venerdì 13 marzo 2009

Vittorio Melandri; Perché Berlusconi è al potere

Perché Berlusconi è al potere, e a chi dobbiamo il favore

(…e come mai il Corriere della Sera ce lo spiega solo oggi?)



“L’on. Berlusconi sa per certo gli è stata data la garanzia piena, non adesso nel 1994 che non sarebbero state toccate le televisioni quando ci fu il cambio di governo, e lo sa lui e lo sa l’on. Letta e lo sa l’on. Letta, comunque a parte questo la questione qui è un’altra, voi ci avete accusato di regime nonostante ripeto non avessimo fatto il conflitto d’interessi avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni avessimo aumentato (brevissima pausa) durante il centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di venticinque volte …”.



Il “detto” sopra esposto risale al 28 febbraio 2002, fu infatti in quel giorno, durante la Seduta n. 106 della Camera dei Deputati, sotto la presidenza del Presidente Pier Ferdinando Casini che alle 14,20 alla ripresa dei lavori dedicati alle dichiarazioni di voto finale sull’Atto della Camera - A.C. 1707 – (Disegno di legge - Conflitti di interessi) che l’On. Luciano Violante, allora capogruppo appunto alla Camera del partito dei DS, pronunciò fra le altre codeste parole.



(Dove l’uso di “codeste”, vuole collocare le parole di cui sopra lontane da me che scrivo, lontane da chi mi legge, e solo vicine a chi, senza vergogna le ha pronunciate).



Dopo più di sei anni dall’accaduto, dopo che le parole di Violante sono state proposte da Sabina Guzzanti nel suo “Viva Zapatero”, e dopo che in tanti le abbiamo ascoltate e “viste” su internet YouTube, oggi 13 marzo dell’anno di grazia 2009, chissà perché, il “detto” è comparso d’improvviso sulla prima pagina del Corriere della Sera per l’autorevolissima firma del prof. Giovanni Sartori.



“… la sinistra poteva benissimo approvare, tra il 1995 e il 1998, una legge che invece bloccava Berlusconi. Non l’ha fatto. Il testo c’era (steso dal senatore Passigli), era ben disegnato e fu approvato dal Senato nel 1995. Decadde per lo scioglimento anticipato della legislatura, ma fu subito ripresentato dal centrosinistra nel 1996. Dopodiché niente. Niente anche se allora esisteva una sicura maggioranza (ci stava anche la Lega) per vararlo. Non avevo mai capito, confesso, questa stupefacente inazione.



L’arcano è stato poi inopinatamente svelato da Violante, che nel 2002 era capogruppo Ds a Montecitorio, con questa dichiarazione: nel 1994 a Berlusconi «è stata data la garanzia piena che non gli sarebbero state toccate le televisioni ». Garanzia da chi? I sospetti possono soltanto convergere su D’Alema, a quel tempo segretario del Pds. (Per la precisione, la citazione è del Corriere del 1˚Marzo 2002; e lo stesso si legge su La Repubblica). Dunque l’inerzia della XIII legislatura è oramai spiegata; resta però da spiegare come mai D’Alema (o se no chi?) abbia condannato la sinistra a restare a terra «senza voce».”



Approfittando del “varco” aperto dal prof. Sartori, vorrei attirare l’attenzione di chi mi legge, non tanto sulla parte della questione che possiamo direttamente chiamare “legge sul conflitto di interessi” legge che oggi ha un nome, “Frattini”, ed un contenuto a dir poco ridicolo, se commisurato appunto alla “fattispecie” che dice di normare, ma, ripeto, vorrei attirare l’attenzione di chi mi legge in particolare su queste parole di Violante:



“… nonostante … avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni…”.



Nonostante … nonostante… chi?



Chi ha potuto dichiarare eleggibile Berlusconi nonostante sia vigente sin dal 1957 la Legge 361 che al suo articolo 10 dichiara non eleggibili al Parlamento “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni…”



Per rispondere alla domanda (con pedanteria, con un riassuntino, non certo con saccenteria o con la presunzione di svelare a chi mi legge quanto magari conosce benissimo) occorre partire dall’Art. 66. della Costituzione che afferma come “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.”



