martedì 1 settembre 2009

Paola Meneganti: Divieti, regole, libertà

DIVIETI, REGOLE LIBERTÀ
Il nostro Paese, le nostre città sono percorse da una messe di divieti e di proibizioni sempre più nutrita. Di diverso tenore: alcuni richiamano norme di elementare buon senso, altri intendono ripristinare comportamenti che non dovrebbero essere gestiti a suon di ordinanze sindacali, ma con quella che può definirsi buona educazione, senso della misura, e così via (dovrebbe essere evidente che zoccolare pestando i piedi non è una bella cosa). Altri sono francamente incomprensibili: uno per tutti, il divieto di costruire castelli di sabbia, o di raccogliere relitti portati sulla spiaggia dalle onde. Ma che scherziamo? Vogliamo mettere il fascino dei legni levigati dal mare?
Quando non si giunga al reato di adunanza sediziosa, di pessima matrice: vietato fermarsi, la notte, in parchi e giardini in più di due persone … succede a Novara.
Altri, invece, vorrebbero regolare comportamenti degli individui legati a cause ed effetti che affondano nell’educazione, nella cultura, in conseguenze personali e sociali importanti.
I divieti relativi al consumo di alcool sono certamente di quest’ultima tipologia. Ma servono? O meglio, sono efficaci?
Lo sono senz’altro i controlli del tasso alcolico di chi è al volante. Ma qui c’è il problema della quantità che le forze dell’ordine, sempre più depauperate di mezzi, possono svolgerne. Ed è singolare che si vieti si impedisca etc… e poi si privi chi è preposto a far rispettare i divieti magari della benzina o della carta per le stampanti. Altro che ronde …
Però, il problema è davvero grosso. Ho letto su una rivista la lettera di un padre che diceva: mio figlio, 16 anni, non riesce a divertirsi senza alterarsi. Perché l’alterazione a tutti i costi? Siamo sicuri che, in questo caso, sia efficace il puro e semplice divieto? O piuttosto, vietare e basta non fa che aumentare la voglia di trasgressione, di proibito? O piuttosto, vietare e poi non far rispettare il divieto alimenta la sensazione che, tanto, niente è davvero da prender sul serio? O ancora, non è il caso di porsi davanti all’enorme problema educativo che hanno aperto i cambiamenti sociali, economici, culturali in atto? Proibire senza dare opportunità, senza porre domande è una strada perdente. Può servire a far cassa con le multe – quando vengono pagate – e, nei casi più gravi, a riempire ancora di più le galere. Ma multe e galere, da sole, non fanno civiltà.
Si tratta – parafrasando una recente osservazione del cardinale Martini – di interventi facili: “Facile è l’intervento che nasce da qualche irresponsabilità, che non tiene conto della serietà di una situazione”
In un delizioso film di Billy Wilder, ambientato durante il proibizionismo USA – periodo in cui, fra parentesi, si beveva moltissimo e male e si alimentavano i guadagni della malavita organizzata – un ubriaco, in un locale in cui si vende alcool clandestinamente, sotto la finzione di caffé, grida: “Voglio un’altra tazza di caffé!!”. E’ facile mascherare ipocritamente la realtà, molto più complicato, invece, affrontarla in tutte le sue sfaccettature e differenze, e, così facendo, cercare di coniugare regole e libertà.
P.M. 30.08.09

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