mercoledì 28 gennaio 2009

La questione dell'energia e la scelta nucleare

Da Aprile online

La questione dell'energia e la scelta nucleare
Comitato Si alle energie alternative No al nucleare, 27 gennaio 2009, 10:45

Il Documento Fin dai primi giorni di governo, il presidente Berlusconi ha annunciato la decisione di procedere in tempi rapidi alla realizzazione di un programma nucleare. Sinora questa posizione è stata contrastata con poco vigore e un po' di supponenza e frattanto l'esecutivo procede negli adempimenti preliminari per la realizzazione del programma nucleare annunciato. Ci sembra dunque tempo di affrontare con chiarezza nel merito queste motivazioni




Fin dai primi giorni di governo, il presidente Berlusconi ha annunciato la decisione di procedere in tempi rapidi alla realizzazione di un programma nucleare, per porre rimedio al danno che il referendum effettuato all'indomani dell'incidente di Chernobyl - governato dall'emotività strumentalizzata dagli ecologisti - ha apportato alle famiglie e alle imprese italiane. Questa posizione era stata espressa da tempo e si basa sull'affermazione che quella scelta "sciagurata" ha condannato l'Italia - unico tra i paesi industrialmente avanzati - ad una massiccia dipendenza dalle importazioni di petrolio e di gas, privando il Paese di una fonte energetica abbondante, pulita e a basso costo.

Ma, al di là della enunciazione del premier e dei suoi ministri, va detto che questa posizione, da alcuni anni a questa parte, è divenuta un "recitativo" sempre più insistito nella informazione giornalistica a proposito di energia, tanto da essere ormai considerata vera.
Al contrario, si tratta di affermazioni che la documentazione internazionale - ampiamente disponibile - semplicemente smentisce.

Sinora la posizione del governo è stata contrastata con poco vigore e un po' di supponenza e frattanto il governo procede negli adempimenti preliminari per la realizzazione del programma nucleare annunciato. Ci sembra dunque tempo di affrontare con chiarezza nel merito queste motivazioni.

La situazione è oggi più difficile di come si presentava all'epoca del referendum dell'87: il cambiamento climatico in atto richiede di procedere in tempi rapidi ad una drastica riduzione dell'impiego di combustibili fossili e questo richiede anche la geopolitica sanguinosa del petrolio e la crescita accelerata della domanda di energia da parte dei Paesi in rapido sviluppo economico.

Ma la condizione attuale dell'energia nucleare - dal punto di vista della disponibilità del combustibile, dei problemi di impatto sanitario ed ambientale, del costo di produzione del ciclo nucleare (dall'estrazione del minerale, alla produzione di energia elettrica, al trattamento del combustibile irraggiato e allo smantellamento degli impianti), dei rischi di proliferazione militare e del terrorismo - questa situazione indica che al ricorso all'energia nucleare sia da preferirsi l'impiego ed il potenziamento delle nuove fonti energetiche, pulite e rinnovabili, e soprattutto le concrete possibilità di uso più efficiente dell'energia, ma anche di vero e proprio risparmio energetico. E' questa, nei fatti, la scelta effettuata da tutti i paesi più industrializzati.

La propaganda governativa e dei mass media e l'assenza di un'opinione pubblica autonoma e informata possono giocare un ruolo determinante, dato che le forme odierne del discorso scientifico e pubblico non sono all'altezza di simili valutazioni. Così, per scelta politica, si possono sottostimare volutamente i pericoli nucleari mettendo in ombra rimedi a portata di mano.

E così, nell'opinione pubblica, la paura del declino e della rinuncia ai consumi mette in secondo piano rischi imponderabili, che riguardano però tempi remoti o basse probabilità di occorrenza: la questione della sicurezza, infatti, può arrivare ad essere rimossa se non si mettono in evidenza contemporaneamente alternative non pericolose, plausibili, realizzabili già oggi, che prefigurano una organizzazione sociale desiderabile.

Proprio per questo l'accesso e la completezza dell'informazione diventano indispensabili all'esercizio della democrazia.

Innanzi tutto, qualche parola sull' "originalità" della scelta italiana, guidata dall'emotività.

