalla riconsiderazione al riguardo dello scempio fatto in passato e risulta comunque assolutamente incompatibile con provvedimento di mera natura assistenziale (la DC, in condizioni economiche ben diverse dalle attuali, nella fase “affluente” della ricostruzione post – bellica aveva governato i due corni del dilemma. Poi come sappiano bene la situazione era degenerata). Restano sullo sfondo alcune questioni: quelle del rapporto tra assistenza, previdenza e stato sociale nella società moderna e quella del sistema fiscale che si situa sempre al centro di un quadro di fortissima evasione e di mancato utilizzo della leva per un’efficace redistribuzione di reddito. Perché non si parla mai di “Patrimoniale”? Insomma: la confusione sotto il cielo è grande e il rischio , scontato il “parturient montes nascetur ridiculus mus”, è proprio quella di un assemblaggio contraddittorio e ingovernabile. A questo punto sarebbe necessario ritornasse in scena la politica, ma questo è un altro discorso. Scontando la difficoltà di organizzare “cene riservate”.

lunedì 17 settembre 2018

Franco Astengo: Partiti e struttura del sistema politico

PARTITI E STRUTTURA DEL SISTEMA POLITICO di Franco Astengo “ Oggi la potenza della burocrazia è generalmente ascendente, in diretta proporzione al declino della classe politica. Specie nelle liberaldemocrazie di antico lignaggio. Qui la politica scade a narrazione, la legge perde di senso perché il disordine del mondo eccede le sottigliezze del giurista. L’orizzonte decisionale si calcola in minuti secondi e il dibattito pubblico, deprivato di riferimenti, miti e mete ideali o comunque future è ridotto a scariche di tweet. A differenza delle istituzioni politiche, esposte al trionfo e al recesso degli eletti, quelle amministrative sono dotate di vita propria, destinata a estinguersi solo con la fine dello Stato. Dispongono di batterie sovraccariche di energia accumulata nei decenni, talvolta nei secoli. Sottoposte (non sempre) alla legge, non esposte ai capricci dell’elettore. Legittime ma per carattere tendenti all’autolegittimazione d’ufficio, arbitrariamente analoga alla “suitas” derivata dal diritto romano. Sempre però esposta all’urgenza del capo politico di offrire ai media un capro espiatorio tecnico in caso d’insuccesso. Ma se il pragmatismo degli eletti si riduce a incompetente opportunismo, se in alto si fa buio, le vette della politica non emettono luce e il governo si riduce a inerte amministrazione, anche lo Stato profondo ne soffre. Da nessuno si può pretendere senso dello Stato, se lo Stato non fa più senso”. Ho ritenuto di riportare per intero questo passaggio tratto dall’introduzione all’ultimo numero di “Limes” (8/2018) in cui si tratta di “Stati profondi – abissi del potere: viaggio negli apparati pubblici e segreti, custodi e motori strategici delle nazioni e degli imperi”. Un estratto che mi è parso sufficientemente riassuntivo, quale vera e propria premessa, per affrontare il tema della struttura del sistema politico italiano, della crisi dell’impalcatura che reggeva il rapporto tra politica e amministrazione e quello tra politica e società: una crisi nella quale si sono aperti varchi attraverso i quali si stanno evidenziando infiltrazioni inediti e alquanto pericolose. Nello stesso numero di Limes un intervento di Alessandro Aresu “C’è vita dopo la morte della Patria” affronta lo specifico del “caso Italiano”. Vale la pena riportare un punto del suo intervento: “ Nella debolezza politica, la riduzione della Repubblica dei partiti allo stato gassoso è un fattore dirimente. Senz’altro nell’Italia della guerra fredda i partiti hanno fatto lo Stato e surrogato il sentimento nazionale, quindi la loro scomparsa ha lasciato un vuoto. Il vuoto è divenuto stabile, e non transitorio, con l’esaurimento delle loro risorse economiche. I partiti (o movimenti che dir si voglia) possono ancora competere sul mercato elettorale attraverso staff o società di comunicazione. Hanno difficoltà a costituirsi come apparati in senso proprio, se non facendo leva sui fattori di stabilità: una presenza locale e parlamentare radicata (è il caso della Lega: al proposito si segnala che è in uscita presso il Mulino una ricerca curata da Itanes che dimostra come la cosiddetta “nazionalizzazione” della Lega, oltre ai risultati elettorali, è ancora di là da venire n.d.r.) o entità esterne (Casaleggio associati / Movimento 5 stelle). Nel momento del potere, alle difficoltà di organizzazione si sopperisce attraverso la distribuzione delle cariche di società controllate e partecipate dello Stato. In ciò consiste il centro del potere dei partiti”. Al riguardo dell’ultimo punto: esattamente lo spettacolo cui abbiamo assistito in questi mesi. All’interno di questo quadro emerge così la questione del rapporto tra apparati e politica:la sopravvivenza della burocrazia italiana, sostiene ancora Aresu, non è la capacità di adattarsi a compiti nuovi e non corrisponde alla capacità di rappresentare e indirizzare la domanda di Stato, che pure nell’attualità si trova sempre di più a essere invocata. Si è così creato una sorta di corto circuito che riguarda la funzione amministrativa e il rapporto tra questa e la funzione politica al riguardo del quale l’Italia sembra non aver ancora deciso il “che fare”. Il tema da indicare, allora è quello del ritornare a occuparci della questione dei partiti, del ruolo dei partiti nella democrazia repubblicana. Occupandoci dei partiti intendiamo, semplicemente entrare nel cuore della necessaria “pars costruens” di difesa e sviluppo della nostra democrazia repubblicana. Gli elementi costitutivi di quello che potrebbe essere definito come un “grande partito” (al di là dei numeri disponibili in partenza) debbono essere rappresentati dalla capacità di darsi una forte identità che distingua il partito dagli altri partiti, rendendolo così ben riconoscibile. E, ancora, un partito deve essere distinto e riconosciuto, attraverso la capacità di elaborare un programma di governo dell'intera società, sul fondamento di una selezione di interessi e valori prevalenti rispetto a quelli delle parti politiche e sociali portatrici di differenti