martedì 17 marzo 2009

Sintesi delle relazioni del convegno di Porto Franco sulla Grande Milano

“Amare Milano e la Lombardia” PORTO FRANCO
Club socialista e riformista di Milano

Convegno : GRANDE MILANO: SE NON ORA, QUANDO ?
Sabato, 14 marzo 2009 - Ore 10,15 c/o Unione Commercio Corso Venezia, 49 Milano

Intervento di Franco D’Alfonso , Direzione Nazionale Ps

In questo mio intervento intendo concentrarmi esclusivamente sul problema dell’assetto istituzionale, senza entrare , come pure mi piacerebbe, nel merito di argomentazioni scientifiche che altri hanno già provveduto a portare alla vostra valutazione.
Nessun tema come quello della “Grande Milano” , della città metropolitana è stato posto nel dibattito politico con tanta tempestività e previdenza , come fecero i socialisti del Psi negli anni ottanta, ma nemmeno questo è servito ad evitargli la triste sorte di molte buone idee, spesso socialiste , prima bollate come utopie e stravaganze intellettualistiche e poi cacciate nel dimenticatoio. In più , come ulteriore beffa, non sono stati evitati alcuni effetti collaterali negativi , quali alcuni quintali di costosi e spesso interessanti studi dispersi per ogni dove e la sciagurata modifica della Costituzione – titolo V , con l’inserimento di un quinto (!) livello amministrativo costituzionale , senza nemmeno derubricare le Province almeno ad organo amministrativo ordinario e quindi più facilmente riformabile o sopprimibile come minimo nelle finora fantomatiche “città metropolitane” .
Evocando un nuovo assetto democratico ed istituzionale della Grande Milano non si può eludere, innanzitutto, il tema dell’abolizione della Provincia come ente territoriale costituzionale.
L’abolizione delle Province è una richiesta dei socialisti del 1970 , quando entrarono in funzione le Regioni , unita a quella dell’abolizione dei prefetti , la cui funzione principale era al tempo negare autonomia e poteri ai sindaci espressione di maggioranze non omogenee al Governo nazionale. Del resto così furono utilizzati dal fascismo e, prima ancora, dal Governo centralista sabaudo per combattere il socialismo municipalista delle città del Nord : ed è quantomeno singolare che oggi vengano riciclati in funzioni ottocentesche proprio da un governo che si dichiara “federalista” addirittura per sorvegliare sul corretto funzionamento delle banche , provocando l’unico momento di sincera ilarità collettiva nel mondo della finanza globalizzata …
Nemmeno allora, ovviamente, si parlava di abolizione delle funzioni delle Province o di licenziamento del personale dipendente ( fra l’altro, ora come allora, tendenzialmente di buon livello ed esperienza) ma di loro riallocazione presso gli altri livelli amministrativi ; né occorre ricordare come dal 1970 ad oggi si siano introdotti vari altri livelli amministrativi ( dalle Zone cittadine ai Comprensori alle Comunità montane) oltre a moltiplicare enti e società con competenze sostanziali in materia di programmazione e gestione ( a Milano sta nascendo, seppure con gravidanza elefantina, la Expo 2015 Spa , che rischia di essere un clamoroso e forse mostruoso caso di genere) , di per sé portatori di una esigenza ineludibile – regolarmente elusa – di riordino istituzionale.
Di più : la scelta federalista pur confusamente introdotta con la modifica costituzionale del governo di centro-sinistra Amato dovrebbe chiaramente indurre a trasferire alle Regioni la competenza sull’organizzazione dei livelli istituzionali intermedi , come già avviene nelle Regioni a statuto speciale. In virtù di questo potere , infatti , la Regione Sardegna ha più che raddoppiato il numero delle province sarde , eliminando tutti gli altri enti intermedi come i Comprensori , con la significativa caratteristica di “pagarsi” queste strutture aggiuntive , il cui bilancio è interamente inserito in quello della Regione Sardegna .
Le province in Italia sono passate dalle 92 del 1960 alle 110 di oggi . Ogni nuova provincia , solo per dotarsi di propria struttura, costa 50 milioni di euro ; i soli consiglieri provinciali eletti ( la cui funzione , anche a seguito della legge Bassanini, è ridottissima rispetto agli anni settanta) costano 30 mila euro ciascuno all’anno , per un totale approssimativo di 180 milioni di euro , che potrebbero essere risparmiati senza alcuna diminuzione del grado di democrazia generale dal momento che le funzioni di controllo politico passerebbero senza fatica agli scarsamente impegnati consiglieri comunali e regionali.
L’abolizione del livello politico istituzionale porterebbe , da sola , ad un recupero di almeno 350-400 milioni di euro di costi all’anno sul bilancio dello Stato , mentre dall’operazione di riordino amministrativo ( meglio se combinata con il riassetto della struttura del Ministero degli Interni, collegata all’abolizione dei Prefetti) porterebbe a possibili risparmi minimi del 10-20% , quindi dell’ordine dei miliardi di euro all’anno ( l’ultimo dato certificato di spesa delle Province è del 2004 e parla di 16,7 miliardi di euro di costo totale ) ed un deciso e certo miglioramento del livello di efficienza generale dell’Amministrazione pubblica, senza alcuna diminuzione del livello di servizio verso i cittadini .
