martedì 13 gennaio 2009

Vito Mancuso: La religione civile che manca all'Italia

La religione civile che manca all´Italia la Repubblica

martedì, 13 gennaio 2009



Perché tanti corrotti e amanti del “particolare”



Machiavelli scrive che da noi “non manca materia da introdurvi ogni forma”

Se vogliono solo preservare la loro identità, i cattolici vengono meno al proprio compito

Nel nostro paese c’è carenza di valori-guida comuni. E questo limita la possibilità di un buon governo

Una delle condizioni per cambiare è che i cattolici mettano la loro fede al servizio del bene comune

Il tipico male italiano è la furbizia, uso distorto dell’intelligenza



di Vito Mancuso


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Non mi risulta ci sia lingua al mondo che usi l’aggettivo della propria nazionalità per designare qualcosa di imperfetto e di furbesco, come invece facciamo noi italiani dicendo “all´italiana”. C’è sfiducia verso l’Italia anzitutto da parte degli stessi italiani: quanti di noi oggi, immaginando di scegliere dove poter nascere, sceglierebbero l’Italia? La crisi però non dipende dal fatto che valiamo poco, ma dal fatto che valiamo molto, nel senso che la notevole intelligenza degli italiani è incapace di trovare un valore-guida comune. Già nel 1513 Machiavelli scriveva che «in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma»: il nostro problema non è la materia umana, che c’è; è piuttosto la mancanza di una forma su cui modellare l’esuberanza della materia. Il problema non è il valore dei singoli, ma l’armonia tra tanti singoli di valore. Il problema, in altri termini, è "religioso", nel senso etimologico del termine religio: in Italia, a differenza degli altri paesi occidentali, manca una religione “civile”, capace di legare responsabilmente l’individuo alla società. Si tratta, per dirla ancora in altro modo, di capire come mai l’Italia, ai primi posti quanto a pratica religiosa, lo sia anche per corruzione, evasione fiscale, criminalità organizzata e litigiosità della politica. Per argomentare il mio pensiero procedo mediante tre tesi.

Prima tesi: Una società è tanto più forte quanto più è unita, e ciò che tiene unita una società è la sua religione. Con questa tesi non voglio dire che il cattolicesimo in quanto religione istituita del nostro paese sia ciò che unisce la società e che per “salvare l’occidente” anche i non credenti debbano giungere a dirsi culturalmente cattolici, come vogliono gli “atei devoti”. Intendo dire, al contrario, che ciò che tiene insieme una società rappresenta de facto la religione di quella società, religione da intendersi nel senso etimologico di religio, cioè legame, principio unificatore dei singoli.
Nel suo senso più profondo, infatti, che cos’è la religione? È il fatto che talora un individuo avverta un’attrazione irresistibile verso una realtà più grande di lui, nella quale egli, tuttavia, si identifica. Il termine “religione” porta al pensiero questo fenomeno fisico di dipendenza e insieme di identificazione. Chi ne è abitato non conosce nulla di più forte, e se poi condivide con altri questo legame, la struttura che si crea è solidissima. Per questo, quanto più una società condivide un principio unificatore, tanto più è forte. Il principio unificatore condiviso è stato visto dai nostri padri latini e chiamato religio, legame dei singoli che trasforma un insieme casuale in un sistema operativo. La religione civile è la particolare disposizione della mente per cui un antico romano concepiva Roma più importante di sé, o per cui i politici americani ripetono God bless America sapendo che è l’America l’idea che tiene insieme gli americani. È superficiale pensare che la società sia la semplice somma degli individui: l’Impero romano non era la somma dei cittadini romani, e l’America non è la somma degli americani. Roma e l’America rappresentano idee in grado di far sì che i singoli si sommino in modo ordinato, formando un sistema. E più l’idea è unificante, più il sistema è operativo.

Seconda tesi: L’Italia non ha una religione civile e questo è il suo problema più grave.

L’Italia è ai primissimi posti in Europa quanto a corruzione. La corruzione lacera il legame sociale producendo un diffuso senso di sfiducia e sfilacciamento nel Paese e un’immagine negativa all’estero. Occorre chiedersi come mai siamo così corrotti e corruttori. Anche senza la retorica degli “italiani brava gente”, io non penso che la causa di tale fenomeno sia che gli italiani, individualmente presi, siano moralmente peggiori degli altri europei. Penso piuttosto che la causa sia la mancanza, all’interno della coscienza comune, di un’idea superiore rispetto all’Io e ai suoi interessi.
I danesi, che risultano il popolo meno corrotto d’Europa, come singoli non penso siano moralmente migliori degli italiani; penso piuttosto che essi condividano in misura molto maggiore la convinzione che vi sia qualcosa più importante del loro particulare, per usare la classica espressione di Guicciardini. Questo qualcosa cui l’Io sa cedere il passo è la società: il singolo si comporta onestamente verso la società perché sente che essa è più importante di lui e perché al contempo vi si identifica, secondo la logica di dipendenza e identificazione vista sopra. Viceversa in Italia i più ritengono che il singolo sia più importante della società, e per il bene del singolo non si esita a depredare il bene comune della società.