In realtà la vicenda nucleare italiana si è giocata ben prima, all'inizio degli anni '60, quando l'Italia - viva ancora la tradizione della scuola di fisica nucleare di Roma, la tradizione di Fermi - aveva tutte le carte per giocare, un ruolo di punta nel settore dell'energia nucleare, a partire dalle tre centrali di Trino, Latina e Garigliano (realizzate da imprese elettriche private, prima della nazionalizzazione dell'energia elettrica). Ma, allora, il grande Paese amico ed alleato mal digeriva concorrenti nei settori tecnologici avanzati, in particolare per le sue imprese elettromeccaniche nucleari, General Electric, Westinghouse, e nel settore delle grandi macchine calcolatrici. Nel momento in cui si permette la nascita del primo governo di centro-sinistra, una clausola non scritta chiude l'avventura nucleare italiana: l'Italia diverrà paese grande raffinatore di petrolio riducendo la sua iniziativa in tutti gli altri settori energetici, geotermia, idroelettricità e, appunto, energia nucleare. Nel settore dei calcolatori, la Olivetti viene ceduta alla General Electric e diviene Ol-Ge.

Verso la metà degli anni '70, si profilano negli Usa difficoltà per l'elettromeccanica nucleare: le popolazioni richiedono per i reattori standard di radioprotezione e sicurezza sempre più elevati, che fanno lievitare il costo del kWh. A partire dal 1978 (ben prima di Chernobyl!) e sino ad oggi, le imprese elettriche Usa non ordinano più nessun nuovo impianto nucleare. Ma immediata è la solidarietà italiana nei confronti delle elettromeccaniche Usa rimaste senza commesse in patria: parte così il nuovo programma del ministro Donat Cattin per 10.000 MW ed il cantiere di Montalto di Castro.

L'incidente di Chernobyl porta al blocco di nuovi reattori in tutti i paesi dell'OCSE, escluso il Giappone. Escono dal nucleare Svezia, Spagna e Austria ed anche la Germania mette a punto la sua exit strategie. La Francia, allentata la spinta strategica della force de frappe, chiude la sua filiera originale dei reattori veloci e non ordina più nuovi reattori.

Se tutti abbandonano la realizzazione di nuovi reattori, che fa l'Italia? Già chiuse (e avviate ad una improbabile prospettiva di smantellamento) le tre centrali degli anni '60, chiusa la centrale di Caorso nell'attesa di sottoporla ai miglioramenti suggeriti dall'incidente di Three Miles Island, c'è in atto soltanto il cantiere di Montalto di Castro. Lo chiude il governo De Mita nel 1990: che senso avrebbe, per un solo reattore, dotarsi dei costosi, impopolari e rischiosi servizi del ciclo del combustibile? Ma, come si vede, il governo De Mita fa né più né meno di quello che stanno facendo gli altri.

Ma veniamo alle altre affermazioni infondate.

L'energia nucleare non è abbondante.

Ricordiamo innanzi tutto che l'energia elettrica costituisce meno del 20% degli usi finali di energia, mentre il restante (più dell'80%) è costituito da carburanti per i trasporti e calore per riscaldamento e processi industriali. Se anche avessimo "nuclearizzato" tutta la produzione di elettricità, avremmo affrontato solo una parte assai limitata del problema energetico!

L'energia nucleare fornisce oggi al fabbisogno mondiale di energia elettrica un modesto contributo inferiore al 16%, contro il 66% fornito dai combustibili fossili, e, secondo la stima dell'Agenzia Onu per l'Energia Atomica, a questo ritmo, c'è uranio fissile - cioè l'isotopo 235 che è presente nell'uranio naturale, costituito soprattutto dall'isotopo 238, nella concentrazione dello 0,7% - solo per 50 anni, che potranno allungarsi a 70 per ulteriori stime. Se dunque volessimo fare dell'energia nucleare una vaga alternativa ai combustibili fossili, per esempio dimezzando il contributo di questi, ne avremmo per una ventina di anni: cioè ci scanneremmo per l'uranio come ci scanniamo per il petrolio.

Quanto all'Italia, le tracce di uranio in Liguria, in Lombardia e in Trentino non configurano certo una qualche parvenza di autonomia nella disponibilità del combustibile.

Certo, si potrebbe passare all'uso dell'uranio 238, molto più abbondante in natura, ma, per ciò, si dovrebbe passare attraverso la produzione di Plutonio, secondo la linea intrapresa dai Francesi con i reattori veloci. Si tratta di una tecnologia ad alto rischio (proliferazione nucleare e salute: un milionesimo di grammo la dose letale per inalazione). Finita la motivazione della force de frappe, la Francia ha abbandonato questa filiera.

L'energia nucleare non è pulita.

