domenica 15 marzo 2009

Ferruccio Capelli: Ambiguità (e fallimento) del riformismo senza aggettivi

Dal blog di ferruccio Capelli

sabato 14 marzo 2009
Ambiguità (e fallimento) del “riformismo senza aggettivi”
Intervento pronunciato in occasione dell’incontro promosso dalla rivista: Argomenti Umani, sul tema: “Crisi globale e ruolo PD”, Milano 7 marzo 2009




Apprezzamento per lavoro preparatorio svolto dalla rivista e per la relazione di Silvano Andriani. Tanto più per significativi e genersi se si pensa che sono stati fatti in vista di una Conferenza ( la Conferenza nazionale di programma del PD ) che era, secondo me, praticamente certo che non si sarebbe mai svolta. Nessuna ironia in tutto questo: il problema è che non si discute da tanto tempo. Non si è discusso quando eravamo in una fase di crescita elettorale ( 2006: si sapeva che avremmo vinto le elezioni, ma siamo arrivati all’appuntamento elettorale senza uno straccio di programma ), tanto più era certo che non avremmo discusso ora che siamo in una fase di grave smottamento




Perchè non si riesce più a discutere? Siamo in un partito senza organismi, dove chi vuole discutere seriamente si trova in una condizione di sorprendente solitudine. Anzi, più passa il tempo più diventa difficile trovare nel partito chi abbia voglia di discutere seriamente, con un’ottica che si stacchi dalla contingenza. La mia convinzione è che al fondo, se si cerca una motivazione davvero convincente a questa sorprendente situazione, ci si imbatte con la grande questione dell’assenza, nel nostro mondo, di un punto di vista, di un’angolatura, di una cornice con cui leggere i problemi e attorno alla quale proporre un ragionamento. Per essere più precisi, anni fa un tentativo al riguardo è stato fatto, ma si è rivelato inadeguato, inconsistente, addirittura fuorviante. Mi riferisco alla scelta di proporre come ispiratore generale della nostra politica il riformismo, o meglio: il “riformismo senza aggettivi”. Si tratta di una questione di cui avevamo discusso a suo tempo con la rivista: allora non ci eravamo intesi. Avverto invece con piacere che ora anche voi concordate con il rilievo critico a questa impostazione. Il “riformismo senza aggettivi” oggi, qui, in questa Italia, in questa Europa, non vuole dire assolutamente nulla: tutti si proclamano ( anzi: sono!) riformisti. Il governo di destra si pensa ed è riformista, le imprese rivendicano riforme, sui giornali tutti chiedono riforme .... In poche parole: da quando la Tatcher e Reagan hanno aperto la stagione politica della destra liberista di governo, da quando la destra non è più “conservatrice”, ma impegnata a smantellare le conquiste dei trent’anni precedenti, da allora il “riformismo senza aggettivi” non vuole dire nulla: è del tutto privo di capacità denotative




Il “riformismo senza aggettivi” è privo di efficacia. Anzi: equivoco. Esso di fatto apre la strada, diventa il cavallo di Troia, dell’identificazione delle nostre parole d’ordine con quelle della destra. Att!! A me è sempre stato chiaro che dentro questa cornice si muovevano voci e sollecitazioni diverse ( penso da esempio ai lavori di Andriani sulla finanza ecc ). Ma alla fin fine: quale è il messaggio che davvero è emerso ed è arrivato all’opinione pubblica, al nostro stesso ceto politico? E’ quello che ha imperversato sul Corriere, in qualche rubrica di Repubblica, quello che si identificava completamente con il pensiero ( con il rumore ) dominante, vale a dire con il liberismo, il fondamentalismo di mercato, la privatizzazioni ad oltranza. Di fatto, questo è il punto, si è verificata una identificazione tra questo riformismo e le forze economiche e culturali che hanno diretto, egemonizzato, dato il segno alla stagione politica, economica e sociale che abbiamo alle spalle. Si pensi a un testo come “Il liberismo è di sinistra” ( Giavazzi e Alesina, ed. Il Saggiatore ), non a caso l’unico libro con cui il centrosinistra è stato presente nelle librerie durante le elezioni del 2008. Qualche ironia è inevitabile: di certo Von Hayek – il fondatore della Mont Pelerine Society – si è rivoltato nella tomba nell’apprendere che in un paese le sue teorie sono diventate il cavallo di battaglia della sinistra! Ma l’incredibile è che tutto questo è accaduto. E si è trasformato in messaggi, scelte, implicazioni concretissime: si pensi, a titolo di esempio, al progetto di legge del ministro del governo di centrosinistra Lanzillotta per la privatizzazione di tutte le aziende pubbliche locali: perchè? In base a quale logica? E’ inevitabile concludere che si trattava solo di ideologia, di vero e proprio fanatismo ideologico ... di destra, per ragioni “misteriose” trapiantato a sinistra!


