sabato 24 gennaio 2009

Sinistra socialista: Livorno, omicidio o suicidio?

Da Aprile

Livorno: omicidio o suicidio?
Collettivo Sinistra Socialista, 22 gennaio 2009, 14:39

Dibattito Nell'articolo comparso su Liberazione del 21 gennaio dal titolo "Chi ha ucciso Livorno? Craxi proudhoniano" l'autore Giuseppe Prestipino, nel tentare di dare una spiegazione alla crisi della "idea comunista", tende a sminuire il ruolo dei socialisti nella storia del movimento operaio in Italia



L'articolo di Giuseppe Prestipino, dal titolo "Chi ha ucciso Livorno? Craxi proudhoniano" pubblicato su Liberazione del 21 gennaio scorso tocca dei punti molti importanti circa la complessa storia del movimento operaio italiano, definita "storia dell'opposizione politico-sociale" e ci fornisce lo spunto per cercare di riequilibrare la storia della sinistra italiana, forse troppo spesso sbilanciata verso il Partito Comunista. Il nostro approccio non è mosso da una sorta di revisionismo "anti-comunista ", ma dalla convinzione che il ruolo dei socialisti e del Partito Socialista Italiano è spesso messo in secondo piano da molta parte della sinistra italiana.
Nel nostro piccolo, cerchiamo di ridare valore alle positive esperienze del socialismo e dei socialisti in Italia, partendo anche dagli spunti che questo articolo ci offre.

L'autore divide la storia del movimento operaio in quattro fasi : la prima, dai moti contadini meridionali della fine dell'Ottocento, dall'alba del movimento cooperativo fino all'Ottobre; la seconda,
quella degli anni della lotta clandestina antifascista "comunista ma anche socialista... "; la terza è quella della "democrazia
organizzata" in un partito comunista di massa, che applica le idee gramsciane (graduale conquista di casematte e "guerra di posizione"). La quarta infine, legata ai movimenti del biennio '68/'69.

Condivisibile la divisione da lui fatta, le quattro fasi così
delineate sono esatte. Meno condivisibile è lo scopo che l'articolosi prefigge, cioè dare una spiegazione alla crisi della "idea comunista ". Trovare un colpevole, insomma.

Sin dalla breve descrizione delle quattro fasi, è evidente come
Prestipino tenda a sminuire il ruolo dei socialisti nella storia del
movimento operaio in Italia, ovviamente a favore del movimento
comunista.
Nella prima fase, è evidente come il vento socialista sia stato forte nei luoghi di lotta, in Puglia, in Lucania, dalle insurrezioni
siciliane ai primi tentativi di organizzarsi, con la nascita del
Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo nel nord d'Italia.
Tra le tante correnti, anarchiche, mutualistiche, rivoluzionarie,
"riformiste" (nell'accezione originaria del termine).
Questa è la base politico-culturale, storica, dell'opposizione
politico-sociale in Italia. Una via italiana al socialismo in nuce,
ben lontana dalle vie nazionali al socialismo di pochi decenni dopo.
Era sì variegata, come variegata era ( è ) la realtà italiana, non
monolitica e libera da condizionamenti esterni, seppur con limiti, ingenuità, contraddizioni. Purtroppo questa base culturale, queste esperienze saranno successivamente poco valorizzate, poco studiate.

La vera chiave di volta ci sarà con il fascismo, risposta estrema del capitalismo ad una sua probabile forte crisi.
Livorno è passata, ma per il fascismo i principali nemici sono i
socialisti. Non ripercorriamo in questa sede quanto i socialisti hanno pagato durante il fascismo. Sicuramente è stato più facile per gli uomini di Mussolini colpire i dirigenti e i militanti socialisti,
maggiormente radicati e quindi più facilmente identificabili. Ma il
regime vedeva nel Partito Socialista un forte nemico e pericolo
politico. Non che il PCdI non lo fosse, il sacrificio pagato da
Gramsci e da tutti i militanti comunisti è riconosciuto e
incontestabile. Ma non può questo sminuire il ruolo del socialismo italiano nella lotta antifascista.
La perdita della più parte dei dirigenti durante il ventennio sarà una ferita difficilmente sanabile per il PSI. I comunisti, abili nel
rifugiarsi all'estero - forti anche di una efficace rete
internazionale e di appoggio a vario modo da parte dell'URSS - si sono ritrovati nel primo dopoguerra con lo stato maggiore del partito meno colpito di quello dei "cugini " socialisti.

La "terza fase" vede quindi partire i socialisti italiani con una sorta di handicap anche per questo. Successivamente, ci sarà quello che può essere considerato come l'errore "storico" dei socialisti: il fronte unico elettorale con i comunisti nel '48. La maggiore organizzazione comunista viene premiata e il risultato provocherà non pochi malumori e scoraggiamenti tra le file socialiste, anche perché la discussione che portò all'appoggio alla proposta di Nenni fu molto accesa e vide oltre all'appoggio passivo di Lelio Basso, la fortissima contrarietà di Sandro Pertini.