Da qui il tipico male italiano che è la furbizia, uso distorto dell’intelligenza. Il furbo è un intelligente che sbaglia mira, che non ha un oggetto adeguato su cui dirigere l’intelligenza, che non capisce il primato dell’oggettività e la dirige solo su di sé. Al contrario chi sa usare davvero l’intelligenza capisce che la vita contiene valori più grandi del suo piccolo Io, e di conseguenza vi si dedica. L’intelligente gravita attorno a una stella, il furbo invece fa di se stesso la stella attorno a cui tutto deve ruotare. Con l’ovvio risultato che un insieme di intelligenti è in grado di creare un sistema, in questo caso non solare ma sociale, mentre un insieme di furbi è destinato semplicemente al caos e alla reciproca sopraffazione.
Noi italiani siamo più corrotti perché usiamo in modo distorto la nostra intelligenza, e tale distorsione la si deve alla mancanza di un’idea comune più grande dell’Io, cioè di una religione civile e dell’etica che ne discende. La religione civile è ciò che consente di rispondere alla seguente domanda: perché devo essere giusto verso la società? Perché devo esserlo anche quando la mia convenienza mi porterebbe a non esserlo? Senza un legame di tipo "religioso" con la società, nessuno sacrifica il suo particulare, nessuno sarà giusto quando non gli conviene esserlo e può permettersi di non esserlo. Per questo la formazione di una religione civile è d’importanza vitale per il nostro paese.
Terza tesi: Una delle condizioni perché in Italia possa sorgere una religione civile è che i cattolici mettano la loro fede al servizio del bene comune. I tentativi di creare un’etica civile in Italia sono stati, e sono, di due tipi: guelfo e ghibellino. Il primo intende l’etica civile come traduzione diretta del cattolicesimo, anche a prescindere dalla fede: è l’idea degli atei devoti, guardata con notevole favore dall’attuale gerarchia cattolica. Il secondo ritiene al contrario che un’etica civile potrà sorgere solo dal superamento del cattolicesimo, ritenuto il principale responsabile della sua mancanza in Italia soprattutto per la presenza del papato. Io ritengo entrambi i tentativi destinati a fallire, il primo perché non tiene conto della secolarizzazione e della globalizzazione, il secondo della tradizione. La storia ci ha mostrato infatti che una religione civile contrapposta al cattolicesimo non sia politicamente concepibile in Italia, si pensi al mito risorgimentale della nazione confluito nel fascismo e al mito della società confluito nel comunismo. Una religione civile, e la conseguente etica di cui l’Italia ha urgente bisogno, potrà sorgere solo in unione con il cattolicesimo, non contro di esso. Non so in quale direzione si debba muovere il pensiero dei laici per contribuire alla nascita di un’etica civile in Italia pari a quella degli altri paesi occidentali. Mi sento però di dire, da teologo, che il lavoro in questa direzione da parte dei cattolici è uno dei compiti più urgenti. Si tratta di porre davvero la fede a servizio del mondo, di questo pezzo di mondo che si chiama Italia, pensandosi come seme che marcisce nel campo o come lievito che scompare nella pasta. Fino a quando il seme vorrà preservare la sua identità di seme senza pensarsi in funzione della pianta, verrà meno al suo compito; fino a quando il lievito vorrà preservare la sua identità di lievito senza pensarsi in funzione della pasta, verrà meno al suo compito. Fino a quando i cattolici italiani vorranno preservare la loro identità di cattolici senza pensarsi al servizio della società italiana, verranno meno al loro compito; e fino a quando la Chiesa tutelerà i suoi interessi particolari come una delle tante lobby senza essere davvero “cattolica” cioè universale, non sarà fedele al suo compito che è spendersi “per la vita del mondo”.

La situazione del Paese richiede a ogni italiano, laico o cattolico, con responsabilità politiche in campo civile o in campo ecclesiastico, di ripensare il proprio rapporto con la società secondo ciò che in termini religiosi si chiama “conversione”. Purtroppo non è più sdolcinata retorica dire che ne va del futuro dei nostri figli.

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