Da questo articolo infatti discende l’esistenza in vita di un organo parlamentare presente sia alla Camera che al Senato che si chiama Giunta delle elezioni, che nei due rami del Parlamento si compone di trenta deputati e ventitré senatori nominati rispettivamente dai Presidenti delle due Camere e assolve la funzione di verificare la regolarità delle operazioni elettorali e di riferire ciascuna alla rispettiva Assemblea sulle cause di ineleggibilità, incompatibilità e di decadenza previste dalla legge, formulando le relative proposte di convalida, annullamento o decadenza.



Or bene, è la Giunta delle elezioni quindi, cui si riferisce Violante, quando afferma che “abbiamo” dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni…”.



O per meglio puntualizzare, i componenti dei DS-PD che di volta in volta in Giunta della Camera, hanno sempre appoggiato l’eleggibilità del Cavaliere.



Per essere più preciso, ricorro alle parole del prof. Paolo Sylos Labini, che sull’Unità del 24.11.2001, replicando all’On. Massimo D’Alema che all’epoca negava quanto poi, solo pochi mesi dopo, avrebbe riconosciuto pubblicamente Violante, affermava:



“A suo tempo, quando, per far rispettare quella legge, io ed altri amici costituimmo un gruppo di pressione, intorno al quale fu fatto un vuoto pneumatico, mi documentai con scrupolo; ho con me vari documenti. Così, negli atti della Giunta per le elezioni della Camera di mercoledì 20 luglio 1994 a pagina 3 risulta che l’unico oppositore fu il deputato ds Luigi Saraceni, che, come dichiarò ad un mio amico del gruppo di pressione e come mi ha confermato oggi per telefono, prese la decisione autonomamente: i suoi colleghi ds votarono a favore. Tutto questo avveniva nel 1994, quando la maggioranza era del cosiddetto centrodestra. Anche più grave è ciò che accadde dopo le elezioni del 1996: allora la maggioranza era del centrosinistra ma non ci fu nessuna opposizione; anche in questo caso ho gli atti della Giunta - martedì 17 ottobre, pagine 10-12.”



Come oggi ben sappiamo anche nelle successive legislature la Giunta delle elezioni della Camera, nella seduta del 18 aprile 2002 e nella seduta del 26 ottobre 2006, ha sempre archiviato per infondatezza i ricorsi e gli esposti presentati avverso l’eleggibilità del deputato Berlusconi, e per quanto riguarda poi l’attuale, di legislatura, alla Giunta presieduta dal 22 maggio 2008 dall’On. Maurizio Migliavacca, a suo tempo sherpa-fondatore del PD, si è pensato bene di non presentare nemmeno più un ricorso in merito.



Nel frattempo però, su iniziativa dei deputati Zaccaria, D’antona, ed altri, subito in apertura di legislazione, il 29 aprile 2008, è stato presentato una Proposta di Legge Costituzionale volta a modificare all’articolo 66 della Costituzione con l’introduzione della facoltà di ricorso alla Corte costituzionale contro le deliberazioni delle Camere in materia di verifica dei poteri. E questo anche perché, come si legge nella documentazione a sostegno della proposta stessa …..



“Da un’analisi comparatistica risulta come nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea la verifica dei poteri spetti ad organi esterni al Parlamento (si vedano Svezia, Regno Unito, Portogallo, Spagna, Francia e Austria) mentre solo in Italia, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca la verifica sia interna.”



Per concludere questa analisi, propongo infine di prestare attenzione a quale artificio, davvero da “azzeccarbugli” di infimo ordine, sono ricorsi i parlamentari di maggioranza e di opposizione che si sono susseguiti al capezzale del “problema”, per dichiarare il “piduista” eleggibile “nonostante…. le concessioni” (per dirla ancora un’ultima volta con l’integerrimo Violante).



Il fatto è che laddove nell’articolo 10 del testo della legge 361/57 si legge l’inciso «in proprio», deve intendersi «in nome proprio» e, quindi, la ratio della norma non risulta applicabile a chi, come il deputato Berlusconi, non risulta titolare di concessioni radiotelevisive in nome proprio, essendo la sua posizione riferibile alla società concessionaria solo a mezzo di rapporti di azionariato.



