lunedì 28 settembre 2009

Giuseppe Berta: Europa senza sinistra

28/9/2009

Europa senza sinistra

da La Stampa



GIUSEPPE BERTA

Queste elezioni resteranno probabilmente uno spartiacque per la socialdemocrazia tedesca, che per la prima volta scende al di sotto del 25 per cento.

In realtà, si potrebbe sostenere che l’esito elettorale non costituisce una débâcle assoluta per la sinistra della Germania, poiché sommando i voti di Spd, Linke e Verdi si ottiene, se gli exit poll saranno confermati, una cifra non troppo distante da quella conquistata da cristiano-democratici e liberali. Ma non è così che vanno letti i risultati: ciò che rivelano è il venir meno della capacità maggioritaria dei socialdemocratici, la perdita della loro funzione di cardine centrale della sinistra tedesca. Da queste elezioni, l’immagine e il ruolo della socialdemocrazia escono appannati e compromessi come non mai e diventa difficile ipotizzare la via che la Spd potrà percorrere, per tentare di recuperare lo spazio politico che ora le è sfuggito.

Con la crisi globale si è di fatto chiuso un ciclo della socialdemocrazia europea, di cui la Spd ha rappresentato un asse fondamentale. Gli anni in cui Gerhard Schröder era alla guida della Germania come cancelliere e prometteva una stagione di stabilità e di crescita economica sono definitivamente archiviati. Era quella l’epoca in cui i socialdemocratici al governo pensavano di pilotare la trasformazione della società da un «nuovo centro», capace di andare oltre i confini politici del passato e di ottenere un consenso sempre più largo e interclassista. Ai tempi in cui il richiamo del New Labour di Tony Blair era vincente, verso la fine del decennio Novanta, era risuonata una forte nota di sintonia tra laburisti inglesi e socialdemocratici tedeschi, uniti nel teorizzare un superamento delle tradizionali barriere sociali che avevano fino ad allora segmentato l’elettorato. Per un buon tratto, i due maggiori partiti di derivazione socialista dell’Europa avevano scommesso sulla possibilità di gestire i frutti buoni della globalizzazione, raffigurandosi come i soggetti in grado di accelerare un processo di sviluppo economico tale da poter generalizzare i suoi effetti di ricchezza all’intera società. Il capitalismo non era più descritto come una forza economica da imbrigliare e disciplinare, ma come l’agente di un progresso materiale che poteva essere esteso a tutti. Di qui il rilievo posto sulle misure di flessibilità del mercato del lavoro, secondo un’angolatura che mirava in primo luogo a rafforzare le dotazioni individuali dei lavoratori in luogo della tutela collettiva esercitata attraverso la mediazione sindacale.

La Spd si è spinta meno in questa direzione rispetto al New Labour che, sebbene ancora al governo nel Regno Unito, appare travagliato da una crisi e da un’incertezza politiche ancora più profonde. Ma nel corso degli ultimi dieci anni la Spd ha sbiadito la propria identità storica senza riuscire a darsene una nuova. Ha creato disaffezione e disorientamento nel suo elettorato di riferimento, senza acquistare consensi in altri bacini sociali. La crisi economica che ha colpito duramente la Germania come tutto il mondo sviluppato ha messo ancor più in rilievo la fragilità e la contraddittorietà dell’ottimismo del recente passato. Le diseguaglianze sociali sono cresciute al pari della precarietà delle prospettive economiche, anche delle grandi imprese, come dimostra la tortuosa gestione del caso Opel.

Sulla disaffezione degli elettori socialdemocratici ha fatto leva la campagna delle altre componenti della sinistra tedesca, a cominciare dalla Linke, una formazione politica controversa nata dall’accostamento di due distinte anime della sinistra radicale, quella che a Ovest fa capo a Oskar Lafontaine, l’antagonista della svolta moderata della Spd, e a Est ai residui della tradizione comunista. C’è da credere che la Spd non avrà la vita facile, sottoposta alla pressione incalzante della Linke, tutt’altro che riluttante a ricorrere a slogan demagogici, come si è visto dalla propaganda elettorale.

La sconfitta dei socialdemocratici tedeschi è l’ultimo e più grave campanello d’allarme per la sinistra europea. Dinanzi alla crisi globale essa è stata afasica, come può esserlo una forza tradita da un corso degli avvenimenti che non ha saputo presagire né correggere con l’autorevolezza delle proprie posizioni.

Per la Spd come per i socialisti francesi e, in un assai probabile domani, per i laburisti inglesi si prospetta una lunga fase d’opposizione, a cui i partiti della sinistra non potranno scampare fino a quando non avranno messo a punto una visione inedita e originale della loro funzione di governo entro società che presentano lineamenti confusi e frastagliati. È all’interno di questa cornice problematica che attende di essere declinata una nuova politica dell’eguaglianza e dell’inclusione sociale.

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