giovedì 15 gennaio 2009

Luca Ricolfi: cambio di stagione

Da La Stampa

15/1/2009

Cambio di stagione





LUCA RICOLFI

Ha fatto un certo scalpore la notizia, peraltro ampiamente prevedibile e prevista, che per il 2009 pagheremo ancora più tasse che per il 2008. Secondo il Corriere Economia il cosiddetto «Tax freedom day» - ossia il giorno di liberazione dalle tasse, in cui finalmente cominciamo a lavorare per noi stessi anziché per lo Stato - si è spostato di altri 2 giorni in avanti: quest’anno dovremo aspettare fino al 23 giugno, un vero record (dall’Unità d’Italia a oggi solo il governo D’Alema, nel 2000, riuscì a fare peggio). Né possiamo consolarci pensando che le cose siano destinate presto a cambiare: anche per i restanti anni della legislatura il Dpef prevede una pressione fiscale costante, attestata intorno al 43%, nonostante il programma elettorale del centro-destra confidasse in un calo della pressione fiscale di almeno 3 punti di Pil, dal 43% al 40%.

Qualcuno, come Alberto Mingardi sul Riformista, interpreta questo ennesimo raffreddamento dell’anima liberale del centro-destra come la conferma definitiva della fine di una stagione, la stagione iniziata nel 1994 con Berlusconi leader di una destra anti-fiscale, campione della società contro lo Stato, dell’individuo contro la burocrazia degli apparati. Rispetto alla coppia libertà-sicurezza, il centro-destra attuale penderebbe sempre di più verso la sicurezza, l’ordine, la tradizione. Forse è così, ma quel che è interessante è che i risultati non si vedono nemmeno lì.

Naturalmente non è colpa di un governo appena insediato se gli sbarchi raddoppiano, la criminalità è ai massimi storici (superata solo dal picco post-indulto del 2007), l’affollamento delle carceri è tornato a livelli drammatici, gli stessi - circa 60 mila detenuti per 43 mila posti - che nel 2006 indussero il povero Prodi a promulgare l’indulto. Però è difficile sfuggire all’impressione che il governo non sappia come gestire la situazione, nonostante l’impegno di Maroni: i posti nelle carceri sono sempre quelli, quelli nei Cpt - paradossalmente - sono destinati a diminuire proprio a causa dell’aumento dei tempi di permanenza (se un clandestino viene trattenuto 10 mesi anziché 2, la capacità di accoglienza si riduce proporzionalmente). Nel programma si parlava di «costruzione di nuove carceri», «aumento delle risorse per la giustizia», «garanzia della certezza della pena», tutto fa pensare invece che nel 2009 il governo sarà costretto a nuovi provvedimenti di emergenza, presumibilmente destinati a scattare l’estate prossima, quando le presenze in carcere (e forse anche nei Cpt, ora ridenominati Cie) toccheranno livelli insostenibili.

Ma non è tutto. I cavalli di battaglia elettorali del centro-destra non erano solo la riduzione delle tasse e la lotta a criminalità e immigrazione irregolare. C’era anche un terzo cavallo di battaglia, che stava particolarmente a cuore alla Lega e all’elettorato «padano»: l’adozione da parte del Parlamento nazionale della proposta di legge sul federalismo fiscale della Regione Lombardia (votata il 19 giugno 2007). Pure questo cavallo è nel frattempo caduto, anche se pochi se ne sono accorti: la «bozza Calderoli», che ha sostituito la proposta lombarda, è un drammatico passo indietro rispetto al progetto originario, e infatti ha ottenuto il consenso di tutte le forze che in origine si opponevano al federalismo, soprattutto governatori del Mezzogiorno e importanti settori della sinistra. Per non parlare dei recenti ripianamenti dei deficit di Catania, di Roma, della sanità laziale, o della costosissima conclusione di vicende come Alitalia e Malpensa. È grazie a questo genere di passaggi che il federalismo, che in origine era un’opportunità per diminuire la spesa e le tasse, ha oggi molte più probabilità di aumentarle entrambe.

Uno-due-tre: meno tasse, più sicurezza, federalismo «lombardo». Su queste tre cose, a mio giudizio le più qualificanti (anche se non necessariamente le più condivisibili) del programma di centro-destra, non si vede proprio come Berlusconi abbia la possibilità di onorare le promesse. Ciononostante il consenso a Berlusconi resta molto alto, anche se da qualche tempo in calo. Perché? Per due ragioni almeno. La prima è ovvia: il tradimento del programma per ora è evidente solo sul versante delle tasse, e in questo momento - con la recessione economica incombente - la gente chiede più protezione, non più libertà. I guai veri verranno se e quando esploderà il problema delle carceri e il federalismo, nonostante l’uscita dalla recessione, si mostrerà incapace di ridurre davvero le tasse e la spesa.

Ma la ragione più importante del perdurante consenso del centro-destra è un’altra: il Pdl non ha seri nemici a destra, esattamente come il Pci non ne aveva (e non ne tollerava) a sinistra. È questa la ragione politica per cui i fallimenti del governo non si traducono in consenso all’opposizione: federalismo vero, meno tasse, linea dura su criminalità e immigrazione sono «missioni» che interessano una parte considerevole dell’elettorato, ma non le forze di opposizione, che semmai considerano positivo il fatto che il centro-destra stia annacquando il suo programma. Gridare alle tasse troppo alte, alla pericolosità delle città, al pasticcio federalista non è congeniale a un’opposizione che pensa che le tasse siano «bellissime», gli immigrati «buonissimi», e il federalismo rischiosissimo a meno che noi illuminati lo rendiamo «equo e solidale». Insomma, il curioso della situazione è che il centro-destra sta abbandonando le sue bandiere, ma non c’è nessuno che abbia la voglia o la possibilità di raccoglierle. Per questo, almeno per ora, Berlusconi può dormire sonni tranquilli. Un po’ meno gli elettori che lo hanno votato sperando che, questa volta, avrebbe mantenuto le promesse.

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