Lo sviluppo , anche se sarebbe meglio chiamarla l’involuzione , del sistema politico ed amministrativo per sedimentazione successiva , con le importanti varianti in corso d’opera delle leggi elettorali “ad partem” è tra le maggiori cause di alcune tra le peggiori malattie del nostro sistema : la riduzione della partecipazione democratica effettiva dei cittadini , gli enormi costi della politica e l’inefficienza della pubblica amministrazione.
Voglio dare alcuni esempi indicativi per ciascuna di queste malattie di sistema ed il loro collegamento con questa mia affermazione : il numero dei consiglieri elettivi , dai consigli territoriali al Parlamento europeo , si è incrementato del 6% dal 1994 ad oggi portando l’Italia al rapporto più basso eletto/elettori in tutta l’Ue , mentre i poteri deliberativi di tutte le assemblee si sono ridotti a meno del 50% in gran parte per cessione all’Esecutivo o al sindaco e la partecipazione media alle elezioni è scesa di oltre 14 punti ; i costi della politica complessivi , in gran parte per la partecipazione degli eletti a Cda di entità pubbliche e parapubbliche, si sono incrementati di 100 milioni di euro solo dal 2006 al 2008 ; i ritardati pagamenti della PA , che sono giunti oggi ad essere tra un minimo di 65 giorni ad un massimo di 900 , costano ai fornitori 64 miliardi di euro all’anno , senza contare gli effetti della attuale scarsa disponibilità conclamata di credito .
Un sistema con poca democrazia , costoso ed inefficiente deve essere cambiato , proprio a partire dalle città e dai Comuni che , con il “loro contado sono il cuore della democrazia e del sistema federale democratico e partecipativo” , come scriveva fin dal 1853 Carlo Cattaneo.
Le prossime elezioni provinciali sanciranno invece la monumentale sciocchezza di aver costituito una nuova provincia di Monza e Brianza , con i prevedibili effetti , per esempio, in materia di politica dei trasporti o delle infrastrutture urbane , inserendo l’ennesimo interlocutore nell’ingestibile ed affollato “tavolo” di coordinamento degli enti coordinatori , intervenendo in senso peggiorativo su tutte e tre le malattie individuate.
Io credo che la politica, invece di limitarsi a registrare il fatto che “sono tutti d’accordo” (a volte facendo tutte le parti in commedia, come nel caso della Lega che alle elezioni è abolizionista ed al Governo diventa paladina delle poltrone-sue) occorra invece impegnarsi a sostegno di una proposta precisa, semplice e chiara .
Al nuovo livello di governo metropolitano devono andare , oltre alle competenze della Provincia , quelle sovracomunali dell’urbanistica, dei trasporti , della difesa del suolo, delle acque , delle fonti energetiche, dei servizi per l’economia , prevedendo l’elezione diretta del Sindaco metropolitano e, ovviamente, di un Consiglio Municipale cui vengano restituite le funzioni di controllo politico ed amministrativo .
Per rendere compatibile la presenza dei Comuni dell’hinterland , molto più piccoli, con Milano , dobbiamo proporre la riarticolazione del capoluogo in più Comuni (dieci o quindici) che avrebbero le stesse caratteristiche e gli stessi poteri degli altri , fatte salve le competenze del governo sovracomunale. Ci si può richiamare alla situazione di 130 anni fa , quando all’esterno della “mura spagnole” c’era il Comune ( a corona circolare) dei “Corpi santi” , suddiviso in mandamenti con i nomi delle “porte” cittadine come Ticinese , Tosa, Vercellina etc , e che fu annesso a Milano nel 1873 . Gli altri Comuni autonomi , che costituiscono oggi quartieri completamente conurbati come Affori , Lambrate , Greco , Baggio ed altri , vennero invece annessi nel 1923 , data dell’ultimo intervento istituzionale sul Comune di Milano : forse, ottanta anni dopo , magari con una modalità più partecipativa e meno annessionista, una revisione non risulterebbe prematura . . .
All’obiezione che già è stata mossa costituita dall’affermazione che “ con le riforme istituzionali non si mangia” , soprattutto in tempo di crisi e quindi agli elettori “non interessa” potremmo opporre subito due ulteriori argomenti esempio molto concreti ed attuali . Con l’assetto attuale “il quartiere dei ricchi che elegge la più ricca” , secondo l’arguta definizione di Giacomo Properzj, non potrebbe più imporre ai cinque milioni di abitanti esterni al perimetro daziario soluzioni buone (forse) per sé stesso che hanno effetto soprattutto sugli altri , quali l’Ecopass spacciato per panacea ambientale invece che per gabella ottocentesca quale è ; e non potrebbe nemmeno essere preso in seria considerazione l’esodo biblico evocato dall’assessore all’urbanistica del Comune di Milano che , volendo far “rientrare nel pomerio” 700 mila persone ( !) dalla periferia di Arluno e Vizzolo Predabissi , parte da un raddoppio degli indici di fabbricazione e conseguente immediata rivalutazione di immobili e terreni di proprietà , solitamente, dei membri del Club dell’Orologio o del Clubino , dove vengono correntemente prese le decisioni politiche che riguardano gli abitanti di una delle più grandi realtà urbana d’Europa.

