mercoledì 14 gennaio 2009

Fertilio: Missione a Praga

Corriere della sera, 10 gennaio 2009
Il fatto Il 16 gli italiani renderanno omaggio all' eroe ceco
Missione a Praga: il ' 68 fa autocritica su Jan Palach
Capanna e gli altri del Movimento: «Allora non capimmo il suo gesto»

«Noi che quarant' anni fa eravamo impegnati a Milano nel Movimento studentesco, potevamo fare di più quando, il 16 gennaio del 1969, il giovane ventenne cecoslovacco Jan Palach...». Comincia così, sul sito allestito per l' occasione (www.perricordarejanpalach.eu), il comunicato con cui il Sessantotto italiano torna sui suoi passi e riscopre quello cecoslovacco. Non chiamiamola autocritica, l' espressione ricorda un po' troppo il vecchio socialismo reale. Però diciamo la verità: di reale autocritica si tratta. Come definire altrimenti il viaggio imminente dei sessantottini a Praga, con Mario Capanna in testa, per commemorare il sacrificio eroico di Jan Palach sulla piazza San Venceslao? Quel gesto tragico - il suicidio col fuoco - compiuto il 16 gennaio 1969, per protestare contro l' invasione sovietica della Cecoslovacchia avvenuta nell' agosto precedente, allora non li aveva commossi. E oggi invece, quarant' anni più tardi, preparandosi a un omaggio di gruppo in quel medesimo luogo, parlano di un «debito di conoscenza e di verità» nei suoi confronti. Correva l' anno 1969, appunto, e gli stessi sessantottini che adesso si preparano a partire - allora stato maggiore del nascente Movimento studentesco, oggi affermati e spesso assai noti professionisti - erano distratti. Troppe cose attiravano la loro attenzione, accendendo ben diversi entusiasmi sull' affollato scacchiere ideologico del mondo: in testa a tutto, il geniale pensiero del grande timoniere Mao Zedong (che allora veniva chiamato Tse Tung, spesso associato negli slogan al compagno Marx e al compagno Lenin, e qualche volta persino al compagno Stalin). E poi, li stuzzicavano la rivoluzione permanente, le contraddizioni insanabili del capitalismo, le provocazioni fasciste (non esclusa l' appropriazione avvenuta a destra del nome di Jan Palach, nel tentativo di trasformarlo in un inconsapevole fiancheggiatore del missino Fronte della gioventù). Distratti, dunque, erano coloro che allora firmarono lo storico documento «bianco e rosso» da cui nacque il Movimento studentesco. Si occupava d' altro ad esempio il filocinese Mario Capanna (ma incuriosito dai fatti di Praga, al punto da partire per la Cecoslovacchia, venendo però respinto alla frontiera). Distratto Mario Martucci, che ravvisò in Palach «un aspetto di fanatismo religioso» e anche di «spirito settario». Più genericamente «eterodiretto» lo definì Enzo Biassoni, allora capo del Movimento studentesco monzese, usando forse inconsapevolmente la terminologia impiegata a suo tempo dal Pci per bollare la «controrivoluzione» ungherese del ' 56. Quanto a un altro del gruppo, Gabriele Nissim, allora anch' egli assorbito dalla contemplazione del radioso avvenire cinese, il gesto di Palach lo giudicò malinconicamente «rinunciatario». Distratti, insomma, erano in parecchi, ma certo non in misura paragonabile a coloro che, dentro e fuori il Movimento, liquidarono il caso Palach come «provocazione fascista». Per non parlare dei compagni della rivista «Nuovo impegno», i quali commentarono così il suicidio, con involontario umor nero: «Non ci fa certo ridere la sua morte... ma il fatto principale della mobilitazione generato da Palach non ha contenuti socialisti». Quarant' anni, dunque e i ragazzi di un tempo si sono trasformati in tutt' altre persone. Mario Capanna, oggi, rievocando quel viaggio del ' 69 con il fotografo Giancarlo De Bellis, è pronto ad ammettere il suo peccato d' omissione, pur non rinunciando all' antico linguaggio: «I carri armati sottrassero al Sessantotto l' apporto derivante dal possibile scongelamento della realtà del socialismo realizzato». E aggiunge: «Forse era la cultura occidentale a non essere pronta a comprendere Palach. Quella era una forma di lotta praticata dai bonzi vietnamiti». E anche gli altri, ora concordi nell' inchinarsi al «sacrificio di Jan Palach», di strada in questi quarant' anni ne hanno percorsa parecchia. Sulla piazza San Venceslao ci saranno ad esempio Nando Dalla Chiesa, membro del governo ombra democratico; Mario Martucci, passato attraverso il riformismo craxiano e attualmente imprenditore edile; Giuseppe Liverani, editore d' arte; Franco Fabbri, indimenticato componente del complesso «Stormy Six» (e della canzone «Sotto il bambù»); il poeta Giulio Stocchi; il dirigente della Rai Renzo Canciani; Agnese Santucci Martucci, figlia dello scrittore e pedagogista; Sergio Vicario, al tempo di Palach «studente fuori sede» e adesso professionista di pubbliche relazioni. In tutto, gli italiani a Praga saranno non meno di una quarantina, compreso a quanto sembra il cantante Jovanotti, che sessantottino non lo è anagraficamente, ma nello spirito di certo. Così, il giorno 16, anniversario dell' auto immolazione di Palach, non mancheranno corone, discorsi e abbracci fra gli esponenti dei «due Sessantotto». Qualcuno dei ragazzi praghesi di allora accetterà di cancellare la storica incomprensione che si aprì fra Ovest ed Est? Dopotutto, è di Enzo Bettiza - nel suo recente La primavera di Praga - l' atto di accusa più duro: il 1968 cioè come «l' anno di una doppia resa al delirio ideologizzato da una parte, alla prepotenza armata dall' altra». Certo, è apprezzabile l' orgoglio con cui oggi gli ex del Movimento si vantano di non aver «offerto nessun quadro al terrorismo, pur disponendo di settecento militanti organizzati». È comprensibile la loro rivendicazione di aver comunque contribuito «all' affermazione della partecipazione popolare e della democrazia e al riscatto degli oppressi». Ma resta tristemente vero che con ogni probabilità già il 19 gennaio, anniversario della morte di Jan Palach dopo tre giorni di agonia, o il successivo 25, giorno in cui si svolse lo storico, imponente funerale, i gesti ufficiali si saranno esauriti. E forse, ignorando tutto o quasi di Palach, i giovani praghesi di oggi lasceranno quella piazza vuota. *** L' invasione sovietica e il suicidio L' invasione sovietica e il suicidio L' invasione di Praga da parte dei sovietici avvenne nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968, mettendo fine alla politica di riforme guidata da Dubcek e nota come «Primavera di Praga». Per protesta contro l' invasione, dopo che fu estratto a sorte il suo nome in un gruppo di giovani resistenti, Jan Palach si diede fuoco per protesta il 16 gennaio 1969 in piazza San Venceslao

Fertilio Dario


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