domenica 25 gennaio 2009

Fabrizio Rondolino: Comunisti e socialisti

Da Facebook

Comunisti e socialisti, una guerra civile di soli sconfitti.

La violenza della discussione che si è aperta su un mio ricordo di Craxi mi ha fatto molto riflettere. Pensavo che la guerra civile che ha distrutto la sinistra in Italia si fosse oramai conclusa, e che non ci restasse che gironzolare tra le macerie con una qualche condivisa pietà. Invece continuiamo ad accapigliarci con furia, sebbene intorno a noi non si vedano che rovine, soldati in rotta, e generali senza esercito.

Mi sono venuti in mente altri ricordi: ciò che segue non è una spiegazione, ma un racconto (frammentario) della nostra brutta guerra civile.


Proprio nel giorno in cui Achille Occhetto era a Barcellona con Claudio Martelli per partecipare ad una riunione dell’Internazionale socialista, a Rimini, su un camper trasformato in ufficio e parcheggiato dietro il palazzo dei congressi, Bettino Craxi amabilmente chiacchierava con Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Era il 22 marzo 1990, il Pci non era ancora diventato Pds e il segretario del Psi aveva appena terminato la sua relazione alla Conferenza programmatica. Volle incontrare D’Alema e Veltroni, che non conosceva personalmente, perché gli sembravano i migliori della nuova generazione, e i più promettenti. Craxi avrà avuto molti difetti, ma non gli mancava il fiuto politico.

C’è però un doppio retroscena che merita di essere ricordato. Il camper di Craxi era un luogo-simbolo della Prima repubblica ormai al tramonto, perché l’anno prima, all’Ansaldo di Milano, proprio in quel camper Craxi e Forlani avevano siglato l’accordo di pentapartito in seguito noto come “Caf”. Occhetto, invitato da Craxi alla Conferenza di Rimini, subodorò una qualche trappola: “Mi farà salire sicuramente sul camper, ma io non voglio”. Trovò così la scusa della riunione di Barcellona, dove la sua presenza non era inizialmente prevista, e declinò l’invito, nonostante Craxi giungesse ad offrirgli un volo privato. Il buffo è che anche Martelli non avrebbe dovuto essere a Barcellona quel giorno: Craxi non vedeva di buon occhio la diplomazia parallela del suo delfino, e aveva riservato a sé ogni decisione riguardante l’Internazionale (fu in effetti lui, alla fine del ’91, a dare il via libera all’ingresso del Pds). L’aneddoto aiuta a capire quale groviglio politico, psicologico e umano governasse in quegli anni i rapporti fra il Pci-Pds e il Psi.

Ma è nel passato, nell’incomprensione radicale fra Berlinguer e Craxi che si trova la ragione dell’antisocialismo di Botteghe Oscure e dell’anticomunismo di via del Corso.

Berlinguer e Craxi non si amavano; probabilmente si detestavano. Ma non è (soltanto) con la psicologia che si spiega la politica, e il dissenso fra il ‘berlinguerismo’, cioè quella particolare declinazione del togliattismo che aveva nell’unità nazionale (il “compromesso storico”) e nel conservatorismo costituzionale il proprio baricentro, e il ‘craxismo’, che si proponeva invece come modernizzazione istituzionale (il presidenzialismo e la “Grande riforma”) e innovazione politica (l’alternativa), è un dissenso autentico e incolmabile, perché mette in campo due sinistre culturalmente, prima che politicamente, diverse.

Paradossalmente ma non troppo, il Pci di Berlinguer incarnava in quello scontro non il ‘comunismo’ ma la tradizione socialdemocratica classica (al netto, s’intende, dei suoi legami internazionali), mentre il Psi di Craxi rappresentava piuttosto il socialismo liberale che sarà poi la bandiera di Blair. Craxi, insomma, era oggettivamente “più avanti” di Berlinguer: ma la ferocia dello scontro che, dopo un anno di guerriglia ideologica a base di Proudhon e Gramsci, esplode violento nei giorni del rapimento Moro (marzo ’78), quando Craxi gioca la carta umanitaria in polemica aperta con l’asse Pci-Dc venutosi a cementare intorno al secondo governo Andreotti, e che si conclude con i fischi del congresso socialista di Verona a Berlinguer, un mese prima della sua morte (giugno ’84), lasciò ben poco spazio al dibattito culturale e alla discussione politica. Con la sola, breve eccezione del “patto di Frattocchie” (nel luglio del ’79 Craxi e Berlinguer tennero un lungo vertice nella scuola di partito del Pci), fra socialisti e comunisti la battaglia fu sempre cruenta e senza risparmio di colpi.