Come ci ricorda - ancora nel 2007 con la Pubblicazione 103 - l'ICRP, l'Agenzia Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Ionizzanti, dosi comunque piccole di radiazioni, aggiungendosi al fondo naturale di radioattività, possono causare eventi sanitari gravi ai lavoratori e alle popolazioni, nel funzionamento "normale" degli impianti e, ovviamente, nel caso di incidenti.

Fuor da ipocrisie, la definizione ICRP di Dose Limite di radiazioni ai lavoratori degli impianti e alle popolazioni ivi residenti non significa dose al di sotto della quale non c'è rischio, ma quella dose "alla quale sono associati effetti somatici (tumori, leucemie) o effetti genetici, che si considerano accettabili a fronte dei benefici economici associati a siffatte attività con radiazioni". Deriva da ciò la complessità degli impianti e delle stesse procedure operative e ciò incide fortemente sul costo del kwh .

Oltre al rilascio di radiazioni nel funzionamento "normale" degli impianti, c'è poi il problema dello smaltimento delle scorie, tuttora materia di ricerca fondamentale: l'obiettivo finale è quello dello stoccaggio in formazioni geologiche appropriate, caratterizzate da bassissima permeabilità e situate in zone geologicamente stabili.

Dopo il fallimento - con la vicenda di Carlsbed nel New Mexico - della prospettiva di poter utilizzare strutture rocciose saline, sono in fase di studio altri tipi di formazioni geologiche. L'attenzione rivolta alle formazioni saline poggiava sulla valutazione che in tali strutture non potesse esserci circolazione di acqua. E l'assenza di acqua appare una necessità dal punto di vista della integrità della tenuta di contenitori che dovrebbero sfidare durate di tempi enormemente lunghi. A Carlsbed, nel corso dello scavo, ci si è trovati invece in presenza di grandi quantità di acqua. E' appena il caso di ricordare che di rocce saline si trattava anche nel caso del sito di Scanzano.

Le scorie ad alta attività sono state destinate dagli USA nelle Yucca Mountains, ma l'attivazione del sito delle Yucca Mountains sta subendo dei ritardi in quanto si sono trovate evidenze dell'esistenza di sismicità in epoche geologiche passate.

L'Agenzia nazionale francese per la gestione dei rifiuti nucleari (Andra) avvia ora un laboratorio sotterraneo alla profondità di 490 metri a Bure (Meuse). Altri modi di gestione dei rifiuti (trasmutazione o stoccaggio in superficie) sono tutt'ora allo studio e si è dunque lontani dalla possibilità di indicare una tecnologia provata standard in base alla quale determinare la sua incidenza sul costo del Kwh.

E' superfluo aggiungere che un impianto solare o eolico, a fine ciclo, lascerebbe residui che si possono smaltire in una normale discarica controllata.

Un altro aspetto critico, generalmente sottaciuto, è la grande quantità di acqua richiesta da una centrale nucleare per il raffreddamento di alcune sue parti. Anche in condizioni di normalità, le elevatissime temperature raggiunte nel nocciolo richiedono grande asporto di calore e consumi di acqua nettamente maggiori rispetto alle centrali alimentate da combustibili fossili.

Per Berlusconi e Scaiola tutte queste problematiche non appaiono, almeno pubblicamente, seriamente valutate: non ci si preoccupa delle oltre 150 tonnellate di scorie annue che verranno prodotte dal nuovo programma nucleare e che andranno ad aggiungersi alla "montagna" di rifiuti nucleari tuttora in attesa di sistemazione: 100.000 m3 (dati Sogin, Conferenza Stato Regioni 2001), di cui parte rilevante dovrebbe provenire dallo smantellamento delle centrali nucleari dismesse.

Ma quale è il costo del kWh nucleare?

I problemi relativi al trattamento delle scorie o allo smantellamento degli impianti al termine della loro vita introducono molta incertezza nei metodi usuali di calcolo, che si fanno per qualsiasi fonte di energia. Se, in particolare, una sistemazione affidabile dei rifiuti radioattivi pone tuttora problemi complessi di ricerca, non solo dal punto di vista geologico, ma anche dal punto di vista della fisica, in assenza cioè di una procedura standard, come si può stimare un costo per questa procedura?

Si aggiunge a questo l'aumento incessante del costo dell'uranio: di oltre nove volte dal 1999 al 2007, come afferma l'A.D. di Enel, Fulvio Conti, dinanzi alla Commissione Attività Produttive della Camera il 5/12/07. E si aggiunge, a differenza delle altre fonti energetiche, l'incertezza sui tempi di realizzazione degli impianti che implica ulteriore differimento nella remunerazione degli ingenti capitali investiti.