interessi e valori. Dobbiamo tornare a interrogarci su quale tipo e quale forma di soggettività politica è necessario guardare oggi, nella crisi del neoliberismo e della torsione negativo subito, appunto, dalle strutture politiche esistenti. Per rispondere a questa domanda non ci aiuta la debolezza della nostra concezione della democrazia, di una visione negativa e minimalista della democrazia. Abbiamo bisogno di recuperare, da un lato, la forza etica della dignità della persona e della partecipazione politica e, dall'altro canto, riscattare la politica dall'imperio tirannico del privatismo individualistico. Abbiamo bisogno di recuperare i due valori fondanti della democrazia: la cittadinanza e l'eguaglianza. Abbiamo bisogno della cittadinanza perché l'erosione delle istituzioni politiche e del ruolo della partecipazione è facilmente strumentalizzabile da chi ha più presenza politica e più strumenti per formare il consenso. Abbiamo bisogno dell'eguaglianza perché appare sotto gli occhi di tutti l'attacco sistematico cui il concetto di eguaglianza è sottoposto, con l'indebolimento dei diritti sociali, della scuola pubblica, della stessa idea di redistribuzione come volano di solidarietà. Sia la cittadinanza, sia l'eguaglianza meritano la nostra attenzione oggi, non per ridimensionare la cultura dei diritti, ma per rafforzarla reinterpretandola all'interno di una cornice politica, non soltanto morale e giuridica, per l'appunto individualista. Nella “paura della politica” che ha dominato nel corso degli ultimi anni si sono aperti gli argini al cosiddetto “partito – liquido”: non propriamente un partito, ma un contenitore di forze dai confini sfuggenti, e quindi tale da provocare spinte e controspinte difficilmente governabili, come dimostra l’esperienza delle “primarie all’italiana” e l’uso arrogante della cosiddetta vocazione maggioritaria. Non troppo paradossale in questo senso il fatto che incamminatici sulla strada del “partito – liquidi” e vari “cerchi” e/o “gigli” magici hanno utilizzato l’occasione con piglio sicuramente leninista di totalizzazione nella gestione del potere utilizzandolo proprio nella funzione di “nomina” rivolta verso la funzione sostitutiva che nelle varie branchie dell’amministrazione l’alta burocrazia si è trovata svolgere mentre svaniva la funzione di intermediazione dei corpi politici intermedi (durante si riduceva sempre più anche e soprattutto il ruolo del Parlamento, per come questo era stato architettato dalla Costituzione Repubblicana). Occorre riprendere il ragionamento sul partito, cercando di comprendere, prima di tutto, che la pretesa di un partito di essere lo specchio e il contenitore di tutti gli interessi e di tutti i valori importanti e significativi presenti nella società (come nel caso del cosiddetto “Partito della Nazione”) è sintomo non di forza, ma di debolezza; dell'incapacità di comprendere che un partito è un raggruppamento di volontà determinate e specifiche; uno strumento di scelte di campo; di quelle cose, di quei fattori che nel loro convergere costituiscono un programma, matrice dei “sì” e dei “no”, che animano e danno senso alla competizione tra partiti e loro programmi. Un partito non è un ente che debba ambire a inglobare la società, ma un ente che si pone di fronte a questa e indica, in modi diversi, ma anche alternativi, di governarla. Un partito che intenda “pacificare” nel suo seno le varie opzioni esistenti nella società abdica per ciò stesso al proprio ruolo e si assegna uno scopo non perseguibile. In questo senso, dopo l'azzeramento delle scelte compiute a cavallo della “transizione italiana” avviata agli inizi degli anni'90 del secolo scorso, l'opera da compiere è enorme. La sinistra italiana disponeva di un formidabile background sotto quest’aspetto e, al di là del discorso sull'organicità gramsciana e dell'idea di “egemonia” che in essa si collocava, il discorso sulla tradizione va ripreso attorno a due punti: a) l'idea di una ripresa culturale, che faccia parte della vita del partito come “ponte” verso l'esterno, senza chiusure immotivate, ma anche come sede di una battaglia da combattere (quella della vita culturale vera e propria, nel senso dell'impresa culturale: riviste, case editrici, utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa, ecc.); una battaglia da combattere attraverso quelle che un tempo si definivano “armi della critica”, ponendoci un primo obiettivo, quello di aprire un ciclo di studi seri e meditati, con ricerche pazienti per arrivare a un’approfondita rielaborazione della storia del nostro Paese, in ambito e con respiro europeo, almeno per gli ultimi 40 anni: sta qui, infatti, nell'assenza di una ricostruzione storica concreta dei passaggi che abbiamo vissuto, il nocciolo della distruzione di memoria, di identità e, quindi, di capacità politica che stiamo vivendo. La ricostruzione della storia è la sola strada possibile per un recupero di egemonia; b) ricostruire la storia per ricostruire l'identità non può risultare un esercizio fine a se stesso ma necessario, invece, per far sì che si dispieghino liberamente le contraddizioni sociali dell'oggi, offrendo loro una sintesi: una sintesi di proposta politica di trasformazione della società. In conclusione: un’idea, quella di una soggettività politica per la trasformazione che oggi può apparire balzana, irrealistica, addirittura utopica, ma senza il cui riferimento, pratico e ideale, non solo non avrebbe senso una discussione come questa che stiamo affrontando, ma anche qualsiasi azione politica conseguente.

venerdì 14 settembre 2018

The Siren Song of Left-Wing Populism by Cristóbal Rovira Kaltwasser - Project Syndicate

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La rivista il Mulino: New York, 14/9/2018

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Bachelet vs. Bolton by Aryeh Neier - Project Syndicate

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The Global Economy’s Fundamental Weakness by Richard Kozul-Wright - Project Syndicate

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Il post-voto in Svezia tra molte insidie e la ricerca di una complicata soluzione - Pandora Pandora