È vero: Craxi aveva esplicitamente dichiarato di voler fare come Mitterrand, cioè riequilibrare i rapporti di forza elettorali a favore del Psi, perché soltanto con una guida socialista – sosteneva – l’alternativa alla Dc sarebbe stata possibile. Ma il Pci non considerò mai la posizione di Craxi una semplice, ancorché impegnativa, sfida politica e culturale: la visse subito, e fino alla fine dei suoi giorni, come una minaccia reale alla propria stessa esistenza.

Gli appunti riservati di Tonino Tatò, braccio destro di Berlinguer, sono da questo punto di vista impressionanti: Craxi “è un avventuriero, anzi un avventurista, uno spregiudicato calcolatore del proprio esclusivo tornaconto, un abile maneggione e ricattatore, un figuro moralmente miserevole e squallido, un bandito politico di alto livello” (luglio ’78), ha un modo di vedere la politica “di chiaro stampo mussolinesco, cioè narcisistico e intimidatorio” (marzo ’81), in lui c’è “un’assoluta mancanza di senso dello Stato” (maggio ’84).

Il partito che eredita Occhetto – di Natta non c’è molto da dire – ha dunque una pancia, prima ancora che una testa, violentemente anticraxiana. Tanto più che, quando Occhetto nel novembre ’89 avvia la “svolta” che porterà allo scioglimento del Pci, con una mano Craxi sembra aiutare i ‘cugini’ di Botteghe Oscure, ma con l’altra, direi per mancanza di coraggio politico più che per convinzione o per necessità, si tiene saldamente all’interno del bunker del pentapartito agonizzante.

La proposta dell’“unità socialista”, che Craxi lancia al Pci, in un contesto normale sarebbe apparsa la scelta più ovvia: poiché la scissione di Livorno era nata dalla Rivoluzione d’Ottobre, conclusasi l’esperienza sovietica poteva (e doveva) concludersi anche l’esperienza dei partiti comunisti europei. Finito il comunismo, si tornava tutti socialisti.

Ma il contesto dell’Italia post-’89 non è affatto normale: Craxi governa con Forlani e Andreotti, e la sua proposta non viene nemmeno presa in considerazione. “Unità socialista”, a Botteghe Oscure, significa annessione. Nessuno, neppure i “miglioristi” di Napolitano e Chiaromonte, ha il coraggio o la possibilità di andare a vedere le carte di Craxi.

Accade così che mentre in tutta l’Europa ex sovietica i partiti comunisti diventano “socialisti”, in Italia il Pci deve reinventarsi come Partito democratico, seppur “della sinistra”. Questa assurda contorsione linguistica e politica segna profondamente le origini della Quercia – il simbolo stesso, omaggio all’“albero della libertà” della Rivoluzione francese, cancella intenzionalmente ogni riferimento a centocinquant’anni di storia del socialismo –, e ne segnerà ogni giorno il destino sempre più affannato, fino alla fusione fredda nel gelido Partito democratico.

Ma torniamo al 1992. Tangentopoli – qualunque ne sia stata l’origine – fa precipitare definitivamente la situazione. Occhetto cavalca l’ondata giustizialista, sebbene anche il Pci sia lambito dalle inchieste, perché è convinto di trarne un vantaggio politico e perché non può, semplicemente non può, andare contro un’opinione pubblica di sinistra profondamente intrisa di berlinguerismo e venutasi distillando in un quindicennio di anticraxismo militante. Craxi invece, arroccato nella cittadella del Caf, di Tangentopoli è la vittima sacrificale, il ‘bersaglio grosso’.

Il 29 aprile del ’93 la Camera respinge l’autorizzazione a procedere per Craxi (da due mesi non più segretario del Psi) chiesta dalla Procura di Milano. Scoppia il finimondo. I ministri indicati da Occhetto (Augusto Barbera e Vincenzo Visco) si dimettono immediatamente dal neonato governo Ciampi, mentre a piazza Navona si svolge una manifestazione di protesta organizzata dal Pds. Craxi è al Raphael, la sua residenza romana: e qui affluiscono alcuni manifestanti. Intorno alle otto di sera il leader socialista esce dall’albergo e sale in macchina, investito da una pioggia di insulti e di monetine. Per qualcuno dei presenti, è la giusta vendetta dei fischi ricevuti da Berlinguer a Verona nove anni prima. Per altri, è il punto di non ritorno, oltrepassato il quale non ci sarebbe mai più stata, in Italia, una sinistra riformista unita e vincente.