E' questo il caso, ad esempio, il caso del reattore in costruzione in Finlandia, che ha già registrato un ritardo di quasi tre anni con un extracosto già valutato ad oltre due miliardi di euro.

Quanti poi hanno avanzato proiezioni di costo del Kwh nucleare (per es. EIA/DOE: "Annual Energy Outlook 2004 and Projections to 2025"; MIT, 2003; ed altri), che tengono conto di tutti gli elementi sopra citati ed anche delle caratteristiche dei reattori di nuova concezione, pervengono comunque a stime dell'ordine dei 0,06-0,07 €/Kwh, cui vanno aggiunte le sovvenzioni statali previste negli Stati Uniti anche da recenti iniziative di Bush (2005).
Stime dunque, decisamente più elevate del costo del kWh a gas o a olio combustibile, ma anche prodotto con il vento!

E quanto al costo del kWh elettrico prodotto in Italia, gravemente penalizzato dalla mancata scelta nucleare, vale la pena qui di citare - sempre per misurare la realtà dell'informazione insistita - l'Indagine conoscitiva del 2006 della Commissione Attività produttive della Camera (Presid. On. Tabacci), da cui apprendemmo che sin dal settembre del 2005, per quanto riguarda l'Italia," il prezzo medio è sensibilmente minore rispetto a quello delle altre borse, con la sola eccezione della Spagna." Deriva da ciò "l'inversione di tendenza che spesso negli ultimi mesi ha caratterizzato i flussi di energia tranfrontalieri, con abituali esportazioni dall'Italia verso la Francia."

La questione del prezzo dell'energia in Italia, in particolare dell'energia elettrica, e della destinazione speculativa delle importazioni di gas è parte essenziale della questione. Generazione quarta o... terza o... più probabilmente rivisitazione della seconda?

I problemi citati sono alla base della situazione attuale di crisi drastica del settore nei paesi più avanzati, che pure avevano perseguito con decisione nel passato questa produzione di energia.

Nasce da qui il progetto di ricerca guidato dagli Stati Uniti "Generation IV" con l'obiettivo di mettere a punto un nuovo tipo di reattore e di ciclo del combustibile nucleare in modo da conseguire un grado migliore di sicurezza, tale da superare la indisponibilità dell'opinione pubblica per un rilancio del nucleare dopo lo stallo del 1978 e, soprattutto, a seguito degli incidenti di Three Miles Island e di Chernobyl e per migliorare la competitività economica in modo da superare la indisponibilità delle imprese elettriche. Nel 2000 Generation IV è divenuto un consorzio di paesi guidato dagli Stati Uniti, cui recentemente si è aggiunta anche l'Italia, finalizzato allo studio di reattori di nuova concezione tali, appunto, di fornire risposte risolutive sul piano dei costi, della sicurezza, dell'uso ottimale dell'uranio e della riduzione delle scorie. La ricerca è indirizzata ad un ampio spettro di tecnologie.

In particolare, la più parte dei progetti perseguiti riguarda reattori che utilizzano, come la filiera perseguita in passato dai francesi, l'uranio 238, ben più abbondante in natura dell'uranio 235. Si tratta tuttavia di passare, come abbiamo già ricordato, attraverso la produzione di Plutonio, materiale fortemente tossico e ingrediente principale per le Bombe. Si presentano problemi difficili e il rischio di proliferazione sarebbe ulteriormente aumentato.

Se i problemi citati potranno essere superati, Generation IV prevede la messa a punto di un prototipo di nuovo reattore non prima del 2025 ma l'eventuale funzionamento di nuove filiere atomiche andrebbe a regime in tempi assai lontani per ridurre l'emergenza planetaria dovuta ai cambiamenti climatici già in corso.

Con l'allontanarsi nel tempo della disponibilità commerciale (2040) dei reattori di IV generazione, è invalso da qualche tempo l'uso di denominare di III generazione i reattori usuali cui sono stati apportati alcuni miglioramenti derivanti soprattutto dall'esperienza dell'incidente di Three Miles Island. Questi miglioramenti, pure significativi, non rappresentano tuttavia un salto di qualità per la tecnologia nucleare, soprattutto dal punto di vista della sicurezza. Dire, in particolare, che questi reattori incorporano tecnologie di sicurezza intrinseca non risponde a verità.