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Doppio stop per le destre nel voto UE « gianfrancopasquino

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Will Germans Rise Up For A New Left-Wing Movement? What To Know About Aufstehen • Social Europe

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L'OCSE boccia l'Italia, istruzione sotto la media dei Paesi sviluppati - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

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lunedì 10 settembre 2018

A new dawn for the Danish radical left? | Red Pepper

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Il voto in Svezia in 5 punti - YouTrend

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La Grecia di Tsipras che resiste - Sbilanciamoci.info

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La lezione di Genova per imprenditori e Stato - Sbilanciamoci.info

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I socialdemocratici resistono in Svezia, ma nessuno scampato pericolo dall’ultra destra nazionalpopulista – Strisciarossa

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Squilibrio: i cambiamenti strutturali dell’economia e il ruolo dello Stato | Economia e Politica

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EUROPP – Sweden’s election results: The view from across Europe

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Visco: Tra presente, passato e futuro: contributo per una nuova sinistra - nuovAtlantide.org

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domenica 9 settembre 2018

sabato 8 settembre 2018

Brazil’s Anti-Politics Election

Brazil’s Anti-Politics Election

I contrappesi e il disegno sovranista « gianfrancopasquino

I contrappesi e il disegno sovranista « gianfrancopasquino

Quale partito per il prossimo segretario del PD? « gianfrancopasquino

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Franco Astengo: Poteri

LA DIVISIONE DEI POTERI di Franco Astengo Questo il titolo apparso pochi minuti fa sulle testa online: Salvini indagato per sequestro di persona. L'ira del ministro: "Io eletto, i giudici no”. A Salvini vanno immediatamente ricordate due cose: Per fortuna la Costituzione Italiana prevede la divisione dei poteri retaggio dell’illuminismo e dello “esprit de la lois” di Montesquieu. Divisione dei poteri garantita dalla Costituzione Repubblicana che all’articolo 104 recita: 1) “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vice presidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.” Non ci troviamo negli USA con i giudici elettivi, ma bisogna riconoscere che quello dei giudici elettivi è un antico pallino della Lega che, nel frattempo, è debitrice di 49 milioni verso lo Stato; 2) Per quanto riguarda l’elezione va ancora ricordati che “eletti” è una parola grossa trattandosi infatti, ancora una volta, di un Parlamento in gran parte (Salvini compreso) di “nominati” che hanno avuto accesso alle aule parlamentari grazie alla loro posizione nella graduatoria stabilita a tavolino,oppure inseriti in un collegio uninominale “sicuro”, magari con il “paracadute” aperto della doppia candidatura, plurinominale e uninominale. Sul parlamento di “nominati” si è già pronunciata la Corte Costituzionale, sia al riguardo della legge elettorale del 2005 dichiarata incostituzionale, sia rispetto all’Italikum che non è maki entrato in funzione proprio in ragione di una altra sentenza della Corte che ne aveva smantellato l’impianto. La stessa legge con la quale si è votato il 4 marzo 2018 sarà sottoposta a giudizio e il tema dei “nominati” sarà una delle questioni in ballo. Di conseguenza nel considerarsi “eletto” o magari “unto dal signore” occorrerebbero misura e cautela.