Oggi le più importanti concessioni (a differenza di quanto immaginato dal legislatore degli anni quaranta e cinquanta) sono assegnate a società di capitali, e l’evoluzione degli assetti proprietari e delle architetture dei gruppi societari, nonché i profondi mutamenti dovuti allo sviluppo tecnologico e sociale, è sotto gli occhi di tutti, ma non abbastanza evidente, per impedire ad una classe politica fatta di “servi”, di scorgere che dietro quell’inciso c’era e c’è la possibilità di inchinarsi in “nome suo….”.



Vittorio Melandri



P.S.

Devo la possibilità dell’ultima parte di questa mia, alla lettura di un dossier reperito in rete, approntato dal Servizio Studi della Camera dei deputati che illustra un progetto di legge cosi titolato: “Ineleggibilità dei soggetti che controllano società aventi rapporti contrattuali con lo Stato o titolari di concessioni o autorizzazioni di notevole entità economica - A.C. 2516 - presentato il 13 aprile 2007 dai deputati Franco Russo, Graziella Mascia e Frias Mercedes Lourdes……..

del gruppo di Rifondazione Comunista - Sinistra Europea ….. indovinate dove sono oggi i suddetti, e soprattutto, qualcuno dei riformatori, avrà rilanciato l’iniziativa in questa legislatura??????

1 commento:

Anonimo ha detto...

Aggiungo a quanto apparso sul Corriere, l’articolo completo di Paolo Sylos Labini da me citato nella mia precedente.



Saluti , vittorio







IL FONDO DI SARTORI – Corriere della Sera (14 marzo 2009) - Pagina 38 –


Governi di sinistra e conflitto di interessi



Caro direttore, Nel fondo di ieri il professor Giovanni Sartori, parlando del conflitto di interessi, riferisce due verità, ma, per eccesso di malizia, fa l' errore di collegare l’una all’altra. È vero che il centrosinistra non è riuscito a fare una seria legge sul conflitto di interessi. Ed è vero che nel 2002, replicando a un collega della maggioranza, io dissi che l’on. Silvio Berlusconi era stato informato che non sarebbero state toccate le sue tv; ma aggiunsi che questo era avvenuto «nel 1994, quando ci fu il cambio del governo». È invece falso che la ragione dell’omessa riforma stia in quell’assicurazione fatta a Berlusconi. Io parlai di una questione sorta nel 1994, dopo la crisi del primo Governo Berlusconi. Il governo Dini, che gli successe, essendo un governo tecnico, non avrebbe potuto avere in programma una riforma intensamente politica come quella del conflitto di interessi o dell’assetto radiotelevisivo. A riprova del fatto che non c’è mai stato alcun accordo segreto tra dirigenti Ds e Silvio Berlusconi è sufficiente ricordare alcune vicende. 1) I Ds parteciparono attivamente al referendum contro la legge Mammì che si tenne nel giugno 1995. 2) Nel luglio 1995 il Senato approvò, col voto determinante dei Ds, un rigoroso progetto sul conflitto di interessi del senatore Passigli (non del governo) che si fermò alla Camera per lo scioglimento anticipato della legislatura. 3) L’on. D' Alema, dopo che la Camera aveva approvato un testo «morbido», chiamò nel suo primo governo (ottobre 1998) il senatore Passigli, perché favorisse l’approvazione di una legge più rigorosa; il Senato, dopo interminabili ostruzionismi del centrodestra, approvò il testo, ma anche questa volta lo scioglimento delle Camere impedì il voto finale. 4) Nella scorsa Legislatura io stesso sono stato relatore di una seria proposta sul conflitto di interessi che venne approvata dalla Commissione, ma non approdò in Aula anche questa volta per lo scioglimento anticipato delle Camere. Gli studiosi accerteranno se gli scioglimenti delle Camere hanno impedito l’approvazione di una buona legge o se il rischio che una buona legge fosse approvata ha prodotto gli scioglimenti delle Camere. In ogni caso, caro professore, a pensar male, lo dico con la stima profonda che ho per lei, a volte non solo si fa peccato, ma si sbaglia anche.