Dal punto di vista, poi, della riduzione delle emissioni di CO2 , il numero di centrali sufficienti a coprire una quota significativa della nuova domanda di energia elettrica e a sostituire gli impianti alimentati da fonti fossili sarebbe così elevato (alcune migliaia) da costituire una follia, in quanto aumenterebbe la probabilità di incidente catastrofico e drammatizzerebbe a dismisura il problema delle scorie accumulate. Anche se si assumesse come obiettivo quello dichiarato da Berlusconi e cioè il raddoppio nel mondo entro il 2030 delle centrali nucleari esistenti, rimpiazzando anche quelle che andranno a fine vita nei prossimi 20 anni, l'effetto sulle emissioni globali comporterebbe solo una riduzione del 5%.

Va da sé poi che le risorse di uranio al mondo non sarebbero sufficienti per aumentare cospicuamente la capacità installata.

Ma, in questa prospettiva di scarsa disponibilità dell'uranio, è evidente che, per l'Italia, con il Governo Berlusconi ci si sta avventurando con i reattori di III generazione ad adottare per un periodo che non può essere superiore a qualche decennio una tecnologia costosa e pericolosa, che non porta con sé effetti decisivi sul cambiamento climatico.

Stando alle dichiarazioni vaghe del ministro per lo sviluppo economico - che dichiara di non credere alla IV generazione ("aspetteremmo il 2100") - il governo italiano promuoverebbe a caro prezzo un programma arretrato e intrinsecamente insicuro di centrali "tradizionali".

"Non esiste oggi ciclo del combustibile nucleare che non sia intrinsecamente proliferante".
A questa conclusione giunse nel 1980 la Conferenza INFCE (International Nuclear Fuel Cycle Evaluation) promossa dalle Nazioni Unite e tutti i paesi che si sono dotati della bomba (India, Israele, Pakistan, Brasile, Nord Corea,...), lo hanno fatto passando ufficialmente sotto l'egida dell'uso pacifico dell'energia nucleare.

La sottrazione e l'impiego di materiali radioattivi appare poi una possibile risorsa del terrorismo.
Nello scenario mondiale il terrorismo globale è una minaccia attualissima. Gli impianti nucleari, se da una parte possono diventare obiettivi sensibili per i terroristi, dall'altra producono scorie dal cui trattamento non solo viene estratto il plutonio, materia prima per la costruzione di armi a testata nucleare, ma anche tutto quell'inventario di materiali radioattivi che possono rappresentare, in mano al terrorismo, gravi minacce.

Allora? Che cosa fare?

La strada su cui procedere è quella a cui ci impegna la strategia decisa in sede europea: entro il 2020, realizzare il 20% di risparmio energetico e il 20% di fonti rinnovabili. Si tratta di obiettivi, dal punto di vista quantitativo, assai più rilevanti del programma nucleare del Governo: questo dovrebbe coprire, infatti, il 25% dei consumi elettrici, che sono meno di un terzo dei consumi complessivi. Con gli impegni europei, si tratta invece, come si è detto, di sostituire - tra risparmio e fonti rinnovabili - il 40% dei consumi complessivi.

In questa sede non entriamo nel dettaglio delle tecnologie per l'uso più efficiente dell'energia e per l'impiego delle fonti pulite, alternative ai combustibili fossili. Basterà qui osservare come l'obiettivo definito dall'Unione Europeo poggia la sua coerenza sul decollo accelerato di queste tecnologie che si registra ormai in molti Paesi e che è nei programmi annunciati da Obama, ma anche dalla Cina.

Si va

dai parchi eolici ai pannelli fotovoltaici,
al ricorso al solare termodinamico collegato con l'immagazzinamento del calore ad alta temperatura in serbatoi salini ad alta capacità termica,
ai progetti per la produzione di idrogeno con l'impiego del sole, del vento e la utilizzazione di questo con le celle a combustibile e nei motori,
alla pluralità degli interventi che si possono realizzare nel comparto dell'edilizia,
agli interventi di adeguamento delle reti di trasporto per servire persone e merci con sistemi e tecnologie a minore impatto ambientale. Non si tratta dunque soltanto di produzioni materiali, seppure altamente tecnologiche, come i veicoli ibridi e elettrici alimentati da nuovi carburanti e da celle a combustibile, o le microcentrali eoliche o solari per fornire idrogeno, ma anche di sistemi operativi e informatici ad altissima sofisticazione, dedicati alla riduzione del traffico, alla gestione del car sharing e car pooling , alla riorganizzazione dei sistemi di trasporto nella produzione e commercializzazione delle merci per risparmiare mobilità.
Mentre per alcuni settori - cogenerazione, calore solare, elettricità dal vento, processi di gassificazione di biomasse - si tratta di tecnologie già decisamente competitive, in altri settori l'Unione Europea sostiene la ricerca per ridurre i costi dei materiali, aumentare i rendimenti, rendere più affidabili le tecnologie, ad esempio per l'inserimento dell'elettricità prodotta dalle fonti intermittenti (sole, vento) nelle reti.