Un anno dopo Craxi prende la strada di Hammamet. Morirà in esilio il 19 gennaio 2000. Tre giorni dopo, nella cattedrale di Tunisi, c’è anche Marco Minniti, braccio destro e sottosegretario dell’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema. La famiglia non voleva rappresentanti del governo, e al termine di una lunga mediazione dell’ambasciatore d’Italia Minniti viene fatto sedere in settima fila. All’uscita dalla chiesa, di nuovo fischi e monetine. Ma il Pci e il Psi, oramai, da tempo non c’erano più.

Fabrizio Rondolino

14 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto bella e interessante l'analisi di Rondolino pubblicata ieri, invito tutti quelli che non l'hanno letta a farlo perché una volta tanto si tratta di 5 minuti ben spesi ( e non mi riferisco all'autore che solitamente offre spunti molti interessanti) ora però servirebbe mettersi in moto per dare un interpretazione politica a questa e altre migliaia di riflessioni, inputs, critiche e indicazioni che circolano e sono circolate in questi ultimi anni di crisi della sinistra, accelerata bruscamente da quella sorta di resa ideale e valoriale che si è manifestata nella mutazione dei DS in PD.

Solo ora che essa è così debole, può avvenire paradossalmente quello che fino a pochi mesi fa poteva sembrare impensabile. Mettiamoci pure la questione legata alla disgustevole modifica veltrusconiana della legge elettorale per le europee, come concausa di possibili novità, se come si vocifera verrà approvata dal Parlamento. Comunque andrà a finire la questione, sbarramento o meno per quella nebulosa di Andromeda chiamata sinistra, la possibilità rappresentata delle prossime scadenze elettorali, potrebbe essere davvero, l'ultimo appello.

Imprevedibilmente quindi, due processi compiuti in europa molti anni addietro, la cui mancata attuazione ha rappresentato la causa prima dell'anomalia nazionale, potrebbero verificarsi entrambi nel breve periodo. A due condizioni. La prima, è che sarebbe fortemente auspicabile una Bad-Godesberg per tutta quella parte che tra oggi e domani lascerà Rifondazione Comunista, per iniziare un nuovo percorso assieme a quella scialuppa che da mesi sballotta tra le onde senza ancora aver trovato terra chiamata Sinistra Democratica. Capiamo che dopo 80 anni che si è stati avversari del socialismo democratico non sia facilissimo cambiare pelle tanto rapidamente, ma dal congresso di scioglimento dei DS di Firenze, stanno quasi per compiersi 2 anni e sarebbe tempo che Mussi, Fava e i loro prendessero una posizione chiara e netta.

Se dovessero prevalere le pulsioni arcobaleniste, sarebbe però è bene sottolinearlo, l'ennesima inconcludente danza del gambero. Ci auguriamo di no.

Anche perché se fosse messo invece all'ordine del giorno un percorso che guardi con fiducia all'Europa, potrebbe verificarsi la seconda condizione, vale a dire quel definitivo rimescolamento di carte che dal PS alle residuali forze laiche e ambientaliste, potrebbe dare vita infine alla Epinay italiana, così tante volte evocata, fino ad oggi senza esito.
Le elezioni europee come sottolineato anche da molti esponenti e opinionisti d'area, tra i quali il sempre acuto Macaluso e da Turci e Nencini del Partito Socialista, potrebbero senz'altro fungere da trampolino per un nuovo grande soggetto di sinistra unitaria che senza troppa fretta di cucirsi addosso etichette nazionali, si ritrovi intanto in Europa tra le fila del PSE. Sarebbe questo quell'inizio (così tanto atteso soprattutto dal mondo del lavoro e della precarietà sociale ed economica) del cambiamento del moto di tendenza, che aveva visto inesorabilmente le forze tradizionali delle classi più deboli, finire nel vicolo cieco della inconcludenza e della velleitarietà.

Certo servirebbe anche un Brandt o un Mitterand che allo stato forse non abbiamo, però ci sarebbe un bel giovanotto (di incoraggiamento) con l'orecchino e l'accento pugliese che nelle prossime settimane potrebbe giocare un ruolo decisivo.

