giovedì 3 settembre 2009

Gian Enrico Rusconi: La Germania cambia tutto ma non la Merkel

Da La Stampa

2/9/2009

La Germania cambia tutto
non la Merkel





GIAN ENRICO RUSCONI

Le prossime elezioni tedesche di fine settembre creeranno una situazione paradossale. Da un lato ci sarà un cambiamento significativo nella struttura e nella rappresentanza partitica della Germania; dall’altro questa svolta sarà affidata ad una donna cancelliere - Angela Merkel - che in qualche modo in questi anni ha accompagnato l’eutanasia del vecchio sistema tedesco. Con stupore ci si chiede chi sia esattamente questa professionista della politica che non ha nulla dell’arroganza e della supponenza del professionista, ma guida con sicurezza il governo. Cambia opinione, oscilla nei programmi, fa concessioni e compromissioni ma dà l’impressione d’avere sempre in mano la situazione. Non assume mai toni enfatici o carismatici ma appare convincente e soprattutto popolare. In breve è rimasto l’unico punto fermo in un universo politico in movimento.

Il segreto del grande leader è ottenere fiducia, qualunque cosa abbia in testa. Persino quando non sa nemmeno lui che cosa farà. Questa è Angela Merkel oggi. Soprattutto dopo l’esito negativo per il suo partito, la Cdu, nelle elezioni regionali dei giorni scorsi. La nomenclatura cristiano-democratica non la ama; anzi è irritata e stupita. Non riesce a capacitarsi di come la Cdu perda consensi mentre ne guadagna la persona della cancelliera.

Ma devono ammettere che soltanto la Merkel è in grado di garantire che l’imminente passaggio elettorale non sia traumatico.

I risultati delle ultime consultazioni regionali con la punizione della Cdu e della Spd, l’avanzata della «sinistra antagonista», la Linke, dei liberali, dei verdi non vanno letti come semplice riassetto numerico delle formazioni in campo. Non è un riassestamento per il quale è prevedibile, anzi è già iniziato il gioco delle varie possibili alternative di coalizione. È un intero equilibrio storico di sistema che sta cambiando.

Si va verso un sistema «pentapartitico» che solleva facili associazioni con la Prima repubblica italiana. Ma l’evocazione della «italianizzazione» del sistema politico tedesco è soltanto una battuta scaramantica. A parte la sgradevolezza del confronto, i politici tedeschi non sembrano attrezzati ad affrontare la nuova situazione. Sono stati presi in contropiede, nonostante da anni si delineasse il nuovo orientamento.

La Germania è l’unico grande Paese europeo la cui struttura politico-partitica di fondo è durata sostanzialmente sessant'anni, anche grazie alle condizioni eccezionali della guerra fredda che l’ha costituita intimamente sin dall’origine. Ebbene la nuova dinamica che si annuncia oggi è tanto più pressante in quanto paradossalmente tardiva. A ben vedere, infatti è l’effetto ritardato della caduta del Muro: la fine dei macroequilibri politici mondiali, con lo spostamento del confronto dalla sfida militare alla competizione per le risorse energetiche che intaccano direttamente la vita quotidiana dei cittadini. Poi ci sono le attese deluse della occidentalizzazione delle regioni orientali e la frustrazione generalizzata per la paralisi dell’Europa politica. Gli elettori sono sconcertati e abbandonano le vecchie fedeltà.

Sotto l’accelerazione di questi problemi, resi più acuti dall’ultima crisi economico-finanziaria, in Germania si registra una mutazione politica interna che altri sistemi politici hanno già attraversato, approdando magari al presidenzialismo di stile sarkozista o al berlusconismo. So benissimo che questi riferimenti non piacciono per nulla ai politici tedeschi. Ma aspettiamo la loro soluzione «alla tedesca».

Il discorso torna così alla cancelliera Merkel. È lei la scommessa che le novità imminenti non siano traumatiche. È lei la garanzia che ci sarà abbastanza «conservazione» nella «mutazione». Come tutto questo si traduca della politica pratica non è facile da prevedere. Come non è prevedibile quale combinazione di partiti o coalizione garantisca questa buona politica. Ma forse che le decisioni prese dalla Merkel nel corso del suo mandato, che l’ha resa tanto popolare, sono state di «destra» piuttosto che di «sinistra»? Nessuno è in grado di definirle in questi termini convenzionali.

Siamo così al punto istituzionale che per i tedeschi è ovvio mentre per gli italiani è motivo di infinita gelosia: l’istituto del cancellierato come garanzia di competenze decisionali in grado di orientare in modo autorevole una compagine di governo (anche quando è basata su una coalizione).

Autorevolezza del cancelliere non vuol dire la pretesa di essere esonerati dalle critiche o esibire un decisionismo per ripicca, contro l’opposizione. Anzi più di quanto non appaia dall’esterno, il grande cancellierato coincide con una straordinaria capacità di creare sinergie all’interno delle forze di governo. E di ottenere il combattivo rispetto dell’opposizione.

Naturalmente la storia del cancellierato tedesco non è tutta lineare o priva di momenti di grandi tensioni e contraddizioni. Ma i momenti più felici della storia politica, sociale ed economica tedesca hanno sempre coinciso con figure notevoli di cancellieri, interpreti con la loro stessa personalità del clima di un’epoca. Personalità di valore dentro ad un plusvalore istituzionale.

Questo è probabilmente il segreto del successo addirittura «anticipato» di Angela Merkel di questi giorni.

Naturalmente parlo di promessa o forse più realisticamente è meglio parlare di scommessa.

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