mercoledì 30 settembre 2009

Intervista con Rasmussen, presidente PSE

Da La Stampa

Il presidente Pse: «Per creare nuovi posti di lavoro guardiamo alle dinamiche transfrontaliere»
MARCO ZATTERIN
BRUXELLES
Poul Nyroup Rasmussen, presidente del Partito socialista europeo, ammette che quando sono arrivati i risultati delle elezioni tedesche ha provato «una grande tristezza». Eppure, assicura, «fareste meglio a non considerarci finiti». La Spd in Germania «ha pagato un prezzo esagerato», però «in Portogallo e Norvegia abbiamo vinto, e ora mi aspetto un’affermazione greca. Non sono i segnali di un movimento al tappeto».

La Spd, il più vecchio partito socialdemocratico europeo, non era mai andata così male. Vorrà pur dire qualcosa...
«E’ stata penalizzata dalla partecipazione alla Grande Coalizione con Angela Merkel. Nei quattro anni di governo la disoccupazione è cresciuta parecchio e i senzalavoro hanno presentato il conto alla Spd, anche attuando la “politica del sofà”: sono rimasti a casa in preda all’apatia, pensando di non poter influenzare in alcun modo il futuro con il loro voto».

Ma gli elettori dei Verdi e della Linke alle urne sono andati...
«I socialdemocratici hanno subito un “effetto sandwich”, stretti fra i cristiano-democratici e l’altra sinistra. E’ un fenomeno europeo: gli elettori, soprattutto a sinistra, sono persuasi che i partiti tradizionalmente al governo non abbiano più risposte. Del resto Merkel ha vinto grazie ai liberali; lei non è cresciuta, loro sì. Ecco perché dico che la Spd ha pagato più cara la nuova tendenza».

Intende l’eccessiva adesione al libero mercato?
«E’ sbagliato pensare che le riforme non facciano vincere. Il problema è combinarle con lo sviluppo e la creazione di posti di lavoro. Gli interventi effettuati da Schröder dopo il 1998 non hanno avuto questo esito. Il clima economico si stava deteriorando e la gente perdeva il posto. Così nel 2005 i socialdemocratici hanno perso. Colpa della crisi, non della Spd».

E’ passato poco tempo da quando Blair e Schroeder parlavano di terza via socialista. Questa è morta, lo ammetterà.
«Temo di sì. Credo però che esista ancora la possibilità di aprire una nuova era ragionando in chiave europea. La creazione del lavoro richiede dinamiche transfrontaliere. Noi siamo l’unica forza che può spingere in questa direzione, mentre gli euroscettici vogliono chiudere le porte e il centrodestra è tentato dal nazionalismo. Dobbiamo creare nuovi posti di lavoro e far partecipare i cittadini all’economia, puntando su valori e giustizia sociale. Contemporaneamente si devono porre le condizioni per evitare che la crisi finanziaria si ripeta. Così hanno fatto portoghesi e norvegesi».

Invece in Gran Bretagna i laburisti hanno le ore contate.
«La situazione è molto seria, ma sono colpito da come Gordon Brown si batta per dare la scossa al Paese. Sarò naïf, ma se riparte l’economia e i lavoratori cominciano a chiedersi che cosa conviene loro veramente, non è detto che i conservatori si affermino».

Perché?
«Perché Cameron imita la Merkel. Vuole ridurre le tasse, un meccanismo che non funziona politicamente quando c’è la recessione. Si brucia lavoro. Servono investimenti pubblici, non ulteriori privatizzazioni».

Il Pd fatica a darsi un leader. Onda negativa anche da noi?
«Spero, e credo, che i democratici sappiano restare uniti. Chi ha fondato il partito voleva costruire una nuova Italia e togliere il potere a Berlusconi. Oggi nel Pd devono sentirsi obbligati a essere compatti. Se non lo saranno, perderanno le elezioni per un tempo molto, molto lungo».

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