Come direbbe Obi-Wan Kenobi, che la forza sia con lui.

Alessandro Silvestri

Anonimo ha detto...

Io non sono craxiano, sono un socialista di sinistra, ma non credo affatto che Craxi sia un antesignano di Blair. In realtà Berlinguer non volle mai essere socialdemocratico ma credette fino all'ultimo che il comunismo potesse riformarsi.
Ma torniamo a Craxi: inizialmente egli cercò di rafforzare l'identità autonoma del socialismo italiano cercando una sintesi culturale tra il revisionismo marxista (Bernstein, Mondolfo, l'austromarxismo) il socialismo libertario di Proudhon ed il radicalsocialismo di Rosselli e Bobbio ( estremamente diverso dal social-liberismo di Blair e Giddens). Questa è la parte positiva della gestione craxiana, che ha influito positivamente sulla evoluzione dell'intera sinistra. In seguito puntò su un rapporto di basso profilo con la DC che sterilizzò la forza innovatrice della proposta socialista.
Comunque Craxi era un socialista revisionista, Martelli e De Michelis dei non-socialisti (in questo vicini a Blair e Giddens -( il quale ha fra l'altro pubblicato il necrologio del socialismo). Basta leggere la relazione di Craxi alla Conferenza Programmatica del 1990 (quella dell'incontro con D'Alema e Veltroni) per comprendere quanto Craxi fosse vicino a Jospin ed alla SPD piuttosto che a Blair. Egli difende l'intervento pubblico in economia, contesta la finanziarizzazione, mette in guardia dalle contraddizioni della globalizzazione (allora in fase iniziale). Dal punto di vista ideologico Craxi è stato un socialista autentico. I seguaci di Blair in Italia sono stati Veltroni e D'Alema che hanno distrutto la sinistra. Oggi, grazie a DIO, Blair è scomparso, la crisi radicale del liberismo sta riportando il socialismo europeo nel suo alveo naturale. E per favore, ripeto non mescoliamo Rosselli con Blair. Rosselli non era marxista ma il suo socialismo prevedeva l'intervento pubblico diretto in economia, la democrazia economica ed il controllo operaio, una area di economia sociale e cooperativa e l'internazionalismo proletario. Blair è stato un servo di Bush ed un apologeta del liberismo: una offesa alla migliore tradizione del socialismo inglese.

Peppe Giudice

Anonimo ha detto...

Sono sostanzialmente d'accordo con la tua analisi, Craxi fu un socialista e non un antesignano di Balir, sostenitore di un socialismo liberale anche se usò il pensiero dei Rosselli solo in chiave anticomunista, non comprendendo né valorizzando molto nè Il loro europeismo né il loro federalismo.
La nuova sinistra che sarà..speriamo, deve ripartire dalla questione primaria: quella del lavoro e dalla legge Biagi, se puoi leggi la mia nota nel merito su facebook.
Carlo Felici

Anonimo ha detto...

Ritengo che ci siano due Craxi: quello della prima fase, che parlava della Grande Riforma istituzionale e che, sulla scia di Mitterand, voleva dare un ruolo maggioritario al PSI, riducendo l'influenza del PCI all'interno della sinistra; e quello della seconda fase, implicato nella pura gestione del potere con una forte politica di lottizzazioni e un po' ricattatoria (molto simile a quello della Lega oggi), il Craxi del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), che di fronte al referendum sul sistema elettorale (che si rifaceva un po' alla sua prigenia Grande Riforma) invitava la gente ad andare al mare, invece che ad esercitare un diritto/dovere istituzionale. E' quest'ultimo Craxi, tra l'altro signore incontrastato all'interno del PSI, dove chi non aveva due dita di pelo sullo stomaco se ne andava, è quest'ultimo Craxi che alla fine ha distrutto il PSI. E' il Craxi amico di Berlusconi, delle sue tivù, padrino del suo matrimonio, il Craxi compromesso con gli affaristi. Se non si è liberamente critici di fronte a questa figura - come non lo erano i comunisti che dicevano che si stava bene in Unione Sovietica - non si riuscirà neppure a intravedere una strada nuova per il socialismo del terzo millennio, che, per rinascere deve saper cogliere il meglio del socialismo del 900 e ripudiare (criticamente, per interiorizzare prassi negative da non ripetere) il peggio...
Saluti, Diego Zandel

Anonimo ha detto...