giovedì 6 settembre 2018

Andrea Ermano: Dopo la terza via, svoltare a sinistra

EDITORIALE Avvenire dei Lavoratori Dopo la “terza via” svoltare a sinistra La costruzione europea, unica nostra chance di contare qualcosa nel mondo che viene, viene presa a mazzate mentre le tre grandi potenze si contendono i termini di una nuova spartizione del pianeta in aree d’influenza. Per dargli una mano, l’obiettivo dichiarato dei sovranisti del Vecchio Continente è vincere le europee del 2019 e cacciare il PSE all’opposizione. di Andrea Ermano Sulle note della marcia trionfale pro Salvini – santo subito e ora anche martire, dacché alcuni magistrati hanno avuto l’ardire di sottoporre il Ministro a indagine giudiziaria per avere questi vietato lo sbarco di stranieri sul sacro suolo patrio – l’estate sta finendo. Scampati all’ammazzamento nei conflitti centroafricani? Alla morte per sete nel deserto? Alle violenze plurime nei lager libici? All’annegamento nel Mediterraneo? La lega se ne frega. E vola verso vette di consenso a trentadue stelle. Un italiano su tre adora il Capo. Il quale per parte sua – dopo i primi mesi di propaganda al governo – sembra volersi accomodare in un riposizionamento moderato, forse puntando sulla confluenza nel PPE, come Orban e Berlusconi. L’obiettivo dichiarato: vincere le europee del 2019 e cacciare il PSE all’opposizione. No, di grazia, ancora i socialisti europei?! Ma non erano morti e rimorti? E di che sarebbero rei, stavolta? In politica, spiegano gli psicologi, l’universalismo tenderebbe sempre a perdere contro il particolarismo perché le pulsioni profonde delle masse prediligerebbero la chiusura securitaria: «Salvini vince facile perché ha elevato questa tendenza della vita pulsionale alla dignità dell’azione politica», sostiene Recalcati. Anche la totale subalternità del M5S verso il leader nazional-padano si spiegherebbe in questo quadro: «Cosa conta di più? Impugnare populisticamente l’ideale della giustizia e dell’onestà, oppure invocare il pericolo imminente di una rottura degli argini, di un’inondazione pestilenziale dell’immigrato?». Certo, se la politica si riducesse alla psicologia di massa e questa alla propaganda xenofoba, sempre il particolarismo prevarrebbe sull’universalismo (e il socialismo è un universalismo). Ma – ancorché il particolarismo partecipi a un comune sentire identitario sovranista – la sua forza aggregante sul piano collettivo resta instabile, per la contradizion che nol consente. Attrarre le repulsioni, estendere oltre misura le restrizioni e aprire ciò che di per sé vorrebbe chiudersi è fatica improba. E un esempio di ciò si ha con Orban, Salvini, Kurz e consorti, tutti d’accordo nel non aiutarsi reciprocamente. Là fuori, sul piano oggettivo, le determinanti fondamentali della nostra vita hanno assunto, oggi come non mai, una dimensione universale: il clima, la sovrappopolazione, l’accelerazione tecnologica, gli squilibri strategici, il turbo-capitalismo finanziario ecc. esigono risposte di tipo universalistico e non ammettono soluzioni particolaristiche, pena la catastrofe multipla. Ma perché impressionarsi per così poco? Non si sono impressionati gli strateghi del particolarismo turbo-capitalista, autori del più grande trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi che la storia ricordi. Non si stanno minimamente impressionando neppure gli strateghi del particolarismo sovranista che ha ormai il vento in poppa in tutto l’Occidente. Con la differenza che i trumpiani al di là dell’Atlantico possono sovraneggiare ancora un po’, mentre per noi al di qua dell’acqua si tratta ormai di un lusso rischiosissimo. La costruzione europea, unica nostra chance di contare qualcosa nel mondo che viene, viene presa sistematicamente a mazzate mentre le tre superpotenze si contendono i termini di una nuova spartizione del pianeta in aree d’influenza. Come nell’Italia degli anni Novanta, così oggi in Europa la crisi della cultura politica novecentesca si accompagna alle retoriche del “nuovo” e del “cambiamento”. In Italia, come ben sappiamo, hanno veicolato un declino economico e sociale senza precedenti, sempre più ossessionato da tematiche securitarie, che non sarebbero né di destra né di sinistra, dicono. Ma proprio la parola “sicurezza” assume a sinistra un valore decisivo e significa anzitutto “sicurezza sociale”. Se ne è ricordato di recente Walter Veltroni, che ha ammesso i gravi errori compiuti dal suo Pds-Ds-Pd nell’aver privilegiato le politiche neo-liberali (a favore dei ricchi) e dell’austerità (a sfavore dei poveri) tramite scelte massicciamente disorientanti per il popolo di sinistra. Oggi, tant’anni dopo, l’uomo del Lingotto non dice più “corriamo da soli”, parla invece di umiltà, di autocritica, di ravvedimento, e proclama: “La sinistra è dare sicurezza sociale”. Contribuisce così – quanto meno a sinistra e quanto meno sul piano delle idee – a una chiarificazione critica verso l’epoca dell’ideologia neo-liberale, la cui mossa programmatica iniziale, trent’anni fa, fu: Tanto stato di diritto quant’è possibile, tanto stato sociale quant’è necessario. Non era così. Questa asimmetria si è rivelata disastrosa. E per fortuna che i tempi di abbattimento dello stato sociale sono stati frenati da diversi vincoli e resistenze. Perché, senza lo stato sociale, la strisciante sindrome weimariana in corso sarebbe esplosa con effetti ben più dirompenti. Dunque, come si vede e come volevasi dimostrare, è davvero la sicurezza sociale a costituire garanzia di tenuta ultima per l’ordine liberale. Di qui ben si comprende anche la “verità dialettica” dei nostri avversari populisti e sovranisti al governo: catapultati a Palazzo Chigi anche perché – insieme alle odiosissime spinte xenofobe di estrema destra che li caratterizzano – essi agitano confusamente alcune tipiche istanze di sinistra, come la perequazione dei redditi minimi e delle pensioni. Per concludere, un dato demoscopico: circa il 15-20% degli italiani desidererebbe il ritorno di un partito socialdemocratico nel nostro Paese e, oltre a questi, circa il 20% desidererebbe il ritorno di un partito “di sinistra”. Coloro i quali tolsero le parole “socialismo” e “sinistra” dal nostro panorama politico hanno di che riflettere. Ne consegue una domanda. Il PD può assumere un profilo più “socialdemocratico” e più “di sinistra”? Noi ce lo auguriamo. È, del resto, quanto già accade nelle formazioni laburiste e democratiche d’area anglosassone, che dopo la “terza via” hanno decisamente svoltato. Ma si tratta – anche lì – di un percorso non facile e non semplice. Il limite maggiore sta – non solo nel rapporto con il “popolo di sinistra” – ma anche nell’incredibile povertà della cultura politica quanto ad analisi, strategie e programmi. Per dire, non si vede, nell’epoca della globalizzazione dei destini umani, una teoria tanto della polis quanto della cosmopolis, per esempio a riguardo dei diritti e dei doveri del cittadino, ma manca anche una teoria del lavoro umano nell’epoca della transizione iper-tecnologica in atto. Insomma, il lavoro non manca.

Produttività e retribuzioni: i divari Nord-Sud | Economia e Politica

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Siamo di fronte a una situazione pre-fascista? « gianfrancopasquino

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Chi è Sahra Wagenknecht, leader di Aufstehen - Lettera43.it

