mercoledì 28 gennaio 2009

Vittorio Melandri: Su Eluana

Eluana Englaro aspetta misericordia da diciassette anni. Su Eluana, il “dovere di discuterne” è stato già assolto, ed oggi come comunità civile, ci spetta il dovere di applicare le leggi che ci sono, quelle che si possono applicare. “Sassate” è il titolo di una poesia di Giorgio Caproni, pochi versi che messi in fila si srotolano in una riga. “Ho provato a parlare./Forse, ignoro la lingua./Tutte frasi sbagliate./Le risposte: sassate.” Penso che di questa poesia se ne possa dare una lettura in cui si specchia il nostro presente modo di dialogare. Anche dove la “buona fede” traspare, chi prova a parlare infatti, in risposta riceve solo sassate, magari avvolte pure loro nella “fede” più buona. La poesia di Caproni si trova in una raccolta dal titolo emblematico, “Il muro della terra”, preso da un verso dell’Inferno di Dante. Leggo nelle note raccolte nel “Meridiano” che Mondadori ha dedicato al poeta, che per Caproni “il muro della terra”, significa “il limite che incontra ad un certo momento la ragione umana”, che appunto, raggiunto “il muro della terra”, si affaccia su luoghi in cui “la ragione non ha più valore al pari di una legge fuori dal territorio in cui vige”. Invece di accettare questa condizione umana, e di cercare pazientemente per trovare varchi in quel muro, invece di adoprarsi per estendere armoniosamente le leggi che si credono giuste ai territori dove ancora non sono vigenti, si continua con la litania di inventare presunte leggi divine valide per tutti, e si fa questo anche da parte di laici pragmatici, quando non, ad un tempo, atei e devoti. Così però si svilisce e violenta la ragione umana, solo perché se ne scorgono i limiti; così si propongono mediazioni impossibili, solo per riconoscere un improbabile ruolo ai mediatori; così si identifica il dovere di discutere, quel dovere benefico maturato nel grembo naturale della nostra specie, solo come inscritto “nell’irrompere in occidente del Dio personale della tradizione cristiana”, dal quale Dio personale, a leggere le parole di Pierluigi Bersani (la Repubblica 28 gennaio) sembra discendere in esclusiva la possibilità concreta di rendere inseparabile l’uomo “dalla sua dignità e dalla sua libertà”. Forse anch’io ignoro la sua lingua. Per quanto riguarda la mia, mi ripeto, su Eluana, il dovere di discuterne è stato già assolto, ci spetterebbe il dovere di applicare le leggi che si possono applicare, e di cercare umilmente varchi nel “muro della terra” che ci circonda da ogni lato. Succede invece che si continuano a scagliare sassate, ad Eluana, ai suoi cari che l’assistono, e a tutti coloro che provano a parlare dell’Eluana che è in ciascuno di noi, ed in particolare a tutti quelli che si ostinano a ripetere, come da ultimo Roberta De Monticelli, “che una legge dello Stato in queste discipline permette e non obbliga, dunque certo non si sostituisce all’ultimo giudizio della coscienza morale individuale, ma ha al contrario il preciso scopo di non sostituirvisi.” Ma “questo fondamento della distinzione fra diritto e morale” non sembra essersi radicato nel Pd, il “partito nuovo” che stando a Bersani, sul tema, è attraversato non già dai brividi di un tormentone, ma al contrario dai fremiti di una “discussione profonda e consapevole”. Ad un essere umano giunto in prossimità del “muro della terra”, lapidato da queste sassate, investito da queste delusioni, tradito da chi più di altri dovrebbe aiutarlo, sembra proprio non resti che piegarsi a patetiche invocazioni, sacre o profane, e che Dio/dio ce la mandi buona.



Vittorio Melandri

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