Luciano Violante



Caro direttore, nel suo editoriale Giovanni Sartori attribuisce il declino del Pd agli «sbagli colossali» di Romano Prodi (che volle unire «contro natura» laici e cattolici) e di Massimo D’Alema che avrebbe «regalato a Berlusconi l’impero della Tv». Rinvio ad altra sede un commento sul difficile rapporto tra laici e cattolici; ma, dopo due sia pur risicate vittorie elettorali, la tesi di Sartori è ingenerosa e troppo pessimista. Quanto al conflitto, ho ricordato nel libro «Democrazia e conflitto di interessi» che le cose non andarono così. La mia proposta, decaduta per lo scioglimento delle Camere nel 1996, condivise in seguito il destino della Bicamerale il cui fallimento non può certo essere imputato a D’Alema. Negli anni 1998-2001 il suo cammino fu ostacolato da altri, specie da quanti nel centro-sinistra ritenevano necessaria una legge costituzionale. Inoltre, durante i governi D’Alema contrastai con vari emendamenti e con il suo pieno accordo, quale relatore al Senato e poi come sottosegretario alla Presidenza, una prima proposta Frattini inspiegabilmente approvata alla Camera anche dal centro-sinistra. Bloccammo tale proposta ma non riuscimmo a varare la nostra, soprattutto perché - contrariamente a quanto afferma Sartori - la Lega andò progressivamente alleandosi col centro-destra. A fine legislatura, il centro-sinistra tentò un nuovo rapporto con la Lega varando una modifica del Titolo V piuttosto che la legge sul conflitto. Ma altri, e non D’Alema, avevano la guida del centro-sinistra. Dopo il 2001 il centro-destra varò l' attuale legge che, abbandonando la logica di «prevenire» il conflitto per intervenire solo ex post, non risolve il problema. Di una legge vi è insomma ancora bisogno, ma forse più che di una legge generale di improbabile adozione occorre una revisione della Gasparri: oggi infatti la sfida è rappresentata più che dal duopolio Rai-Mediaset, ancora di fatto analogico, dalla necessità di affrontare i problemi dell’intero nostro sistema dell' informazione investito da una crisi economica e da sviluppi delle tecnologie che, mentre ne diminuiscono i ricavi, rendono urgenti massicci investimenti.



Stefano Passigli



Confesso di non capire bene a quale titolo il senatore Passigli (semel, semper) si senta tenuto a rispondermi, visto che di lui ho solo scritto - un rigo - che il suo era un buon testo. Il bello o il buffo è che è stato proprio lui, a suo tempo, a ispirare il mio dubbio. Nel suo libro Passigli osserva che la tattica da seguire, durante e subito dopo il fallimento della Bicamerale nel settembre 1998, sarebbe stato «di approvare norme stringenti (sul conflitto di interessi) in un ramo del Parlamento, minacciando poi di rendere definitiva l’approvazione della legge nell’altro ramo, a meno di un accordo in Bicamerale» (Democrazia e conflitto di interessi, pagina 103). Cosi non fu. Torno a chiedere: perché? Non certo per la ragione che adduce oggi: e cioè che «noi non riuscimmo a varare la nostra legge perché la Lega andò progressivamente alleandosi con il centro-destra». No, non è così: ci fu una finestra di almeno cinque mesi nei quali Bossi avrebbe sottoscritto. Passo alle precisazioni dell’onorevole Violante, che ringrazio. Ho scritto anch’io che la assicurazione di non toccare Mediaset era del 1994; e confermo tutti gli altri punti richiamati da Violante, che però non stabiliscono in alcun modo «che non c' è mai stato alcun accordo segreto tra dirigenti Ds e Berlusconi». D’Alema è sospettabile perché più volte Confalonieri lo ha appoggiato e lodato come persona che rispetta la parola data. Eppoi la passione dell’intrigo D’Alema ce l’ha. Ma può benissimo darsi - congettura per congettura - che l’intrigante in questione sia stato Veltroni. Chissà. Vorrei solo che la sinistra sappia a chi deve la propria sconfitta. Non credo di peccare di «malizia», onorevole Violante. Ma di curiosità, sì.