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mercoledì 5 settembre 2018

Franco Astengo: Rappresentanza politica e democrazia diretta

RAPPRESENTANZA POLITICA E DEMOCRAZIA DIRETTA di Franco Astengo "Rousseau non è una moda passeggera. La democrazia diretta e partecipata è il futuro". Nel giorno in cui il primo cinquestelle - il presidente della Camera Roberto Fico - partecipava a una festa dell'Unità (a Ravenna), Davide Casaleggio scriveva un lungo post pubblicato sul Blog delle stelle, dal titolo "La democrazia non è un voto", in cui prende in esame l'evoluzione della partecipazione democratica. E torna sulla convinzione che in futuro il Parlamento - ovvero la democrazia rappresentativa - non esisterà più. Spiega il figlio del cofondatore del Movimento 5 stelle: "Oggi alcuni pensano che la Rete non permetta la partecipazione alla vita politica. Gli stessi sono convinti che il modello ottocentesco di organizzare la politica sia qui per restare. Ma per quanto ci si opponga, al cambiamento non interessa se siamo pronti o meno ad accoglierlo". Si tratta di posizioni al riguardo delle quali vanno opposte argomentazioni adeguate non sottovalutandole. Il tema della “qualità della democrazia” appare come centrale, anche dentro un’operazione politica che tenda a costruire un’alternativa concreta all’attuale quadro politico e alle suggestioni che Lega e M5S stanno lanciando. Si tratta di elaborare un discorso credibile nella necessaria contrapposizione tra idea della rappresentanza politica e idea della democrazia diretta, così come questa è stata concepita attraverso proprio la piattaforma Rousseau. E’ indispensabile elaborare un quadro di riferimento per un’idea di rappresentanza politica in grado di prestare però grande attenzione al tema della partecipazione. Bisogna, infatti, tornare a far comprendere come la politica non sia soltanto costituita dalle modalità e procedure del processo decisionale. In realtà ci troviamo in una situazione già diversa anche da quella teorizzata da Bernard Manin con la “Democrazia del pubblico”, beninteso del “pubblico” che paga e assiste senza intervenire. L’idea della democrazia diretta attraverso il web si sostanzia, in realtà, attraverso l’operato di un qualche “influencer” che orienta e manipola la minoranza chiassosa che affolla il web determinando così la propria (dei manipolatori) capacità di pressione sulle politiche pubbliche e le nomine. In pratica la democrazia diretta mutuata attraverso la piattaforma Rousseau indica il web come luogo d’esercizio di nuove forme di lobbismo e di corporativismo. Neo – corporativismo legato alla pratica dell’oggi e non oltre: di conseguenza la cosiddetta “democrazia diretta nella versione Rousseau non è altro il semplice attaccamento all’oggi, la somma degli egoismi individualistici. Nel corso degli anni è venuta progressivamente a mancare, e ne stiamo verificando gli effetti, l’appartenenza a un’idea di fondo (per non dire di un’ideologia) tra individuale e collettivo (tanto per usare schemi antichi) e la riconoscibilità della propria condizione sociale (ormai confusa nello stemperarsi elettoralistico della fisonomia dei partiti e nella perdita di ruolo dei “corpi intermedi”). Riconoscibilità della condizione sociale che dovrebbe condurre e recuperare l’idea di appartenenza, prevalente sulla labilità dell’opinione e sulla bassa opportunità dello“scambio”. Nessuno o quasi sembra rifletterci. Eppure emerge, senza che appunto la “democrazia diretta” possa far immaginare almeno l’edificazione di un argine, la recrudescenza della condizione di classe caratterizzata dall’intensificazione dello sfruttamento e dalla precarietà del lavoro realizzata anche attraverso l’utilizzo strumentale dell’innovazione tecnologica misurata proprio in una dimensione ferocemente classista. Una recrudescenza della condizione di classe estesa ad ambiti oltre a quelli un tempo investiti dalla classica “contraddizione principale” in un quadro di arretramento verticale (processo in atto da oltre un trentennio) rispetto a quanto realizzato, sia pure di parziale, nel corso dei cosiddetti “30 gloriosi”. La sola possibilità che si apre per un’idea di presenza che risulti all’altezza della complessità di contraddizioni in atto è ancora quella che intreccia il sociale con il politico al fine di realizzare una ricerca al riguardo della dimensione della rappresentanza politica e quindi del ruolo dei partiti e della loro presenza sul territorio. Quello della rappresentanza politica deve continuare a rappresentare il terreno sul quale esprimere un fondamentale concetto di appartenenza. Appartenenza e rappresentanza debbono risultare strettamente intrecciati nel cercare di recuperare il senso della politica militante ed anche della presenza istituzionale, in una fase di vero e proprio svuotamento dei consessi elettivi a tutti i livelli. A futura memoria si ricorda, infine, che lo stesso concetto di “rappresentanza politica” è questione complessa che prevede non la semplice assunzione di una dimensione di relazione diretta con presunte priorità spesso rappresentate da lobbie e da “minoranze rumorose”, ma espressione d’indirizzo, progettualità, costruzione sociale. Ritorna il tema della funzione pedagogica dei soggetti politici e, forse, è proprio questo il punto nevralgico di tutta la difficile partita che si sta svolgendo nel quadro di un’evidente difficoltà presente nell’impianto classico della cosiddetta “democrazia liberale”.

martedì 4 settembre 2018

Où en est le modèle de la sociale démocratie ?

Où en est le modèle de la sociale démocratie ?