Si tratta di prospettive velleitarie?

Non sembra, se consideriamo la crescita accelerata di questi settori in Germania, Spagna, Danimarca, ma anche in Giappone. E, quanto agli Stati Uniti, lo studio di fattibilità di Zweibel, Mason e Fthenakis (cfr. "Le Scienze", marzo 2008), tre fra i massimi esperti di energia solare e fonti rinnovabili, prevede entro il 2050 la fornitura del 69% dell'elettricità e del 35% della sua energia totale (inclusi i trasporti, quindi) per mezzo di soli impianti solari, a prezzi paragonabili a quelli attuali..

Su questa strada può anche decollare una prospettiva industriale di qualità. Le linee che i Paesi europei hanno inteso delineare varando, alla fine del 2007, un "Piano strategico per le tecnologie energetiche", il SET-Plan, vengono individuate non solo come risposta alle sfide dell'energia e del clima, ma come opportunità di rilancio dell'industria europea, in particolare nel settore delle rinnovabili. Tali tendenze risultano ulteriormente rafforzate dai dati più recenti sull'espansione del mercato mondiale delle rinnovabili.

Nei paesi europei in cui la produzione di tecnologie solari e eoliche si è andata consolidando, la dinamica espansiva dell'occupazione e del fatturato è emersa in tutta evidenza nel periodo 2000-2005, spesso in contrapposizione alla contrazione dell'attività produttiva che ha diffusamente investito il comparto manifatturiero. Da questo contesto l'Italia sembra tuttavia distaccarsi, manifestando un'evidente debolezza competitiva rispetto alle performance europee e presentando, almeno per ora, deboli presupposti per la costruzione di una nuova capacità competitiva in quest'ambito.

Ma se in Italia, sotto l'impulso della crescita della domanda interna privata e pubblica di impianti ad esempio ad energia solare, si creasse una filiera industriale locale, si avrebbero ricadute positive sia sul versante economico che in termini di occupazione.

Trattandosi di un settore relativamente nuovo, esiste ancora l'occasione, unica, di creare un indotto non solo di piccole e medie imprese ma anche di grandi imprese, capaci di competere sul versante tecnologico grazie alla ricerca e che pertanto possano crescere significativamente.

Si tratta però di una finestra di opportunità limitata nel tempo.

Da un punto di vista strategico è essenziale, per il nostro Paese, investire nella produzione dei sistemi e non solo nella fornitura di servizi e nella compravendita di energia. Oggi invece la maggior parte dei progetti in corso di realizzazione - con l'eccezione della Puglia di Vendola - appare tutto sommato modesta.

Per l'industria italiana questa è un'opportunità da non mancare. Richiede che si effettuino investimenti significativi in ricerca e sviluppo e che si attivino centri di trasferimento di tecnologie, per cercare di recuperare gli errori fatti alla fine degli anni '80, quando di fatto sono state dismesse le attività nel fotovoltaico.

Occorre trovare e stimolare imprenditori, gruppi industriali e finanziari che siano disposti ad investire in attività produttive a lungo termine, piuttosto che limitarsi a capitalizzare sugli incentivi del conto energia!

Ma occorre anche una politica degli incentivi - per sostenere la domanda dei nuovi impianti - che sia caratterizzata dalla certezza nel tempo, al contrario di ciò che è avvenuto anche recentemente in Italia: è questa politica di sostegno finanziario, consapevole e mirata, che ha fatto della Germania, della Spagna o della Danimarca i paesi leader nello scenario europeo.

Dobbiamo invece rilevare come, anche a fronte di leggi positive, un notevole ostacolo allo sviluppo delle energie alternative (e all'economia del Paese) venga dai monopoli energetici Enel ed Eni, che, pur detenendo, appunto, il monopolio delle reti di distribuzione dell'energia elettrica (TERNA) e del gas (SNAM), di fatto rendono difficoltoso sia l'allacciamento rapido dei nuovi impianti alla rete nazionale elettrica, sia lo sviluppo dei piccoli e medi impianti di cogenerazione a livello aziendale e comunale, che potrebbero aumentare l'efficienza termica del metano impiegato.