Carlo Tognoli


L’area milanese-lombarda
C’è chi ritiene che l’area metropolitana sia costituita dal capoluogo e dai comuni della Provincia, e pensa al ‘governo metropolitano’.
C’è chi sostiene che coincida quasi con la regione in una visione policentrica dove Milano e gli altri capoluoghi (quanto meno l’area formata da Varese, Como, Lecco, Bergamo, Crema, Lodi, Pavia) sono un’unica area urbana, che andrebbe governata a questa ‘scala’.
Indipendentemente dalla scuola di pensiero che si predilige, ciò che emerge è la necessità, per Milano e la sua vastissima area urbana, di pensare in grande (e subito).
‘In grande’, non solo come definizione simbolica, ma proprio nei termini dimensionali della questione.
Non si possono affrontare i problemi del trasporto e del traffico, al solo livello comunale.
A maggior ragione ciò vale per la difesa dell’ambiente. Per i programmi urbanistici. Per le infrastrutture materiali e immateriali.

L’istituzione del possibile ‘governo metropolitano’ deve andare di pari passo con l’eliminazione della Provincia.

La ‘provincia’ è stata in discussione sin dalla sua nascita, avvenuta con la legge del 1865 che estendeva questa istituzione, peraltro già presente nello Stato sardo-piemontese, all’Italia unita.
Emilio Caldara (sindaco socialista di Milano dal 1914 al 1920) quando era segretario dell’Associazione nazionale dei comuni, nei primi anni del XX secolo, considerava le province, di cui auspicava l’eliminazione, “enti buoni solo per i manicomi e per le strade” che avrebbero potuto essere facilmente sostituiti ‘da consorzi tra comuni e da aziende consorziali’. Questa opinione era ampiamente diffusa.
Nei primi anni del governo fascista l’esistenza delle province fu di nuovo in forse in occasione della riforma della legge comunale e provinciale.
Nel secondo dopoguerra il maggior sostenitore della soppressione delle province è stato il Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, in questo coerente con le indicazioni originarie della costituente.
La Commisione dei ‘settantacinque’, infatti, aveva proposto un testo molto chiaro e semplice, che avrebbe risolto la ‘vexata quaestio’.
“La Repubblica si riparte in Regioni e Comuni.
Le Province sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale”
Le cose andarono diversamente e l’art.114 ricomprese le Province cui si sono aggiunte, dopo la modifica costituzionale del 2001, le Città metropolitane.
Se il costo delle Province è pari a circa 17 miliardi di Euro senza illudersi di azzerare questa uscita, si può ipotizzare che l’eliminazione degli emolumenti degli eletti, delle spese di rappresentanza e di consulenze, nonché l’alienazione di beni immobili non più necessari, produrrebbe un risparmio significativo. Il personale potrebbe essere assegnato alle altre amministrazioni tenuto conto del buon livello professionale esistente.