Les dilemmes de l’Europe nordique - La Vie des idées

Les dilemmes de l’Europe nordique - La Vie des idées

Franco D'Alfonso: 90 giorni di governo

Come promesso, terzo aggiornamento sul governo del nulla ( a 30gg) , diventato del danno ( a 60 gg) diventato ora del “dillo e non farlo” (tanto il danno c’è comunque). INATTIVITA’ DI GOVERNO Complice il mese di agosto, il governo del premier Conte-che-non-conta ha consolidato il primato di governo meno produttivo, in termini di atti concreti, della storia repubblicana nei primi tre mesi. Si tratta di un dato di fatto e non di opinioni, che invece sono divise tra chi pensa che non hanno fatto nulla perché sono incapaci di tutto ( è la mia, tanto per non girarci intorno ), chi ritiene che sia una tattica dilatoria per evitare di certificare l’irrealizzabilità delle note promesse elettorali e chi invece pensa che siano impegnati in uno approfondito e minuzioso studio di carte e situazioni in una situazione di “sfascio” per potere proporre , entro il tempo indeterminato del “lasciamoli lavorare e vediamo di cosa sono capaci”, soluzioni rivoluzionare e definitive. Vedremo a 120 giorni quali proposte concrete porterà questo periodo di studio operato da personaggi per lo più, diciamo così, poco avvezzi allo studio ed al lavoro intenso e continuativo. Ad oggi l’unico decreto trasformato in legge è il cosiddetto “decreto dignità”, il cui contenuto concreto è la modifica dei contratti a tempo determinato, la reintroduzione dei voucher e il divieto futuro di pubblicità per giochi e scommesse. E’ stato varato invece in estate e non a fine anno ed è ora all’esame del Parlamento, il decreto “Milleproroghe”, la leggina che tradizionalmente “corregge” la legge di bilancio, introducendo correttivi, toppe e qualche mancia per lo più ad uso degli enti locali usciti malconci dalla ricerca degli equilibri finanziari . L’innovazione sostanziale è che, caso veramente unico, le “toppe” sono state apportate ancora prima di aver apportato i buchi e, forse per la difficoltà di individuazione precisa del tessuto istituzionale da ridurre a groviera, il “cambiamento” dello stile di governo si è tradotto nel bastonare e traforare i bilanci degli enti locali ancora prima di varare la “Finanziaria”, facendo sparire con un tratto di penna i fondi per gli investimenti del “piano periferie” non solo per il futuro, ma anche per il passato : gli assessori al bilancio anche quest’anno si troveranno a dover giocare una partita a perdere di tipo nuovo, dovranno capire come fare a non finire nelle grane per mantenere in essere investimenti finanziati, deliberati ed in diversi casi già perfino appaltati a fronte della sparizione da un giorno all’altro e senza preavviso del finanziamento statale che ne stava alla base. Del resto, anche da un punto di vista strettamente “organizzativo”, l’attivismo dei ministri non è certo orientato a seguire il lavoro degli uffici : il premier di fatto Salvini si è auto-segnalato nell’ultimo mese in 64 diverse località e situazioni, dalla Baviera ad Alzano passando per Milano Marittima e Milano per concordare la linea con il premier ungherese, ritenendo evidentemente di controllare il Viminale via twitter ( come dimostra anche la vicenda della Diciotti e dei migranti, dove pare aver abolito la vetusta abitudine di mettere per iscritto provvedimenti di restrizione della libertà di movimento, oltre ad aver sorvolato sulla verifica di competenza e poteri..) ; il secondo in comando Di Maio è passato dal ministero in via Vittorio Veneto solo per un “meet up” con gli amici, una riunione senza odg e nemmeno capo né coda, sulla serissima questione Ilva ; la nuova star Toninelli, oggettivamente trovatosi in una situazione drammatica e complicata per la tragedia di Genova, non ha avuto nemmeno il tempo di informarsi su competenze e responsabilità del suo ministero, occupato come era a saltare dalle meritate ( senza ironia) vacanze al mare alle dichiarazioni a raffica sulle responsabilità di chiunque Rocco Casalino gli dicesse di attaccare dalle macerie del ponte, infilando e facendosi infilare in un guazzabuglio di responsabilità e conflitti di interesse con nomine che si è dovuto rimangiare e dichiarazioni da far dimenticare subito con parole ancora più sbilenche, il cui peso ed effetto saranno dolorosamente chiari anche a lui ogni giorno di più. Non si ha notizia della dislocazione e perfino dell’esistenza dell’ombra di premier Conte, che è scomparso dai radar dopo l’apparizione in maglietta polo della Protezione Civile quando ha annunciato, parodiando - si spera involontariamente - il Mussolini dell’autarchia : “per i soccorsi ho potuto dire ai partner europei che mi offrivano aiuto che l’Italia ce la fa orgogliosamente da sola” . Dopo questa performance, il sottosegretario Giorgetti deve averlo rinchiuso in qualche stanza di Palazzo Chigi, permettendogli di uscire solo per suonare la campanella per la riunione del Consiglio dei ministri. ATTIVITA’ POLITICA DI GOVERNO Magari tre mesi sono ancora pochi, ma dell’indirizzo politico concorde ed unanime dell’amministrazione gialloverde non si ha traccia. Si è cominciato a parlare di “cabine di regia” e coordinamento ( con il governo Berlusconi, per dire, si iniziò dopo il terzo anno. E’ vero però che con il governo Prodi si iniziò il terzo giorno..), le priorità e l’agenda delle dichiarazioni dei singoli esponenti dell’esecutivo sono dettate dai titoli delle agenzie e dai like su facebook. Il fiuto del vero premier politico, Matteo Salvini, per la mitica “pancia” del Paese non si traduce in un programma organico di lavoro, ma in apparizioni su web da Istituto Luce, torso e pancetta nuda compresi, che hanno grande effetto sulla personale popolarità del leader della Lega ma impediscono qualsiasi autonoma espressione politica del Governo. Le strategie dei due partner, divergenti nel medio periodo, convergono chiaramente in una sola cosa : resistere fino alle elezioni europee, alle quali presentarsi come “coppia di fatto” in grado comunque di capitalizzare il massimo consenso con una campagna anti Bruxelles, occupare il massimo dei posti di potere, dalla Rai a Fincantieri passando per Snam e Italgas e conquistare le Regioni in palio, dalla Basilicata al Piemonte. L’accordo ha la solidità ferrea dei patti di puro potere, agevolati dalla totale mancanza di retroterra politico-culturale che ne ipotechino le giravolte tipo la conversione della Lega