Tutto questo ha avuto conseguenze profonde. Almeno due devono essere ricordate: a- la Sinistra italiana è letteralmente uscita dai cardini per quanto riguarda la rappresentanza sociale: si pensi al voto operaio e popolare spostatosi massicciamente a destra ( d’altronde come biasimare gli elettori se si pensa che il messaggio di un Giavazzi potrebbe essere sintetizzato con: épater les ouvrier! ). E’ del tutto evidente che tutto questo ha facilitato – o per lo meno ha impedito di contrastare - l’ operazione fondamentale avviata dalla destra: l’organizzazione e mobilitazione di pezzi di popolo contro i vari “capri espiatori”: il Sud inefficiente, i “fanulloni”, gli immigrati ecc. Il vero problema è che la sinistra ha ceduto la rappresentanza popolare. b- La sinistra è arrivata dopo la destra ad affrontare la crisi. Berlusconi, per quanto sia sgradevole ricordarlo, ha impostato una campagna elettorale senza promesse; Tremonti ha lanciato per primo la parola d’ordine di una nuova Bretton Wood, addirittura ammiccando ai new global ecc. Mentre invece i primi commenti apparsi sul Corriere di Giavazzi e c., a crisi ormai conclamata, a ottobre!, erano semplicemente incredibili: i punti di riferimento mediatici del centrosinistra sono stati gli ultimi ad abbandonare la frontiera del liberismo, del sostegno alla speculazione finanziaria ecc. La destra, grazie a questo surreale rovesciamento delle parti, è riuscita a posizionarsi dentro la crisi in modo egemonico, ovvero tenendo il pallino nelle sue mani.


Si impone una soluzione di continuità. Il primo problema è ricostruire una cornice e un punto di vista. L’aggettivo che manca, quello che non si è voluto mettere accanto a riformismo, deve essere posto con urgenza. A me sembra che bisogna con urgenza ricominciare a parlare di riformismo democratico e socialista ( qualcuno ha idee più brillanti e “innovative”? tutto si può discutere, purchè sia chiara la nuova direzione di marcia ). Si tratta di riorganizzare alle radici il ragionamento sulla rappresentanza sociale: l’ipotesi, nella quale ci si è cullati in questa ultima stagione, del “partito a vocazione maggioritaria” è solo una illusione foriera di gravi guai. Per avere la forza di parlare a tutta la società bisogna rappresentare un pezzo di società! Rimettiamo in ordine le priorità: lavoro, classi popolari, incontro ceto medio progressista e mondo del lavoro. Come si sarebbe detto: ragioniamo su un blocco storico. Tempo fa, durante la campagna eletorrale del 2008, ho avuto una discussione con un famoso designer milanese: interpretando lo spirito del momento sosteneva che i lavoratori ( sic! )sono i nostri nemici. Ecco il punto da rimuovere e smontare alle radici. Si tratta di sganciarsi dalle sirene del liberismo. Ricordiamo il vecchio Croce che distingueva con pignoleria tra liberalismo e liberismo; riprendiamo l’antico, nobile ragionamento di A. Smith sulla “simpatia” verso l’altro: anche nel pensiero liberale vi sono preziose sollecitazioni che stanno tornando di straordinaria attualità. E poi, cominciamo a discutere senza ossessioni ideologiche su cosa va liberalizzato e cosa no. Soprattutto: ritorniamo a ragionare sui fini. Questo è davvero il punto essenziale: non può essere solo il mercato a dire dove andare: le scelte, le priorità devono tornare nelle mani dei cittadini ( la green economy non sarà una mela matura che cadrà in bocca ecc; la ricostruzione del legame sociale è una sfida di enorme impegno ecc). Dinanzi a noi sta un lavoro assai impegnativo che investe nodi culturali di fondo. In caso contrario la strada è spianata ai populismi di destra, a quel nuovo blocco conservatore aggressivo, sorretto dalla mobilitazione reazionaria di pezzi di popolo, un problema che riguarda tanti paesi europei, ma che si delinea con particolare evidenza qui nel nostro paese.

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