Giovanni Sartori

Noi Berlusconi l’Opposizione (da l’Unità 24.11.2001)

Nella lunga lettera pubblicata su l’Unità del 22 novembre D’Alema risponde alle critiche da me sollevate alle sue scelte politiche nel libro-intervista «Un paese a civiltà limitata» e poi in un articolo pubblicato su l’Unità del 16 novembre. Da principio riconosce la mia «buona fede nel credere ad un pettegolezzo che invecchiando diventa un mito, come scrive Stanislav Lec»; poi però si lascia un po’ andare e, riferendosi alla posizione da lui presa consentendo che la legge del 1957, che stabiliva l’ineleggibilità dei titolari di concessioni di rilevante interesse economico, venisse aggirata con un cavillo (titolare delle concessioni tv sarebbe stato non Berlusconi ma Confalonieri), afferma: «ciò che lei scrive è falso, caro professore» e ricorda, in primo luogo, che «nel luglio 1994 la Giunta per le elezioni della Camera dei deputati rigettò a maggioranza il ricorso contro la elezione di Silvio Berlusconi». Subito dopo aggiunge: «I deputati del mio partito votarono ovviamente contro, come gli altri parlamentari progressisti». Sono costretto a ribattere: no, caro presidente, quello che scrivo non è falso e il suo ricordo non è esatto. A suo tempo, quando, per far rispettare quella legge, io ed altri amici costituimmo un gruppo di pressione, intorno al quale fu fatto un vuoto pneumatico, mi documentai con scrupolo; ho con me vari documenti. Così, negli atti della Giunta per le elezioni della Camera di mercoledì 20 luglio 1994 a pagina 3 risulta che l’unico oppositore fu il deputato ds Luigi Saraceni, che, come dichiarò ad un mio amico del gruppo di pressione e come mi ha confermato oggi per telefono, prese la decisione autonomamente: i suoi colleghi ds votarono a favore. Tutto questo avveniva nel 1994, quando la maggioranza era del cosiddetto centrodestra. Anche più grave è ciò che accadde dopo le elezioni del 1996: allora la maggioranza era del centrosinistra ma non ci fu nessuna opposizione; anche in questo caso ho gli atti della Giunta - martedì 17 ottobre, pagine 10-12. Del 1996 il presidente D’Alema non parla. Di tutto questo scrissi diffusamente in un lungo articolo apparso nel fascicolo 5 del 2000 della rivista MicroMega; debbo ritenere che sia sfuggito alla sua attenzione. Siamo d’accordo sulla regola, praticata dagli altri paesi europei, che sui ricorsi in materia d’ineleggibilità il giudizio non deve essere affidato al Parlamento, ma ad un organo esterno, come la Corte Costituzionale; questa esigenza, però, fu considerata in seguito e non nell’avvio della Bicamerale. Desidero essere chiaro: non sostengo che ci sia stato uno scambio Bicamerale/conflitto d’interessi. Sostengo una tesi diversa e cioè che una volta scelta come prioritaria la linea della Bicamerale l’inevitabile corollario - lo scrivo nel mio articolo su l’Unità - sarebbe stato quello di un atteggiamento non ostile verso il Cavaliere: non si poteva, da un lato, chiedere la sua collaborazione per riformare - niente meno – la Costituzione e, dall’altro lato, combatterlo con la necessaria intransigenza. Questa è la mia tesi e non quella dello scambio che necessariamente presuppone una sorta di trattativa. Un altro corollario - anche questo scrivo nell’articolo - era quello di prendere le distanze dai critici duri e intransigenti di Berlusconi, ossia da quelli che sono stati denominati i «demonizzatori», una categoria alla quale appartengo. Vedo, con rammarico, che lei non ha abbandonato l’idea che la «demonizzazione reciproca giova solo a Berlusconi». Mi sembra evidente che la linea alternativa, quella della legittimazione reciproca, è stata catastrofica per il centrosinistra ed ha giovato solo al Cavaliere, il quale ha incassato i vantaggi della legittimazione offerta dai ds, ma li ha ripagati continuando, anche più ossessivamente di prima, a definirli «comunisti», collusi con le «toghe rosse» e quant’altro: in breve, la non demonizzazione è stata unidirezionale. Quanto alla tesi che i demonizzatori avrebbero portato acqua al mulino del Cavaliere, è una tesi smentita da un’analisi dei flussi elettorali diretta dal professor Ricolfi della Facoltà torinese di sociologia, secondo cui l’azione congiunta di vari «demonizzatori» ha spostato a favore del centrosinistra da uno a due milioni di voti pescandoli principalmente