sabato 24 gennaio 2009

Macaluso: Quel che resta di walter

Da La Stampa

20/1/2009

Quel che resta di Walter





EMANUELE MACALUSO

Giovedì 15 gennaio un lettore della Stampa, Silvio Montiferrari, ha scritto una lettera a Lucia Annunziata per dire che a fronte di un mio «sconsolato articolo» sulla mancata fusione tra le componenti che hanno dato vita al Pd, «sabato 25 ottobre 2008 a Roma c’era il popolo dell’Ulivo (ora il Pd) con le sue mille bandiere». Francamente sconsolante mi pare la tendenza che si avverte nel leader del Pd Veltroni e in tanti suoi sostenitori a non vedere la realtà per quella che è, non come si vorrebbe che fosse, confondendo la propaganda con la politica. Proprio ascoltando Walter in quella manifestazione ho avuto conferma di quel che ho scritto su questo giornale. A mio avviso la domanda centrale che bisogna farsi è questa: cosa resta della strategia indicata da Veltroni, al Lingotto di Torino, di volere, costi quel che costi, un partito a «vocazione maggioritaria» e un sistema politico bipartitico, archiviando l’Ulivo e la coalizione prodiana di centrosinistra, fondata essenzialmente sull’antiberlusconismo?

A mio avviso non resta più nulla. Intanto dopo il Lingotto il Pd si alleò con il partito personale di Di Pietro, il quale, grazie alla campagna veltroniana del voto utile, poté superare lo sbarramento del 4 per cento. Successivamente, grazie a quell’avallo e alla spregiudicata e concorrenziale politica di Di Pietro, abbiamo visto transitare elettori del Pd verso l’Italia dei Valori. Questo dato ci dice che nella base elettorale del Pd resiste un equivoco politico tra quelle che sono le posizioni di Di Pietro e quelle che dovrebbero essere del partito di Veltroni. Ma, il dato politico centrale è che all’interno del Pd maturava il convincimento che la «vocazione maggioritaria» era solo una vocazione senza riscontri con la realtà, poiché il partito perdeva consensi e si determinava un evidente isolamento. Anche perché, dopo le elezioni, uno dei dati per cui si poteva prefigurare una riforma politica bipolarista, cioè un’intesa tra Pd e il partito di Berlusconi, non si era realizzato. Anzi la conflittualità tra i due poli si manifestava come in passato.

Ecco infatti D’Alema che parla di «amalgama mancato nel Pd» e della ricerca di alleanze guardando a Casini. Ecco Rutelli e molti altri che pensano a un partito di centro più robusto, alleato del Pd. Ecco Parisi che considera un errore la fine dell’Ulivo e delle alleanze a sinistra che si erano realizzate con il governo Prodi. Potremmo continuare. E intanto il Pd è paralizzato perché le strategie sulle alleanze definiscono anche i contenuti della politica sui temi che sono all’ordine del giorno: basta ricordare il testo sulla giustizia messo insieme da D’Alema e Casini. Non Di Pietro!

Ma c’è stato anche un fatto politico con cui il gruppo dirigente del Pd ha archiviato la strategia del partito a vocazione maggioritaria. Infatti nei giorni scorsi si è svolta una riunione dei «capicorrente senza correnti» del Pd in cui si è discussa della possibilità di modificare la legge per le elezioni europee insieme con Berlusconi, introducendo un consistente sbarramento senza preferenze. In quella sede Veltroni ha dovuto prendere atto che il tentativo di riproporre il bipartitismo coatto, grazie alla legge elettorale anche se la politica va in direzione opposta, è abortito.

A questo punto a me pare che la crisi del Pd (nei sondaggi di Mannheimer è al 23 per cento) va anzitutto ricercata nella crisi di una strategia che è rimasta solo come slogan propagandistico. Veltroni infatti non prende atto di un dato politico ormai evidente a tutti e non indica una strada diversa. Dire, come ha detto a Ballarò, che anche i grandi partiti europei registrano nei voti e nei sondaggi degli alti e bassi è un’assurdità. Quei partiti hanno un amalgama antico e consolidato e una strategia verificata negli anni. Far finta di niente non è una politica. E se non si chiarisce il punto il Pd rischia un’implosione distruttiva. Prendere atto della realtà e dire se e come modificarla dovrebbe essere la regola di chi guida un partito. O no?

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