E' vero, Berlinguer non pensò mai di diventare socialdemocratico, ma non si può arbitrariamente collocare Tony Blair al di fuori del movimento socialista. Blair ha mosso i suoi primi passi in politica nei "Chistian socialists", un movimento politico affiliato al Labour Party ed ha scritto un volume dal titolo "Socialism" (rinvio all'ottimo volume di Andrea Romano "The boy" per approfondimenti).
Giddens è un intellettuale che ha accompagnato solo i primi anni del rinnovamento laburista.
Il problema di Blair e della nuova generazione di dirigenti era come riportare il Labour al governo dopo vent'anni di era Tatcher. Essi partivano da una constatazione elementare: il Labour aveva perso tutte le elezioni dal 1979 in poi perchè la sua offerta politica (ricordo: neutralismo in politica estera, statalismo, debolezza nei confronti delle Unions) non era in grado di incontrare gli umori profondi del popolo britannico. Inoltre, nel periodo conservatore l'individualismo di massa aveva preso il sopravvento nella società sui sentimenti solidaristici. La piattaforma vincente del New Labour fu il risultato di queste analisi e prese di coscienza. E, se il popolo ha confermato il mandato a Blair per tre volte consecutive, probabilmente vuol dire che aveva toccato nel segno (perdonandogli anche la guerra in Iraq, basata sulle false prove riguardo alle armi di distruzione di massa).
Del resto, il successore di Blair e suo alleato nella rifondazione del Labour, Gordon Brown, non ha esitato a nazionalizzare alcune banche a rischio di fallimento. Il problema non è lo Stato che, è l'eccesso di Stato rimasto nella società, per forza d'inerzia, dopo la gli anni delle "vacche grasse" seguiti alla Seconda guerra mondiale, ormai ritenuto non più economicamente sopportabile dopo gli shock petroliferi e la globalizzazione, e fonte di ulteriori disuguaglianze (se, poi, dovessimo soffermarci sul caso italiano, il quadro sarebbe ancora più cupo).
Dobbiamo convincerci, pragmaticamente, che nelle varie realtà nazionali i partiti socialisti hanno modi diversi di affrontare i problemi, ma ciò non fa venir meno, legittimamente ed al di là delle etichette, la loro appartenenza al movimento socialista internazionale.
Fraterni saluti.
Nicolino Corrado

Anonimo ha detto...

Condivido quasi integralmente quanto scrive Diego Zandel, in specie nelle conclusioni.
Agiungo per completare il mio sintetico pensiero:
1) che purtroppo anche il primo Craxi poco aveva a che fare con il socialismo liberale di Rosselli e di Giustizia e Libertà, si pensi al fumoso "saggio" su Proudon, a fronte del quale Marx, da non confondere con il marxismo sovietico, con tutti i suoi limiti del cattivo profeta, era un genio, come insgna anche l'atuale crisi finanziaria;
2) che la Grande riforma craxiana non c'entrava nulla con il mitterandismo, inteso come egemonia del socialismo nella sinistra. Se avesse voluto dire dire presidenzialismo e ipermaggioritarismo, si sarebbe trattato di un tentativo ben poco democratico, quasi un'anticipazione della legge Acerbo preconizzata dai referendari attuali del Guzzetta.
Insomma, credo che non ci sia nulla da salvare, se non la speranza dei socialisti.
Ovviamente l'eurocomunismo berlingueriano non si lega anch'esso in nessun modo al migliore socialismo italiano ed europeo del secolo beve, quello di Giiustizia e Libertà e del manifesto di Ventotene.
Antonio Caputo

Anonimo ha detto...

il passato è morto, solo il futuro conta (turati). E se la piantassimo una buona volta con questa lagna su Craxi? Basta guardare i suoi figi per capire che non è stato un bravo padre. E neanche un bravo segretario di partito, direttore dell'Avanti ecc. Un discreto presidente del consiglio si, ma perchè cazzo ha voluto tenersi anche le 2 massime cariche di partito chiediamolo a Kim il Sung e ai suoi eredi.
E quando ce la prendiamo col porcellum, ricordiamo che a lui, che ha inventato l'elezione in congresso del segretario, sarebbe piaciuto moltissimo.

Claudio Bellavita

Anonimo ha detto...

Anche io sono convinto che esistono due Craxi. Il secondo è da.. dimenticare.
Caro Carlo ho visitato il sito che mi hai consigliato: veramente bello; finalmente un sito del socialismo vero.
Peppe Giudice

Anonimo ha detto...