fra chi pensava di non andare a votare: questo ha ridotto quella che lei ha chiamato un’«incrinatura» - parlerei di una grave incrinatura - fra una parte dell’opinione pubblica di sinistra e i ds. Non sarebbe allora il caso di riconoscere che la critica dei demonizzatori va abbandonata? Che altro debbono combinare Berlusconi ed il suo governo per convincere tutto il centrosinistra che è necessaria un’opposizione intransigente? Lei, presidente D’Alema, riconosce che, nell’assai ambizioso progetto di riformare la Costituzione, Berlusconi non era un socio raccomandabile. Ma, osserva, le riforme si fanno in Parlamento e i soci non li scegliamo noi ma il popolo italiano. Un tale ragionamento dà per certo che, non le riforme in generale, ma - niente meno - la riforma della Costituzione non fosse in alcun modo procrastinabile. Non è così: era sconsigliabile intraprenderla fino a quando bisognava farla con un socio che aveva quel po’ po’ di conti da regolare con la giustizia. Io, proponendo idee condivise da molti miei amici, le inviai una lettera aperta pubblicata su Repubblica - certo se ne ricorda. D’altro canto, l’unica riforma veramente urgente era quella riguardante la giustizia, per la quale quel pessimo socio aveva evidenti interessi personali. Ma, a detta di numerosi giuristi e di magistrati, le più importanti riforme in questo campo potevano e dovevano essere attuate con leggi ordinarie, lasciando in pace la Costituzione. Verso la fine della sua lettera osserva, rivolgendosi a me: «Lei non esclude - per una comprensibile indignazione civile – di dimettersi da italiano. Ma questa è una via preclusa a chi ha scelto l’impegno politico ed ha l’ambizione di tornare a governare questo paese ed intanto ha il dovere di concorrere a far vivere e funzionare le istituzioni». È vero: io non escludo di essere costretto a dimettermi da italiano. Ma per ora, come vede, non mi sono affatto dimesso. E l’opposizione a questa destra, sulla quale il suo ed il mio giudizio non differiscono molto (salvo che nell’idea che questa sia veramente una destra), dev’essere netta ed intransigente proprio per salvaguardare le istituzioni. Dico questo con una certa fiducia che anche su tale campo vitale le nostre differenze oramai non siano grandi: penso che quel che ha combinato il governo Berlusconi nei suoi primi centoventi giorni di vita abbiano fatto cadere ogni illusione, per via dell’assalto che hanno dato proprio alle istituzioni, a cominciare dalla giustizia. Come lei sa, le illusioni sono cadute anche nei nostri partner, in Europa e fuori, principalmente per il mostruoso conflitto d’interessi, che a detta di intellettuali che ben possono essere considerati di destra è all’origine del discredito - Sartori ha parlato di disprezzo – che oggi all’estero ricopre, non l’Italia, ma Berlusconi e il suo governo. In Parlamento ed a Pesaro ho notato segnali incoraggianti, come - faccio solo due esempi - la vigorosa reazione agli attacchi alla magistratura e l’appoggio, da lei proclamato, alla proposta del referendum volto ad abrogare la vergognosa legge sulle rogatorie, una proposta lanciata da tre riviste della sinistra liberale (MicroMega, Il Ponte, Critica liberale), alla quale auspichiamo che lei voglia aderire - proprio ieri abbiamo avuto l’adesione di Sergio Cofferati. È da considerare anche la possibilità di cancellare le altre due vergogne: la depenalizzazione del falso in bilancio e la gigantesca sanatoria fiscale legata al rientro di capitali. Sì, discutiamo pure delle formule - socialdemocrazia, liberalsocialismo - e, ancor più, dei programmi. Ma il cosiddetto popolo di sinistra vuole comprendere se i ds sono disposti a fare un’opposizione robusta e non oscillante. Anche qui qualche segnale positivo c’è: recentemente lei su Berlusconi ha fatto dichiarazioni così dure che l’ottimo Giuliano Ferrara, che qualche mese fa paragonò Bobbio e me a Goebbels, l’ha minacciata d’includerla nella mia stessa categoria. Caro presidente, tutte le forze di opposizione sono nella stessa barca. Noi non chiediamo a nessuno prebende o posti e neppure orologi d’oro. Ci muove l’aspirazione a vivere in un paese dove non solo non venga la tentazione di dimettersi, ma in cui si possa vivere bene e senza angoscia civile. Se in qualche modo possiamo collaborare, eccoci qua.



Paolo Sylos Labini