Amare Milano, 14 marzo 2009
Saluto del presidente della Provincia di Milano Filippo Penati


Avrei voluto essere qui con voi, ma impegni precedentemente presi me lo hanno impedito.
Il tema in discussione, quello del governo metropolitano, è un tema che considero centrale per Milano e la sua provincia.
Fin dal mio insediamento alla guida dell’amministrazione provinciale, ho sempre sostenuto la nascita della Città metropolitana, un ente capace di governare un territorio omogeneo per dinamiche e problemi e densamente urbanizzato come quello milanese.
In questo momento in cui i modelli tradizionali delle istituzioni sembrano vivere una fase di crisi, questa innovazione istituzionale è più che mai necessaria. Sono infatti convinto che il nuovo livello di governo sia in grado di rilanciare, come aveva indicato l’Organizzazione per lo Sviluppo economico (OCSE) in una ricerca presentata nel 2006 Milano, che sembra vivere nel mito di una città dinamica invece di praticarlo.
Per questo ho chiesto che il Comune di Milano e la Provincia scompaiano affinché nasca nel 2011 la Città metropolitana.
Ho proposto l’istituzione di una commissione mista di consiglieri di Comune e Provincia, per stilare una proposta di governo di area metropolitana da sottoporre poi a referendum. Questo perché credo che solo la Città metropolitana possa rispondere oggi alle richieste di efficienza e di governabilità attese da lungo tempo dai cittadini.


Filippo Penati
Presidente della Provincia di Milano

Una Grande Milano o una Milano Grande?
Un sistema urbano da perfezionare per rispondere alle sfide dei prossimi decenni
di Gian Paolo Corda *

Se l’Area Metropolitana di Milano coincidesse nei suoi confini con l’attuale Provincia risultante dallo scorporo di quella di Monza Brianza, la sua popolazione sarebbe di circa 2.300.000 abitanti, meno della metà rispetto ai 4.860.000, distribuiti su un’area di circa 2.945 km², che individua l’OCDE nel Rapporto 2006, definendo i contorni dell’area metropolitana di Milano.
Ancora meno se si considera la popolazione dell’area stessa sulla base dei legami multipolari che legano Milano ai comuni lombardi, che ammonta a 7.500.000 abitanti, come certa Scuola urbanistica di Milano ha sempre sostenuto e come, di recente, ha confermato la stessa OCDE, comprovandola con aggiornati indicatori socio-economici.
La questione sarebbe in sé di interesse solo specialistico se non obbligasse a riflettere sugli assetti istituzionali appropriati perchè una delle aree urbane europee più evolute possa reggere alle sfide di un futuro prossimo, che già viene ad investire l’intero continente europeo.
Milano è “grande” in Europa e nel Mondo in quanto è riconosciuta come parte centrale di una rete di città, sedi di attività e funzioni, valori simbolici oltreché economici, organizzata a sistema, sia pure imperfettamente.
Una rete fitta di relazioni di città grandi e piccole, di impianto romano e preromano, che costituisce un vero e proprio modello insediativo assimilabile ai policentrismi renano e del Randstad olandese, alternativo al modello insediativo metropolitano, più chiaramente leggibile in città capitali come Parigi, Londra e Mosca.
Questo sistema multipolare, che ha saputo reggere all’impatto delle alterne vicende politiche (dall’epoca dei Comuni fino all’Unità d’Italia), economiche (compresa la fase dell’industrializzazione) e sociali (delle grandi migrazioni degli anni ’60), è tutt’ora riconoscibile nonostante lo sprawling insediativo degli ultimi decenni.
In ragione di questo riconosciuto assetto, appare limitativo considerare la dimensione metropolitana di Milano esclusivamente in relazione al suo stretto hinterland, così come accadrebbe se i suoi confini coincidessero con la Provincia, per di più ridimensionata.
È auspicabile che con la Città metropolitana possa invece ricomporsi una nuova dimensione costituita da Comuni, funzionalmente e storicamente legati, di provincie diverse.
Se così non fosse e i suoi confini venissero costretti nel ritaglio che si va configurando, allora occorrre aver chiaro che la Città metropolitana sarebbe un soggetto partecipe, ma non esclusivo, con cui Stato e Regione possono avviare, con protocolli d’intesa e accordi di programma, le politiche territoriali necessarie alla scala del sistema urbano di cui è parte.
Ogni trasformazione territoriale, e così pure ogni politica d’intervento infrastrutturale di particolare rilevanza, sottende una strategia d’assetto della città, esplicita o implicita, così che ritenere che le questioni che abbiamo da affrontare (ambiente, trasporti, energia) possano essere risolte entro la Città metropolitana costituisce di per sé una scelta di campo, in quanto darebbe solozione solo ad una limitata dimensione dei problemi.
Un ben individuato assetto macrourbanistico trascende, com’è opinione comune, il livello della pianificazione comunale; occorre comprendere che, se ne trascende anche la Città metropolitana oggi possibile, allora occorre non perdere di vista la dimensione delle politiche necessarie per perfezionare ciò che fa davvero grande Milano e ne rende identificato il ruolo di Nodo tra le Città-Mondo.

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