Cari Compagni, I morti meritano rispetto..(I Sepolcri di Ugo ?).......agli studiosi politologhi l'onere di analizzare il Pensiero e L'azione di Benedetto detto Bettino....
Partiamo da Sigonella....did we remeber?
I remebered a good PM.....
ENI? Less good ,,, few signorile....much more IRI/ PPSS by Cicchitto..
Ma ora ? E' meglio pensare al presente x costruire nel futuro prox (marzo 2009?) un programma socialismo libertario.
Chi presentare Come candidato sindaco? Una giovane Donna con una staff professorale , ma pratica di prezzi al consumo, ingrosso....scusate la trivialita' , ma governare la politica economica e' la base del successo....
DDF

Anonimo ha detto...

Solo una considerazione perché di parole se ne consumano a fiumi.

Se vogliamo cambiare il Paese dobbiamo conquistare la fiducia dei cittadini, non convincere il PD. Il PD nelle sue due manifestazioni principali: quella dossettian/cattolica e quella Berlinguerian/leninista, non è mai stato e non sarà mai di cultura socialista. Almeno nei gtermini occidentali ceh l'intendiamo noi in tutte le sue forme.

Quindi inutile disperdere energie. Bisogna lavorare alla costruzione di un movimento che ottenga la vera omologazione dell'Internazionale e del PSE, SENZA CERCARE PADRI PUTATIVI CHE AL SOCIALISMO HANNO FATTO, SEMPRE E SOLO, DEL MALE.

Anonimo ha detto...

1) Basta con Craxi lasciamolo agli storici e ai criminologi
2) Se qualcuno ha ancora bisogno di saperne di più sul personaggio il famoso figlioccio di Luigi Berlconi lo faccia in forme private e concentri i sui studi sulle attività note all'Interpool del nostro prima del Congresso del Midas e legga Federico Rampini 'tutti gli uomini del presidente'
4) In Italia il socialismo è stato spazzato via sul piano strutturale ma non su quello ideale e programmatico e ilmomento storico ci dice che l'unica via per superare< le tre crisi umani - ambientale, economica globale, e scoiale - è solo il socialismo, occorre riprendere il dialogo per costruire un soggetto socialista unendo tutte le forze in campo con le forme che si riterranno più opportuno oggi in Italia vi sono tre formazioni che si rifanno al socialismo il PSI la SD e il NPdA funzione dell'associazionismo di base è quello di far incontrare, dialogare e proporre soluzioni con queste tre formazionii e costruire una struttura del Socialista Europeo

Anonimo ha detto...

Senza contare che con lui è cominciata - alla Berlusconi - l'elezione del segretario per "acclamazione", come Kim il Sung.
Sì, basta con le celebrazioni di Craxi.
Diego Zandel

Anonimo ha detto...

Caro Nicola,

Blair era un liberista e non un socialista. Ed in questo diversissimo da Craxi. Nel suo pensiero c'è l'apologia acritica della globalizazzione neoliberale. Il suo riformismo non aveva un carattere strutturale come quello socialista ma tendeva solo a limitare il danno delle diseguaglianze prodotte dal modello liberista. Del resto basta leggersi le critiche a Blair fatte da intellettuali socialisti come Ruffolo, Salvadori, Gallino. Va dato atto a Gordon Brown di aver corretto la rotta, riportando il Labour lungo il suo sentiero naturale. Non sono un fanatico delle nazionalizzazioni ma l'intervento pubblico (anche diretto) dello stato è necessario, così come sono necessarie la programmazione, la regolazione sociale del mercato e la democrazia economica legata all'idea di responsabilità sociale dell'impresa.

Anonimo ha detto...

in realtà craxismo e berlinguerismo sono progetti totalmente falliti. Una sola chiosa a quanto dice Antonio: Craxi era di formazione marxista, appartenente a quel filone del marxismo umanistico e democratico che faceva capo a Mondolfo. Proudhon lo introdusse Pellicani. Ma già i socialisti francesi lo avevano rivalutato qualche anno prima. Del resto anche Rosselli era in qualche modo ammiratore di Proudhon (il quale va comunque contestualizzato all'interno di una fase primitiva del pensiero socialista). Fu Pellicani a pretendere di fare di Proudhon il nuovo "padre fondatore" , cosa evidentemente assurda. La cultura del PSI è frutto prevalentemente dell'incontro tra il Marxismo democratico (l'austromarxismo) ed il socialismo azionista di Rosselli e Bobbio.