Da questo momento, l'organizzazione comunista avrà la meglio,
riuscendo a radicare il partito, a trovare nuove forme di conquista egemonica di settori della società, a fidelizzare i militanti (forse anche "troppo", sacrificando non poco la democrazia e la discussione interna).
Il PSI, nonostante l'eccellente lavoro organizzativo da parte di
figure come Rodolfo Morandi, per sua stessa natura - libertaria e dai tratti spesso troppo anarchici - pagò le divisioni interne e troppo spesso la sua storia è stata una storia di scissioni, di gruppi dirigenti in forte contrasto tra loro.
E' a questo punto che Prestipino sostiene che ci sia il vero atto di nascita del PCI : le lotte per i decreti Gullo e la battaglia per la Costituzione, individuando in Togliatti e in Terracini i simboli di
tali battaglie. Condividiamo questa tesi, anche se non riusciamo a slegarla dalla "svolta di Salerno" e dalla prospettiva che essa
comportava.

Con la descrizione della quarta fase, Prestipino si limita all'analisi del movimento operaio nella sua accezione sessantottina, in tutte le sue varianti e quindi in tutte le sue conseguenze: dalla conquista di nuovi spazi democratici al fatto che parte di quegli intellettuali ha avuto percorsi tra i più diversi, dalla scelta sciagurata della lotta armata allo spostamento radicale di schieramento politico.
Tutte queste fasi, tutta questa analisi, finanche una discussione tra lo storicismo di Gramsci e di Croce serve all'autore per arrivare alla conclusione che il socialismo italiano - evidentemente da Prestipino ridotto solo al periodo craxiano - ha coperto uno spazio minimo nella storia della sinistra italiana e che il fallimento dell'idea comunista si deve non tanto ai comunisti stessi e ai tanti errori politici da loro commessi, ma al Craxi che a metà del 1978 rivaluta Proudhon.
Come se non fossero esistite le tante conquiste e le tante lotte dei socialisti italiani: il sacrificio di Matteotti e di tanti socialisti
durante il fascismo, le battaglie e le tante, troppe vittime
socialiste contro la mafia, un nome su tutti quello di Placido
Rizzotto, la nascita del centro-sinistra, che evita una possibile
forte svolta a destra del governo italiano, le conquiste sulla scuola con Tristano Codignola, le nazionalizzazioni di settori strategici dell'industria fortemente volute da Riccardo Lombardi, lo statuto dei lavoratori, con Giacomo Brodolini, le battaglie sui diritti civili e tanto altro.

E soprattutto, come se non fosse esistita la de-comunistizzazione interna del PCI (quella che ha portato quei dirigenti alla nascita del PD), slegata da Craxi ma forse in parte influenzata, ma legata soprattutto al fallimento internazionale del movimento comunista, che non nasce nell '89 ma molto prima, evidentemente. Che passa per l'Ungheria, per Praga, per la mancanza di diritti nell'intero blocco sovietico, per il fallimento economico di quei paesi.
La risposta, alla domanda "Chi ha ucciso Livorno? ", titolo
dell'articolo, è per Prestipino il Craxi proudhoniano. Su Livorno,
probabilmente sarebbe giusto chiedersi cosa sarebbe successo se non ci fosse stata quella divisione, ma non è questa la sede per questa pur importante discussione.

Nel 1978, quando Craxi inizia una forte operazione culturale nel PSI - a nostro modo di vedere con luci (poche) e ombre (molte) - nel tentativo di dare all'Italia una prospettiva altra rispetto alle
socialdemocrazie ma anche rispetto alla prospettiva comunista all'alba del suo declino, porta nei fatti ad un indebolimento in prospettiva della sinistra in Italia. A questo punto è troppo tardi, gli errori compiuti dai due gruppi dirigenti sono "storici ", ne stiamo pagando ancora adesso le conseguenze e non sappiamo per quanto tempo. Nel momento in cui era necessario, per le sorti del movimento operaio italiano (in senso lato) che i due principali partiti della sinistra superassero loro stessi, riconoscessero il ruolo positivo svolto per dare vita ad una forza autonoma rispetto all'esterno (URSS) ma non
moderata, connotata da una forte moralità culturale e nel contempo da una forte autonomia rispetto al mondo cattolico.

Citiamo un comunista, Giorgio Amendola : " ..Ora l'esigenza di unpartito unico della classe operaia italiana nasce da una constatazione critica: nessuna delle due soluzioni prospettate alla classe operaia dei paesi capitalistici dell'Europa occidentale negli ultimi 50 anni, la soluzione socialdemocratica e la soluzione comunista, si è rivelata fino ad ora valida al fine di realizzare una trasformazione. In Italia l'unificazione non si può fare né su posizioni socialdemocratiche né su quelle comuniste. Non si può a causa dei rapporti di forza, e non si deve, se vogliamo creare un partito nuovo."
Oggi purtroppo la sinistra è relegata (speriamo momentaneamente) ad un ruolo marginale, oltre che per le tante - e spesso ridicole - divisioni, anche per i suoi errori "storici".
Importante è analizzarli, farne tesoro e non per una volontà di rivalsa o peggio per la ricerca di un alibi. Ma se si continua su questa strada, sul non riconoscere i rispettivi errori e lati positivi e soprattutto se non si riesce a dare una nuova prospettiva - tattica e strategica, politica e culturale - per il futuro,
la strada sarà molto, ma molto in salita.

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