allo statalismo o dei 5stelle al garantismo. Il pericolo viene dal fatto che, nel frattempo, si dovrebbe governare il Paese e realizzare almeno qualcuna delle promesse elettorali, operazione quanto mai complicata : anche le operazioni stile “facite ammuina” della Marina borbonica, tipo il dire che si fa il reddito di cittadinanza “nel 2019” prendendo i soldi dagli “80 euro di Renzi, ma nessuno perderà un euro” rischiano di non tenere la scena per nove mesi ed una legge finanziaria. In via di esaurimento la possibilità di scaricare tutto su Renzi, il Pd, Benetton e le Autostrade, l’intenzione degli statisti gialloverdi sembra essere quella di dedicare il prossimo anno alla demonizzazione di Macron e, un po’ più sfumata, della Merkel. Un calcolo politicamente ed elettoralmente a basso rischio ed alto rendimento apparente, che può essere agevolato dal ritardo del Pd nel rendersi conto che è all’opposizione in maniera non transitoria e difficilmente riavrà il potere sostanzialmente solitario del periodo Renzi Gentiloni. FRONTE DEL PONTE La tragedia di Genova è stata, purtroppo, il fatto politico più rilevante dell’estate. Ha anche chiarito senza ombra di dubbio su quale sia l’approccio di questo governo : non si fanno “contaminare” da alcun senso delle istituzioni o del dovere di governare, ogni azione e reazione è dettata dalla ricerca del consenso. E così si è “testata” la reazione dell’indignazione pubblica su diverse “narrazioni” assolutamente avulse le une dalle altre ( Salvini prova con inesistenti limiti Ue agli investimenti, Toninelli con i predecessori al governo , Di Maio con Autostrade ), poi trovano una sintesi nel prendersela con i concessionari “collusi con i precedenti governi” ed invocano un ritorno allo statalismo integrale. L’ operazione permette loro di ignorare bellamente alcuni “incidenti “ come il fatto che l’unica relazione accertata di soldi fra concessionari e partiti è quella con la Lega, che ebbe un finanziamento di 140 mila euro da Autostrade in singolare coincidenza con il voto a favore di Salvini e della Lega ( di cui “non si ricordava”, peraltro…) al rinnovo della concessione a Benetton; oppure della “sparata” superficiale ed incompetente di Toninelli sulla “costituzione del suo Ministero parte civile contro chi non ha fatto i controlli”, salvo scoprire che si tratta del “suo” Ministero stesso ed i funzionari ed esperti che prima ha nominato, poi ha dovuto precipitosamente rimuovere, dalla commissione di inchiesta che avrebbe dovuto indagare su atti firmati da quegli stessi funzionari. Quegli stessi “cittadini” che nei sondaggi approvano entusiasticamente il taglio delle tasse sugli utili, si scagliano – sempre nei sondaggi – con il sangue agli occhi contro chi fa utili, diventati ora una sorta di sterco del diavolo ( dove il diavolo, è ovvio, sono quelli che ci hanno governato fino ad ieri ) e chiedono la revoca di tutte le concessioni . Più che una linea di governo, una incruenta j’acquerie stile i massacri di settembre della Rivoluzione francese con DiMaio nelle vesti di Marat e Salvini in quelle di Danton, destinata ad annegare in una ipotetica “colpa collettiva” le indubitabili responsabilità di molti che però, per essere individualmente e correttamente accertate, richiedono fastidiose, pedanti e soprattutto lunghe indagini, incompatibili con i tempi e rilevazioni della Casaleggio e Salvini associati. In questo post non parlo dell’opposizione, ma è doveroso dire che l’inanità e le code di paglia sul tema che si sono sprecate hanno agevolato, e non di poco, la realizzazione di questa operazione da parte dei giallo-verdi. MIGRANTI La vicenda dei migranti bloccati da Salvini “a voce” o meglio “a tweet” nel porto di Catania su una nave italiana ha fatto capire al leader leghista che l’emergenza sbarchi, con numeri ridotti a qualche decina di disperati, come arma di propaganda e distrazione di massa si stava esaurendo. Rapidissimo il leader leghista ha spostato l’attenzione su un'altra “emergenza” inesistente, quella degli sgomberi case e capannoni, cercando di “appropriarsi” del calo degli sbarchi come sua vittoria a dispetto dei numeri che da quasi un anno parlano di un sostanziale esaurimento del fenomeno . L’attenzione di Salvini si è rivolta nuovamente ai “600 mila clandestini” che sono sul nostro territorio e che occupano, delinquono, stuprano e rubano il posto e le risorse agli italiani ed ai nostri poveri . Come sempre nessuna considerazione della situazione reale di fatto, né alcun accenno alla promessa di “riportarli a casa loro appena al governo” ( “non ho la bacchetta magica” ha già detto, tra le approvazioni entusiastiche di quelli che anche qui qualche mese fa calcolavano con il piglio di esperto di transumanze il numero di voli e di areoporti per dimostrare come si trattasse solo di un problema di volontà e che allora il pd..), la nuova operazione-sgomberi è studiata come il dare un calcio ad un vespaio ed allontanarsi e non una bonifica fatta con i crismi ed i tempi opportuni. Fuor di metafora, il ministro dell’Interno mettendo in strada qualche migliaia di disperati senza nessuna operazione di preparazione ( identificazione, sistemazione minori, indigenti etc) ed il sistematico boicottaggio degli amministratori leghisti e del centrodestra a qualsiasi operazione di assistenza a questi disperati ( “prima gli italiani” ritorna subito di moda) vuole ottenere il solito risultato di facile propaganda, “scaricando” sui sindaci il costo sociale dell’avere decine di persone per le strade che creeranno un’impennata di disagio e reazione fra i cittadini indirizzata ovviamente sulle autorità locali, ancora in maggioranza di centrosinistra . POLITICA ESTERA E’ su questo piano che le operazioni apparentemente solitarie della Lega, ma attribuite al governo nel suo complesso, stanno incidendo in maniera più profonda e duratura. L’incontro Orban Salvini è stato il sigillo di una strategia molto ben studiata. La contrapposizione con l’Europa è stata abilmente trasformata in una contrapposizione per il controllo dell’Europa : la pressione della destra xenofoba basata sulla questione migranti mira a spostare i Popolari europei a destra, attraverso un’alleanza fra Orban ed il gruppo di Visegrad e la destra tedesca imperniata sulla bavarese Csu, impedendo un nuovo accordo franco-tedesco allontanando la Merkel da Macron. L’asse carolingio è stato indebolito dal virtuale passaggio dell’Italia