Si tratta di una scelta alternativa a quella nucleare: non potrebbe essere infatti ripartito su due fronti l'impegno finanziario e lo sforzo di ricerca, ingegnerizzazione e innovazione richiesti. La stessa Commissione Energia del Parlamento europeo, bocciando l'11 settembre 2008 un emendamento che proponeva l'equiparazione del nucleare alle fonti rinnovabili, ha fatto chiarezza sulla gerarchia degli indirizzi suggeriti e sugli obiettivi da perseguire.

Per l'Italia non si tratta dunque di scegliere tra la prospettiva del Governo e i sogni degli ecologisti, ma di scegliere tra i reattori e la strategia che ha scelto l'Europa.

Chiediamoci che cosa renda possibile che, mentre l' Unione Europea indica nell'efficienza, nella riduzione dei consumi e nella rapida diffusione delle energie rinnovabili la barra delle politiche energetiche e il presidente americano Obama indica questa opzione anche come strategia per il rilancio dell'economia e dell'occupazione, noi dobbiamo assistere agli sgrammaticati proclami nucleari di una classe politica che appare almeno superficiale ed incompetente.

E' comprensibile che i paesi che hanno impianti nucleari si trovino in difficoltà nel momento in cui devono sostituire reattori ormai da dismettere e che dunque annuncino la ordinazione di qualche impianto nucleare.

Non è il caso dell'Italia: "non si risolve il problema energetico partendo da zero con una tecnologia superata" - commenta Pistorio.

Quindi un Paese come il nostro, che deve ripartire da zero, si troverebbe a mettere in campo ingentissime risorse, in gran parte pubbliche, per una tecnologia di irrilevante efficacia climatica, che usa una fonte in via di esaurimento a costi crescenti, disponibile, come si è visto, per pochissime decine di anni e con lasciti per millenni di scorie altamente radioattive.

Meglio farebbe, invece, l'Italia a seguire l'esempio di quei Paesi - Germania, Spagna, Danimarca - che stanno affermandosi come leader nel settore delle energie pulite, con straordinari effetti dal punto di vista dell'innovazione tecnologica, dell'occupazione e della disponibilità sicura dell'energia. Per contro, della prospettiva nucleare va valutato, come si è visto, l'impatto sanitario associato al funzionamento "normale", il rischio potenziale associato alla sicurezza degli impianti, il lascito disastroso alle future generazioni, i problemi di un sistema ad alta intensità di capitale, ma anche e soprattutto l'effetto di interdizione sullo sviluppo e sulla necessaria diffusione delle fonti rinnovabili.

Ma allora quali sono le motivazioni "vere" di Berlusconi?

Se possiamo concedere al ministro Scaiola il beneficio di una irresponsabile ignoranza, è difficile immaginare mosse ingenue, non orientate da una finalità, da parte del Presidente del consiglio, a partire dalla sua acuta lettura di ciò che può trovare consenso nell'opinione pubblica.

Lasciamo ad altre competenze questa lettura, limitandoci a poche considerazioni.

A ben vedere - nella situazione di generale disinformazione tecnico-scientifica dell'opinione pubblica e man mano che si cancella il ricordo dell'informazione che fornì il movimento antinucleare allorchè, con l'incidente di Chernobyl, era vivo l'interesse sui reattori - sostituire alla caldaia termoelettrica la caldaia nucleare purchè si tengano lontani gli scenari di privazioni attribuiti agli ecologisti, appare non straordinariamente preoccupante: ne fa fede il mutato atteggiamento dell'opinione pubblica nei confronti di un programma nucleare, almeno fino a quando non si abbia qualche sospetto che il proprio territorio possa essere candidato ad ospitare il reattore.

Alcuni settori dell'impianto produttivo del Paese si considerano meglio predisposti alla prospettiva nucleare, tradizionale nella impostazione e nella remunerazione dei poteri rispetto ad un progetto profondamente alternativo come quello del risparmio e delle energie rinnovabili, che potrebbe rispondere sì ad una domanda sociale, ma prefigura il rischio di un mercato innovativo: richiede dunque di impegnarsi in ricerca e sviluppo e sollecita dal sistema delle imprese maggiore reattività e responsabilità sociale. Si tratta di una politica industriale articolata e fortemente innovativa, che però il Governo o la Confindustria non hanno all'ordine del giorno, non avendo compreso che le sfide del cambiamento climatico non si affrontano senza l'accelerazione del cambiamento tecnologico. Così il nostro"gap" potrà solo aumentare, rendendoci debitori nei confronti di altri paesi per ricerca, brevetti, tecnologie e prodotti. Chi non avrà investito in R&S e nelle nuove tecnologie, si troverà, con ogni probabilità, ad incentivare, pagandone i relativi costi, come già succede oggi, l'energia da fonti rinnovabili e allo stesso tempo ad importare la relativa tecnologia dai paesi leader. Nonché a pagare il conto, piuttosto salato, del mancato rispetto degli impegni assunti a livello internazionale per la riduzione della CO2 .

Ma, nel quadro della realtà attuale della informazione e della cultura dominante in Confindustria, la scelta nucleare consente a Berlusconi di estorcere allo Stato un fiume di denaro di finanziamenti pubblici con cui realizzare comitati di esperti e aggregazioni di imprese e, magari, accordi internazionali, per far partire l'iniziativa nucleare.

Se poi l'iniziativa si dovesse fermare, si farà sempre in tempo a dire che i nemici del progresso, i "comunisti", la hanno fatta fallire. Ancora una volta questo Paese assisterà al fallimento di un settore industriale truccato, con stipendi da capogiro ed intrecci con la politica, senza che mai nessuno sia chiamato a rispondere di un esito nullo.

Altra è invece la prospettiva per la quale ci sentiamo impegnati. Essa risponde alla necessità, per garantire la nostra stessa sopravvivenza, di prodotti innovativi a basso impatto ambientale e ad elevata "desiderabilità sociale", per mantenere viva una prospettiva democratica di sviluppo della civiltà.

Ma questa prospettiva fatica ad assumere la necessaria priorità nella consapevolezza dell'opinione pubblica, ad accreditarsi come alternativa desiderabile. Non ci si chiede se questo passaggio debba avvenire con un'urgenza tale da evitare i disastri ambientali, economici, politici ed umani dovuti all'insostenibilità e alla devastazione dell'attuale modello di sviluppo.

Ma c'è il tempo per realizzare l'alternativa?

Tecnologie per l'uso più efficiente dell'energia e per l'impiego delle fonti pulite e rinnovabili: si tratta di tecnologie in gran parte mature, anche dal punto di vista dei costi. La loro adozione suggerirà anche sfide agli architetti e agli urbanisti, ma anche ai progettisti di veicoli o, più in generale, di sistemi elettronici di automazione e controllo e così via, per adeguare le caratteristiche del sistema utente alle caratteristiche delle nuove fonti di energia.

E questo Comitato intende lavorare per la messa a punto di una proposta di piano energetico in linea con l'Europa e in particolare con i paesi più impegnati nei settori delle energie rinnovabili e del risparmio energetico.

E tuttavia una domanda si impone, a conclusione di queste note.

Il passaggio da un sistema energetico basato su fonti concentrate sul territorio, come le grandi centrali termoelettriche, e su imponenti reti di distribuzione per le quali il controllo è rigidamente centralizzato, ad un sistema energetico basato su fonti diffuse sul territorio potrà avere una valenza importante anche dal punto di vista della democratizzazione dell'energia. Con le energie naturali il bilancio energetico e gli impatti ambientali acquistano trasparenza sul territorio e la gestione del bene comune energia, da trasferire alle future generazioni, diventa fonte di partecipazione, occasione di studio e ricerca, garanzia di occupazione e di lavoro stabile e qualificato.

Ma si tratta di un cambiamento profondo dal punto di vista ingegneristico, finanziario, amministrativo, organizzativo.

I cambiamenti climatici, il profilarsi di un limite drammatico nella disponibilità del petrolio o del gas concedono i tempi necessari per questo cambiamento?

E' dunque urgente aprire una riflessione - non ideologica, ma concretissima - sull'uso dell'energia, sul modello di consumi e produzioni che esportiamo nel mondo: i nostri consumi di energia sono tutti ugualmente necessari? Insomma, non basta sostituire il tipo di fiamma che brucia sotto la pentola, ma andiamo a vedere anche che cosa cuoce dentro la pentola.

Saremmo disposti ad aprire un conflitto con le generazioni future pur di non affrontare i cambiamenti per una inevitabile transizione verso un modello energetico a minor spreco e a basso impatto ambientale, tanto diverso dal presente quanto necessario per il futuro?

E potrà essere utile proporre questo dibattito proprio mentre altri pensano che la crisi delle economie possa essere risolta con la parola d'ordine di rilanciare i consumi.

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