al campo “sovranista” e può contare solo sull’ appoggio di Spagna, Portogallo e Grecia : dopo l’uscita della Gran Bretagna, troppo poco per mantenere e bilanciare l’alleanza con i paesi del Nord con i quali la Germania ha di fatto governato l’Ue nell’ultimo decennio e per non indebolire la Merkel al punto da dover concedere alla destra interna la candidatura di Manfred Werner. In buona sostanza si sta preparando di fatto in Europa lo stesso scenario italiano delle ultime elezioni : sovranisti e populisti, Le Pen e Melenchon in Francia come i nazisti dell’Afd e la Linke in Germania, attaccano dai due versanti democratici e popolari , puntando ad una alleanza post elettorale fra una destra egemonizzata dai nazionalisti e una sinistra dispersa, con gruppi di potenziali novelli Bombacci come i vari Di Maio e Melenchon, cui dare qualche soddisfazione qua e là, pronti a sbarcarli non appena numeri e situazione lo consentirà. Essendo chiaro che questo disegno si appoggia solidamente su Putin ( non sono certo sfuggiti i numerosi, pericolosissimi accenni alla possibile richiesta di aiuto alla Russia in presenza di attacchi del mercato formulato da qualche esponente di governo ) e tatticamente sulla volontà di Trump di disintegrare al più presto la Ue per indebolire prima di tutto la Germania, quello che si sta delineando è un cambiamento totale della politica estera italiana dal dopoguerra ad oggi ed addirittura un delicatissimo e potenzialmente pericolosissimo rovesciamento delle alleanze tradizionali. Il “governo del cambiamento” sta facendo una operazione esattamente identica a quella compiuta da Mussolini nel 1935 con la guerra di Etiopia, quando per rispondere alle “inique sanzioni” decretate dalle democrazie occidentali iniziò il rovesciamento delle alleanze che lo avrebbe portato fra le braccia del Fuhrer. Non penso proprio di esagerare : considerare come riferimento principale un autarca antidemocratico ed un presidente Usa neoisolazionista, pur in presenza di colossali errori franco-tedeschi nella conduzione della Ue, paragonabili agli errori commessi ai danni della Germania con il trattato di Versailles, rappresenta un cambio di politica, prospettiva, società di riferimento del quale gli apprendisti stregoni che abbiamo al Governo non si rendono conto e che ci porterebbe nelle braccia di un futuro ignoto che pensavamo di aver esorcizzato per sempre . ECONOMIA La politica economica e di bilancio è stata finora il teatro privilegiato delle parole e della propaganda, con un innalzamento dei toni operato soprattutto dal partner di governo più forte numericamente finito però in una situazione di minorità politica al di là del preventivato. Toni e promesse dei 5stelle si stanno inevitabilmente elevando in maniera inversamente proporzionale alla scarsità dei risultati concreti ottenuti ( la farsa dei vitalizi alla Camera, il poco o nulla, per di più ragione di grave attrito con Lega, imprese ed in generale il Nord, del decreto dignità) . Il ribadire obiettivi irrealizzabili come a portata di mano, dal reddito di cittadinanza alla flat tax alla revisione della Fornero “finanziata dal taglio delle pensioni d’oro”, serve a mantenere il rapporto positivo con le rispettive basi elettorali, segnalate perfino in crescita, al prezzo salatissimo della progressiva perdita di fiducia e di affidabilità del nostro paese. Il costo visibile di questa spericolata ed opportunistica politica si è già in parte consolidato : l’aumento dei tassi sul debito pubblico vale giù oggi stabilmente oltre 20 miliardi su base annua ( considerando che i nostri bond devono essere rinnovati sostanzialmente in sei anni, stiamo parlando di 4 miliardi già “andati” ), il sistema bancario ha praticamente interrotto le operazioni di “smaltimento” dei debiti prossimi ad essere considerati persi, gli investimenti esteri nel nostro paese si sono bloccati, mentre i finanziatori del nostro debito pubblico sono scesi dal quasi 40 per cento di sei mesi fa a tassi di interesse praticamente azzerati a circa il 30 per cento con tassi più favorevoli. Quest’ultimo dato dovrebbe preoccupare tutti in maniera particolare : si tratta di una quota inferiore a quella dei mesi immediatamente precedenti la crisi del 2011. Tutto questo senza aver preso nemmeno un provvedimento di politica economica che sia uno : come sa bene il ministro Tria, che si affanna a rassicurare e ricordare che “gli atti devono ancora venire”, la politica economica, da molto tempo, si determina sulle previsioni, gli “outlook”, i rating futuri, finendo per generare previsioni che si autoavverano . Tengo a specificare che non appartengo affatto alla schiera di quanti pensano che questo Governo debba essere fatto cadere “dai mercati”, cui viene vagheggiata una sciagurata ed impossibile delega all’opposizione politica. La partita della legge di bilancio, la contrapposizione (chissà quanto reale) fra il ministro del Tesoro ed i maggiorenti politici del Governo non somiglia agli scontri Berlusconi-Tremonti o Renzi-Padoan, il cui esito poteva determinare la sorte del Governo e non quello dell’intero Paese. Fare gli spettatori e magari “tifare” segretamente per un tanto peggio per loro, tanto meglio per noi, sarebbe peggio che un errore. NON - CONCLUSIONI Rileggendo le mie tre note mensili sull’attività di governo, la considerazione forse più preoccupante in un quadro di grande preoccupazione è che i “titoli” sono sempre gli stessi : migranti, propaganda elettorale via politica estera, bilancio pubblico fra fantasia e realtà. Se la tragedia di Genova non avesse spinto il governo ad riaprire in maniera quanto meno avventata e poco documentata il capitolo privatizzazioni, sul tavolo della discussione politica e parlamentare non ci sarebbe stato nulla di nuovo, nessuna nuova questione non contingente che si dice almeno di voler affrontare o discutere. Parlamento, Governo e progressivamente un numero maggiore di organi dello Stato si stanno riducendo ad occuparsi di una agenda che non tiene conto di quanto avviene nel mondo vicino e lontano, dai dazi di Trump alla Cina che investe altri 60 miliardi di euro in infrastrutture in Africa, dopo la nuova “via della Seta”, alla guerra che riparte in Libia, la situazione in Egitto, la crisi turca, men che meno quella argentina o brasiliana. Questo governo è pericoloso. Quella che è ancora l’ottava economia al mondo nel 2017 può permettersi ancora a lungo questa situazione?